venerdì 14 febbraio 2014

LA VITA DI SAN VALENTINO


Il patrono dei fidanzati e degli innamorati che ha ispirato anche una gentile tradizione alla sua festa, quella dei bigliettini affettuosamente scherzosi, è sepolto a Terni di cui fu, secondo la tradizione, vescovo. 
 
Se consultiamo il nuovo Calendario liturgico generale al 14 febbraio non troviamo più la festa di san Valentino, ma la memoria obbligatoria dei santi Cirillo e Metodio, gli evangelizzatori degli slavi: il patrono degli innamorati e dei fidanzati è stato retrocesso alle memorie locali. Ma in tutto il mondo si continua a celebrare il 14 febbraio come «Valentine day» secondo il rito sentimental-commerciale della laica religione del consumo indotto che impone scambi di regalucci, possibilmente costosi, tra i fidanzati. Se dal Calendario ci trasferiamo nel Martirologio Romano, che è il ca­talogo di tutti i santi universali e locali, troviamo a questa data non uno ma due Valentini. Del primo così recita il latercolo del Baronio: «14 feb­braio, in Roma, sulla via Flaminia, natale di san Valentino, presbitero e martire, che dopo aver operato varie guarigioni, insigne per cultura, fu ucciso e decollato sotto Claudio Cesare»; e del secondo: «14 febbraio, in Terni, fasto di san Valentino, che dopo essere stato a lungo percosso fu imprigionato e, non potendosi vincere la sua resistenza, a metà notte, segretamente trascinato fuori del carcere, venne decollato dal prefetto di Roma, Placido». Quale mai sarà il patrono dei fidanzati? E che cosa sappiamo di certo su questi due santi curiosamente omonimi e celebrati alla stessa data? A proposito del primo Valentino una tarda e leggendaria Cronaca del suo martirio, la Passio Maris et Marthae, narra che l'imperatore Claudio il Gotico, incuriosito dalla fama di santità di un prete romano che era stato imprigionato per la sua fede, lo fece condurre a palazzo. «Perché» gli domandò « non vuoi essere nostro amico adorando gli dei e rinun­ciando alle superstIzioni?» E Valentino: «Se tu conoscessi la grazia di Dio non diresti così, ma disprezzeresti i tuoi idoli e adoreresti il Signore che è nei cieli». Continuò a parlare con tanta eloquenza che alla fine Claudio congedandolo ordinò al prefetto di ascoltarlo pazientemente e poi di de­cidere secondo le leggi. Il prefetto si limitò a consegnarlo a un suo mini­stro di nome Asterio raccomandandogli: «Tenta di dissuadere que­st’uomo con melliflui discorsi». Entrando nel palazzo del suo custode, Valentino esclamò: «Signore Gesù, luce vera, illumina questa casa affinché i suoi abitanti ti ricono­scano Dio». «Sento che invochi Cristo come luce» gli rispose Asterio. «Ebbene, se il tuo Dio restituirà la vista a mia figlia, che è cieca dall'età di due anni, ti concederò tutto quel che vorrai». Valentino, dopo essersi raccolto in preghiera per qualche istante, pose le dita sugli occhi della fanciulla che improvvisamente recuperò la vista: quel miracolo spinse tutta la famiglia a convertirsi. Quando l'imperatore venne a sapere della conversione ordinò che Valentino venisse decapitato. Secondo una redazione più recente della Passio sarebbe stato sepolto sul luogo del martirio, nei pressi della via Flaminia, dove papa Giulio I (337-352) edificò una basilica. La chiesa sulla via Flaminia, i cui resti sovrastano ancora oggi l'area della cosiddetta catacomba di San Valentino, divenne talmente celebre che la porta Flaminia oggi del Popolo - fu chiamata nel medioevo, fino al XIII secolo, porta di San Valentino. Fin qui la tradizione: ma il Catalogo Liberiano del IV secolo riferisce che Giulio I costruì al secondo miglio della via Flaminia una basilica «quae appellatur Valentini» , cioè detta