Nel
Cielo si gode per la presenza della Vergine Madre, la terra ne venera
la memoria. Lassù visione di tutta la sua grandezza, qui il ricordo
di lei; là vi è la sazietà, quaggiù come una piccola
pregustazione di primizie; lassù la realtà, quaggiù il nome.
Signore,
dice,
il tuo
Nome è per sempre, e il tuo ricordo di generazione in generazione
(Sal
134, 13). Generazione e generazione, di uomini, s’intende, non di
angeli. Vuoi sapere che il suo nome e la sua memoria è tra noi, e la
sua presenza è in cielo? Così
pregherete, dice
il Signore: Padre
nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo Nome
(Mt 6, 9). Preghiera fedele, che fin dall’inizio ci fa sapere che
noi siamo figli adottivi di Dio, ancora pellegrini sulla terra,
affinché sapendo che fino a quando non saremo in cielo, e saremo
pellegrini lontani dal Signore, gemiamo interiormente, aspettando
l’adozione a figli, cioè la presenza del Padre. Ben a proposito il
Profeta, parlando di Cristo, dice: Spirito
è davanti alla nostra faccia il Cristo Signore. All’ombra di lui
vivremo tra le genti (Lam
4, 20). Tra i beati del cielo invece non si vive all’ ombra, ma
piuttosto nello splendore. Tra
i santi splendori, dice
il Salmo, dal
seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato (Sal
109, 3). Questo dice il Padre.
Ma
la Madre ha generato quel medesimo splendore, però nell’ombra,
quella stessa ombra con cui l’Altissimo l’adombrò. A ragione
canta la Chiesa, non la Chiesa dei Santi che è lassù nello
splendore, ma quella che nel frattempo è pellegrina sulla terra:
All’ombra
di colui che ho bramato, mi sono seduta, e dolce è il suo frutto al
mio palato (Ct
2, 3). Aveva chiesto che le fosse indicata la luce meridiana dove
pasce lo sposo; ma dovette contentarsi dell’ombra in luogo della
luce piena, e ricevere per il momento un assaggio invece della
sazietà. Infine non dice: «Sotto l’ombra di lui che (l’ombra)
avevo desiderata, ma mi
sono seduta all’ombra di lui (lo
sposo) che avevo desiderato. Non aveva cercato l’ombra di lui, ma
lui stesso, il vero meriggio, luce piena da luce piena: È il
suo frutto, continua,
è dolce
al mio palato, come
dicesse: al mio gusto. Fino
a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi permetterai di
inghiottire la mia saliva? (Gb
7, 19) Fino a quando si continuerà a dire: Gustate
e vedere come è soave il Signore? (Sal
33, 9) Certamente è soave al gusto e dolce al palato, per cui ben a
ragione anche (solo) per questo prorompe in parole di ringraziamento
e di lode.
Ma
quando si potrà dire: Mangiate,
amici, bevete e inebriatevi o carissimi? (Ct
5, 1) /giusti,
dice
il Profeta, banchetteranno,
ma
al
cospetto di Dio (Sal
67, 4), ma non nell’ombra. E parlando di sé dice: Mi
sazierò quando apparirà la tua gloria (Sal
16, 15). Anche il Signore dice agli Apostoli: Voi
avete perseverato con me nelle mie prove: e io vi preparo un regno
come il Padre mio l’ha preparato per me, affinché mangiate e
beviate alla mia mensa. Ma
dove? Nel mio Regno, dice (Lc 22, 28-30). Beato
davvero
chi
mangerà il pane nel Regno di Dio. Sia santificato pertanto il tuo
Nome, per
il quale frattanto in qualche modo sei
in mezzo a noi, o Signore, abitando
per la fede nei nostri cuori, poiché
il tuo Nome è stato invocato su di noi (Ef
3, 17). Venga
il tuo Regno. Venga
ciò che è perfetto e sparisca ciò che è parziale (Cfr. 1 Cor 13,
10). Ora,
dice
l’Apostolo, raccogliete
il frutto che vi porta alla santificazione (Rm
6, 22), e il fine è
la vita eterna. La
Vita eterna, fonte perenne che irriga tutta la superficie del
paradiso.
E
non solo la irriga, ma la inebria, fonte
degli orti, pozzo delle acque vive che sgorgano impetuose, e fiume
impetuoso che rallegra la città di Dio (Sal
45, 5). E chi è questo fonte della vita se non Cristo Signore?
