L'ambasciata
di san Giovanni Battista al Redentore. I caratteri del Re divino e
della sua Chiesa
Gesù
Cristo era andato ad annunciare la Buona Novella nelle città della
Galilea, accompagnando la sua predicazione con strepitosi miracoli e
raccogliendo sempre più intorno a sé un gran numero di seguaci.
Questo dovette urtare la suscettibilità dei discepoli di san
Giovanni Battista, i quali credevano di vedere in Gesù Cristo quasi
un emulo del loro maestro (51).
Il
santo Precursore si trovava imprigionato a Macheronte, nella Perea,
per aver rimproverato Erode del suo adulterio e, non potendo sfatare
personalmente le idee dei discepoli, pensò d'inviarli a Gesù perché
la stessa parola viva del Messia li avesse convinti. Che sia stata
questa l'intenzione di san Giovanni, risulta chiaramente dal contesto
e dall'elogio che di lui fece Gesù.
Per
la relativa facilità con la quale allora i prigionieri potevano
corrispondere con le persone care e per la maggiore libertà che gli
dava Erode stesso, san Giovanni fu informato delle grandi opere che
Gesù compiva, e questo accrebbe la sua fede in Lui e gli fece
desiderare maggiormente di glorificarlo dinanzi al popolo. Era stato
mandato per annunciarlo e aprirgli la strada, e volle compiere anche
dal carcere la sua missione, rendendo testimoni del Messia i propri
discepoli. Questi andarono da Gesù in un momento nel quale Egli
faceva molti miracoli e, parlando in nome di san Giovanni, dissero:
Sei tu colui che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro? La
stessa domanda dimostrava la stima che il Precursore aveva di Gesù
Cristo, poiché si rimetteva a Lui per una risposta come la più
autorevole e santa che potesse avere.
Gesù
Cristo rispose con la testimonianza dei fatti che rispondevano alle
profezie fatte sul Messia (cf. Is 35,5ss e 61,1): I ciechi recuperano
la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi
odono, i morti risorgono, i poveri sono evangelizzati.
Era
l'argomento più adatto a convincere i discepoli di san Giovanni,
poiché il loro maestro non aveva fatto miracoli e non poteva essere
lui il Messia, come forse essi ammettevano o per lo meno
sospettavano. Ad essi sembrava che il loro maestro avesse un aspetto
più austero e venerando e che il fare semplice e cordiale di Gesù
fosse inconciliabile con la dignità di Messia, per questo il
Redentore soggiunse: Beato chi non prenderà in me motivo di
scandalo. Egli voleva dire: le opere parlano di me, ma io non cesso
di essere ammantato di umiltà, e beato colui che nonostante questo
mi segue e ascolta la mia parola.
La
Chiesa Cattolica
Il
carattere di Gesù è quello stesso della Chiesa Cattolica, la quale
non ha apparenza di grande austerità né ha appoggio umano, ma la
soprannaturalità della sua missione rifulge in ciò che compie
spiritualmente illuminando i ciechi con la verità, facendo camminare
le anime nelle vie di Dio con la grazia, mondando i peccatori,
lebbrosi dello spirito, aprendo l'orecchio di chi è sordo alle voci
di Dio, risuscitando quelli che sono spiritualmente morti ed
evangelizzando le nazioni. In queste opere divine sta il carattere di
verità della Chiesa, inconfondibile con quello delle sette che pur
pretendono di essere "la Chiesa". Le sette, anzi, fanno
precisamente l'opposto: accecano le anime con l'errore e ne
impediscono spesso il cammino terso la Vita eterna, con gli scandali;
le rendono lebbrose con il peccato e specialmente con il peccato
impuro, triste specialità di tutte :e sette, le quali nascono
dall'impurità e finiscono nell'impurità. L'errore rende sorde le
anime alle chiamate di Dio, le uccide miseramente privandole della
grazia e le getta nel baratro dell'ignoranza più squallida.
I
poveri sono evangelizzati: questo è proprio la corona dei zar itteri
del Redentore e della sua Chiesa, l'evangelizzazione, cioè :a
diffusione della vera ed eterna sapienza, la diffusione della vera
scienza. Gli eretici tacciano la Chiesa di oscurantismo e la dicono
nemica della scienza, mentre si chiamano essi corifei di scienza e di
civiltà. È una fandonia come le altre.
