martedì 8 settembre 2015

SERMONE PER LA NATIVITÀ DI MARIA SANTISSIMA di Bernardo di Chiaravalle





Nel Cielo si gode per la presenza della Vergine Madre, la terra ne venera la memoria. Lassù visione di tutta la sua grandezza, qui il ricordo di lei; là vi è la sazietà, quaggiù come una piccola pregustazione di primizie; lassù la realtà, quaggiù il nome. Signore, dice, il tuo Nome è per sempre, e il tuo ricordo di generazione in generazione (Sal 134, 13). Generazione e generazione, di uomini, s’intende, non di angeli. Vuoi sapere che il suo nome e la sua memoria è tra noi, e la sua presenza è in cielo? Così pregherete, dice il Signore: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo Nome (Mt 6, 9). Preghiera fedele, che fin dall’inizio ci fa sapere che noi siamo figli adottivi di Dio, ancora pellegrini sulla terra, affinché sapendo che fino a quando non saremo in cielo, e saremo pellegrini lontani dal Signore, gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a figli, cioè la presenza del Padre. Ben a proposito il Profeta, parlando di Cristo, dice: Spirito è davanti alla nostra faccia il Cristo Signore. All’ombra di lui vivremo tra le genti (Lam 4, 20). Tra i beati del cielo invece non si vive all’ ombra, ma piuttosto nello splendore. Tra i santi splendori, dice il Salmo, dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato (Sal 109, 3). Questo dice il Padre.

Ma la Madre ha generato quel medesimo splendore, però nell’ombra, quella stessa ombra con cui l’Altissimo l’adombrò. A ragione canta la Chiesa, non la Chiesa dei Santi che è lassù nello splendore, ma quella che nel frattempo è pellegrina sulla terra: All’ombra di colui che ho bramato, mi sono seduta, e dolce è il suo frutto al mio palato (Ct 2, 3). Aveva chiesto che le fosse indicata la luce meridiana dove pasce lo sposo; ma dovette contentarsi dell’ombra in luogo della luce piena, e ricevere per il momento un assaggio invece della sazietà. Infine non dice: «Sotto l’ombra di lui che (l’ombra) avevo desiderata, ma mi sono seduta all’ombra di lui (lo sposo) che avevo desiderato. Non aveva cercato l’ombra di lui, ma lui stesso, il vero meriggio, luce piena da luce piena: È il suo frutto, continua, è dolce al mio palato, come dicesse: al mio gusto. Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi permetterai di inghiottire la mia saliva? (Gb 7, 19) Fino a quando si continuerà a dire: Gustate e vedere come è soave il Signore? (Sal 33, 9) Certamente è soave al gusto e dolce al palato, per cui ben a ragione anche (solo) per questo prorompe in parole di ringraziamento e di lode.


Ma quando si potrà dire: Mangiate, amici, bevete e inebriatevi o carissimi? (Ct 5, 1) /giusti, dice il Profeta, banchetteranno, ma al cospetto di Dio (Sal 67, 4), ma non nell’ombra. E parlando di sé dice: Mi sazierò quando apparirà la tua gloria (Sal 16, 15). Anche il Signore dice agli Apostoli: Voi avete perseverato con me nelle mie prove: e io vi preparo un regno come il Padre mio l’ha preparato per me, affinché mangiate e beviate alla mia mensa. Ma dove? Nel mio Regno, dice (Lc 22, 28-30). Beato davvero chi mangerà il pane nel Regno di Dio. Sia santificato pertanto il tuo Nome, per il quale frattanto in qualche modo sei in mezzo a noi, o Signore, abitando per la fede nei nostri cuori, poiché il tuo Nome è stato invocato su di noi (Ef 3, 17). Venga il tuo Regno. Venga ciò che è perfetto e sparisca ciò che è parziale (Cfr. 1 Cor 13, 10). Ora, dice l’Apostolo, raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione (Rm 6, 22), e il fine è la vita eterna. La Vita eterna, fonte perenne che irriga tutta la superficie del paradiso.
E non solo la irriga, ma la inebria, fonte degli orti, pozzo delle acque vive che sgorgano impetuose, e fiume impetuoso che rallegra la città di Dio (Sal 45, 5). E chi è questo fonte della vita se non Cristo Signore? Quando si manifesterà Cristo vostra Vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria (Col 3, 4). In verità la stessa pienezza si è annichilita per essere per noi giustizia e santificazione e perdono, senza che apparisse ancora la vita o la gloria, o la beatitudine. Questa fonte arrivò fino a noi, le sue acque furono portate sulle piazze, anche se lo straniero non ne berrà. Quella vena celeste è discesa attraverso l’acquedotto, non portando l’abbondanza della fonte, ma cadendo come una pioggia di grazia sui nostri cuori riarsi, a chi più a chi meno. L’acquedotto è pieno, in modo che gli altri possano attingere dalla sua pienezza, ma non riceverne la pienezza stessa.