Quando
si manifesterà Cristo vostra Vita, anche voi sarete manifestati con
lui nella gloria (Col
3, 4). In verità la stessa pienezza si è annichilita per essere per
noi giustizia e santificazione e perdono, senza che apparisse ancora
la vita o la gloria, o la beatitudine. Questa fonte arrivò fino a
noi, le sue acque furono portate sulle piazze, anche se lo straniero
non ne berrà. Quella vena celeste è discesa attraverso
l’acquedotto, non portando l’abbondanza della fonte, ma cadendo
come una pioggia di grazia sui nostri cuori riarsi, a chi più a chi
meno. L’acquedotto è pieno, in modo che gli altri possano
attingere dalla sua pienezza, ma non riceverne la pienezza stessa.
Voi
avete già capito, se non sbaglio, quale sia questo acquedotto che,
ricevendo la pienezza della sorgente dal cuore dello stesso Padre,
l’ha data per noi alla luce, anche se non come è, ma quale
potevamo comprenderla. Sapete infatti a chi fu detto: Ave,
o piena di grazia (Lc
1, 28). O ci meravigliamo che si sia potuto trovare una creatura
capace di divenire un tale e così grande acquedotto, simile a quello
visto dal Patriarca Giacobbe, la cui sommità toccasse i cieli, anzi,
oltrepassasse i cieli e arrivasse a quel vividissimo fonte delle
acque che sono sopra i cieli? Se ne meravigliava anche Salomone, e
quasi disperando che tale creatura ci potesse essere, diceva: Una
donna forte chi la troverà? E in realtà per tanto tempo al genere
umano mancarono i rivoli della grazia, non essendovi ancora così
desiderabile acquedotto di cui parliamo. Né fa meraviglia che si sia
fatto attendere così a lungo, se si pensa ai lunghi anni che Noè,
uomo giusto, impiegò per costruire l’arca, nella quale si
salvarono poche, cioè,
otto persone (Gen 6, 9) , e questo per un tempo abbastanza breve.
Ma
in che modo questo nostro acquedotto raggiunse un fonte così
elevato? Non in altra maniera che mediante un veemente desiderio,
mediante una fervida devozione, una pura orazione, come sta scritto:
L’orazione
del giusto penetra i cieli (Eccli
35, 21). E chi fu giusto se non la giusta Maria, dalla quale ci è
nato il Sole di giustizia? Come dunque ella arrivò all’inaccessibile
Maestà, se non bussando, chiedendo, cercando? Alla fine trovò
quello che cercava, Lei, a cui fu detto: Hai
trovato grazia presso Dio (Lc
1, 30). Che cosa? È piena di grazia, e trova ancora grazia? Era
proprio degna di trovare quello che cercava, non bastandole la
propria pienezza, né poteva starsene contenta del suo bene, ma come
sta scritto: Chi
beve me avrà ancora sete: (Eccli
24, 29): essa chiede la sovrabbondanza per la salvezza di tutti. Lo
Spirito Santo sopravverrà in te, le
dice l’Angelo, e ti infonderà quel prezioso balsamo in tanta
abbondanza e pienezza da farlo traboccare abbondantemente da ogni
parte. È così, già i nostri volti brillano per l’unzione
dell’olio. Già esclamiamo: Olio
effuso è il tuo Nome, (Sal
103, 15) e
la tua memoria di generazione in generazione (Sal
101, 13). Non è però sparso invano quest’olio, e se sparso, non
viene sprecato. Per questo infatti le giovinette, cioè le anime
semplici, amano lo Sposo, e non poco, e l’unguento che scende dal
capo, non solo cade sulla barba, ma arriva fino ai bordi del vestito.
Osserva,
o uomo, il disegno di Dio, il disegno della Sapienza, il disegno
della pietà. Prima di irrorare l’aia, la celeste rugiada scese
tutta sul vello: stando per redimere il genere umano, ne depose tutto
il prezzo in Maria! Per quale ragione fece questo? Forse perché Eva
venisse scusata per mezzo della Figlia, e il lamento dell’uomo
contro la donna, d’ora in poi non avesse più ragione di essere.