Chiameresti
tu oscurantista e nemico del sapere l'astronomo, tutto intento ai
suoi astri e ignaro delle leggi di cucina o incapace d'insegnare come
si lustrano le scarpe? Basta all'astronomo la Diffusione della sua
scienza, come basta al matematico conoscere la matematica, al
letterato la letteratura, ecc. Anche se la Chiesa non avesse
benemerenze nel campo delle scienze umane, rimarrebbe la sua somma e
incomparabile benemerenza evangelizzare, propagare la scienza di Dio
e delle cose eterne, la più sublime delle scienze, di fronte alla
quale — lo diciamo a fronte alta e con sicurezza — le scienze
umane sono molto meno che le cognizioni del lustrascarpe di fronte
all'astronomo.
Questo
bisogna capire e confessare: anche nei secoli di nero oscurantismo la
Chiesa ha avuto il Vangelo e la Teologia, la Scritture e la
Patristica, le sue leggi sapienti e la sua scienza morale, ossia ha
avuto in mano, freschi come ieri e come nei secoli, i frutti della
più alta e incomparabile sapienza. Anche quando Carlo Magno firmava
con la crocetta perché non sapeva scrivere, la Chiesa aveva le
Scritture per eccellenza; anche quando la letteratura s'imbarbariva,
aveva la sua lingua immortale per parlare ai popoli nella divina
sapienza. Essa, quindi, è la sola che non conosce l'ignoranza,
perché ha scritte sulla sua fronte quelle divine parole: I poveri
sono evangelizzati.
Tu
ti stupisci tanto di fronte alle scoperte fisiche, ai miracoli della
meccanica e della chimica, ai prodigi della fisica e
dell'elettricità? La Chiesa ha avuto, ha e avrà un prodigio mille
volte infinitamente più grande: la transustanziazione eucaristica,
l'azione sacramentale, le comunicazioni dell'anima con il mondo
eterno attraverso la preghiera.
Queste
non sono chimere, non sono simboli, non sono sogni: sono veri e
propri fenomeni di un mondo reale, spirituale, altissimo, divino.
Veramente nell'Eucaristia, la somma delle meraviglie divine
nell'umanità, la sostanza del pane non c'è, veramente c'è il
Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità del Signore. Qualunque
scoperta è nulla di fronte a questo prodigio che appare come un
fenomeno assoluto, conseguente alla materia, alla forma e al mistero
del Sacramento adorabile.
Se
tu dici esser nulla l'esperienza dello sfregamento della ceralacca o
del vetro che produce un minimo di elettricità statica buona solo ad
attrarre una pagliuzza, di fronte alla benna che attrae con violenza
una tonnellata di ferro o di fronte alla dinamo che produce turbini
di corrente, come puoi osare stimare come nulla la potenza di una
transustanziazione che sostituisce al pane la vita, l'attività,
l'espansione, la realtà di un Corpo divino?
Non
è più stupendo questo fatto realissimo, constatato dalla fede e
dall'esperienza, che non ha bisogno di apparecchi per compiersi ma
solo di una parola onnipotente, erompente da un'anima segnata dal
carattere sacerdotale?
È
vergognoso al massimo che il mondo ancora disconosca la grandiosa
superiorità della Chiesa, in tutti i secoli e in tutti i modi, e che
ancora si balocchi con le sue scoperte, le quali anche di fronte ai
fenomeni naturali sono giochi da infanti. Il turbine elettrico di una
centrale moderna è meno di una scintilla di una bottiglia di Leídas
(52) di fronte allo scoccare di un fulmine. Le colate dei
forni elettrici tedeschi sono meno di una favilla di fronte alle
colate vulcaniche e a quelle più grandiose delle eruzioni solari o
stellari.
Smontiamoci,
per carità e, pur apprezzando gli sforzi della scienza umana,
rifugiamoci nella Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, meraviglioso
campo di luce, di attività, di salute, di forza, di armonie divine,
di scienze elevatissime, di fatti meravigliosi, realissimi,
positivissimi.
