lunedì 28 settembre 2020

Beata Elia di San Clemente (Teodora Fracasso) Monaca carmelitana


La vita consacrata, scriveva papa san Giovanni Paolo II, è «una delle tracce concrete che la Trinità lascia nella storia, perché gli uomini possano avvertire il fascino e la nostalgia della Bellezza divina... Il messaggio della vita contemplativa ripete incessantemente che il primato di Dio è per l'esistenza umana pienezza di significato e di gioia, perché l'uomo è fatto per Dio ed è inquieto finché in Lui non trova pace... La vita delle monache di clausura, impegnate in modo precipuo nella preghiera, nell'ascesi e nel fervido progresso della vita spirituale, non è altro che un tendere alla Gerusalemme celeste, un'anticipazione della Chiesa escatologica, fissa nel possesso e nella contemplazione di Dio » (Esortazione apostolica Vita consacrata, 25 marzo 1996, nn. 20, 27, 59). 

La beata Elia di San Clemente, beatificata nel 2006, è una delle luci sfolgoranti della vita contemplativa carmelitana. «Il suo passaggio ha striato il cielo di Bari come una meteora affascinante, diceva di lei mons. Magrassi, arcivescovo di Bari, e ha lasciato una scia di luce che non si spegne. È stata un "sorriso di Dio" per il nostro tempo, per la sua città e per tutta la Chiesa. » 

Teodora (Dora) Fracasso nasce a Bari il 17 gennaio 4901, terza di nove figli nella sua famiglia. Secondo la sua propria testimonianza, i suoi genitori sono «veramente santi ». Suo padre gestisce una piccola impresa di pittura e decorazione edilizia. Insieme alla moglie, è uno dei principali sagrestani della confraternita "Santa Maria del Pozzo" della vicina chiesa di San Marco. Ogni giorno, si recita il rosario in famiglia. La mamma parla ai suoi figli dell'anima, di Dio, della Madonna, del Cielo, della vita eterna. All'età di due anni, secondo l'uso del tempo e del luogo, Dora riceve la Cresima dalle mani dell'arcivescovo di Bari. Ogni sera, prima di addormentarsi, la bambina depone ai piedi della Madonna un fiorellino, simbolo di un sacrificio offerto durante il giorno in suo onore. Un giorno, chiede a sua madre : «Mamma, le bimbe buone vedono l'anima loro ? E tu hai mai visto la tua ?  Piccina mia, il velo di questo corpo ce la nasconde. Essa è dentro di noi e solo dopo la morte potremo vederla. » 

Un piccolo giglio 

Verso l'età di quattro anni, Dora fa un sogno che la colpisce profondamente: «Ho sognato che davanti alla nostra casetta, verso il viale del cancelletto, si stendeva un vasto campo di gigli profumati. Una giovane signora tanto bella, con gli occhi scintillanti come stelle, lo attraversava, portando nelle bellissime mani una falce d'oro. Con un sorriso paradisiaco sulle labbra, toccava delicatamente i gigli bianchissimi a destra e a sinistra ed essi, a quel tocco, dolcemente si chinavano sui loro steli. 

Verso il termine del campo la bella signora, deposta la falce, si è chinata, ha strappato dalla terra un piccolo giglio, lo ha guardato, lo ha rimirato un bel pezzo e poi, stringendoselo al cuore, è scomparsa. » La mattina dopo, la bambina, tutta eccitata, racconta il suo sogno alla madre. «Dopo avermi ascoltata con emozione, la mamma, sollevandomi tra le braccia e riempiendomi di baci affettuosi, mi disse : "Piccola mia, era la Vergine MARIA che, in un atto di compiacenza, si stringeva al cuore la tua piccola anima. Tu la onori ogni giorno e lei ha voluto ricompensarti mostrandosi a te mentre dormivi." La mattina dopo, continua Dora, «senza più giochi né grida, ma pensierosa, cercai di appartarmi dalla mia sorellina e pensai così alla bella signora. Per raccogliermi, camminai verso un angolo del giardino; il mio sguardo si posò per caso su un cespuglio di rose vermiglie, nel mezzo del quale se ne trovava una sbocciata, bella, molto bella; credetti di vedere in essa un'immagine della Regina del Cielo, mi inginocchiai davanti ad essa e, giungendo le mani, la pregai, commossa, con le lacrime agli occhi: "Mia buona Signora, come sei bella! La mamma mi ha detto che tu sei la Regina degli angeli, la Signora del Cielo, oh, come ti voglio bene; a Te mi offro per non essere mai, mai del mondo, e quando sarò grande sarò monaca! » Da quel giorno, scriverà, « il mio piccolo cuore provava un'ardente sete del suo Dio, e da quel giorno il desiderio di Dio e il continuo pensiero di essere monaca non si partirono più dalla mia mente. » Non molto tempo dopo, Dora fa una straordinaria esperienza spirituale, che dura dodici giorni: «Sentii, dirà, di essere stata creata per il Cielo e che le cose di questa terra non mi interessavano per nulla. » Si sforza di osservare piccoli dettagli, come un filo d'erba a cui nessuno dà peso, che la portano ad adorare, in ginocchio, commossa; sollevando lo sguardo al cielo, sente l'invito a unirsi al Paradiso degli eletti. 