Non dirai più, o Adamo: La
donna che mi hai dato mi ha presentato il frutto proibito;
dirai piuttosto: «La donna che mi hai dato mi ha dato da mangiare il
frutto benedetto». Piissimo disegno; ma non è tutto, forse c’è
n’è ancora un altro nascosto. Del resto questo è poca cosa, se
non erro, per i vostri desideri. È un latte dolce; se premiamo più
forte, ne verrà fuori un bel burro grasso. Guardando più a fondo
voi scorgerete con quanto affetto e devozione abbia voluto che noi
onorassimo Maria colui che ha posto in lei la pienezza di ogni bene,
sicché se in noi c’è qualche speranza, qualche grazia, qualche
speranza di salvezza, sappiamo che tutto ciò ci viene da lei che
sale ricolma di delizie. Vero giardino di delizie, sul quale non solo
soffia, ma che investe sopravvenendo dall’alto quel divino austro,
perché si diffondano in abbondanza i suoi aromi, vale a dire i
carismi delle grazie. Togli questo sole che illumina il mondo, dove
sarà giorno? togli Maria, questa stella del mare, un mare grande e
spazioso: che cosa ne resta se non un mondo tutto avvolto nella
caligine e nell’ombra di morte e in tenebre densissime?
Veneriamo
dunque questa Maria con tutto l’ardore dei nostri cuori, con i più
teneri sentimenti di affetto e di devoto ossequio, perché tale è la
volontà di Colui che ha voluto che noi ricevessimo tutto per mezzo
di Maria. Questa è la volontà sua, ma per il nostro bene. Per tutto
infatti provvedendo a tutti i miseri, egli conforta il nostro cuore
trepidante, esercita la fede, rafforza la speranza, scaccia la
diffidenza, rialza chi è pusillanime. Avevate timore di accostarvi
al Padre. Atterrito al solo udirne la voce, correvi a nasconderti tra
il fogliame: allora ti ha dato Gesù come mediatore. Che cosa non
otterrà dal Padre un tale Figlio? Sarà infatti esaudito per la sua
pietà: il
Padre infatti ama il Figlio. Hai
ancora paura di andare anche da lui? È tuo fratello e carne tua,
provato in tutto, eccetto il peccato, perché
fosse misericordioso (Eb
4, 15). Questo ti ha dato Maria come fratello. Ma forse anche in lui
temi la divina maestà, perché pur essendosi fatto uomo, rimase
tuttavia Dio. Vuoi avere un avvocato anche presso di lui? Ricorri a
Maria. In Maria c’ è la pura umanità, non solo pura perché
incontaminata, ma pura per singolarità di natura. Né dubiterei che
anch’essa sarà esaudita per la sua pietà. Il Figlio esaudirà
certamente la Madre, come il Padre esaudirà il Figlio. Figliuoli
miei, questa è la scala dei peccatori, questa è la mia massima
fiducia, questa è tutta la ragione della mia speranza. E che? Può
forse il Figlio non accogliere la supplica (della Madre) o non venire
esaudito (dal Padre)? Può egli non ascoltare e non essere ascoltato?
Né l’uno, né l’altro. Tu
hai trovato, disse
l’Angelo, grazia
presso Dio (Lc
1, 30). Felice espressione. Maria troverà sempre grazia, e la grazia
è la sola cosa di cui abbiamo bisogno. La Vergine prudente cercava
non la sapienza, come Salomone, non le ricchezze, non gli onori, non
la potenza, ma la grazia. È infatti solo la grazia che ci salva.
Perché
desideriamo altre cose, o fratelli? Cerchiamo la grazia, e
chiediamola per mezzo di Maria, perché essa trova quello che cerca e
nulla le è rifiutato di quello che essa chiede. Cerchiamo la grazia,
ma la grazia presso Dio; fallace è infatti la grazia presso gli
uomini. Cerchino altri il merito, noi sforziamoci di trovare grazia.