Voi avete già capito, se non sbaglio, quale sia questo acquedotto che, ricevendo la pienezza della sorgente dal cuore dello stesso Padre, l’ha data per noi alla luce, anche se non come è, ma quale potevamo comprenderla. Sapete infatti a chi fu detto: Ave, o piena di grazia (Lc 1, 28). O ci meravigliamo che si sia potuto trovare una creatura capace di divenire un tale e così grande acquedotto, simile a quello visto dal Patriarca Giacobbe, la cui sommità toccasse i cieli, anzi, oltrepassasse i cieli e arrivasse a quel vividissimo fonte delle acque che sono sopra i cieli? Se ne meravigliava anche Salomone, e quasi disperando che tale creatura ci potesse essere, diceva: Una donna forte chi la troverà? E in realtà per tanto tempo al genere umano mancarono i rivoli della grazia, non essendovi ancora così desiderabile acquedotto di cui parliamo. Né fa meraviglia che si sia fatto attendere così a lungo, se si pensa ai lunghi anni che Noè, uomo giusto, impiegò per costruire l’arca, nella quale si salvarono poche, cioè, otto persone (Gen 6, 9) , e questo per un tempo abbastanza breve.

Ma in che modo questo nostro acquedotto raggiunse un fonte così elevato? Non in altra maniera che mediante un veemente desiderio, mediante una fervida devozione, una pura orazione, come sta scritto: L’orazione del giusto penetra i cieli (Eccli 35, 21). E chi fu giusto se non la giusta Maria, dalla quale ci è nato il Sole di giustizia? Come dunque ella arrivò all’inaccessibile Maestà, se non bussando, chiedendo, cercando? Alla fine trovò quello che cercava, Lei, a cui fu detto: Hai trovato grazia presso Dio (Lc 1, 30). Che cosa? È piena di grazia, e trova ancora grazia? Era proprio degna di trovare quello che cercava, non bastandole la propria pienezza, né poteva starsene contenta del suo bene, ma come sta scritto: Chi beve me avrà ancora sete: (Eccli 24, 29): essa chiede la sovrabbondanza per la salvezza di tutti. Lo Spirito Santo sopravverrà in te, le dice l’Angelo, e ti infonderà quel prezioso balsamo in tanta abbondanza e pienezza da farlo traboccare abbondantemente da ogni parte. È così, già i nostri volti brillano per l’unzione dell’olio. Già esclamiamo: Olio effuso è il tuo Nome, (Sal 103, 15) e la tua memoria di generazione in generazione (Sal 101, 13). Non è però sparso invano quest’olio, e se sparso, non viene sprecato. Per questo infatti le giovinette, cioè le anime semplici, amano lo Sposo, e non poco, e l’unguento che scende dal capo, non solo cade sulla barba, ma arriva fino ai bordi del vestito.

