domenica 9 aprile 2017

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo


Mt. 26, 67 - 27, 10


Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: "Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?".
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!".
Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire".
Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno".
Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo".
Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".
Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò.
E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!". Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: "Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue". E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

Perché costoro trattano tanto oltraggiosamente Gesù, mentre si preparano a ucciderlo? Che bisogno c’è di tale crudele commedia, se non perché tu veda sotto tutti gli aspetti il loro insolente comportamento? Sembra infatti che, avendo finalmente nelle loro mani la preda, sfoghino il furore e la rabbia da cui sono posseduti, celebrando una specie di festa, alla quale si abbandonano con voluttà, dando prova del loro istinto sanguinario.
Ammirate, d’altra parte, la filosofia degli evangelisti, i quali riferiscono con precisione ogni circostanza. Qui si manifesta il loro amore per la verità: con tutta obiettività, infatti, essi narrano quello che in apparenza sembra ignominioso, senza nascondere nulla, senza vergognarsi, considerando anzi grandissima gloria – come di fatto è – che il Signore di tutta la terra abbia tollerato di patire tali obbrobriose sofferenze per amor nostro. Ciò manifesta la sua ineffabile carità e insieme l’imperdonabile malvagità dei suoi avversari, i quali osano trattare con tanta crudeltà Gesù, così dolce e mite, che ha parole tali da mutare un leone in agnello. Niente, difatti, niente tralascia Cristo per dimostrare la sua mansuetudine e, dal canto loro, i suoi avversari non trascurano niente di ciò che può essere violenza e crudeltà, sia negli atti sia nelle parole. Tutto questo era stato predetto in passato da Isaia, il quale in una sola frase aveva riassunto tale ignominiosa violenza: “Molti si turberanno, tanto il suo aspetto apparirà senza gloria al cospetto degli uomini, e la tua gloria tra i figli degli uomini”. Quale oltraggio è paragonabile a questo? Questo volto, che il mare guardò con timoroso rispetto e il sole non potrà contemplare sulla croce senza ritirare i suoi raggi, questo volto i nemici ora lo coprono di sputi, lo schiaffeggiano, lo percuotono, mettendo in atto senza moderazione, anzi con ogni eccesso, il loro furore. Gli infliggono difatti i colpi più insultanti, prendendolo a schiaffi e a pugni, e aggiungono a tali oltraggi l’insolente infamia degli sputi. Gli rivolgono, inoltre, parole piene di ingiuriosa derisione: “Indovinaci, Cristo, chi ti ha percosso?”. Gli parlano così, perché la moltitudine lo considera un profeta. Un altro evangelista  riferisce che l’offendono in questo modo, dopo aver ricoperto il suo volto con un panno, come se avessero tra loro un individuo ignobile e di nessuna considerazione. E non solo uomini liberi, ma anche gli schiavi si burlano di lui.


Leggiamo e rileggiamo spesso quanto l’evangelista narra, ascoltiamo come si deve il racconto di questi fatti e incidiamoli nella nostra mente, poiché sono la nostra nobiltà. Di questo, infatti, io mi vanto: non solo della risurrezione di molti morti, ma anche dei dolori e della passione che Cristo soffrì. Questo Paolo ricorda frequentemente nelle sue lettere: la croce, la morte, i dolori, gli insulti, le violenze, gli oltraggi. E ora dice: “Usciamo per andare a lui, sopportando la sua ignominia”, ora: “anziché il gaudio che gli stava dinanzi, preferì sopportare la croce, senza curarsi dell’ignominia”.