Non è forse per grazia di Dio che siamo qui? Davvero è grazie
alla Misericordia del Signore se non siamo consunti noi (Lam
3, 22). Chi noi? Noi spergiuri, noi omicidi, noi adulteri, noi ladri,
veramente rifiuto di questo mondo. Interrogate le vostre coscienze,
fratelli e constatate che ove
abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia. Maria
non pretende il merito, ma cerca la grazia. Essa ripone tanta fiducia
nella grazia e non si insuperbisce, che è presa da timore al saluto
dell’Angelo. Maria,
dice
il Vangelo, si
domandava che senso avesse quel saluto (Lc
1, 29). Si riteneva, infatti, indegna di venire così salutata da un
Angelo. E forse diceva tra sé: «Donde viene a me che un Angelo del
Signore venga da me?» Non
temere, Maria, non
stupirti che venga un Angelo; viene uno che è più grande anche
dell’Angelo. Non meravigliarti che venga a te l’Angelo del
Signore: anche il Signore
dell’Angelo
è con
te. E
poi, perché non potresti vedere l’Angelo tu che già vivi come un
Angelo? Perché un Angelo non dovrebbe visitare una compagna della
vita degli Angeli? Come non saluterebbe una concittadina dei Santi e
familiari di Dio? Davvero angelica vita infatti è la verginità, e
coloro che non si sposano né si maritano saranno come Angeli di Dio.
Vedi
come anche in questo modo il nostro acquedotto raggiunge la fonte, né
penetra ormai i cieli con la sola orazione, ma anche con l’
integrità che la rende vicina a Dio, come dice il Saggio? Era
infatti la Vergine Santa
di corpo e di spirito (1 C
or 7, 34) , e ad essa si addicevano in modo speciale le parole: La
nostra patria è nei cieli (Fil
3, 20). Santa, ripeto, di corpo e di spirito, perché non resti alcun
dubbio su questo acquedotto. Esso è invero altissimo, ma sempre
incorrotto. Orto
chiuso, fonte sigillato (Ct
4, 12), tempio
del Signore, sacrario dello Spirito Santo (dall’off.
BVM in Sabato). Né è una vergine stolta, non le manca infatti
l’olio, ma ne ha pieno il vaso di riserva. Essa ha
disposto delle ascensioni nel suo cuore (Sal
83, 6), ascendendo sia con le sue opere, sia con la sua orazione.
Maria si
reca in fretta sulla montagna e saluta Elisabetta (Lc
1, 39-40) e si ferma circa tre mesi per aiutarla, così da poter
dire, lei Madre ad un altra madre (Elisabetta) quello che molto tempo
dopo il Figlio (Gesù) avrebbe detto al figlio (Giovanni) : Lascia
fare, ora, così dobbiamo compiere ogni giustizia (Mt
3, 15). Veramente sale sui monti Maria, la cui giustizia è come i
monti più alti. Questa è la terza ascensione della Vergine, ed è
scritto che una corda a tre capi è difficile a rompersi: la sua
carità cercava con fervore la grazia, nella sua carne splendeva la
verginità, nel servizio alla vecchia Elisabetta eccelleva l’umiltà.
Se infatti chiunque si umilia sarà esaltato, che cosa di più
sublime che l’umiltà di Maria? Elisabetta si stupiva della sua
venuta, e diceva: A
che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? (Lc
1, 43). Ma ora si meravigli piuttosto che, sull’esempio del Figlio,
essa non sia venuta per essere servita, ma per servire. Giustamente
perciò quel Cantore divino, pieno di ammirazione per lei, esclamava:
Chi
è costei che sorge come aurora, bella come la luna, fulgida come il
sole, terribile come schiere a vessilli spiegati? (Ct
6, 9). Davvero ella sorge sopra tutto il genere umano, sale fino agli
Angeli, ma li oltrepassa ancora e si innalza sopra ogni celeste
creatura. Di fatti essa deve attingere necessariamente al di sopra
degli Angeli l’acqua viva per farla discendere sugli uomini.
Come
avverrà questo, dice,
poiché
non conosco uomo? Santa veramente
di
corpo e di spirito, che
possedeva l’integrità del corpo, e il proposito di rimanere
vergine. L’Angelo le rispose: Lo
Spirito Santo sopravverrà in te e la potenza dell’Altissimo ti
coprirà con la sua ombra. Non
interrogare me, le dice, sono cose superiori a me, e io non posso
spiegarle. Lo
Spirito Santo, non lo Spirito Angelico, scenderà su di te e la
potenza dell’Altissimo ti adombrerà, non
io. Non fermarti agli Angeli, Vergine santa: la terra chiede che per
tuo mezzo le venga dato qualcosa di più sublime che plachi la sua
sete. Sorpassatili di poco, troverai l’amato dell’anima tua.