Osserva, o uomo, il disegno di Dio, il disegno della Sapienza, il disegno della pietà. Prima di irrorare l’aia, la celeste rugiada scese tutta sul vello: stando per redimere il genere umano, ne depose tutto il prezzo in Maria! Per quale ragione fece questo? Forse perché Eva venisse scusata per mezzo della Figlia, e il lamento dell’uomo contro la donna, d’ora in poi non avesse più ragione di essere. Non dirai più, o Adamo: La donna che mi hai dato mi ha presentato il frutto proibito; dirai piuttosto: «La donna che mi hai dato mi ha dato da mangiare il frutto benedetto». Piissimo disegno; ma non è tutto, forse c’è n’è ancora un altro nascosto. Del resto questo è poca cosa, se non erro, per i vostri desideri. È un latte dolce; se premiamo più forte, ne verrà fuori un bel burro grasso. Guardando più a fondo voi scorgerete con quanto affetto e devozione abbia voluto che noi onorassimo Maria colui che ha posto in lei la pienezza di ogni bene, sicché se in noi c’è qualche speranza, qualche grazia, qualche speranza di salvezza, sappiamo che tutto ciò ci viene da lei che sale ricolma di delizie. Vero giardino di delizie, sul quale non solo soffia, ma che investe sopravvenendo dall’alto quel divino austro, perché si diffondano in abbondanza i suoi aromi, vale a dire i carismi delle grazie. Togli questo sole che illumina il mondo, dove sarà giorno? togli Maria, questa stella del mare, un mare grande e spazioso: che cosa ne resta se non un mondo tutto avvolto nella caligine e nell’ombra di morte e in tenebre densissime?

Veneriamo dunque questa Maria con tutto l’ardore dei nostri cuori, con i più teneri sentimenti di affetto e di devoto ossequio, perché tale è la volontà di Colui che ha voluto che noi ricevessimo tutto per mezzo di Maria. Questa è la volontà sua, ma per il nostro bene. Per tutto infatti provvedendo a tutti i miseri, egli conforta il nostro cuore trepidante, esercita la fede, rafforza la speranza, scaccia la diffidenza, rialza chi è pusillanime. Avevate timore di accostarvi al Padre. Atterrito al solo udirne la voce, correvi a nasconderti tra il fogliame: allora ti ha dato Gesù come mediatore. Che cosa non otterrà dal Padre un tale Figlio? Sarà infatti esaudito per la sua pietà: il Padre infatti ama il Figlio. Hai ancora paura di andare anche da lui? È tuo fratello e carne tua, provato in tutto, eccetto il peccato, perché fosse misericordioso (Eb 4, 15). Questo ti ha dato Maria come fratello. Ma forse anche in lui temi la divina maestà, perché pur essendosi fatto uomo, rimase tuttavia Dio. Vuoi avere un avvocato anche presso di lui? Ricorri a Maria. In Maria c’ è la pura umanità, non solo pura perché incontaminata, ma pura per singolarità di natura. Né dubiterei che anch’essa sarà esaudita per la sua pietà. Il Figlio esaudirà certamente la Madre, come il Padre esaudirà il Figlio. Figliuoli miei, questa è la scala dei peccatori, questa è la mia massima fiducia, questa è tutta la ragione della mia speranza. E che? Può forse il Figlio non accogliere la supplica (della Madre) o non venire esaudito (dal Padre)? Può egli non ascoltare e non essere ascoltato? Né l’uno, né l’altro. Tu hai trovato, disse l’Angelo, grazia presso Dio (Lc 1, 30). Felice espressione. Maria troverà sempre grazia, e la grazia è la sola cosa di cui abbiamo bisogno. La Vergine prudente cercava non la sapienza, come Salomone, non le ricchezze, non gli onori, non la potenza, ma la grazia. È infatti solo la grazia che ci salva.