di Valentino, intendendo con questo nome il benefattore che ne aveva finanziata la costruzione così come avvenne con altre basiliche, fra cui quella  «costantiniana», ovvero San Giovanni in Laterano. Sicché il francescano Agostino Amore ha concluso che il «benefattore» Valentino, per un equivoco riscontrabile anche in altri casi, venne poi scambiato a partire dal V secolo per un martire e venerato al 14 febbraio. Non sappiamo invece se il Valentino che papa Pasquale 1(817-824) portò a Santa Prassede insieme con le reliquie di 2300 martiri dalle cata­combe di Sant'Agnese sulla Nomentana, fosse lo stesso martire o un suo omonimo. A Santa Prassede è ricordato in una lapide del IX secolo ed effigiato due volte col volto giovane e in solenne atteggiamento nei mo­saici bizantini della cappella di San Zenone. Ma secondo il cardinal Co­stantino Patrizi, vicario generale di papa Gregorio XVI, le reliquie di san Valentino non soltanto si trovavano sulla Flaminia ma vi erano sempre rimaste se il 28 giugno 1842 attestava che erano state esaminate e do­nate a don Luigi Dall'Osta, arciprete di Santa Giustina in Limana, in provincia di Belluno, perché le esponesse nella sua chiesa parocchiale dove si trovano tuttora. Difficile a questo punto districare il filo dell'in­garbugliatissima matassa dove spunta anche un altro filo. Alla stessa data infatti è ricordato, come si accennava all'inizio, un secondo san Va­lentino di cui poco si sa di certo se non che, vescovo di Temi, fu decapi­tato a Roma nel 273 durante la persecuzione di Aureliano. Quanto al corpo, una tarda Passio sosteneva che era stato sepolto in una collinetta nei pressi di Terni, in un cimitero sopra il quale sorse poi una basilica, trasformata radicalmente nel 1618. Qualche anno prima, il 21 giugno 1605, il vescovo di quella città, Gianantonio Onorato, aveva ritrovato il corpo del santo patrono e lo aveva riposto in una cassa di piombo. La Passio narrava che il vescovo Valentino, celebre per le sue doti di taumaturgo, era stato invitato a Roma dal retore e filosofo Cratone per­ché ne guarisse il figlio il cui dorso si era talmente incurvato da costrin­gerlo a tenere il capo fra le ginocchia. Valentino promise la guarigione a patto che tutta la famiglia si impegnasse a convertirsi. Così avvenne; e si convertirono anche tre giovani ateniesi allievi del filosofo, Proculo, Efebo e Apollonio. La notizia era troppo clamorosa per passare inosser­vata sicché il prefetto Placido fece imprigionare Valentino tentando in          vano di spingerlo a sacrificare agli dei. A nulla valsero le esortazioni e neppure una bastonatura: fu condannato alla decapitazione. Quando i carnefici si furono allontanati, i tre giovani ateniesi suoi allievi raccol­sero il corpo e lo trasportarono a Temi seppellendolo in un terreno del suburbio che avevano acquistato. Anch'essi vennero poi decapitati. Secondo la tradizione, nel corso dei secoli furono donate delle reli­quie a varie chiese italiane e straniere. Quelle che rimangono a Temi - parte del cranio diviso dal busto, la mascella con pochi denti, altri denti sparsi e le ceneri - vennero composte nel 1630 in una statua supina dove san Valentino vestito da vescovo e barbato ha l'aspetto di un uomo maturo. La scultura, collocata su un'arca, è sotto l'altare maggiore della chiesa officiata dai Carmelitani Scalzi. Nella cripta si conservano in una cassa le reliquie dei tre giovani ateniesi. A questo punto è impossibile trarre una conclusione storicamente fondata. Si può tuttavia osservare che troppe analogie accomunano il Valentino romano a quello ternano per non sospettare che si tratti in realtà di un unico martire. Né è casuale che il luogo del