Ho
detto: di poco, non perché il tuo Diletto non sia incomparabilmente
più alto, ma perché tra lui e gli angeli non troverai null’altro.
Oltrepassa dunque le Virtù e le Dominazioni, i Cherubini e i
Serafini, e arriverai a lui del quale cantano in coro, ripetendo a
vicenda: Santo,
Santo, Santo è il
Signore,
Dio degli eserciti (Is
6, 3). Il
Santo infatti che da te nascerà sarà chiamato Figlio di Dio (Lc
1, 35). Fonte
della Sapienza il Verbo del Padre nell’alto dei cieli (Eccl
1, 5). Questo Verbo, per mezzo di te si farà uomo, sicché colui che
dice: Io
sono nel Padre, e il Padre è in me (Gv
14, 10), dica pure nello stesso tempo: Io
sono uscito da Dio e sono venuto (Gv
8, 42). In
principio, è detto,
era
il Verbo. Già
scaturisce la fonte, ma per il momento resta in se stessa. E
il Verbo era presso Dio, in una
luce inaccessibile; e da principio il Signore diceva: Io nutro
pensieri di pace e non di sventura (Ger 29, 11). Ma il tuo pensiero è
dentro dite, o Signore, e noi non sappiamo quello che tu pensi. Chi
infatti conosceva i sentimenti del Signore, o chi era suo
consigliere? Pertanto il pensiero di pace è disceso facendosi opera
di pace: Il
Verbo si fece carne, e
ormai abita tra noi. Abita nei nostri cuori per la fede, anche nella
nostra memoria, abita nel pensiero, ed è disceso fino
all’immaginazione. Come avrebbe potuto prima formarsi una immagine
di Dio, non forse facendosi con il cuore un idolo?
Era
del tutto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e
inescogitabile. Ma ora ha voluto farsi comprendere, farsi vedere,
farsi pensare. In che modo, mi chiedi? Eccolo che giace nel presepio,
riposa in braccio alla Vergine, predica sul monte, passa le notti in
preghiera, ovvero pende dalla croce, è coperto dal pallore della
morte, scende libero e comanda negli inferi, ovvero ancora lo vedi
risorgere il terzo giorno, mostrare agli Apostoli il luogo dei
chiodi, segni della sua vittoria, e infine ascendere al cielo davanti
ai loro occhi. Tutti questi pensieri rispondono a verità, alimentano
la pietà e la santità. Quando penso a qualcuna di queste cose, io
penso Dio, che è per ogni cosa il Dio mio.
Meditare
queste cose io chiamo sapienza, e giudico prudenza il rievocare il
dolce ricordo di questi fatti, prefigurati nei frutti abbondanti
spuntati dalla Verga sacerdotale di Aronne, e che Maria, attingendoli
dal cielo, in modo più copioso ha messo a vostra disposizione. Dal
cielo veramente, e da sopra gli Angeli, perché essa ha ricevuto il
Verbo dal cuore stesso del Padre, come sta scritto:
Il
giorno
al giorno trasmette la parola (Sal
18, 3). Davvero giorno è il Padre: e giorno da giorno è la salvezza
di Dio. Non è giorno forse anche la Vergine? E quale giorno! Giorno
veramente fulgido Maria, che
avanza come Aurora che sorge, bella come la luna, splendente come il
sole (Ct
6, 9).
Considera
come Maria arriva fino agli Angeli per la pienezza della grazia, e
supera quando sopravviene in lei lo Spirito. Negli angeli c’è la
carità, la purezza, l’umiltà. Quale di queste cose non fu
eminente in Maria? Ma questo è stato dimostrato sopra, per quanto ci
fu possibile spiegare. Ora vediamo la sua sopraeminenza. A quale
degli Angeli è stato mai detto: Lo
Spirito Santo sopravverrà in te e la potenza dell’Altissimo ti
coprirà con la sua ombra: perciò il Santo che nascerà da te sarà
chiamato Figlio di Dio? E poi:
La
verità è germogliata dalla terra (Sal
84, 12), non dalla creatura angelica; essa ha assunto non la natura
degli angeli, ma il seme di Abramo. È grande cosa per l’Angelo
l’essere servitore ministro di Dio; ma Maria meritò qualcosa di
più sublime, quella di esserne Madre. La maternità pertanto della
Vergine è gloria sovraeminente, e per il singolare privilegio a lei
concesso, essa è divenuta tanto più eccellente degli angeli quanto
più il suo titolo di Madre è differente da quello di servi
(ministri). Già ta per umiltà, ricevette ancora questa grazia di
diventare madre senza concorso d’uomo e senza i dolori del parto.
