"Chi ha sete venga a me e beva" (Giovanni 7, 37)
Senza dubbio quest'anno 2020 rimarrà nella storia come un punto di rottura nel cammino di tutta l'umanità. Di sicuro una gran quantità di persone si sono trovate (forse per la prima vota) con sé stesse e hanno scoperto il vuoto e la sete, che molte volte calmavano con cose superficiali, però senza spegnere la sete. Molte volte cerchiamo la cause o le colpe e, frequentemente, si dà la colpa ad altri di questa insoddisfazione: alla moglie o al marito, al lavoro, all'economia, ai politici, al governo ..., però in realtà la vera causa di questo malcontento si trova dentro di uno stesso. Infatti, se continuiamo ad incolpare gli altri, mai risolveremo questa angustia interiore e la sola cosa che otterremo sarà quella di proiettare questa amarezza sugli altri. A volte, con la voglia di riempire la vita di senso, proviamo diverse soluzioni: si cambia lavoro, l'aspetto, gli amici, le abitudini, la moglie, la religione, il governo, il paese ..., però sempre rimane questo male misterioso, che ci accompagna tenacemente attraverso tutti i cambiamenti, e la sete rimane. Di fronte a questa situazione, Gesù grida con voce potente:"Chi ha sete venga a me e beva ... e dal suo interno sgorgherà una fonte di acqua viva". Coloro che bevono di quest'acqua, non solo calmano la propria sete, ma questa benedizione si moltiplica dentro di loro, di modo che diventano una fonte di nuove acque per altri. Don Ottorino ci invita ad avvicinarci a Gesù e saziare la nostra sete, come leggiamo nella meditazione proposta più sotto. "Quando tu vai in chiesa fai 'la cura del sole', cioè in altre parole ti metti lì, adori il Signore, lo ringrazi, lo vedi vivo nel tabernacolo, lo senti dentro di te attraverso lo Spirito Santo; ti metti in adorazione, vorrei dire quasi in contemplazione". Il Signore spiega che questa pienezza interiore sarebbe possibile per mezzo dello Spirito Santo, che verrebbe ad abitare in noi: "Disse ciò dello Spirito che dovevano ricevere coloro che credessero In lui". Come vediamo, la vita di chi possiede la pienezza dello Spirito non è inattiva né sterile, ma vigorosa, dinamica, in continua crescita ed ha come fine spandersi come benedizione sugli altri. Non solo supplisce ai nostri bisogni, ma anche ci aiuta a soddisfare i bisogni altrui. Comincia ad inondare il nostro cuore per poi diffondersi per il mondo in un servizio fecondo. Come vivere, allora, la Parola dell'Impegno di Vita di questo mese? Durante questo tempo cercherò di essere più cosciente circa il mio incontro personale con Cristo, scoprendo quale sete vorrei saziare in Lui e, nello stesso tempo, per chi e come sarò "acqua".
Come vivere, allora, la Parola dell'Impegno di Vita di questo mese?
Durante questo tempo cercherò di essere più cosciente circa il mio incontro personale con Cristo, scoprendo quale sete vorrei saziare in Lui e, nello stesso tempo, per chi e come sarò "acqua".
Essere innamorato di Dio
DON OTTORINO
“Bisogna che ognuno si incontri con Nostro Signore Gesù! Bisogna che ci sia un incontro personale tra te e Gesù e tra Gesù e te. Tra te e Gesù deve intercorrere un colloquio semplice, come tra il bambino e la mamma; un colloquio che porta all'accettazione della croce, al desiderio di fare solo la volontà di Dio. Se potessi dirlo in una sola parola: tu dovresti essere innamorato di Dio. Da qui nasce il vero senso dell'amicizia, per cui o sono uguali o si fanno uguali. Io sono amico di Gesù, tu sei amico di Gesù, e insieme vogliamo fare quello che vuole Gesù, accontentare Gesù. Quando abbiamo fatto questo primo passo, cioè abbiamo messo Dio al primo posto, allora possiamo fare il secondo passo, contemporaneamente. Il secondo passo è questo: noi dobbiamo divenire "unum," fra noi, e questo è abbastanza facile perché, a un dato momento, scopriamo che siamo amici dello stesso amico, siamo tre angoli uguali; una volta dicevano che due angoli uguali a un terzo sono uguali tra loro. Se io mi sforzo di essere simile a Gesù nell'umiltà, nella bontà, nella misericordia, e tu fai lo stesso, a un dato momento diverremo uguali fra noi”. (Med. 12 aprile 1967)
EDITORIALE di Don Venanzio Gasparoni, Superiore Generale
“… chi si mette nelle mani di Dio ha sempre da guadagnare”.
C'è un episodio nel Vangelo che può illuminare tutto questo. Gesù, camminando sulle acque agitate, si avvicina alla barca degli Apostoli impauriti che lo scambiano per un fantasma. "Coraggio, sono io." Pietro lo sfida: "Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque", e comincia a camminare, ma per la violenza del vento s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". E Gesù: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". Da dove viene la paura di Pietro? Dal vento e dalle onde del mare. Mentre fissava lo sguardo su Gesù gli parve possibile tutto, anche camminare sulle acque impetuose, quando invece fissava le onde sprofondava. In questi giorni vaga ancora minacciosa sopra di noi la nuvola dell'insicurezza per non dire della paura, provocata dalla recente pandemia. Noi cristiani non abbiamo proprio nulla da dire? Non sarà che ci manca il coraggio di fissare lo sguardo sul Signore, di porre in Lui le nostre attese, e così ci ritroviamo a combattere da soli, impotenti contro le onde agitate? Non riusciamo infatti a sostituire la paura con la Speranza, perché siamo "uomini di poca Fede". La Speranza d'altra parte è figlia della Fede, la quale non si alimenta con i ragionamenti e le prove, ma ha come oggetto il Signore e la sua parola. Come credenti sappiamo che le nostre sicurezze non si esauriscono in quello che si vede, si tocca o si dimostra, ma vanno oltre. Gli antichi cristiani raffiguravano la Speranza ad un'ancora, agganciata al cielo, nella riva dell'aldilà. Un cristiano che non è capace di essere in tensione verso l'altra riva, gli manca qualcosa, dice papa Francesco. Per lui, la vita cristiana sarà una dottrina filosofica; lui dirà che è fede ma senza speranza non lo è. E appena i suoi piedi non trovano dove appoggiarsi, subentra la paura e affonda. La speranza — questo sì, è certo — ci dà la sicurezza: la speranza non delude. Mai! Se tu speri, non sarai deluso. Papa Francesco aggiunge: Viene spontanea la domanda: dove siamo ancorati noi? Siamo ancorati nella riva di quell'oceano tanto lontano o siamo ancorati in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari? Tutto comodo, tutto sicuro? Quella non è speranza... Concludo con una provocazione: Se il Covid 19 avesse prodotto come effetto laterale uno sguardo di fiducia in Dio portandoci a contare maggiormente su di Lui che sulle nostre risorse, benedetto sia il Covid... (Ora però cancellate quanto ho detto).
Tratto dalla rivista “Umiltà nella carità” – Trimestrale degli amici della pia società San Gaetano - Vicenza
https://www.piasocietasangaetano.it/
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