L'arte del ricamo 

Di carattere vivace, Dora è molto semplice, spontanea e pronta a commuoversi. Dà prova di amicizia e attenzione per gli altri. Viene descritta come «una bambina di buona salute, intelligente. Amava le cose belle e quelle che amava le voleva; godeva d'essere amata, non voleva dispiacere a nessuno. » Gioca volentieri con la sorella minore, Domenichina, ma preferisce l'aria aperta del giardino, le passeggiate con il padre lungo il mare sotto il sole forte di Bari e il cielo stellato delle sere estive. Nel 1906, entra come allieva nell'Istituto delle Suore Stimmatine (le "Povere Figlie delle Sacre Stimmate di san Francesco d'Assisi", una congregazione religiosa femminile dedita all'educazione delle giovani ragazze). Prende gusto al cucito e trascorre molto tempo nel laboratorio di ricamo, progredendo in questa arte fino a diventare una collaboratrice delle suore dell'Istituto. Partecipa ad associazioni parrocchiali per bambini e adolescenti nella vicina chiesa tenuta dai padri domenicani. 

All'età di dieci anni (1911), Dora fa la sua prima Comunione, preparata con cura dalla sua prima Confessione. Durante i dieci giorni del ritiro preparatorio, trascorre lunghe ore da sola davanti al tabernacolo : «GESÙ, scriverà, come tutta mi sentii perduta in Voi quale atomo lanciato in un braciere di fuoco ! » La notte che precede la cerimonia, fa un sogno misterioso in cui suor Teresa di GESÙ Bambino, di cui non ha mai sentito parlare, le dice: « Sarai monaca come me, "suor Elia" » e le rivela che la sua vita sarà molto breve, come la sua. Da allora in poi, Dora chiamerà Teresa "la mia carissima Amica del Cielo". Quel giorno, GESÙ le fa capire che lei diventerà una piccola vittima del suo amore misericordioso e che avrà molto da soffrire su questa terra. D'ora in poi, Dora farà la Comunione ogni giorno. 

In attesa di entrare in un convento, Dora si fa ammettere, il 20 aprile 1914, nel Terz'Ordine Domenicano, con il nome di Agnese. Due anni dopo, lavora ancora nella famiglia stimmatina e contribuisce con il suo salario alla vita della sua famiglia, perché durante la Grande Guerra suo padre fatica a provvedere ai bisogni dei suoi. A volte, la ragazza lavora di notte al lume delle candele, per risparmiare l'elettricità. Attirate dalla sua vita spirituale, alcune amiche si raggruppano attorno a lei e arrivano a formare un cuor solo e un'anima sola. Domenichina condivide il suo amore per il Signore; la sua relazione con Dora somiglia a quella che legava Celina alla sorella, santa Teresa di Lisieux. Domenichina entrerà nel Carmelo dopo Dora e riceverà il nome di suor Celina. 

Attenta agli impiegati dell'azienda diretta dal padre e alle loro famiglie, Dora si prende cura in modo particolare dei neonati. Si preoccupa che gli operai vadano a Messa la domenica e che ornano il loro lavoro a Dio; che le madri ricevano la Comunione prima del parto e che facciano battezzare i loro figli entro otto giorni dalla nascita. Quando muore un operaio, si reca al cimitero per pregare sulla sua tomba. Suo padre ha mantenuto nella sua azienda un operaio paralizzato agli arti superiori : all'ora di pranzo, Dora gli porta una scodella di minestra e lo imbocca con bontà. Sa placare i conflitti e si prende cura della salvezza delle anime, desiderando condurle tutte a Dio. 