Tutto questo è ancora poco: quello che è nato da lei è chiamato il
Santo, ed è il Figlio di Dio.
Per
il resto, fratelli, dobbiamo fare tutto perché il Verbo che, uscito
dalla bocca del Padre, è venuto a noi per mezzo della Vergine, non
se ne ritorni vuoto, ma ancora, per mezzo della medesima Vergine
Maria, rendiamo grazia per grazia. Vada il pensiero frequente mentre
ancora ne sospiriamo la presenza, e le grazie che scendono a noi
siano fatte risalire alla loro origine, per ridiscenderne in maggiore
abbondanza. Se invece non ritornano alla fonte, si disseccano, e
infedeli nel poco, non meritiamo di ricevere ciò che è massimo. È
poca cosa il pensiero unito al desiderio della presenza, poco in
confronto con quello che desideriamo grande è ciò che meritiamo; è
molto al di sotto il desiderio, molto superiore è il merito.
Saggiamente la sposa si rallegra non poco di questo poco. Avendo
infatti detto: Dimmi
dove pascoli, dove riposi nel meriggio,
(Ct 1, 6) ricevendo piccole cose invece di quelle immense, e in
cambio del pasto meridiano offrendo un sacrificio vespertino non
mormora affatto, né si rattrista, come d’ordinario succede, ma
ringrazia, e in tutto si mostra più devota. Sa infatti che se sarà
fedele nell’ombra della memoria, otterrà senza dubbio la luce
della presenza. Pertanto Voi
che vi ricordate del Signore, non tacete e non lasciatelo stare in
silenzio (Is
62, 6-7). Poiché coloro che hanno presente il Signore non hanno
bisogno di esortazione, e quello che dice un altro Profeta: Loda
il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio o Sion (Sal
147, 1), sono parole di congratulazione, più che di ammonizione.
Coloro che camminano nella fede hanno bisogno di essere ammoniti di
tacere e di non lasciare stare in silenzio il Signore. Egli parla
infatti, di
pace per il Suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con
tutto il cuore (Sal
84, 9) , ascolterà quelli che ascoltano lui, e parlerà a quelli che
parlano a lui. Diversamente, se tu taci, fai tacere anche lui. Non
tacere dunque. Da che cosa? Dalla lode di Dio. Non
tacete, e non dategli requie fino a che stabilisca sulla terra la
lode di Gerusalemme. La
lode di Gerusalemme è lode gioconda e decorosa. Non è possibile
pensare che gli Angeli, cittadini di Gerusalemme, prendano piacere e
si ingannino a vicenda in una lode vana.
Sia
fatta la tua volontà, o
Padre, come
in cielo, così in terra (Mt
6, 10) affinché la lode di Gerusalemme sia stabilita sulla terra. E
adesso che cosa c’è? In Gerusalemme un Angelo non cerca la sua
gloria da un altro Angelo, e sulla terra l’uomo brama di essere
lodato da un altro uomo? Esecrabile perversità! Ma lasciamola a
coloro che ignorano Dio, a coloro che si
sono dimenticati del Signore loro Dio (1
Cor 15, 34). Voi
che vi ricordate del Signore, non tacete, non
cessate di lodarlo, fino a che la sua lode si stabilisca e sia resa
perfetta sulla terra. C’è infatti un silenzio irreprensibile,
anzi, lodevole. C’è anche un discorso non buono. Altrimenti non
avrebbe detto il Profeta: È buona
cosa per l’uomo attendere in silenzio la salvezza di Dio (Lam
3, 26). È cosa buona tacere dalla millanteria, è buono astenersi
dalla bestemmia, dalla mormorazione, dalla detrazione. Avviene che
uno, esasperato da un lavoro lungo e faticoso, mormora dentro di sé,
e giudica coloro che vigilano per la sua anima, consapevoli del conto
che ne devono rendere. È questo un grido che rompe ogni silenzio, il
grido di un animo indurito che fa tacere, in quanto non permette che
venga percepita la voce della parola. Un altro, per la pusillanimità
dello spirito, si lascia prendere dalla disperazione e questa è una
bestemmia che non sarà rimessa né in questa vita, né nella futura.
