La reazione al dolore determina la nostra salvezza o dannazione eterna.
Chi è che soffre di più: chi è infermo o quelli che gli stanno intorno? La questione è importante per orientarci in questi dolori della vita, perché è di somma importanza per noi saperci orientare. Non mi stanco di ripetervelo: la vita è dolore, quasi sempre nella terra di esilio c'è il dolore; ora la nostra salvezza o la nostra perdizione dipendono dal modo in cui ci orientiamo nel dolore. Giobbe e la moglie di lui soffrirono quasi le stesse pene, poiché ambedue furono privati delle ricchezze e dei figli. Lo stesso malanno atroce col quale satana colpì Giobbe gravò anche sulla moglie, fino al punto da farle dire parole di irruente stoltezza. Giobbe soffrì da santo e la moglie soffrì da stolta; Giobbe era il paziente e la moglie costituiva l'ambiente della sua sofferenza indicibile, un ambiente oltremodo difficile. Anche sul Calvario c'erano due sofferenti antitetici: il buono e il cattivo ladrone, eppure la terribile sofferenza era la stessa per tutti e due, e tutti e due stavano accanto a Gesù Redentore e presso Maria Corredentrice. Nei dolori possiamo o smarrirci o accrescere i nostri meriti, a seconda del modo con cui li sopportiamo.
L'ambiente di un infermo e la tribolazione di coloro che lo circondano e lo assistono.
La considerazione dell'ambiente dei nostri dolori è pertanto necessaria per poter prevenire nei malanni tanti smarrimenti di spirito, e anche di ragionevolezza, che fanno male all'anima proprio in quei momenti nei quali Dio la purifica, la prova e il più delle volte la scuote. L'infermità è uno dei momenti più importanti della nostra vita: il letto del dolore è come lo studio del cesello, il banchetto dove l'Artista divino purifica l'oro e faccetta il brillante. L'ambiente dell'infermo è quasi sempre un ambiente di desolazione agitata, perché ci sono delle prevenzioni derivanti da urti nervosi che l'agitano. Ci sono delle cose che banalmente urtano chi assiste l'infermo; per esempio, la tosse, lo storditezza, la febbre e gli stessi lamenti dell'infermo. La tosse: è come un martellamento sui nervi. "Madonna! non la finisci mai con questa benedetta tosse... Io credo che potresti frenarti un poco... Bevi un po' d'acqua, prendi la bevanda, prendi una caramella". "Questo che buon'ora è?' Io mi sento morire!", ecc. E il povero infermo si sforza di non tossire per non disturbare, e il suo tormento si accresce, la sua oppressione aumenta, il suo stesso male non ha sfogo, perché non può emettere il muco catarroso. Ogni eccesso di tosse è per lui una tribolazione, non solo per la sofferenza ma per quelli che lo circondano. La storditezza: l'infermo non sempre è lucido di mente, non sempre sente bene, e quelli che lo circondano si adirano e inveiscono: "Ma che è? Non capisci nulla, ti sei rammollito, ti sei... intontito'°, è una cosa insopportabile, ecc.". E il povero infermo si angustia e molte volte piange. La febbre: l'infermo per un fenomeno di pessimismo vorrebbe che fosse alta, come vi dissi ieri; quelli che lo circondano vorrebbero svalutarla per avere l'impressione o l'illusione che il malanno vada via: "Fammi vedere il termometro: 39,4. Non è possibile! Mettilo meglio... forse è il calore del letto, è il panno caldo che hai voluto, ecc."... E la febbre è un tormento per l'infermo; l'ora del termometro è per lui come l'ora del giudizio. I lamenti: "Ah, ah, ah... Uh che pena, oh che dolore... Madonna mia, ah... ah... ah". Così fa l'infermo e il lamento è sfogo e temperamento del dolore. Ma chi sta intorno si urta: "Madonna, fai un lamento continuo, non la finisci mai, è un'oppressione, non la finisci più, ecc.". Insomma il povero infermo è circondato da tante mogli di Giobbe quanti sono i suoi familiari, e i familiari soffrono urtandosi e adirandosi, e desidererebbero essere gli infermi per non sentire i lamenti degli infermi. Oh se ci fosse un poco di carità, e se l'anima ai piedi di Maria Santissima Addolorata fosse abituata alla compassione, quanto meno si soffrirebbe e si farebbe soffrire! Nessuno può capire quale angustia è per l'infermo il nervosismo che lo circonda, e qual pena è per quelli che lo assistono la sua soverchia petulanza!