Più di una predica 

Come santa Teresina, Dora pensa alle missioni «nelle terre dei barbari, nelle lontane Americhe ». Comprende, tuttavia, che non sono necessarie le grandi opere esteriori, ma piuttosto l'amore e la completa immolazione di sé. Durante la Grande Guerra, l'anticlericalismo si manifesta attraverso misure vessatorie contro la Chiesa. Il convento dei Domenicani viene chiuso con il pretesto di spionaggio a favore dell'Austria. Bari è, in effetti, un grande porto sull'Adriatico, di fronte alla Dalmazia allora austriaca. Le Stimmatine vengono bandite e ovunque i bestemmiatori si permettono di offendere Dio. Una sera, uno di loro osa farlo a casa dei Fracasso. Indignata, Dora esclama: « Signore, in casa nostra, bestemmie non se ne dicono ! Se vuol farlo, vada Tuori !  Grazie, signorina ! », risponde il malcapitato. Confesserà ad un amico : « Quel rimprovero mi è valso più di una predica ! » Un'altra sera, un giovane marito viene a prendere la moglie che lavora dai Fracasso. «Mamma, dichiara Dora, quell'uomo è senza la grazia di Dio ! » Poco tempo dopo, questi si ammala. Viene chiamato un sacerdote per portargli i sacramenti, ma le cattive disposizioni di quell'uomo lo costringono ad andarsene. Dietro la porta della stanza, Dora piange e prega. A un certo punto, si rende conto che il malato sta cercando qualcosa: lei si avvicina, tira fuori dalla tasca un crocifisso e glielo porge. Lui abbraccia GESÙ crocifisso, imitando inconsapevolmente il gesto del condannato Pranzini per il quale aveva pregato santa Teresina. Un'altra volta, una donna anziana che vive da sola, priva d'ogni igiene, entra nella casa. Dora la conduce nel giardino e comincia a pettinarla, senza lasciarsi vincere dalla ripugnanza per i pidocchi che trova tra i suoi capelli. Ben presto questa donna viene trovata morta, sola nella sua casa. Dora la lava, la veste e la prepara così per la cerimonia funebre. 

La sua amica Prudenzina osserva un giorno che Dora non indossa più gli orecchini di sua madre: « Che ne hai fatto ? chiede.  Li ho dati a una povera ragazza che doveva sposarsi. Tanto a me non servono più, vado in monastero. » Bella adolescente, Dora attira l'attenzione dei giovanotti. Con delicatezza, uno di loro le dichiara il suo amore; lei risponde: « Domani ci vedremo alla chiesa di San Gaetano. » Dopo essersi comunicato, il giovane aspetta Dora; lei gli dice : «Non pensare più a me, io sono tutta del Signore ! Potrò aiutarti con la preghiera... » Lui dichiarerà a Domenichina, quando Dora entrerà nel Carmelo : « Di' a tua sorella che il suo aiuto e le sue preghiere mi hanno fatto più bene che la sua mancata compagnia. » Dora sogna in effetti il Carmelo. Viene a sapere che ne è appena stato fondato uno a Bari, dedicato a san Giuseppe. Verso la fine del 1917, un padre gesuita diventa il suo confessore. Un anno dopo, questi la orienta, insieme a un'amica, verso il Carmelo. Le due ragazze vi fanno una prima visita nel dicembre del 1918. L'anno seguente, Dora si dedica a una lunga e intensa preparazione spirituale in vista del suo ingresso nel monastero. L'8 aprile 1920, vi entra finalmente con una volontà ben precisa: «Voglio diventare santa, una grande santa... E voglio farlo in fretta! » Il distacco dai suoi le costa « molte lotte sostenute in segreto ». Il suo addio ai suoi è patetico : «Addio, casa mia, nido di pace e di amore... Addio per sempre, ti lascio per il mio Dio... Volo al Carmelo. Addio, mamma diletta, esempio magnifico. Addio, tetto natìo, dolcissima culla di affetto... Addio per sempre a tutto e a tutti. » 