Gesù
Cristo elogia san Giovanni Battista
La
domanda fatta da san Giovanni per mezzo dei due discepoli, mandati
per far loro toccare con mano la verità, poteva sembrare come un
atto di sfiducia nella realtà del Messia da parte del Precursore.
Per dissipare questo equivoco, Gesù ne fece l'elogio più bello e lo
fece dopo che gli ambasciatori di lui se ne andarono, perché il suo
elogio non fosse apparso come una lusinga o un'adulazione. Le folle
erano andate dietro a san Giovanni, attirate dalla sua fama, e lo
avevano seguito anche nel deserto dov'egli si ritirava; ora, che cosa
erano andati a vedere? Forse un uomo incostante che, quasi come una
canna sotto la raffica del vento, si lascia inclinare laddove il
vento soffia?
Egli,
invece, era stato fermo contro la stessa perversità di Erode e aveva
compiuto con ferma fede la sua missione di Precursore senza esitare
un momento, come sarebbe potuto apparire dall'ambasciata da lui
mandata.
Che
cos'erano andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ma chi veste
così sta nella casa dei re, dove la vita è spesso sensuale e
leggera. Egli, invece, era l'esempio dell'austera penitenza, e con il
suo esempio insegnava a preparare l'anima alla Redenzione,
rinnegandosi. Egli non era solo un profeta, come lo stimavano le
folle, era più di un profeta, era colui che fu preannunciato da
Malachia (3,1) come l'angelo, cioè il nunzio che doveva preparare le
anime alla venuta del Messia; era l'ultimo e più grande
rappresentante dell'Antico Testamento, il quale non annunciava o
prefigurava il Messia futuro ma lo additava presente. Per questa
grande missione, da lui compiuta con fedeltà incrollabile, egli era
il più santo di tutti i Profeti e aveva una dignità che li superava
tutti.
Gesù
Cristo conferma questa superiorità del Precursore sui Profeti con
gli effetti della sua missione: i Profeti suscitarono la fede e la
speranza nel futuro Messia; Giovanni, invece, attirò le folle e le
indirizzò verso il compimento delle antiche promesse. Lo fece con
tanto ardore che, dopo la sua predicazione, il regno dei cieli è
diventato non un termine di aspirazione ma di conquista reale, e il
desiderio della salvezza quasi una gara e una ressa per conseguirla.
Il
popolo, infatti, accorse sulle rive del Giordano, dove Giovanni
predicava, domandò il battesimo di penitenza, cominciò a prepararsi
a partecipare al regno di Dio e letteralmente fece ressa e quasi
violenza per avere il segno della penitenza. Giovanni, più che un
profeta, annunciava e cominciava a mostrare il compimento di quello
che annunciava e di quello che era stato annunciato da tutti i
Profeti.
Se
Giovanni è più grande di tutti i Profeti per aver attirato le folle
al regno di Dio, è evidente che il più piccolo di quelli che
partecipano al regno dei cieli e ne vivono è maggiore di lui.
Gesù
non parla della santità di san Giovanni, ma dell'ufficio che
compiva, com'è evidente dal contesto; nelle sue parole c'è questa
gradualità di dignità: il profeta che annuncia di lontano il regno
di Dio; il Precursore che prepara le folle perché vi entrino e
suscita il desiderio di farne parte; il cristiano che vi entra e fa
parte dell'ordine nuovo, non solo desiderandolo, ma vivendolo. San
Giovanni morì prima che la Redenzione fosse compiuta, e la sua vita,
benché santa, non ebbe i caratteri di quella grandezza che solo il
Sangue e il Sacrificio del Redentore poteva comunicarle. Se si pensa
che il più piccolo fedele della Chiesa partecipa al Corpo e al
Sangue di Gesù Cristo, si capisce perché è maggiore di Giovanni
come dignità di carattere (53).
Guai
a te, o Corazin, guai a te o Betsaida!
San
Giovanni aveva annunciato alle folle la presenza del Redentore e
aveva predicato con la parola e con l'esempio di una vita austera, ma
non tutto il popolo lo aveva seguito nella penitenza e si era dato a
Gesù Cristo. L'austerità di san Giovanni era per alcuni una ragione
per non seguirlo, e la semplicità della vita di Gesù Cristo era,
per i rigoristi ipocriti, una ragione per non credergli.
