Il
patrono dei fidanzati e degli innamorati che ha ispirato anche una
gentile tradizione alla sua festa, quella dei bigliettini
affettuosamente scherzosi, è sepolto a Terni di cui fu, secondo la
tradizione, vescovo.
Se consultiamo il nuovo Calendario
liturgico generale al 14 febbraio non troviamo più la festa di san
Valentino, ma la memoria obbligatoria dei santi Cirillo e Metodio,
gli evangelizzatori degli slavi: il patrono degli innamorati e dei
fidanzati è stato retrocesso alle memorie locali. Ma in tutto il
mondo si continua a celebrare il 14 febbraio come «Valentine day»
secondo il rito sentimental-commerciale della laica religione del
consumo indotto che impone scambi di regalucci, possibilmente
costosi, tra i fidanzati. Se dal Calendario ci trasferiamo nel
Martirologio Romano, che
è il catalogo di tutti i santi universali e locali, troviamo a
questa data non uno ma due Valentini. Del primo così recita il
latercolo del Baronio: «14 febbraio, in Roma, sulla via
Flaminia, natale di san Valentino, presbitero e martire, che dopo
aver operato varie guarigioni, insigne per cultura, fu ucciso e
decollato sotto Claudio Cesare»; e del secondo: «14 febbraio, in
Terni, fasto di san Valentino, che dopo essere stato a lungo percosso
fu imprigionato e, non potendosi vincere la sua resistenza, a metà
notte, segretamente trascinato fuori del carcere, venne decollato dal
prefetto di Roma, Placido». Quale mai sarà il patrono dei
fidanzati? E che cosa sappiamo di certo su questi due santi
curiosamente omonimi e celebrati alla stessa data? A proposito del
primo Valentino una tarda e leggendaria Cronaca
del suo martirio, la Passio
Maris et Marthae, narra che l'imperatore
Claudio il Gotico, incuriosito dalla fama di santità di un prete
romano che era stato imprigionato per la sua fede, lo fece condurre a
palazzo. «Perché» gli domandò « non vuoi essere nostro amico
adorando gli dei e rinunciando alle superstIzioni?» E
Valentino: «Se tu conoscessi la grazia di Dio non diresti così, ma
disprezzeresti i tuoi idoli e adoreresti il Signore che è nei
cieli». Continuò a parlare con tanta eloquenza che alla fine
Claudio congedandolo ordinò al prefetto di ascoltarlo pazientemente
e poi di decidere secondo le leggi. Il prefetto si limitò a
consegnarlo a un suo ministro di nome Asterio raccomandandogli:
«Tenta di dissuadere quest’uomo con melliflui discorsi».
Entrando nel palazzo del suo custode, Valentino esclamò: «Signore
Gesù, luce vera, illumina questa casa affinché i suoi abitanti ti
riconoscano Dio». «Sento che invochi Cristo come luce» gli
rispose Asterio. «Ebbene, se il tuo Dio restituirà la vista a mia
figlia, che è cieca dall'età di due anni, ti concederò tutto quel
che vorrai». Valentino, dopo essersi raccolto in preghiera per
qualche istante, pose le dita sugli occhi della fanciulla che
improvvisamente recuperò la vista: quel miracolo spinse tutta la
famiglia a convertirsi. Quando l'imperatore venne a sapere della
conversione ordinò che Valentino venisse decapitato. Secondo una
redazione più recente della Passio sarebbe
stato sepolto sul luogo del martirio, nei pressi della via Flaminia,
dove papa Giulio I (337-352) edificò una basilica. La chiesa sulla
via Flaminia, i cui resti sovrastano ancora oggi l'area della
cosiddetta catacomba di San Valentino, divenne talmente celebre che
la porta Flaminia oggi del Popolo - fu chiamata nel medioevo, fino al
XIII secolo, porta di San Valentino. Fin qui la tradizione: ma il
Catalogo Liberiano del
IV secolo riferisce che Giulio I costruì al secondo miglio della via
Flaminia una basilica «quae appellatur Valentini» , cioè detta di
Valentino, intendendo con questo nome il benefattore che ne aveva
finanziata la costruzione così come avvenne con altre basiliche, fra
cui quella «costantiniana», ovvero San Giovanni in Laterano.