Pietro intanto se ne stava fuori nell’atrio; e s’avvicinò a lui una serva, dicendo: “Anche tu eri con Gesù, il galileo”. Ma egli lo negò dinanzi a tutti, dicendo: “Non so quel che tu dica”. E mentre si dirigeva verso il vestibolo per uscire, lo vide un’altra serva che disse a quelli che erano lì: “Anche costui era con Gesù, il nazareno”. Ma egli lo negò una seconda volta con giuramento: “Non conosco quell’uomo”. Poco dopo, quelli che erano lì si avvicinarono a Pietro e gli dissero: “Certamente anche tu devi essere di quelli; difatti anche la tua parlata ti dà a riconoscere”. Allora egli cominciò a imprecare e a spergiurare: “Io non conosco quell’uomo”. E subito il gallo cantò. Allora Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, pianse amaramente. Quali fatti nuovi e sorprendenti! Quando Pietro vede il Maestro appena catturato, arde di zelo a tal punto che taglia con la spada l’orecchio di un servo. Ora, invece, quando sarebbe naturale e logico sdegnarsi e infiammarsi e bruciare vedendo e sentendo quegli insulti, lo rinnega. Chi non s’accenderebbe di furioso sdegno per i fatti che ora stanno accadendo? Pietro, al contrario, vinto dalla paura, non solo non manifesta disapprovazione, ma rinnega il Maestro, non riuscendo a tollerare la minaccia di quella misera serva insignificante: e lo rinnega non una sola volta, ma una seconda e una terza, in un breve spazio di tempo, pur non essendo davanti ai giudici; egli, ora, si trova fuori: lo interrogano difatti mentre si dirige verso il vestibolo per uscire; e nemmeno si rende subito conto della sua colpa: Luca riferisce che Cristo guardò Pietro : in tal modo dimostra che l’apostolo non solo rinnega Gesù, ma neppure si accorge della sua caduta, sebbene il gallo abbia cantato; ha bisogno dell’ammonimento del Maestro: lo sguardo di Gesù è infatti per lui come una voce, tanto egli è preso dal timore. Marco, dal canto suo, narra che, dopo il primo rinnegamento, il gallo canta una prima volta e ripete poi il suo canto quando Pietro rinnega il Maestro la terza volta ; egli precisa con maggior esattezza la debolezza dell’apostolo, quasi morto dalla paura, avendolo appreso direttamente dal sua maestro, in quanto fu discepolo di Pietro. Per questo motivo si deve ammirare Marco: per il fatto, cioè, che non solo non ha omesso nella narrazione la colpa del suo maestro ma, essendo suo discepolo, l’ha descritta con maggiori particolari degli altri evangelisti.
Come, dunque, può essere vera la narrazione della vicenda, se Matteo riferisce queste parole rivolte da Cristo a Pietro: “Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte”, mentre Marco ci racconta che dopo il terzo rinnegamento di Pietro il gallo canta per la seconda volta? Vi posso assicurare che la narrazione è assolutamente vera e concorde. Siccome il gallo è solito lanciare tre o quattro volte il suo verso ogni volta che canta, Marco precisa questo dettaglio per mostrare che il canto del gallo non è valso a trattenere Pietro e a farlo rientrare in se stesso dopo il primo rinnegamento. Le versioni sono dunque ambedue esatte, in quanto il gallo non ha ancora terminato il suo primo canto che Pietro ha già rinnegato Cristo per la terza volta. E quando lo sguardo di Gesù lo rende consapevole della colpa commessa, egli non osa piangere al cospetto di tutti, nel timore che le sue lacrime lo accusino, ma, uscito fuori, pianse amaramente.
Venuta la mattina lo conducono da Caifa a Pilato . Siccome i sacerdoti e gli anziani del popolo hanno deciso di uccidere Gesù, ma non possono metterlo a morte a causa della festa di Pasqua, lo conducono dal governatore. Notate, vi prego, come le cose si dispongono in modo che l’uccisione di Cristo avvenga come era stata predetta in antico.