Perché desideriamo altre cose, o fratelli? Cerchiamo la grazia, e chiediamola per mezzo di Maria, perché essa trova quello che cerca e nulla le è rifiutato di quello che essa chiede. Cerchiamo la grazia, ma la grazia presso Dio; fallace è infatti la grazia presso gli uomini. Cerchino altri il merito, noi sforziamoci di trovare grazia. Non è forse per grazia di Dio che siamo qui? Davvero è grazie alla Misericordia del Signore se non siamo consunti noi (Lam 3, 22). Chi noi? Noi spergiuri, noi omicidi, noi adulteri, noi ladri, veramente rifiuto di questo mondo. Interrogate le vostre coscienze, fratelli e constatate che ove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia. Maria non pretende il merito, ma cerca la grazia. Essa ripone tanta fiducia nella grazia e non si insuperbisce, che è presa da timore al saluto dell’Angelo. Maria, dice il Vangelo, si domandava che senso avesse quel saluto (Lc 1, 29). Si riteneva, infatti, indegna di venire così salutata da un Angelo. E forse diceva tra sé: «Donde viene a me che un Angelo del Signore venga da me?» Non temere, Maria, non stupirti che venga un Angelo; viene uno che è più grande anche dell’Angelo. Non meravigliarti che venga a te l’Angelo del Signore: anche il Signore dell’Angelo è con te. E poi, perché non potresti vedere l’Angelo tu che già vivi come un Angelo? Perché un Angelo non dovrebbe visitare una compagna della vita degli Angeli? Come non saluterebbe una concittadina dei Santi e familiari di Dio? Davvero angelica vita infatti è la verginità, e coloro che non si sposano né si maritano saranno come Angeli di Dio.

Vedi come anche in questo modo il nostro acquedotto raggiunge la fonte, né penetra ormai i cieli con la sola orazione, ma anche con l’ integrità che la rende vicina a Dio, come dice il Saggio? Era infatti la Vergine Santa di corpo e di spirito (1 C or 7, 34) , e ad essa si addicevano in modo speciale le parole: La nostra patria è nei cieli (Fil 3, 20). Santa, ripeto, di corpo e di spirito, perché non resti alcun dubbio su questo acquedotto. Esso è invero altissimo, ma sempre incorrotto. Orto chiuso, fonte sigillato (Ct 4, 12), tempio del Signore, sacrario dello Spirito Santo (dall’off. BVM in Sabato). Né è una vergine stolta, non le manca infatti l’olio, ma ne ha pieno il vaso di riserva. Essa ha disposto delle ascensioni nel suo cuore (Sal 83, 6), ascendendo sia con le sue opere, sia con la sua orazione. Maria si reca in fretta sulla montagna e saluta Elisabetta (Lc 1, 39-40) e si ferma circa tre mesi per aiutarla, così da poter dire, lei Madre ad un altra madre (Elisabetta) quello che molto tempo dopo il Figlio (Gesù) avrebbe detto al figlio (Giovanni) : Lascia fare, ora, così dobbiamo compiere ogni giustizia (Mt 3, 15). Veramente sale sui monti Maria, la cui giustizia è come i monti più alti. Questa è la terza ascensione della Vergine, ed è scritto che una corda a tre capi è difficile a rompersi: la sua carità cercava con fervore la grazia, nella sua carne splendeva la verginità, nel servizio alla vecchia Elisabetta eccelleva l’umiltà. Se infatti chiunque si umilia sarà esaltato, che cosa di più sublime che l’umiltà di Maria? Elisabetta si stupiva della sua venuta, e diceva: A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? (Lc 1, 43). Ma ora si meravigli piuttosto che, sull’esempio del Figlio, essa non sia venuta per essere servita, ma per servire. Giustamente perciò quel Cantore divino, pieno di ammirazione per lei, esclamava: Chi è costei che sorge come aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati? (Ct 6, 9). Davvero ella sorge sopra tutto il genere umano, sale fino agli Angeli, ma li oltrepassa ancora e si innalza sopra ogni celeste creatura. Di fatti essa deve attingere necessariamente al di sopra degli Angeli l’acqua viva per farla discendere sugli uomini.