Il
popolo, trascinato da questa doppia corrente, finiva per non seguire
nessuno dei due e per rimanere nelle proprie idee di un Messia
politico e guerriero.
Gli
ripugnava il rigore di san Giovanni e non lo seguiva perché aspirava
al benessere materiale, gli ripugnava la vita umile e normale di Gesù
Cristo, perché aspirava a un re che s'imponesse con la forza e con
la maestà di una regalità tutta umana. La parabola dei fanciulli
che si rifiutano di piangere e di ridere, che Gesù propone, risponde
mirabilmente all'incontentabilità del popolo che non voleva né un
re austero né un re pieno di affettuosa compassione. Questo strano
atteggiamento, però, giustificò la sapienza di Dio che scelse una
via di Redenzione diversa da ogni aspirazione umana e da ogni
preconcetto. Gesù, non potendo seguire l'incostante e fanciullesco
pensiero degli uomini, scelse un cammino di bontà infinita e di
umiliazione profonda e sanò con il suo amore paterno l'umanità che
volle riceverlo.
Alludendo
all'ostinazione e all'ingratitudine del popolo nel rifiutare, per una
ragione o per l'altra, l'invito al regno di Dio, Gesù si rivolse con
accorata forza verso le città che, avendo visto un maggior numero di
miracoli, avrebbero dovuto con maggior entusiasmo seguire la verità
ed entrare nel regno di Dio. Corazin era una piccola città a nord di
Cafarnao; Betsaida era poco lontana e Cafarnao era la città scelta
da Gesù per sua dimora: tre luoghi che avrebbero dovuto essere un
centro di fede, di penitenza e di preghiera, e che invece rimasero
quasi indifferenti alla predicazione e alla presenza di Gesù Cristo,
diventando più colpevoli di Tiro, di Sidone e della stessa Sodoma.
Tiro e Sidone, due città di commercio, non s'interessavano di
problemi spirituali e conducevano una vita molle; Sodoma, tristemente
famosa per la sua corruzione, non pensò che a peccare; Corazin e
Betsaida, centri commerciali, emulavano Tiro e Sidone; Cafarnao
emulava la corruzione di Sodoma, eppure s'inorgogliva, sperando di
raggiungere una prosperità e un nome invidiabile. Gesù Cristo
annunciò a questa città un Giudizio severissimo di Dio e, parlando
alle città, parlò ai suoi abitanti. Il suo Cuore era pieno di pene
per l'ingratitudine umana e si rivolgeva non solo alle città
irriconoscenti, ma a tutti i secoli, a tutte le generazioni future
che le avrebbero imitate.
Il
mondo, infatti, è un ammasso di nerissima ingratitudine e dopo la
Redenzione merita il rimprovero che Gesù fece alle città
irriconoscenti. La predicazione del Vangelo avrebbe potuto mutarlo in
un'oasi di prosperità e di pace, ed esso, invece, ha preferito
rimanere nel lezzo del suo paganesimo o ha preteso di asservire a sé
la Chiesa. Ha ricevuto la Verità e corre dietro all'errore; ha
ricevuto la grazia e la rifiuta; ha ricevuto l'autorità suprema e le
si ribella. Il Redentore ha fatto immensi prodigi d'amore in mezzo
all'umanità con i suoi Sacramenti, e deve quasi cercare in elemosina
che gli uomini li ricevano; ha schiacciato la testa di satana e gli
uomini fanno ogni sforzo per richiamarlo in mezzo a loro. È uno
spettacolo di obbrobriosa ingratitudine che oggi specialmente emerge,
e che ha potuto trascendere negli errori dei senza Dio e nella
degradante barbarie del comunismo. Quando si pensa che in tempi non
lontani si sono mutate in latrine le Chiese, come quelle di san
Tichone e di san Wladimiro in Russia, e si sono arrostiti allo spiedo
i sacerdoti o si sono trucidati barbaramente, come si è fatto in
Russia e nella Spagna invasa dalle orde bolsceviche; quando si vedono
le degradazioni del comunismo bestiale, si rimane impietriti di
fronte alla scelleratezza umana che, invece di accettare la Verità e
formare nella Chiesa la società dei redenti, ha formato le falangi
dell'anticristo.