seppellimento di entrambi sia la via Flaminia, al secondo miglio per il presbitero e al ses­santatreesimo per il vescovo, perché Terni - Interamna per i Romani - si trova infatti sulla via consolare. Si potrebbe congetturare che il ve­scovo di Terni, martirizzato a Roma là dove sorse poi la basilica, abbia ispirato a chi non si rassegnava alla sua traslazione in Umbria la leg­genda del presbitero romano. All’equivoco avrebbe poi contribuito invo­lontariamente il benefattore, forse un convertito che aveva assunto il nome del santo venerato. Ma di là da queste congetture c'è un fatto incontestabile: furono i Benedettinì, che nel primo medioevo custodivano la basilica ternana, a diffondere il culto di san Valentino nei loro monasteri sino alla Francia e all'Inghilterra, dove è sorto il suo patronato sui fidanzati per una coinci­denza calendariale. La festa cade infatti in un periodo particolare del­l’anno, quando la natura comincia a dare i primi segni del risveglio dal letargo invernale. Verso la metà del mese di febbraio il sole comincia infatti a riscaldare la terra facendo sbocciare i primi fiorellini, come le vio­lette, o fiorire addirittura in certe zone dell'Europa mandorli e noccioli: sicché san Valentino si trasformò a poco a poco nel santo che annun­ciava la primavera imminente, e non a caso è stato rappresentato tal­volta col sole in mano. «Per san Valentino la primavera sta vicino» afferma un proverbio cui fa eco: «Per san Valentino fiorisce lo spino». Durante il medioevo in Inghilterra e in Francia si diceva che pro­prio al 14 febbraio gli uccelli cominciavano ad accoppiarsi. Si pensò quindi che quel giorno era indicato anche per celebrare le giovani cop­pie umane. Nacque così il detto che «a san Valentino ogni valentino sceglie la sua valentina». Fiorirono anche tante leggende zuccherose. Una recente, di origine americana, narra che un giorno Valentino, sen­tendo litigare due fidanzati che stavano passando di là dalla siepe del suo giardino, uscì incontro ai due giovani donando loro una rosa rossa che ebbe la virtù di placarli. A Terni se ne racconta un'altra meno alle­gra, se non addirittura macabra, ma altrettanto zuccherosa. C'era una volta una bella fanciulla cristiana di nome Serapia che si era innamo­rata di un centurione pagano, Sabino. Quando i due giovani riuscirono finalmente a vincere le resistenze dei genitori grazie al battesimo di Sabino, si scoprì che Serapia era gravemente malata di tisi. Dopo qual­che mese non riusciva nemmeno più ad alzarsi dal letto. Fu chiamato al capezzale della moribonda il vescovo Valentino al quale Sabino chiese di non essere separato dall’amata. Il suo desiderio fu esaudito: morì pure lui abbracciato a Serapia. Anche l'usanza di scambiarsi fra gli innamorati bigliettini teneri e scherzosi nel giorno del loro patrono risale al medioevo e in Inghilterra è documentata fin dal XV secolo. La fama di san Valentino si estese rapidamente a tutta l’Europa al punto che persino un altro Valentino, patrono della diocesi di Passau, festeggiato al 7 gennaio, assunse molte funzioni del romano-ternano, il quale tuttavia non si limitava a proteggere i fidanzati, ma era diventato anche il guaritore dell’epilessia e della peste. A questo ruolo di tauma­turgo era destinato dal suo nome, Valentinus in latino, che deriva dal verbo valere: star bene in salute, essere sano e forte. Un’altra sua funzione era di proteggere gli animali domestici non diversamente da sant’Antonio e san Biagio.
Un Pater, un'Ave Maria, un Gloria a San Valentino protettore di tutti i fidanzati del mondo

Tratto dal sito http://www.preghiereagesuemaria.it/

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