Come avverrà questo, dice, poiché non conosco uomo? Santa veramente di corpo e di spirito, che possedeva l’integrità del corpo, e il proposito di rimanere vergine. L’Angelo le rispose: Lo Spirito Santo sopravverrà in te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Non interrogare me, le dice, sono cose superiori a me, e io non posso spiegarle. Lo Spirito Santo, non lo Spirito Angelico, scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, non io. Non fermarti agli Angeli, Vergine santa: la terra chiede che per tuo mezzo le venga dato qualcosa di più sublime che plachi la sua sete. Sorpassatili di poco, troverai l’amato dell’anima tua.
Ho detto: di poco, non perché il tuo Diletto non sia incomparabilmente più alto, ma perché tra lui e gli angeli non troverai null’altro. Oltrepassa dunque le Virtù e le Dominazioni, i Cherubini e i Serafini, e arriverai a lui del quale cantano in coro, ripetendo a vicenda: Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio degli eserciti (Is 6, 3). Il Santo infatti che da te nascerà sarà chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 35). Fonte della Sapienza il Verbo del Padre nell’alto dei cieli (Eccl 1, 5). Questo Verbo, per mezzo di te si farà uomo, sicché colui che dice: Io sono nel Padre, e il Padre è in me (Gv 14, 10), dica pure nello stesso tempo: Io sono uscito da Dio e sono venuto (Gv 8, 42). In principio, è detto, era il Verbo. Già scaturisce la fonte, ma per il momento resta in se stessa. E il Verbo era presso Dio, in una luce inaccessibile; e da principio il Signore diceva: Io nutro pensieri di pace e non di sventura (Ger 29, 11). Ma il tuo pensiero è dentro dite, o Signore, e noi non sappiamo quello che tu pensi. Chi infatti conosceva i sentimenti del Signore, o chi era suo consigliere? Pertanto il pensiero di pace è disceso facendosi opera di pace: Il Verbo si fece carne, e ormai abita tra noi. Abita nei nostri cuori per la fede, anche nella nostra memoria, abita nel pensiero, ed è disceso fino all’immaginazione. Come avrebbe potuto prima formarsi una immagine di Dio, non forse facendosi con il cuore un idolo?

Era del tutto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e inescogitabile. Ma ora ha voluto farsi comprendere, farsi vedere, farsi pensare. In che modo, mi chiedi? Eccolo che giace nel presepio, riposa in braccio alla Vergine, predica sul monte, passa le notti in preghiera, ovvero pende dalla croce, è coperto dal pallore della morte, scende libero e comanda negli inferi, ovvero ancora lo vedi risorgere il terzo giorno, mostrare agli Apostoli il luogo dei chiodi, segni della sua vittoria, e infine ascendere al cielo davanti ai loro occhi. Tutti questi pensieri rispondono a verità, alimentano la pietà e la santità. Quando penso a qualcuna di queste cose, io penso Dio, che è per ogni cosa il Dio mio.
Meditare queste cose io chiamo sapienza, e giudico prudenza il rievocare il dolce ricordo di questi fatti, prefigurati nei frutti abbondanti spuntati dalla Verga sacerdotale di Aronne, e che Maria, attingendoli dal cielo, in modo più copioso ha messo a vostra disposizione. Dal cielo veramente, e da sopra gli Angeli, perché essa ha ricevuto il Verbo dal cuore stesso del Padre, come sta scritto: Il giorno al giorno trasmette la parola (Sal 18, 3). Davvero giorno è il Padre: e giorno da giorno è la salvezza di Dio. Non è giorno forse anche la Vergine? E quale giorno! Giorno veramente fulgido Maria, che avanza come Aurora che sorge, bella come la luna, splendente come il sole (Ct 6, 9).

Considera come Maria arriva fino agli Angeli per la pienezza della grazia, e supera quando sopravviene in lei lo Spirito. Negli angeli c’è la carità, la purezza, l’umiltà. Quale di queste cose non fu eminente in Maria? Ma questo è stato dimostrato sopra, per quanto ci fu possibile spiegare. Ora vediamo la sua sopraeminenza. A quale degli Angeli è stato mai detto: Lo Spirito Santo sopravverrà in te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra: perciò il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio? E poi: La verità è germogliata dalla terra (Sal 84, 12), non dalla creatura angelica; essa ha assunto non la natura degli angeli, ma il seme di Abramo. È grande cosa per l’Angelo l’essere servitore ministro di Dio; ma Maria meritò qualcosa di più sublime, quella di esserne Madre. La maternità pertanto della Vergine è gloria sovraeminente, e per il singolare privilegio a lei concesso, essa è divenuta tanto più eccellente degli angeli quanto più il suo titolo di Madre è differente da quello di servi (ministri). Già ta per umiltà, ricevette ancora questa grazia di diventare madre senza concorso d’uomo e senza i dolori del parto. Tutto questo è ancora poco: quello che è nato da lei è chiamato il Santo, ed è il Figlio di Dio.