Il
lamento di Gesù Cristo deve risvegliarci e deve spingerci ad essere
cristiani, cattolici, apostolici, romani senza dedizioni all'errore,
al male, a satana, al mondo. È l'epoca nella quale non si può
transigere in nessun modo con lo spirito del male, senza tradire la
causa del Redentore. È un dovere strettissimo, anche se dovessimo
raccogliere le stupide derisioni del mondo, anche se dovessimo urtare
contro il suo orgoglio maledetto e i suoi usi balordi.
Ai
religiosi
Questo
dovere incombe maggiormente sulle anime consacrate a Dio, che, avendo
avuto grazie singolarissime, hanno il dovere di corrispondervi.
Corazin significa segreto, qui c'è il mistero; Betsaida, casa dei
frutti, dell'effusione, della misericordia; Cafarnao casa di
penitenza, città bella, veicolo di giocondità; tre nomi che ci
ricordano le case religiose: quelle di clausura, dove tutto è chiuso
come un mistero; quelle di apostolato dove si producono frutti di
bene e si effondono le divine misericordie, e quelle di vita
solitaria, dove si fa penitenza dei peccati propri e di quelli
altrui, nella pace gioconda della grazia di Dio.
Ora,
a queste tre categorie di anime Gesù rivolge il suo accorato
rimprovero, quando si rendono infedeli alla loro vocazione. Veramente
se nel mondo si effondessero le grazie e le misericordie effuse in
questi luoghi, il mondo sarebbe santo. Ma le grazie sono una
misericordia che il mondo rifiuta a priori, e per questo, di fatto,
non si rende capace di riceverne che piccoli sprazzi. Non si può
dire: "Perché Dio non dà al mondo le grazie che dà ai
religiosi, e perché non lo santifica tutto?". Non si può dire
così, perché Dio non sperpera i suoi doni e non darebbe al mondo
una grazia che andrebbe dispersa. Egli non gliela dà per non
renderlo più colpevole, e per questo, nel Giudizio, il mondo sarà
più scusato dinanzi alla giustizia di Dio. Ai religiosi e alle anime
a Lui consacrate le dà perché quelle case dove chiama i suoi
privilegiati sono case di misericordia, ma questo stesso li rende più
responsabili. Che cosa deve dire Gesù alle anime che sono state
ricolmate di misericordie specialissime e che, arricchite di grazie
eccezionali, non rispondono al suo amore?
Che
cosa deve dire a quelle anime che sono state riscaldate dal suo amore
in modo miracoloso, con mille delicatezze di carità? Persuadiamoci
che alle grazie bisogna corrispondere, e che non si possono far
cadere invano senza meritarci una condanna terribile e senza
remissione.
Il
privilegio dei piccoli di spirito e l'invito del Cuore di Gesù
Perché
le anime non corrispondono alle grazie del Signore? Perché presumono
di se stesse, si gonfiano vanamente, indagano con superba tracotanza
quello che dovrebbero adorare e praticamente rifiutano la luce delle
divine misericordie. Il Vangelo non può essere compreso dai
cosiddetti "grandi" del mondo, perché essi hanno la testa
come intontita dalle loro meschinità e sono avvolti dalla fitta
cortina delle loro idee.
Gesù,
perciò, si compiace dei piccoli di spirito che, in realtà, sono
grandi, e ringrazia il Padre di aver loro rivelato i misteri della
verità e dell'amore celati ai cosiddetti sapienti della terra. La
sapienza e la prudenza umana è come nebbia che si leva all'orizzonte
e impedisce il diffondersi dei raggi del sole: gli uomini la credono
sapienza, ma in realtà è stoltezza dinanzi a Dio. Ne sa più un
umile contadino, pieno dello spirito del Signore, che un dotto
filosofo, il quale si perde nei vortici delle sue fantasie. Questo è
un punto importantissimo e fondamentale per andare a Dio, e Gesù
mostra in se stesso la grandezza di questo principio: Egli si è
umiliato e fatto piccolo per amore, e tutto gli è stato dato dal
Padre; è povero dinanzi al mondo, ma è ricchissimo dinanzi a Dio,
perché il tutto donatogli dal Padre è il suo Verbo che termina la
natura umana.
