venerdì 7 maggio 2021

L'ACCIDIA - Tratto da” 7 i vizi capitali” di Dag Tessore



Acedia (in italiano «accidia») è una parola greca che significa «torpore, pigrizia, abbattimento, inquietudine». Essa ha molti tratti in comune con la tristitia, e per questo i Padri latini ne fecero un unico vizio, chiamandolo indifferentemente acedia o tristitia. 

A prima vista può sembrare strano che l'accidia sia considerata un vizio capitale, ma guardiamola più da vicino. Sediamoci nella nostra stanza, chiudiamo la porta, rivolgiamoci verso un muro bianco, spegniamo radio e televisione, e poi rimaniamo seduti per un'ora, due, tre... Ci accorgeremo dell'inquietudine enorme che ci portiamo dentro: già dopo pochi minuti ci sentiamo agitati, irrequieti, alla ricerca di qualcosa da prendere in mano, di qualcosa da guardare, di qualche distrazione. Non siamo capaci di rimanere, fermi e silenziosi, con noi stessi. L'assuefazione ai continui stimoli delle passioni fa sì che la nostra mente non sia capace di farne a meno: dalla mattina alla sera e perfino nel sonno essa macina incessantemente pensieri, alimentati da ciò che vediamo o che udiamo, dalle reazioni di desiderio o di avversione che le cose esterne, o il pensiero di esse, provocano in noi; le energie latenti dell'ira, dell'invidia, della lussuria e di tutte le altre passioni non fanno che produrre pensieri e immagini nella mente. In tale condizione è impossibile arrestare questa ridda affollata e instancabile di flussi mentali, anche perché bisognerebbe previamente prosciugare i fiumi che l'alimentano, cioè le passioni. Si comprende allora che, se priviamo la nostra mente e il nostro corpo degli stimoli e dei piaceri esteriori cui ormai sono assuefatti, cadiamo in una vera e propria crisi di astinenza. Questa crisi si chiama accidia. 

In quelle persone — e sono la maggioranza —che vivono completamente immerse, ogni minuto della loro vita, in condizioni di forte stimolazione dall'esterno e di continua attività che li tiene impegnati, e appena hanno un momento di tregua, accendono la radio o la televisione o leggono qualcosa o sfogliano una rivista, l'accidia non ha modo di manifestarsi; ma basta che questa persona sia costretta a privarsi per pochi minuti della sua "droga", ad esempio dovendo rimanere ferma e in silenzio a fare la fila da qualche parte, e subito un'irrequietezza insopportabile la investe, anche se generalmente pure in questi casi si trova il modo di distrarsi guardando qualcosa o giocherellando con le dita o immergendosi nei propri pensieri sempre rigogliosi e trascinanti. 

Chi invece, come il monaco, ha una vita priva di molti di quegli stimoli che danno carburante mentale da bruciare all'uomo mondano, subisce gli attacchi del demone dell'accidia. Il primo sintomo è la noia: non prova più alcun piacere nel pregare e nell'occuparsi delle cose spirituali; «l'oziosità suscita in lui una continua inquietudine»(38) e lo spinge a cercare distrazioni, chiacchiere, o a rimanersene ozioso e annoiato a crogiolarsi in mille pensieri e ricordi, in sogni e progetti. Si aggira sonnolento e svogliato, desideroso solo di buttarsi sul letto, oppure di trovare qualche stimolo od occupazione che lo ecciti. L'accidia lo induce poi ad aver sempre voglia di mettere in bocca qualcosa, di andare in giro a vedere che cosa capita e a curiosare sulle novità (se è arrivata qualche lettera, o se c'è qualche notizia dalla città...); se poi sta seduto, deve sempre muovere le gambe, o tenere qualcosa in mano, o cambiare posizione, o fare rumori con la gola, sbadigliare, sospirare.(39) 

L'accidia diventa anche disgusto e noia per ogni attività sana e spirituale. La stessa vita quotidiana di fede si tinge allora di tristezza, svogliatezza, vittimismo e lagnanza. Scrive Evagrio: «Colui che è dominato dall'accidia, quando si mette a leggere [libri spirituali], sbadiglia continuamente e cade facilmente nel sonno. Si stropiccia gli occhi, distende le mani, alza gli occhi dal libro, guarda verso il muro, poi di nuovo legge un po', poi sí mette a sfogliare il libro, guarda dove finisce il testo, conta le pagine e misura i fogli rimasti, critica i caratteri della scrittura e la rilegatura, poi chiude il libro, ci appoggia sopra la testa e sonnecchia, ma non per molto, perché la fame lo ridesta con le sue preoccupazioni...» (Gli otto spiriti della malvagità, XIV). 