Entusiasmo per Dio 

L'entusiasmo di Dora non è follia, ma imitazione di san Paolo, che diceva: Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo... Per Lui ho lasciato perdere tutte queste cose... Proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo GESÙ (Fil 3,78, 1314). Si tratta di una risposta radicale all'amore premuroso di Dio. In un testo pubblicato con il consenso di papa Francesco, il papa emerito Benedetto XVI scrive: « Dio è divenuto uomo per noi. La creatura uomo gli sta talmente a cuore che egli si è unito a essa entrando concretamente nella storia. Parla con noi, vive con noi, soffre con noi e per noi ha preso su di sé la morte» (11 aprile 2019). I religiosi contemplativi rispondono a questo amore lasciando tutto e privilegiando l'intima relazione con Dio; in questo rendono alla società stessa un servizio molto prezioso. Perché « Dio è la realtà fondante... Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di "realtà" e, in conseguenza, può finire solo in strade sbagliate e con ricette distruttive» (Benedetto XVI, 13 maggio 2007). In effetti, «un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso... Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte... La verità non conta, anzi in realtà non esiste... Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, solo se sono volute e pensate  solo se c'è un Dio creatore che è buono e vuole il bene  anche la vita dell'uomo può avere un senso... Il primo compito che deve scaturire dagli sconvolgimenti morali del nostro tempo consiste nell'iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivolti a lui e in obbedienza a Lui» (papa emerito Benedetto XVI, 11 aprile 2019). Attraverso l'imitazione del Cristo casto, povero e obbediente, totalmente consacrato alla gloria di suo Padre e all'intercessione in favore di tutti gli uomini, i contemplativi affermano il primato di Dio e dei beni futuri; in un certo modo, rendono visibili agli uomini le realtà invisibili per le quali essi sono creati. Con la loro preghiera e il sacrificio di se stessi, fanno discendere sul mondo le grazie necessarie a ogni persona per arrivare alla salvezza eterna. 

Fitte tenebre 

Dora sa che il Carmelo è una montagna da scalare col sudore della fronte; annota: « Sono venuta al Carmelo per seppellire me stessa, per vivere nascosta in Dio, dimentica di tutto, e anche di me stessa. » Durante i primi giorni, tutto canta nel suo cuore; ma poi, inaspettatamente, la avvolge l'oscurità: «Tutto era fitte tenebre per il mio spirito », scriverà. Il Carmelo le appare come un deserto. Non può confidarsi con la Priora che non la capisce e che arriva persino a dirle : «La tua vocazione è stata un errore. » Un velo si frappone anche tra lei e le consorelle. « Quando sono entrata nel Carmelo, scriverà in una poesia, ho scorto un velo molto spesso, sperimentavo l'esilio; privata di affetto, non ho nemmeno trovato un recesso per il mio cuore. Trascorrevo lunghe ore senza essere compresa, senza altra difesa se non quella di tacere. Il mio cuore ardente lanciava scintille, ma ho dovuto estinguere questo amore. » Tuttavia, suor Elia di San Clemente, è il suo nuovo nome, fa ancora salire verso il Signore il suo canto d'amore, « in un dolce abbandono ». Allora il sole ricomincia a brillare: « Come per purificarmi, l'amore mi invade soavemente; questo amore misericordioso mi penetra, mi purifica, mi rinnova e sento che mi consuma. Vorrei possedere mille cuori per amare lo Sposo e mille lingue per cantare la sua bellezza! » 

Suor Elia emette i suoi voti temporanei il 4 dicembre 1921. Nel 1922, scrive : «GESÙ mi è sempre vicino, mi conosce bene e sa che io lo amo anche senza che glielo dica; mi segue ovunque io vada senza stancarsi; mi pensa sempre, mi ama... Ho sete di Dio, di quell'Essere infinito che solo può saziare l'anima immortale. Sento viva in me la brevità della vita e le mie speranze sono riposte in Dio, che è la stessa verità immutabile ed eterna.» Scrive a sua madre: «Se tutto passa, Egli solo resta all'anima che gli è stata fedele. Lasciamo che gli altri si affatichino nell'accumulare beni fugaci, noi attacchiamoci all'eterno che non finisce mai ! » 