Allora Giuda il traditore, visto che era stato condannato, preso dal rimorso riportò i trenta denari . Questo era un atto di accusa di se stesso e dei sacerdoti. Giuda accusa se stesso, non perché si penta del suo tradimento, ma perché ormai è troppo tardi, e si autocondanna proclamando apertamente di aver consegnato Cristo. Accusa i sacerdoti e gli anziani del popolo perché essi, avendo la facoltà di cambiare i loro criminosi disegni, non decidono di farlo. Osservate come Giuda si penta del proprio tradimento solo quando il suo peccato è ormai consumato e non può più porvi rimedio. Così si comporta il demonio: non lascia vedere il male, quando non si è vigilanti, prima che sia irreparabile; così chi ne è vittima non può più pentirsi. Giuda, allorché Gesù gli rivolse tutti quegli avvertimenti, non si piegò; ora, quando il suo delitto è già perpetrato, comincia ad avere rimorso, ma, purtroppo, senza alcuna utilità. È certo un atto lodevole, quello che compie condannando se stesso, gettando via il denaro e dimostrando di non temere il popolo giudeo; ma l’impiccarsi è un gesto imperdonabile ed è opera del diavolo. Il maligno lo sottrae al rimorso per evitare che egli tragga vantaggio dal suo pentimento e, persuadendolo ad uccidersi, lo fa perire di una morte ignominiosa dinanzi a tutti. Considerate, vi prego, come la verità risplenda ovunque, trovando conferma anche in ciò che fanno e soffrono i nemici di cristo. La morte funesta del traditore chiude la bocca a quelli che hanno condannato Cristo e non lascia ad essi ombra di giustificazione, per impudente che sia. Cosa possono dire, quando il traditore pronuncia tale sentenza contro se stesso?
Ma vediamo le parole che egli dice: Riportò i trenta denari ai gran sacerdoti dicendo: “Ho peccato col tradire il sangue innocente”; ed essi gli risposero: “A noi che importa? Te la vedrai tu”. Ed egli, gettati i trenta denari nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi . Il traditore non può sopportare il tormento della coscienza. Osservate, d’altra parte, come i giudei portano ugualmente a compimento il delitto. Anch’essi, che pur dovevano pentirsi a causa dei rimorsi di cui soffrivano, non si fermano al primo passo, ma consumano il loro peccato. Il peccato di Giuda è ormai perpetrato, dato che si trattava del tradimento di Gesù; ma il delitto dei sacerdoti e degli anziani del popolo non è ancora completamente consumato. Tuttavia, non appena l’avranno compiuto, avranno cioè crocifisso Cristo, anch’essi verranno presi da turbamento e dapprima diranno a Pilato: “Non scrivere: Questo è il re dei giudei”. (Di che temete? Perché vi spaventate, essendo il suo corpo morto inchiodato alla croce?). In seguito metteranno una guardia al suo sepolcro, dicendo: “affinché non vengano i suoi discepoli a rubarlo e dicano: È risorto, e sia così l’ultimo inganno peggiore del primo”. Ma se l’affermazione dei discepoli non fosse vera, il fatto verrebbe confutato. E poi, come oserebbero impadronirsi del corpo del Signore coloro che non hanno osato rimanere presso di lui quando egli veniva catturato e quando Pietro, il loro capo, intimorito da una serva lo rinnegava tre volte? Ma, come vi dissi prima, i giudei si turbano; si rendono conto che l’azione commessa è un crimine, come lo dimostrano le parole da loro rivolte a Giuda: “Te la vedrai tu”.
O uomini avari, udite e ascoltate queste parole e considerate ciò che capita a Giuda: egli perde nello stesso tempo il suo denaro, commette un peccato, non gode il frutto della sua avarizia e perde infine la sua anima. La tirannia dell’avarizia è tale che non consente a Giuda di godere del suo denaro. Non trae vantaggio dalla vita presente né da quella futura, perde tutto in un istante e, vedendosi disonorato e disprezzato persino dai complici del suo delitto, si impicca. Ma, vi ripeto, vi sono alcuni che si rendono conto delle loro colpe solo dopo averle irrimediabilmente compiute. Osserva, dunque, come i giudei esitano ad approfondire troppo quanto hanno fatto e dicono a Giuda: “Te la vedrai tu”. Anche questo fatto rappresenta per loro una gravissima accusa: tale espressione, in realtà, è di persone che confermano l’azione temeraria e l’iniquità compiuta, ma che, come ubriacate dalla loro passione, non vogliono desistere dalla loro satanica impresa, e preferiscono insensatamente coprirsi col velo di una finta ignoranza. Se infatti costoro si esprimessero così dopo la crocifissione, dopo aver fatto morire Cristo, neppure allora tali parole avrebbero una giustificazione; tuttavia non li avrebbero condannati tanto quanto li condannano ora. Adesso che avete Cristo in vostro potere e siete padroni di liberarlo, come osate dire ciò? Queste parole sono, di fatto, la più grave accusa contro di voi. Perché? Come mai? Perché voi gettate ogni responsabilità sul traditore: “Te la vedrai tu” e, potendo rinunziare a uccidere Cristo, lasciandolo libero, portate a termine il delitto intrapreso, aggiungendo al tradimento la croce. Che cosa infatti impedisce a costoro, che dicono a Giuda: “Te la vedrai tu”, di desistere da tale crimine? Ora, invece, fanno il contrario, aggiungendo anche l’uccisione, e sia a fatti che a parole si avviluppano in mali inevitabili. In seguito, infatti, con l’autorizzazione di Pilato, essi preferiranno concedere la libertà a un bandito anziché a Gesù. Dichiareranno innocente un uomo, reo di innumerevoli delitti, e uccideranno invece Gesù che non ha fatto loro il benché minimo male, anzi li ha ricolmati di infiniti beni.