Per il resto, fratelli, dobbiamo fare tutto perché il Verbo che, uscito dalla bocca del Padre, è venuto a noi per mezzo della Vergine, non se ne ritorni vuoto, ma ancora, per mezzo della medesima Vergine Maria, rendiamo grazia per grazia. Vada il pensiero frequente mentre ancora ne sospiriamo la presenza, e le grazie che scendono a noi siano fatte risalire alla loro origine, per ridiscenderne in maggiore abbondanza. Se invece non ritornano alla fonte, si disseccano, e infedeli nel poco, non meritiamo di ricevere ciò che è massimo. È poca cosa il pensiero unito al desiderio della presenza, poco in confronto con quello che desideriamo grande è ciò che meritiamo; è molto al di sotto il desiderio, molto superiore è il merito. Saggiamente la sposa si rallegra non poco di questo poco. Avendo infatti detto: Dimmi dove pascoli, dove riposi nel meriggio, (Ct 1, 6) ricevendo piccole cose invece di quelle immense, e in cambio del pasto meridiano offrendo un sacrificio vespertino non mormora affatto, né si rattrista, come d’ordinario succede, ma ringrazia, e in tutto si mostra più devota. Sa infatti che se sarà fedele nell’ombra della memoria, otterrà senza dubbio la luce della presenza. Pertanto Voi che vi ricordate del Signore, non tacete e non lasciatelo stare in silenzio (Is 62, 6-7). Poiché coloro che hanno presente il Signore non hanno bisogno di esortazione, e quello che dice un altro Profeta: Loda il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio o Sion (Sal 147, 1), sono parole di congratulazione, più che di ammonizione. Coloro che camminano nella fede hanno bisogno di essere ammoniti di tacere e di non lasciare stare in silenzio il Signore. Egli parla infatti, di pace per il Suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore (Sal 84, 9) , ascolterà quelli che ascoltano lui, e parlerà a quelli che parlano a lui. Diversamente, se tu taci, fai tacere anche lui. Non tacere dunque. Da che cosa? Dalla lode di Dio. Non tacete, e non dategli requie fino a che stabilisca sulla terra la lode di Gerusalemme. La lode di Gerusalemme è lode gioconda e decorosa. Non è possibile pensare che gli Angeli, cittadini di Gerusalemme, prendano piacere e si ingannino a vicenda in una lode vana.

Sia fatta la tua volontà, o Padre, come in cielo, così in terra (Mt 6, 10) affinché la lode di Gerusalemme sia stabilita sulla terra. E adesso che cosa c’è? In Gerusalemme un Angelo non cerca la sua gloria da un altro Angelo, e sulla terra l’uomo brama di essere lodato da un altro uomo? Esecrabile perversità! Ma lasciamola a coloro che ignorano Dio, a coloro che si sono dimenticati del Signore loro Dio (1 Cor 15, 34). Voi che vi ricordate del Signore, non tacete, non cessate di lodarlo, fino a che la sua lode si stabilisca e sia resa perfetta sulla terra. C’è infatti un silenzio irreprensibile, anzi, lodevole. C’è anche un discorso non buono. Altrimenti non avrebbe detto il Profeta: È buona cosa per l’uomo attendere in silenzio la salvezza di Dio (Lam 3, 26). È cosa buona tacere dalla millanteria, è buono astenersi dalla bestemmia, dalla mormorazione, dalla detrazione. Avviene che uno, esasperato da un lavoro lungo e faticoso, mormora dentro di sé, e giudica coloro che vigilano per la sua anima, consapevoli del conto che ne devono rendere. È questo un grido che rompe ogni silenzio, il grido di un animo indurito che fa tacere, in quanto non permette che venga percepita la voce della parola. Un altro, per la pusillanimità dello spirito, si lascia prendere dalla disperazione e questa è una bestemmia che non sarà rimessa né in questa vita, né nella futura. Un altro ancora s’inorgoglisce nel suo cuore e leva con superbia il suo sguardo, stimandosi più di quello che è, e dice: La mia mano potente (Dt 32, 27) , e pensa di essere qualche cosa, mentre non è nulla. Che cosa direbbe a costui Colui che parla di pace? Dice infatti: Tu dici: Io sono ricco, e non ho bisogno di nessuno (Ap 3, 17). Ora la Verità risponde così: Guai a voi, ricchi, perché avete la vostra consolazione (Lc 6, 24). E al contrario: Beati, dice, quelli che piangono, perché saranno consolati (Mt 5, 5). Tacciano dunque in noi la lingua maldicente, la lingua blasfema, la lingua millantatrice, perché è bene in questo triplice silenzio aspettare la salvezza di Dio, e dì così: Parla Signore, perché il tuo servo ti ascolta (1 Re 3, 10). Quelle parole in realtà non sono rivolte a Lui, ma contro di Lui, come diceva Mosè agli Ebrei che mormoravano: La vostra mormorazione non è contro di noi, ma contro il Signore (Es 16, 8).