Sicché il francescano Agostino Amore ha concluso che il
«benefattore» Valentino, per un equivoco riscontrabile anche in
altri casi, venne poi scambiato a partire dal V secolo per un martire
e venerato al 14 febbraio. Non sappiamo invece se il Valentino che
papa Pasquale 1(817-824) portò a Santa Prassede insieme con le
reliquie di 2300 martiri dalle catacombe di Sant'Agnese sulla
Nomentana, fosse lo stesso martire o un suo omonimo. A Santa Prassede
è ricordato in una lapide del IX secolo ed effigiato due volte col
volto giovane e in solenne atteggiamento nei mosaici bizantini
della cappella di San Zenone. Ma secondo il cardinal Costantino
Patrizi, vicario generale di papa Gregorio XVI, le reliquie di san
Valentino non soltanto si trovavano sulla Flaminia ma vi erano sempre
rimaste se il 28 giugno 1842 attestava che erano state esaminate e
donate a don Luigi Dall'Osta, arciprete di Santa Giustina in
Limana, in provincia di Belluno, perché le esponesse nella sua
chiesa parocchiale dove si trovano tuttora. Difficile a questo punto
districare il filo dell'ingarbugliatissima matassa dove spunta
anche un altro filo. Alla stessa data infatti è ricordato, come si
accennava all'inizio, un secondo san Valentino di cui poco si sa
di certo se non che, vescovo di Temi, fu decapitato a Roma nel
273 durante la persecuzione di Aureliano. Quanto al corpo, una tarda
Passio sosteneva che
era stato sepolto in una collinetta nei pressi di Terni, in un
cimitero sopra il quale sorse poi una basilica, trasformata
radicalmente nel 1618. Qualche anno prima, il 21 giugno 1605, il
vescovo di quella città, Gianantonio Onorato, aveva ritrovato il
corpo del santo patrono e lo aveva riposto in una cassa di piombo. La
Passio narrava che il
vescovo Valentino, celebre per le sue doti di taumaturgo, era stato
invitato a Roma dal retore e filosofo Cratone perché ne
guarisse il figlio il cui dorso si era talmente incurvato da
costringerlo a tenere il capo fra le ginocchia. Valentino
promise la guarigione a patto che tutta la famiglia si impegnasse a
convertirsi. Così avvenne; e si convertirono anche tre giovani
ateniesi allievi del filosofo, Proculo, Efebo e Apollonio. La notizia
era troppo clamorosa per passare inosservata sicché il prefetto
Placido fece imprigionare Valentino tentando in
vano di spingerlo a sacrificare agli dei. A nulla
valsero le esortazioni e neppure una bastonatura: fu condannato alla
decapitazione. Quando i carnefici si furono allontanati, i tre
giovani ateniesi suoi allievi raccolsero il corpo e lo
trasportarono a Temi seppellendolo in un terreno del suburbio che
avevano acquistato. Anch'essi vennero poi decapitati. Secondo la
tradizione, nel corso dei secoli furono donate delle reliquie a
varie chiese italiane e straniere. Quelle che rimangono a Temi -
parte del cranio diviso dal busto, la mascella con pochi denti, altri
denti sparsi e le ceneri - vennero composte nel 1630 in una statua
supina dove san Valentino vestito da vescovo e barbato ha l'aspetto
di un uomo maturo. La scultura, collocata su un'arca, è sotto
l'altare maggiore della chiesa officiata dai Carmelitani Scalzi.