Che fa ora Giuda? Vedendo l’inutilità dei suoi sforzi e il rifiuto da parte dei sacerdoti di accettare il denaro, egli getta i denari d’argento nel tempio e, allontanatosi, va ad impiccarsi.Ma i grandi sacerdoti, raccolte quelle monete d’argento, dissero: “Non è lecito metterlo nel tesoro sacro, perché sono prezzo di sangue”. E tenuto consiglio, comprarono con essi il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Ecco perché quel campo è chiamato fino ad oggi “campo del sangue”. Allora si adempì ciò che era stato detto dal profeta Geremia: “Hanno preso i trenta denari d’argento, prezzo di colui che era stato mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come il Signore mi aveva comandato” . Osservate come costoro sono nuovamente condannati dalla loro coscienza. Sapendo infatti d’aver comperato l’uccisione di Cristo, non mettono il denaro del tradimento nel tesoro sacro del tempio, ma acquistano un campo per la sepoltura degli stranieri. Anche questo fatto diventa una testimonianza contro di loro, una prova manifesta del tradimento. Il nome stesso del luogo, con voce squillante di una tromba, proclama il delitto da loro commesso. E non fanno questo a caso, ma dopo aver tenuto consiglio; agiscono sempre così e, in tal modo, nessuno sfugge alla responsabilità del crimine: tutti sono ugualmente colpevoli. E ciò – notate – era stato predetto in passato dalla profezia. Osservate pure come non solo gli apostoli, ma altresì i profeti riferiscono con esattezza le sofferenze di Cristo e proclamano e predicono in tutti i dettagli la sua passione. La stessa cosa fanno, senza accorgersi, anche i giudei. Se infatti riponessero il denaro di Giuda nel tesoro sacro, non metterebbero tanto in risalto il fatto; ma ora, acquistando quel campo, essi rendono palese il loro operato anche alle generazioni future.
Ascoltate e fate attenzione, voi che credete di fare del bene con quanto ricavate dalle violenze commesse e ricevete il prezzo della vita degli uomini. Queste elemosine sono giudaiche o, meglio, sataniche. Anche oggigiorno, infatti, vi sono alcuni che dopo aver compiuto infinite rapine si ritengono completamente giustificati col dare dieci o anche cento monete d’oro in elemosine. A costoro si riferisce il profeta, dicendo: “Voi coprite di lacrime il mio altare”. Cristo non vuole essere nutrito con i proventi dell’avarizia; egli non accetta questo alimento. Perché offendi il Signore presentando offerte impure? Meglio sarebbe trascurare colui che si consuma dalla fame, piuttosto che dargli un tal genere di alimenti. Trascurarlo è atto di un uomo crudele; ma alla crudeltà si aggiunge anche l’insulto se gli si offre tal cibo. Meglio non dar nulla, piuttosto che dare agli altri i beni altrui.