Il
Verbo è la conoscenza del Padre ed è la Sapienza infinita che lo
conosce; il Verbo e il Padre sono perfettamente uguali, benché
realmente distinti.
Il
Padre conosce se stesso e genera il Verbo nella sua infinita
semplicità, e il Verbo, Conoscenza del Padre, lo glorifica in una
luce infinitamente semplice.
È
dunque la semplicità che trionfa nell'oceano della luce infinita ed
è attraverso la semplicità che questa luce si comunica. Il Padre la
comunica ai piccoli, e il Figlio la comunica a chi vuole; siccome la
sua Volontà è fonte di bene, così è chiaro che la comunica non a
capriccio ma diffondendo il bene con la sua Volontà, salvando e
redimendo. Il bene raggiunge la creatura nel sacrificio e il
sacrificio avvicina la creatura al sommo Bene, e per questo Gesù
invita a sé tutti i sofferenti per ristorarli con il dono della luce
e dell'amore di Dio.
Imparate
da me che sono mansueto e umile di cuore
Per
ricevere la luce di Dio bisogna appartenere al Redentore e sottoporsi
al suo giogo, cioè al suo dominio, che è soave e dolcissimo, e
bisogna imparare da Lui come dal Maestro. Non basta ascoltare i suoi
precetti per intenderli, bisogna prima sottomettervisi e accettarne
la pratica, perché i precetti di Gesù non sono teorie filosofiche
ma sono via, verità e vita. Bisogna imparare da Lui che è mansueto
e umile di cuore, nella mansuetudine che si sottomette al giogo e
nell'umiltà che sa rinunciare ai propri pensieri; bisogna imparare
dal Maestro divino la mansuetudine e l'umiltà del suo Cuore, che
sono i segreti della sua intimità con il Padre, poiché Egli si
sottomette alla sua Volontà che lo immola e, umiliandosi fino alla
croce, ne glorifica la grandezza e la maestà.
Gli
esegeti moderni sostengono che Gesù Cristo, nel dirci: Imparate da
me che sono mansueto e umile di cuore, non abbia voluto proporsi come
maestro di queste due virtù ma abbia voluto dire che Egli è un
maestro che non fa paura, che è mansueto e umile nell'insegnare, e
lo è non a fior di labbra ma profondamente, nel cuore (54).
A
noi, questa spiegazione sembra non solo monca nel contesto, ma
contraria allo spirito stesso della Chiesa. Gesù, infatti, ci esorta
a prendere il suo giogo e ci mostra il suo Cuore per mostrarci che
cos'è questo giogo, tutto amore, tutto pace e tutto bontà. Se il Re
è amore, mansuetudine e umiltà, è logico che anche i sudditi lo
siano, poiché i sudditi devono imparare da Lui. Come è chiaro dal
contesto, perciò, Gesù vuole precisamente che s'impari da Lui la
mansuetudine e l'umiltà del suo Cuore.
La
Vita eterna consiste nel conoscere il Padre e il Figlio, come il
Figlio Incarnato conosce il Padre e lo glorifica; Egli si sottomette
alla sua Volontà e si umilia fino alla croce; accetta con
mansuetudine il giogo come Vittima e si offre alla croce. I suoi
seguaci devono fare lo stesso, e poiché l'amore di Dio include
quello del prossimo, devono essere mansueti e umili anche nelle
relazioni con i propri fratelli.