Nella primavera del 1923, la Priora nomina suor Elia insegnante di ricamo a macchina; l'educandato per ragazze adiacente al Carmelo possiede infatti un telaio. Con grande gioia, sorella Elia condivide con le sue giovani allieve il suo amore radioso per Cristo e il loro entusiasmo risponde al suo. Ma emergono incomprensioni, dovute alle diffidenze, alle gelosie, alle invidie. La direttrice dell'educandato, una monaca dal carattere autoritario e severo, non vede di buon occhio l'atteggiamento di suor Elia, piena di bontà e di gentilezza nei confronti delle sue allieve. Dopo due anni, la rimanda al convento. Suor Elia vi trascorre allora una gran parte delle giornate nella sua cella a fare i lavori di cucito che le vengono affidati. Durante questa prova, riceve un prezioso conforto da parte di padre Elia di Sant'Ambrogio, procuratore generale dell'Ordine dei Carmelitani, che l'ha conosciuta in occasione di una visita al Carmelo di San Giuseppe. Lei scriverà al suo padre spirituale: « La prova che il Signore si è compiaciuto inviarmi durante la dimora all'Educandato è uno di quei dolori difficili a ridirsi, ma Glielo confesso che il buon Dio, vedendo la mia piccolezza, sempre mi ha sostenuta nelle Sue braccia e, nelle ore le più oscure, quando l'esilio potente si faceva sentire all'anima mia, dal buon Dio ho attinto la forza di sempre tacere nascondendo tutto sotto il velo di un sorriso... » 

Lontano dagli applausi 

L'8 dicembre 1924, suor Elia pronuncia il voto "del più perfetto" che la obbliga a scegliere in ogni momento quello che ritiene essere più gradito a Dio. Scrive poi l'atto di offerta all'Amore misericordioso composto da Teresa di GESÙ Bambino. Esiste un'affinità molto stretta tra suor Elia e la santa di Lisieux: il messaggio della piccola via di semplicità e di amore, consegnato nella Storia di un'anima, aveva del resto alimentato in lei il fuoco della vocazione Entrambe vogliono amare, offrirsi come vittime all'amore, vale a dire lasciare che l'amore divino produca in loro tutti i suoi effetti, e avanzare in una totale fiducia in Dio. «Fate, o mio Dio, scrive suor Elia, che il lavoro dell'anima mia si compia nell'ombra, lungi dagli sguardi; si compia nel silenzio, lungi dagli applausi; si compia anche nell'oblio della mia povera persona, purché l'accettiate voi, o mio Dio... Compresi che per condurre anime a Dio non era necessario compiere opere grandi; anzi, era proprio l'immolazione completa di tutta me stessa che mi chiedeva il buon GESÙ: compiuta nel silenzio d'ogni cosa... 

Nella solitudine del mio cuore potevo salvare anch'io un numero infinito d'anime. » 

L’ 11 febbraio 1925, suor Elia emette i suoi voti perpetui. Verso la fine dell'anno seguente, inizia a soffrire di un mal di testa persistente e acuto che lei chiama il suo caro "fratellino" : «Il mio fratellino, scrive al suo direttore spirituale, non mi permette di fare lunghi discorsi, tanto meno ascoltarli. Come vede, tutto coopera ad isolarmi sempre di più da ogni cosa e a condurmi a vivere unicamente in Dio. Niente turba la pace dell'anima mia... No, Padre venerato, non mi pento di essermi consacrata vittima al Signore ». Questo mal di testa è in realtà l'inizio di un'encefalite. Nominata sacrestana nel 1927, suor Elia impiega gli ultimi mesi della sua vita a comporre poesie per lo Sposo presente nell'Eucarestia. Piacere al suo Amato la rende felice, come scrive ai suoi, che si preoccupano a suo riguardo. Breve, quasi inosservata, la sua ultima malattia viene trattata come una semplice influenza. La comunità comprende la gravità del suo stato solo nel momento in cui suor Elia entra in corna. Il sole splende quando la dolce tortorella, come si è chiamata spesso lei stessa, si stacca da questo mondo, a mezzogiorno, nel giorno di Natale, il 25 dicembre 1927. 

Come Teresa di Lisieux, lei aveva affermato : « Quando la piccola Elia sarà immersa nell'oceano dell'Eternità, allora comincerà ad esplicare la sua missione... Sì, sento che questo avrà inizio oltre la tomba: la mia missione sarà quella di vegliare sui noviziati e dire a questi giovani cuori di donarsi senza riserva al servizio del Signore... di consumare le loro giovani energie, spossessandosi di se stesse per conquistare anime a GESÙ. Anime io cercherò per lanciarle nel mare dell'Amore misericordioso anime di peccatori, ma soprattutto anime di sacerdoti e di religiosi. » 

Nel nostro mondo secolarizzato, materialista, ateo, chiediamo alla beata suor Elia di aiutarci a testimoniare l'essenziale, Dio, fine ultimo di tutto ciò che esiste. 

Abate Dom Jean Bernard Marie 

Tratto da: "Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)"




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