Nella cripta si conservano in una cassa le reliquie dei tre giovani
ateniesi. A questo punto è impossibile trarre una conclusione
storicamente fondata. Si può tuttavia osservare che troppe analogie
accomunano il Valentino romano a quello ternano per non sospettare
che si tratti in realtà di un unico martire. Né è casuale che il
luogo del seppellimento di entrambi sia la via Flaminia, al secondo
miglio per il presbitero e al sessantatreesimo per il vescovo,
perché Terni - Interamna per
i Romani - si trova infatti sulla via consolare. Si potrebbe
congetturare che il vescovo di Terni, martirizzato a Roma là
dove sorse poi la basilica, abbia ispirato a chi non si rassegnava
alla sua traslazione in Umbria la leggenda del presbitero
romano. All’equivoco avrebbe poi contribuito involontariamente
il benefattore, forse un convertito che aveva assunto il nome del
santo venerato. Ma di là da queste congetture c'è un fatto
incontestabile: furono i Benedettinì, che nel primo medioevo
custodivano la basilica ternana, a diffondere il culto di san
Valentino nei loro monasteri sino alla Francia e all'Inghilterra,
dove è sorto il suo patronato sui fidanzati per una coincidenza
calendariale. La festa cade infatti in un periodo particolare
dell’anno, quando la natura comincia a dare i primi segni del
risveglio dal letargo invernale. Verso la metà del mese di febbraio
il sole comincia infatti a riscaldare la terra facendo sbocciare i
primi fiorellini, come le violette, o fiorire addirittura in
certe zone dell'Europa mandorli e noccioli: sicché san Valentino si
trasformò a poco a poco nel santo che annunciava la primavera
imminente, e non a caso è stato rappresentato talvolta col sole
in mano. «Per san Valentino la primavera sta vicino» afferma un
proverbio cui fa eco: «Per san Valentino fiorisce lo spino».
Durante il medioevo in Inghilterra e in Francia si diceva che
proprio al 14 febbraio gli uccelli cominciavano ad accoppiarsi.
Si pensò quindi che quel giorno era indicato anche per celebrare le
giovani coppie umane. Nacque così il detto che «a san
Valentino ogni valentino sceglie la sua valentina». Fiorirono anche
tante leggende zuccherose. Una recente, di origine americana, narra
che un giorno Valentino, sentendo litigare due fidanzati che
stavano passando di là dalla siepe del suo giardino, uscì incontro
ai due giovani donando loro una rosa rossa che ebbe la virtù di
placarli. A Terni se ne racconta un'altra meno allegra, se non
addirittura macabra, ma altrettanto zuccherosa. C'era una volta una
bella fanciulla cristiana di nome Serapia che si era innamorata
di un centurione pagano, Sabino. Quando i due giovani riuscirono
finalmente a vincere le resistenze dei genitori grazie al battesimo
di Sabino, si scoprì che Serapia era gravemente malata di tisi. Dopo
qualche mese non riusciva nemmeno più ad alzarsi dal letto. Fu
chiamato al capezzale della moribonda il vescovo Valentino al quale
Sabino chiese di non essere separato dall’amata. Il suo desiderio
fu esaudito: morì pure lui abbracciato a Serapia. Anche l'usanza di
scambiarsi fra gli innamorati bigliettini teneri e scherzosi nel
giorno del loro patrono risale al medioevo e in Inghilterra è
documentata fin dal XV secolo. La fama di san Valentino si estese
rapidamente a tutta l’Europa al punto che persino un altro
Valentino, patrono della diocesi di Passau, festeggiato al 7 gennaio,
assunse molte funzioni del romano-ternano, il quale tuttavia non si
limitava a proteggere i fidanzati, ma era diventato anche il
guaritore dell’epilessia e della peste. A questo ruolo di
taumaturgo era destinato dal suo nome, Valentinus
in latino, che deriva dal verbo valere:
star bene in salute, essere sano e forte. Un’altra sua funzione era
di proteggere gli animali domestici non diversamente da sant’Antonio
e san Biagio.
Un
Pater, un'Ave Maria, un Gloria a
San Valentino protettore di tutti i fidanzati del mondo
Tratto dal sito
http://www.preghiereagesuemaria.it/
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