La noia dell'accidia diventa facilmente scoraggiamento, abbattimento, depressione (e ciò a sua volta crea amarezza, irritabilità, durezza). Questo stato per altro — nota san Gregorio Magno — «porta anche alla cupidigia, poiché quando l'animo è torbido e non ha più dentro di sé la gioia, cerca fuori ciò che lo consoli; e tanto più anela a beni esteriori, quanto più è privo di una letizia che lo appaghi interiormente» (Commento morale a Giobbe, XXXI, 45, 89). L'accidia è quel demone che ci rende la mente insensibile e ottusa, come atrofizzata e inebetita (basterebbe essere più in contatto con se stessi per rendersi conto quanto questi stati d'animo siano in realtà comuni a noi tutti), ci toglie energia, fisica e mentale, per impedirci di lottare contro gli altri vizi (e contro la stessa accidia) e inducendoci così a cedere ai peccati per debolezza, stanchezza, indolenza. L'accidia è come l'iniezione di una dose massiccia di tranquillanti, apre quindi la porta a qualunque vizio e qualunque peccato: "So che non è bello, so che è un peccato, ma non riesco a resistere, mi sento stanco, non ho energia, non ho nemmeno la forza di pensare", e così cedo al peccato. Ugualmente, quando la nostra coscienza ci chiama a fare un po' di ordine nella nostra vita e allora ci sediamo a un tavolino e ci accingiamo a fare un esame di coscienza e a segnare su un foglio le nostre malattie interiori, ecco che subito l'accidia ci sparge sul capo un senso di sonnolenza e torpore: i nostri pensieri cominciano a divagare, ad accavallarsi, a inciampare, si ingolfano e cominciano a girare a vuoto, e dopo qualche minuto, vedendo che non riusciamo a concentrarci, allunghiamo la mano, prendiamo la rivista che ci troviamo accanto, ci mettiamo a sfogliarla e ritorniamo così alla nostra solita condizione di passività e dipendenza dagli stimoli esterni. E intanto l'esame di coscienza è andato in fumo. 

L'accidia è anche la causa dell'ignoranza, che a sua volta è la causa di moltissimi dei nostri errori, peccati e mali. È per ignoranza infatti che molti cristiani, non conoscendo correttamente l'insegnamento morale della Chiesa, peccano gravemente, facendo male a se stessi e agli altri; è per ignoranza che continuano a coltivare vizi e abitudini mentali  negative credendo di trarne felicità. Non si rendono conto, agiscono per abitudine inconsapevole, non sanno che si stanno facendo del male. Ebbene, una delle principali cause di ciò è l'accidia, questa letale pigrizia per la quale non ci decidiamo mai ad apprendere e studiare con impegno l'insegnamento della Chiesa e dei Padri, nonché a riflettere su ciò che veramente cerchiamo e sulla felicità che perseguiamo, e a fare il punto sulle nostre abitudini, per vagliarle e correggerle. 

Combattere l'accidia è un lavoro difficile, poiché essa consiste proprio nel "non aver voglia di combattere". Qualunque arma si offrisse all'accidioso, egli, appunto in quanto tale, non avrebbe la forza e la voglia di impugnarla. I Padri pertanto consigliano di affidarsi a una "guida" esterna: come una vettura che non riesce più a procedere in quanto priva di carburante, così l'accidioso deve agganciarsi a una disciplina. 

Possiamo riassumere in sei punti i principali rimedi contro l'accidia: 

1) Il lavoro manuale: esso non solo libera il corpo dalla pigrizia e dalla sonnolenza, ma libera soprattutto la mente dal poltrire e divagare ozioso.

2) Evitare il molto cibo ed evitare comunque gli alimenti che appesantiscono e impigriscono il corpo e la mente.

3) Leggere libri spirituali che spronino alla lotta contro i vizi e incendino l'animo ad amare Gesù Cristo. 

4) Visitare spesso gli ammalati e i moribondi: ciò infatti — spiega Evagrio — genera sensazioni ed emozioni molto forti che spesso riescono a smuovere l'accidia e l'insensibilità d'animo che dominano la nostra vita (Sul discernimento, X [secondo la Filocalia]).

5) Imporsi atti concreti per spezzare il torpore dell'inerzia e della pigrizia, facendo "violenza a se stessi", come ripetono spesso i Padri: ad esempio fissare orari precisi in cui alzarsi la mattina (sul presto); alzarsi la notte, anche per pochi minuti, per andare a pregare; interrompere bruscamente un'attività che si sta facendo (per esempio se si sta leggendo), alzarsi e pregare qualche istante. 6) Attenersi a una disciplina di obbedienza: obbedire cioè a una regola di vita (che per i monaci è la regola del monastero) oppure a una persona (il padre spirituale, in convento il priore, in una famiglia può essere il padre o la madre; a scuola l'insegnante...): questo è il metodo più efficace per vincere non solo l'accidia, ma quasi tutti gli altri vizi.

L'obbedienza ci libera infatti dalla tirannia dei nostri desideri e capricci, dalla nostra pigrizia, e ostacola fortemente la possibilità di agire dei vizi. Come spiega bene Giovanni Cassiano: «Non riusciranno a frenare i più elementari stimoli della concupiscenza, se prima non avranno imparato a mortificare la propria volontà grazie all'obbedienza. [I Padri] dichiarano che nessuno, se prima non avrà imparato a dominare la propria volontà, riuscirà a vincere la propria collera, la depressione o la lussuria» (Istituzioni cenobitiche, IV, 8). Esercitarsi in tali pratiche dà la gioia di sentirsi nuovamente padroni di sé (sì, proprio grazie all'obbedienza!) e non più sballottati qua e là come un corpo inerte in balia dei flutti delle passioni. 


38 Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche, X, 8, 1. 39 

39 Cf. ibid., X, 6. 


Dag Tessore

Tratto da” 7 i vizi capitali” di Dag Tessore – Edizione Citta Nuova


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2 commenti:

  1. Quindi io che ho difficoltà a concentrarmi, che ho sempre la testa "altrove", può essere che sono accidioso?

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    1. Nella morale cattolica, l'accidia è la negligenza nell'esercizio della virtù necessaria alla santificazione dell'anima.

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