Il
Cuore di Gesù: il segreto di una pace internazionale
Gesù
Cristo volle precisamente mostrare il suo Cuore e volle additarlo
come rimedio supremo all'umanità che rifiuta il suo giogo
nell'apostasia universale; il versetto del Vangelo è come il primo
annuncio della rivelazione fatta a santa Margherita Alacoque,
rivelazione che la Chiesa ha solennemente riconosciuto. Egli è il
Maestro e l'umanità apostata non vuole riconoscerlo e, rifiutando
Lui, rinnega il Padre, rinnega Dio. L'orgoglio umano scuote il giogo
della sapienza e dell'amore, e si dà con pazza violenza alla
conquista dei Beni terreni; Gesù sfata questa pazzia, affermando che
per raggiungere la pace e la felicità interna bisogna umiliarsi,
farsi piccoli, essere docili e mansueti dinanzi a Dio e agli uomini,
come Egli lo è stato. Non c'è altra via per mantenersi fedeli alla
misericordia che Egli è venuto a portare in terra e per sfuggire
all'ingratitudine che Egli rimprovera a Corazin, a Betsaida e a
Cafarnao.
In
un mondo senza pace e senza amore — fondato ormai sulla violenza
del più forte e, potremmo dire, sul massacro del più debole — non
c'è altra via di salvezza che la mansuetudine e l'umiltà imparata
dal Cuore Sacratissimo di Gesù.
Bisogna
sapersi vincere nelle irruenze del carattere e nella prepotenza
dell'orgoglio e bisogna persuadersi che queste virtù non sono
necessarie solo all'individuo, ma anche alla società. Non si può
instaurare il dominio della forza brutale e dell'orgoglio che tutto
vuole accentrare a sé e tutto vuol dominare, e pretendere che non ci
sia altra via per conservare la preponderanza di una nazione
sull'altra. Solo a questa condizione è possibile conservare nel
mondo la pace.
La
pace dell'anima è frutto dell'armonia con tutti e della placida
moderazione delle proprie aspirazioni; la pace delle nazioni consiste
nell'armonia interna ed esterna di uno Stato e nel mantenere la
propria fisionomia, per così dire, di fronte alle altre nazioni
senza presumere di volersi ingrandire a spese delle altre. È
necessario sottomettersi a Gesù Cristo, poiché questo è il vero
segreto dell'internazionalismo sapiente che diventa cattolico,
apostolico, romano. L'internazionalismo che non è fondato sulla
piena accettazione del giogo soavissimo del Vangelo non è unione di
tutti i popoli ma è massacro e barbarie, come si è visto
dolorosamente nell'internazionalismo comunista che è passato come un
uragano di ferro, di fuoco e di rovine in tutte le nazioni che ha
infestato.
(51)
" La diffidenza dei discepoli di san Giovanni verso Gesù
risulta anche dalla domanda risentita che gli fecero a proposito del
digiuno (9,14).
(52)
" Bottiglia di Leida: il primo esempio di condensatore
elettrico, ideato nel 1746 da Pieter van Musschenbroek (16921761),
professore di fisica all'Università di Leida (Olanda), poi studiato
e perfezionato da John Bevis, G. Watson e Benjamin Franklin [nde].
(53)
" Ci sembra completamente superfluo stabilire un paragone fra
san Giovanni e san Giuseppe. La Chiesa, nelle Litanie dei Santi,
antepone san Giovanni a san Giuseppe, quasi per tremante venerazione
alle parole del Signore, ma è senza dubbio che san Giuseppe rivestì
una dignità incomparabile e che fu parte gloriosa proprio di quel
Regno dei Cieli che si attuò prima nella sua nascosta casetta di
Nazaret. Egli non fu il più piccolo nel Regno dei Cieli, ma dopo
Maria Santissima fu il più grande; fu il più piccolo per umiltà e
nascondimento, e si possono applicare a lui le parole di Gesù: Il
più piccolo del regno dei cieli è maggiore di lui.
(54)
La Sacra Bibbia commentata dal padre Marco Sales OP, Testo latino
della Volgata e versione italiana di Mons. Antonio Martini, volume I,
I quattro Evangeli e gli Atti degli Apostoli, Edizioni L.I.C.E., R.
Berruti e C., Torino 1911 [nde], p. 51. Don Dolindo, come si
riscontra nel testo da qui in poi, fa riferimento a quest'opera
citando semplicemente "Sales", seguito dal nome del Libro
biblico consultato e dal numero di pagina.
Sac.Don
Dolindo Ruotolo - Tratto da “ I quattro Vangeli” - Commento al
Vangelo secondo San Matteo - da pag.283 a pag.298
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