lunedì 10 maggio 2021

Padre Mario Ruggeri, O.Carm. - " Mite agnello immolato dai tedeschi"...


Chi era padre Mario Ruggeri?

Ruggeri Mario nacque a San Benedetto Val di Sambro (Bologna) il 28 febbraio del 1913 e all’età di tredici anni entrò in convento, nel Marianato carmelitano di Vittorio Veneto. Per gli studi teologici nel 1933 fu inviato a Firenze e tre anni più tardi, nel 1936, fu ordinato sacerdote venendo di seguito trasferito a Ravenna, presso il convento di San Giovanni Battista, per svolgere il suo ministero. Negli anni del suo apostolato, cominciò a soffrire di ulcera allo stomaco. Nel 1942 fu operato senza avere miglioramenti, piuttosto peggiorando, soffrendo un collasso ed il deperimento continuo della sua salute, accompagnato da terribili dolori all’addome a motivo di un tumore benigno allo stomaco. Nella speranza di una convalescenza che desse dei possibili miglioramenti, i superiori lo inviarono, il 22 settembre del 1944, a casa del fratello a Scopeto di Sasso Marconi in Bologna.
La mattina dell’8 ottobre 1944, gli abitanti di quel piccolo paese del bolognese ebbero un risveglio violento con l’irruzione di una colonna di soldati nazisti, giunti nel piccolo centro con l’ordine di eseguire un rastrellamento. Sostenendo che nella Casa canonica fossero stati nascosti dei partigiani, i soldati tedeschi nelle prime ore del mattino avevano fatto irruzione nella chiesa parrocchiale, prelevando il parroco ed alcuni fedeli. Dalla chiesa il primo gruppo di deportati fu fatto scendere per le vie del paese mentre i nazisti entravano nelle case rastrellando i civili che venivano trovati. Mentre stava vestendosi per recarsi in parrocchia a celebrare messa, i tedeschi irruppero in casa e, senza neanche dargli il tempo di calzare le scarpe, lo trascinarono nella colonna dei rastrellati fra i quali c’era anche don Pasquale Broccadello. Padre Mario comprese subito che la situazione era drammatica, per tale motivo disse al sacerdote compagno di cammino di scambiarsi l’assoluzione. I due sacerdoti bisbigliarono reciprocamente la loro confessione assolvendosi l’un l’altro. Intanto il cammino proseguiva tra insulti e parole oscene per i civili e per i due sacerdoti. Padre Mario per la sua cagionevole salute e per la difficoltà di inerpicarsi lungo i sentieri, resi vischiosi da una pioggia torrenziale, aiutato dai compagni di viaggio, riuscì stentatamente a seguire la colonna dei rastrellati. Passato a guado il torrente Oviletta, alle pendici di Monte Cervo, s’accasciò. Egli era logorato dalla sua malattia e ben presto il suo fisico sfibrato cedette alla stanchezza ed ai dolori. Venendo meno le forze, cadde a terra. Il maresciallo dei tedeschi raggiunse non certo per soccorrerlo, ma per intimargli con minacce a riprendere il cammino. Il povero padre Mario cercò di giustificarsi dicendo di essere malato e di essere stato operato. Il soldato tedesco volle vedere la cicatrice dell’intervento subito, e quando il carmelitano mostrò l’addome per farla vedere, il soldato con cinismo gli ordinò di rimettersi in cammino perché a breve sarebbe guarito “molto bene”. Il cammino era ancora lungo, i poveri deportati venivano fatti passare per diversi paesini mentre la loro fila si andava ingrossando con l’arrivo di altri poveri sventurati strappati alle loro case e dalle loro famiglie. Stremato dal cammino e dal dolore, con  gli abiti zuppi di acqua perché costretto a passare a guado un torrente, padre Mario ad un certo punto cadde a terra. Il capo dei nazisti si avvicinò ancora una volta come un lupo inferocito e gli intimò di riprendere cammino. Padre Mario tentò di rialzarsi ma ormai le sue forze erano finite. Ad un certo punto il maresciallo con voce rabbiosa lo chiamò: “Pastore!”. Ma sotto le urla e le minacce degli aguzzini, con uno sforzo sovraumano si rialzò e raggiunse il maresciallo tedesco che, dopo avergli ordinato di fermarsi, lo ferì alla gola con due colpi di rivoltella.
Ormai agonizzante, i suoi compagni di prigionia che osservano terrorizzati la scena,fra i rantoli, invocò l’aiuto di Dio. Cadde a terra ma non morì subito. Don Broccadello, sfidando i tedeschi, gli impartì l’assoluzione e recitò il De Profundis. Il carnefice, chinatosi, gli sparò un colpo alla tempia e gli asportò l’orologio ed il portafoglio sotto gli occhi attoniti dei rastrellati.
Il corpo di padre Mario rimase lì per cinque giorni, a causa del timore di essere puniti dai nazisti che impedivano alle persone di provvedere a dargli sepoltura.
Il corpo abbandonato sotto una quercia, venne recuperato dai parrocchiani su indicazione di don Broccadello, e sepolto nel cimitero di Tignano (Sasso Marconi) il 14 ottobre 1944.

Alcune testimonianze:
    • una cognata: “gli avevamo detto di non uscire per andare alla Chiesa: “ci sono i tedeschi in giro”, ma lui rispose:
“ma cosa volete che facciano ad un povero frate che va a dire messa”;
    • un altro: io avevo 11 anni e li vidi passare, il frate portava un carico pesante;
    • una signora di 80 anni: lo uccisero vicino ad una quercia che noi avevamo: la quercia del frate. Mia madre ed una vicina andarono a coprire la salma.

La mite figura di un frate che oggi appare come la vittima di un’assurda tragedia illuminata dalla luce pasquale di Cristo. Ha santificato la nostra terra col suo sangue: “è stato condotto al macello come mite agnello”, parole del profeta Isaia ben adeguate anche al carmelitano padre Mario.

Tratto da : Rivista Madonna del Carmine Anno LXXIV - N°4-5-6/2020



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