Astieniti da tali parole, senza tuttavia tacere del tutto, per non costringere Dio al silenzio. Parla a lui accusandoti in umile confessione della tua vanità, onde ottenere perdono per le colpe passate. Parla ringraziando, invece della mormorazione, per ottenere una grazia più abbondante per il presente. Parla nell’ orazione, contro la diffidenza, per conseguire la gloria del futuro. Confessa, ripeto,i peccati passati, per i benefici presenti rendi grazie, e poi prega con più fervore per il futuro, di modo che anche Dio non taccia il suo perdono, non cessi di largire i suoi doni, e non venga meno nelle sue promesse. Non tacere tu, ripeto, e fa’ in modo che lui non stia in silenzio. Parla tu, affinché parli anche lui e possa dire: Il mio diletto è a me, e io a lui. Parola gioconda, parola dolce. Non è davvero parola di mormorazione, ma voce della tortora. E non dire: Come canteremo i canti del Signore in terra straniera? (Sal 136, 4). Ormai non sarà più considerata straniera quella di cui dice lo Sposo: La voce della tortora si è udita nella nostra terra (Ct 2, 12). L’aveva infatti sentito dire: Prendeteci le piccole volpi e forse per questo uscì in grido di esultanza, dicendo: Il mio Diletto è a me e io a lui. Davvero voce di tortora, che, con una singolare pudicizia resta fedele al suo compagno, sia vivo che morto, sicché né la morte, né la vita la separa dall’amore di Cristo. Considera infatti se ci sia qualche cosa che abbia potuto alienare questo diletto dalla sua amata, e impedirgli di restare fedele, anche qualora la diletta abbia peccato o gli abbia voltato le spalle. Ammassi di nuvole cercavano di offuscare i raggi del sole: così le nostre iniquità si frapponevano tra noi e Dio, minacciando di separarci da lui; ma il sole divenne caldo, e tutta quella nuvolaglia si è dissipata. Diversamente, quando mai saresti tornato da lui se egli non ti fosse rimasto fedele, se non avesse gridato: Ritorna, Sunamita, ritorna, ritorna, perché ti vediamo?. Sii dunque anche tu fedele a lui, e nessuna calamità o fatica ti faccia allontanare da lui.