Un altro ancora s’inorgoglisce nel suo cuore e leva con superbia il
suo sguardo, stimandosi più di quello che è, e dice: La
mia mano potente (Dt
32, 27) , e pensa di essere qualche cosa, mentre non è nulla. Che
cosa direbbe a costui Colui che parla di pace? Dice infatti: Tu dici:
Io
sono ricco, e non ho bisogno di nessuno (Ap
3, 17). Ora la Verità risponde così: Guai a voi, ricchi, perché
avete la vostra consolazione (Lc 6, 24). E al contrario: Beati,
dice,
quelli
che piangono, perché saranno consolati (Mt
5, 5). Tacciano dunque in noi la lingua maldicente, la lingua
blasfema, la lingua millantatrice, perché è bene in questo triplice
silenzio aspettare la salvezza di Dio, e dì così: Parla
Signore, perché il tuo servo ti ascolta (1
Re 3, 10). Quelle parole in realtà non sono rivolte a Lui, ma contro
di Lui, come diceva Mosè agli Ebrei che mormoravano: La
vostra mormorazione non è contro di noi, ma contro il Signore (Es
16, 8).
Astieniti
da tali parole, senza tuttavia tacere del tutto, per non costringere
Dio al silenzio. Parla a lui accusandoti in umile confessione della
tua vanità, onde ottenere perdono per le colpe passate. Parla
ringraziando, invece della mormorazione, per ottenere una grazia più
abbondante per il presente. Parla nell’ orazione, contro la
diffidenza, per conseguire la gloria del futuro. Confessa, ripeto,i
peccati passati, per i benefici presenti rendi grazie, e poi prega
con più fervore per il futuro, di modo che anche Dio non taccia il
suo perdono, non cessi di largire i suoi doni, e non venga meno nelle
sue promesse. Non tacere tu, ripeto, e fa’ in modo che lui non stia
in silenzio. Parla tu, affinché parli anche lui e possa dire: Il mio
diletto è a me, e io a lui. Parola gioconda, parola dolce. Non è
davvero parola di mormorazione, ma voce della tortora. E non dire:
Come
canteremo i canti del Signore in terra straniera? (Sal
136, 4). Ormai non sarà più considerata straniera quella di cui
dice lo Sposo: La
voce della tortora si è udita nella nostra terra (Ct
2, 12). L’aveva infatti sentito dire: Prendeteci
le piccole volpi e
forse per questo uscì in grido di esultanza, dicendo: Il
mio Diletto è a me e io a lui. Davvero
voce di tortora, che, con una singolare pudicizia resta fedele al suo
compagno, sia vivo che morto, sicché né la morte, né la vita la
separa dall’amore di Cristo. Considera infatti se ci sia qualche
cosa che abbia potuto alienare questo diletto dalla sua amata, e
impedirgli di restare fedele, anche qualora la diletta abbia peccato
o gli abbia voltato le spalle. Ammassi di nuvole cercavano di
offuscare i raggi del sole: così le nostre iniquità si frapponevano
tra noi e Dio, minacciando di separarci da lui; ma il sole divenne
caldo, e tutta quella nuvolaglia si è dissipata. Diversamente,
quando mai saresti tornato da lui se egli non ti fosse rimasto
fedele, se non avesse gridato: Ritorna,
Sunamita, ritorna, ritorna, perché ti vediamo?. Sii
dunque anche tu fedele a lui, e nessuna calamità o fatica ti faccia
allontanare da lui.
