venerdì 24 gennaio 2014

Una fede manifestata dalle opere - San Josemaría Escrivá, Cristo presente nei cristiani





La considerazione della dignità della missione cui Dio ci chiama, può far sorgere nell'animo umano la presunzione, la superbia. Ci può accecare una falsa coscienza della vocazione cristiana, che ci fa dimenticare che siamo di fango, che siamo polvere e miseria; ci fa dimenticare che il male non è solo nel mondo, intorno a noi, ma anche dentro di noi e si annida nel nostro stesso cuore, rendendoci capaci di ogni bassezza ed egoismo. Solo la grazia di Dio è roccia ben ferma; noi siamo sabbia, e sabbia mobile. Se diamo uno sguardo alla storia degli uomini o alla situazione attuale del mondo, ci addolora vedere che, dopo venti secoli, sono così pochi gli uomini che si chiamano cristiani; e quelli che si onorano di questo nome sono spesso infedeli alla loro vocazione.



Dinanzi a questo spettacolo non mancano coloro che annunciano il fallimento di Cristo. Ma Cristo non ha fallito: la sua parola e la sua vita fecondano continuamente il mondo. L'opera di Cristo, il compito che il Padre gli ha affidato, si stanno realizzando, la sua forza passa attraverso la storia portando la vera vita e quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

In questo lavoro che sta realizzando nel mondo, Dio ha voluto che fossimo suoi

cooperatori, ha voluto correre il rischio della nostra libertà. La contemplazione della figura di Gesù nel presepio di Betlemme mi commuove nel profondo dell'anima: è un bambino indifeso, inerme, incapace di offrire resistenza. Dio si consegna nelle mani degli uomini, si avvicina e si abbassa fino a noi.

Gesù Cristo, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua

uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo. Dio si affida alla nostra libertà, alla nostra imperfezione, alle nostre miserie. Permette che i tesori divini siano portati in vasi di argilla, e che li facciamo conoscere mescolando le nostre debolezze umane alla sua forza divina.

Ma l'esperienza del peccato non ci deve far dubitare della nostra missione. Certamente, i nostri peccati possono rendere difficile agli altri riconoscere Cristo in noi; dobbiamo quindi affrontare coraggiosamente le nostre miserie personali, cercare di purificarci, sapendo che Dio non ci ha promesso la vittoria assoluta sul male in questa vita, ma ci chiede lotta. Sufficit tibi gratia mea, ti basta la mia grazia, rispose Dio a Paolo che gli chiedeva di essere liberato dalla prova che lo umiliava.

Il potere di Dio si manifesta nella nostra debolezza, e ci spinge a lottare, a combattere contro i nostri difetti, pur sapendo che non otterremo mai del tutto la vittoria durante la vita terrena. La vita cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi di ogni giorno.

Cristo risuscita in noi se diveniamo compartecipi della sua Croce e della sua Morte.

Dobbiamo amare la Croce, la donazione, la mortificazione. L'ottimismo cristiano non è un ottimismo dolciastro e neppure la mera fiducia umana che tutto andrà bene. Affonda le proprie radici nella coscienza della libertà e nella fede nella grazia; è un ottimismo che ci porta a essere esigenti con noi stessi, cioè a sforzarci per corrispondere alla chiamata di Dio.

In questo modo, malgrado le nostre miserie, anzi, attraverso le nostre miserie, attraverso la nostra vita di uomini fatti di carne e di terra, Cristo si manifesta: nel nostro sforzo di essere migliori, di realizzare un amore che aspira a essere puro, di dominare l'egoismo, di donarci pienamente agli altri, facendo della nostra esistenza un costante servizio.

Non voglio concludere senza un'ultima riflessione. Il cristiano, nel far presente Cristo in mezzo agli uomini essendo Cristo egli stesso, non cerca solo di vivere un atteggiamento d'amore, ma anche di far conoscere l'amore di Dio attraverso il suo amore umano. Gesù ha concepito tutta la sua vita come una rivelazione di questo amore: Filippo — rispose a uno dei suoi discepoli — chi vede me vede il Padre. Seguendo quest'insegnamento, l'apostolo Giovanni invita i cristiani a manifestare con le loro opere l'amore di Dio che hanno conosciuto: Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In

questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.

È necessario quindi che la nostra fede sia viva, che ci porti realmente a credere in Dio e a mantenere un costante dialogo con Lui. La vita cristiana deve essere vita di preghiera incessante, sforzandoci di stare alla presenza di Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Il cristiano non è mai un solitario, perché vive in una continua intimità con Dio, che è vicino a noi e nei Cieli.

Sine intermissione orate, prescrive l'Apostolo: pregate senza interruzione. E, ricordando questo precetto apostolico, Clemente Alessandrino scrive: Ci viene comandato di lodare e onorare il Verbo che conosciamo come salvatore e re; e per Lui il Padre, non in giorni scelti, come fanno altri, ma costantemente durante tutta la vita, e in tutti i modi possibili.



CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 7, 7, 35 (PG 9, 450).



In mezzo alle occupazioni della giornata, quando bisogna vincere la tendenza all'egoismo, quando sentiamo la gioia dell'amicizia con gli altri uomini, in ogni momento il cristiano deve rinnovare il suo incontro con Dio. Per Cristo e nello Spirito Santo il cristiano ha accesso all'intimità di Dio Padre, e percorre la strada che conduce al regno che non è di questo mondo, ma che in questo mondo si inizia e si prepara.

Bisogna entrare in intimità con Cristo nella Parola e nel Pane, nell'Eucaristia e nella preghiera. Bisogna trattarlo come si tratta un amico, un essere reale e vivo, perché Cristo è risorto e dunque vive. Cristo, leggiamo nella lettera agli Ebrei, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore. Cristo, il Cristo risorto,è il compagno, l'Amico. Un compagno che si lascia soltanto intravvedere, ma la cui realtà riempie tutta la nostra vita, e ci fa desiderare la sua compagnia definitiva. Lo Spirito e la sposa dicono: « Vieni! ». E chi ascolta ripete: « Vieni! ». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita... Colui che attesta queste cose dice: « Sì, verrò presto! ». Amen. Vieni, Signore Gesù. 

San Josemaría Escrivá, Cristo presente nei cristiani

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