Lotta con l’angelo, non soccombere, perché il regno di Dio patisce violenza e i violenti lo rapiscono (Mt 11, 12). Non lasciano forse intendere la lotta le parole: Il mio Diletto a me, e io a lui?Egli ti ha fatto conoscere il suo amore; mostragli anche il tuo. In molte cose infatti ti mette alla prova il Signore tuo Dio. Spesso se ne va, volta altrove la faccia, ma non perché sia adirato. È una prova, non segno di riprovazione. Il tuo Diletto ti ha sopportato; sopporta anche tu il tuo Diletto, sopporta, agisci virilmente. Non lo hanno vinto i tuoi peccati, anche tu non lasciarti vincere dai suoi flagelli, e otterrai la benedizione. Ma quando? Quando spunterà l’aurora, quando sarà finito il giorno, quando avrà stabilito la lode di Gerusalemme sulla terra. Ecco che un uomo lottava con Giacobbe fino al mattino (Gen 32, 24). Al mattino fammi sentire la tua misericordia, perché in te ho sperato, Signore. Non tacerò, non ti lascerò stare in silenzio fino al mattino, né digiuno, possibilmente. Tu ti degni in realtà pascerti, ma tra i gigli. Il mio diletto a me, e io a lui che si pasce tra gigli (Ct 2, 16). Veramente anche sopra, se ricordate, è stato chiaramente indicato che la voce della tortora si ode quando compariscono i fiori. Ma bada che vi è indicato il luogo, non il cibo, né vi è espresso di che cosa si pasce il Diletto, ma tra quali cose. Forse egli si pasce, non di cibo, ma della compagnia dei gigli, non si ciba di gigli, ma sta in mezzo a loro. E veramente i gigli piacciono più per il profumo che per il sapore, e sono adatti per essere veduti più che mangiati.

Così dunque si pasce (lo sposo) tra i gigli fino a che spiri la brezza del giorno, e alla bellezza dei fiori succeda l’abbondanza dei frutti. Nel frattempo è l’ora dei fiori, non dei frutti, mentre cioè siamo più nella speranza che nella realtà, e camminando nella fede e non nella visione, ci consoliamo più con la speranza che nell’ esperienza (dei beni eterni). Considera infine la delicatezza del fiore, e ricorda quello che dice l’Apostolo: Portiamo questo tesoro in vasi di creta. A quanti pericoli sono esposti i fiori. Come è facile per un giglio essere perforato dagli aculei delle spine! Giustamente canta il Diletto: Come giglio tra le spine, così la mia amica tra le fanciulle (Ct 2, 2). Non era tra le spine colui che diceva: Io ero pacifico in mezzo a coloro che detestavano la pace? (Sal 119, 7) Del resto, anche se il giusto germoglia come il giglio, lo sposo non si pasce presso un giglio solo, né si compiace della singolarità. Senti come egli dimori ove vi sono più gigli. Dove vi sono due o tre radunati in mio nome, mi trovo in mezzo a loro (Mt 18, 20). Gesù ama sempre il mezzo, il Figlio dell’uomo mediatore tra Dio e gli uomini, riprova sempre gli angoli, le pieghe. Il mio diletto è a me e io a lui che si pasce tra i gigli. Cerchiamo di avere gigli, fratelli, estirpiamo spine e triboli e affrettiamoci a sostituirli con gigli, perché si degni di pascersi anche tra noi qualora si degni di scendere a noi il Diletto.

Presso Maria egli si pasceva, e abbondantemente, a causa della moltitudine di gigli. Non era forse un giglio il decoro della verginità, l’ornamento dell’umiltà, la sovraeminenza della carità? Avremo anche noi dei gigli, anche se di molto inferiori. Ma neanche tra questi disdegnerà di pascersi lo sposo, a condizione che le azioni di grazie di cui abbiamo parlato, siano dotate di ilare devozione, che la nostra orazione sia resa accetta dalla purezza d’intenzione, e la nostra confessione ci avrà ottenuto, con il perdono, di fare candide le nostre vesti, come è scritto: Se i vostri peccati fossero come scarlatto, diverranno come la neve, e se fossero rossi come porpora, diverranno bianchi come la lana (Is 1, 18). Del resto, qualunque sia la cosa che ti disponi a offrire, ricordati di affidarla a Maria,onde per il medesimo canale per cui la grazia è discesa a noi, ritorni al largitore della grazia. A Dio infatti non mancavano mezzi per infonderci, come voleva, la sua grazia, anche senza questa acqua, ma egli ha voluto darci questo veicolo. Forse le tue mani sono sporche di sangue o infette di regali, perché non le hai tenute pure da ogni cupidigia. Dunque quel poco che desideri offrire, fallo passare per le mani degnissime e accettissime di Maria se non vuoi subire un rifiuto. Esse in realtà sono come candidissimi gigli; né avrà a ridire quell’amatore di gigli di non aver trovato tra i gigli qualsiasi cosa che egli avrà trovato tra le mani di Maria.


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