Lotta
con l’angelo, non soccombere, perché il regno
di Dio patisce violenza e i violenti lo rapiscono (Mt
11, 12). Non lasciano forse intendere la lotta le parole: Il
mio Diletto a me, e io a lui?Egli ti
ha fatto conoscere il suo amore; mostragli anche il tuo. In molte
cose infatti ti mette alla prova il Signore tuo Dio. Spesso se ne va,
volta altrove la faccia, ma non perché sia adirato. È una prova,
non segno di riprovazione. Il tuo Diletto ti ha sopportato; sopporta
anche tu il tuo Diletto, sopporta, agisci virilmente. Non lo hanno
vinto i tuoi peccati, anche tu non lasciarti vincere dai suoi
flagelli, e otterrai la benedizione. Ma quando? Quando spunterà
l’aurora, quando sarà finito il giorno, quando avrà stabilito la
lode di Gerusalemme sulla terra. Ecco
che un uomo lottava con Giacobbe fino al mattino (Gen
32, 24). Al
mattino fammi sentire la tua misericordia, perché in te ho sperato,
Signore. Non
tacerò, non ti lascerò stare in silenzio fino al mattino, né
digiuno, possibilmente. Tu ti degni in realtà pascerti, ma tra i
gigli. Il
mio diletto a me, e io a lui che si pasce tra gigli (Ct
2, 16). Veramente anche sopra, se ricordate, è stato chiaramente
indicato che la voce della tortora si ode quando compariscono i
fiori. Ma bada che vi è indicato il luogo, non il cibo, né vi è
espresso di che cosa si pasce il Diletto, ma tra quali cose. Forse
egli si pasce, non di cibo, ma della compagnia dei gigli, non si ciba
di gigli, ma sta in mezzo a loro. E veramente i gigli piacciono più
per il profumo che per il sapore, e sono adatti per essere veduti più
che mangiati.
Così
dunque si
pasce (lo
sposo) tra
i gigli fino a che spiri la brezza del giorno, e
alla bellezza dei fiori succeda l’abbondanza dei frutti. Nel
frattempo è l’ora dei fiori, non dei frutti, mentre cioè siamo
più nella speranza che nella realtà, e camminando nella fede e non
nella visione, ci consoliamo più con la speranza che nell’
esperienza (dei beni eterni). Considera infine la delicatezza del
fiore, e ricorda quello che dice l’Apostolo: Portiamo
questo tesoro in vasi di creta. A
quanti pericoli sono esposti i fiori. Come è facile per un giglio
essere perforato dagli aculei delle spine! Giustamente canta il
Diletto: Come
giglio tra le spine, così la mia amica tra le fanciulle (Ct
2, 2). Non era tra le spine colui che diceva: Io
ero pacifico in mezzo a coloro che detestavano la pace? (Sal
119, 7) Del resto, anche se il giusto germoglia come il giglio, lo
sposo non si pasce presso un giglio solo, né si compiace della
singolarità. Senti come egli dimori ove vi sono più gigli. Dove
vi sono due o tre radunati in mio nome, mi trovo in mezzo a loro (Mt
18, 20). Gesù ama sempre il mezzo, il Figlio dell’uomo mediatore
tra Dio e gli uomini, riprova sempre gli angoli, le pieghe. Il
mio diletto è a me e io a lui che si pasce tra i gigli. Cerchiamo
di avere gigli, fratelli, estirpiamo spine e triboli e affrettiamoci
a sostituirli con gigli, perché si degni di pascersi anche tra noi
qualora si degni di scendere a noi il Diletto.
Presso
Maria egli si pasceva, e abbondantemente, a causa della moltitudine
di gigli. Non era forse un giglio il decoro della verginità,
l’ornamento dell’umiltà, la sovraeminenza della carità? Avremo
anche noi dei gigli, anche se di molto inferiori. Ma neanche tra
questi disdegnerà di pascersi lo sposo, a condizione che le azioni
di grazie di cui abbiamo parlato, siano dotate di ilare devozione,
che la nostra orazione sia resa accetta dalla purezza d’intenzione,
e la nostra confessione ci avrà ottenuto, con il perdono, di fare
candide le nostre vesti, come è scritto: Se
i vostri peccati fossero come scarlatto, diverranno come la neve, e
se fossero rossi come porpora, diverranno bianchi come la lana (Is
1, 18). Del resto, qualunque sia la cosa che ti disponi a offrire,
ricordati di affidarla a Maria,onde per il medesimo canale per cui la
grazia è discesa a noi, ritorni al largitore della grazia. A Dio
infatti non mancavano mezzi per infonderci, come voleva, la sua
grazia, anche senza questa acqua, ma egli ha voluto darci questo
veicolo. Forse le tue mani sono sporche di sangue o infette di
regali, perché non le hai tenute pure da ogni cupidigia. Dunque quel
poco che desideri offrire, fallo passare per le mani degnissime e
accettissime di Maria se non vuoi subire un rifiuto. Esse in realtà
sono come candidissimi gigli; né avrà a ridire quell’amatore di
gigli di non aver trovato tra i gigli qualsiasi cosa che egli avrà
trovato tra le mani di Maria.
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