Quando si confida nell'uomo più che in Dio.
Viene il medico. Lo si aspetta ansiosamente, ogni suo ritardo sembra un secolo, eppure è un incubo... soprattutto per il portafoglio. Viene da... superuomo, poveretto, ma può capire ben poco. Una volta i medici ricorrevano a mezzi semplici, capivano meglio l'infermo, dosavano essi le medicine a seconda degli organismi. Oggi ricorrono a cento metodi di esplorazione costosi e dolorosi che tormentano l'infermo e chi lo circonda: radiografie, analisi, punture lombari ecc. Quale tribolazione una radiografia, una puntura, un'estrazione o una trasfusione di sangue! Quante spese, quante preoccupazioni! Abbiamo poca fede, poca fede e ricorriamo a questi mezzi che sono vere calamità. Eppure l'acqua santa, la palma, le sante ceneri, le benedizioni della Chiesa, che sono per i nostri, mali anche corporali, da quante angustie ci libererebbero! Ma... abbiamo fiducia negli uomini e non in Dio, nel medico che conosce tanto poco il nostro corpo, anziché in Dio che lo ha creato!
Un malanno è sempre un richiamo di Dio.
Il medico poi ordina come se trattasse sempre con tanti Cresi: arrosto, pollo, cervellina, medicine costose ecc. L'infermo vorrebbe tutto e non si preoccupa delle spese; chi lo circonda si indebita e la tribolazione aumenta. Che cosa fare? Prima di tutto pensate che un malanno è sempre un castigo, una espiazione e un richiamo di Dio. Quindi cominciate col togliere il peccato dalla casa e farvi tutti la Santa Comunione. La bestemmia, l'impurità, la profanazione della festa attirano grandi flagelli nella casa. La Comunione, la preghiera, la fiducia in Dio danno un conforto inestimabile e hanno una grande efficacia anche terapeutica, come fu riconosciuto in un congresso di medici, per loro vergogna, miscredenti.
Placido e sereno calvario di chi ha la Madonna nel cuore.
Non complicate le situazioni, usate rimedi semplici e confidate in Dio. Ricorrete a Maria, compassionate i suoi dolori e siate certi che Essa compassiona i vostri. Uscite fuori dalla caligine della indifferenza o della miscredenza che tanto male ci hanno fatto e ci fanno. Maria compassionò Gesù ma non potette sollevarlo; noi siamo il corpo mistico di Gesù ed Essa in noi consola e solleva Lui che vive in noi ancora appassionato e crocifisso. Gesù compassionò Maria, e fu sommo suo dolore esserle di spasimo; non potette alleggerirle questo spasimo atroce. Noi, Corpo mistico di Lui, possiamo ancora consolare Maria e, compassionandola, ci sentiamo più uniti e come immedesimati con Gesù. Dunque, Maria vuole essere campassionata da noi per quest'altra ragione: la compassione di Lei nei nostri dolori ci unisce di più a Gesù Cristo, Re di amore e di dolore, e accresce in noi quella rassomiglianza che dobbiamo avere con Lui per salvarci, diventando oggetto della compiacenza di Dio. La nostra devozione fa della nostra casa un placido e sereno Calvario, dove regna il Crocifisso nell'immolazione dell'infermo e domina Maria nella carità e nella compassione che si ha per l'infermo, vedendo in lui Gesù crocifisso.
Nella sofferenza aumentano le possibilità di salvezza.
Compassionando Maria ci è più facile vedere nell'infermo il Crocifisso, e in più raccogliamo dal suo Cuore materno e addolorato aiuto, conforto e consolazione. Ogni dolore di Maria è balsamo per i nostri dolori; ogni nostro dolore, sofferto nella pace e nell'atmosfera del Calvario, è consolazione per Maria, perché accresce la nostra possibilità di salvarci. Nella luce dei dolori di Gesù e di Maria la vita è un ricamo di amore, è una testimonianza di amore a Dio come quella del santo Giobbe, è un combattimento con satana, è una vittoria che ci procura nel Cielo la conquista di beni infinitamente maggiori delle nostre pene, come Giobbe che ebbe sulla terra sette volte tanto i beni che aveva perduti. Fioretto: un atto di carità ad un infermo.
Tratto da "Sermoni del 1948" di Don Dolindo Ruotolo - Casa Mariana Editrice - Apostolato Stampa
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