Ditemi, vi prego: se vedete due uomini, uno nudo e l’altro vestito, non fareste un’ingiustizia spogliando colui che è vestito per rivestire quello che non lo è? Certo così voi commettereste una gravissima iniquità. Se tu dai a uno ciò che tu hai rubato a un altro, commetti un’ingiustizia e non fai elemosina; ma quale supplizio meriterai se, pur donando solo una minima parte di ciò che hai rapinato, chiami questo gesto elemosina? Se un tempo coloro che offrivano in sacrificio animali mutili venivano condannati, tu che ti comporti in modo peggiore, come puoi sperare di essere perdonato? Se un ladro agisce iniquamente quando, dopo aver rubato, restituisce al proprietario solo ciò che gli ha preso, e riesce appena ad espiare il suo crimine, aggiungendo il quadruplo di quanto ha rubato, e ciò sotto l’antica legge, pensa quanto fuoco accumula sul suo capo chi non solo ruba, ma lo fa con violenza e, senza restituire al proprietario ciò che ha preso, lo dà a un altro, e non rende il quadruplo, ma neppure la metà – e appunto non vive più sotto l’antica legge, ma sotto la nuova. Se costui non viene punito in questo mondo, devi compiangerlo, perché accumula per sé un tesoro d’ira ancor più grande, se non fa penitenza: “E quelli sui quali cadde la torre, credete voi che fossero i soli colpevoli? No, vi dico; ma se non vi ravvedete, tutti egualmente perirete”.
Ravvediamoci, dunque, e facciamo elemosina, esente da ogni avarizia, e doniamo ai poveri con generosità. Ricordatevi che un tempo i giudei alimentavano tutti i giorni ottomila leviti e, con essi, le vedove e gli orfani, senza parlare degli altri oneri che erano loro imposti; oltre a questo, dovevano prestare servizio militare. Ma, ora, la Chiesa possiede terre, case, affittanze, carri, muli e molti altri simili beni materiali, costretta a ciò dalla vostra crudeltà. Converrebbe, infatti, che questo tesoro della Chiesa fosse nelle vostre mani e che essa ne ricevesse il frutto dalla vostra buona volontà e generosità. Ora, invece, dal possesso di tali beni derivano due assurdi inconvenienti: voi rimanete senza frutti, e i sacerdoti di Dio trattano cose che non sono di loro competenza. Non era forse possibile che case e campi rimanessero in possesso degli apostoli? Perché allora essi li vendevano, e distribuivano il ricavato? Perché ciò era la cosa migliore.
Ora, al contrario un grave timore ha preso i vostri padri. Essendo voi dominati da un furioso e smodato desiderio dei beni temporali e occupati a raccogliere senza seminare, la moltitudine delle vedove, degli orfani e delle vergini finiva col morire di fame: perciò essi sono stati costretti ad avere dei beni. Essi non volevano darsi a questi traffici poco onorevoli, ma desideravano che la vostra buona volontà costituisse un capitale, da cui poter raccogliere i frutti, mentre essi si sarebbero dedicati esclusivamente alla preghiera. Voi, invece, li avete obbligati a imitare coloro che si occupano di uffici pubblici e di affari privati: di qui si è prodotta una confusione senza limiti. Se, infatti, anche noi come voi ci occupiamo degli stessi affari terreni, chi placherà Dio?Per questo non possiamo aprir bocca: gli ecclesiastici, in pratica, non sono per nulla migliori degli uomini di mondo. Non avete sentito che gli apostoli non accettarono neppure di distribuire essi stessi il denaro raccolto senza tanti traffici? Oggi, invece, i vescovi sono schiacciati dalle preoccupazioni materiali ancor più degli amministratori, degli economi, dei commercianti e, mentre dovrebbero occuparsi ed essere solleciti unicamente delle vostre anime, sono presi dalle stesse attività e dagli stessi affanni per cui si agitano gli esattori delle imposte, gli agenti del fisco, i ragionieri, i sovrintendenti alle finanze: per queste cose ogni giorno si rompono la testa.
Non dico ciò semplicemente per lamentarmi, ma perché avvenga qualche cambiamento in meglio e s’introduca qualche rimedio; perché noi, sottoposti come ora siamo a così dura schiavitù, riusciamo a ottenere un po’ di misericordia e voi siate per la Chiesa la sua rendita e il suo tesoro. Se voi non volete, ecco i poveri dinanzi ai vostri occhi: quanti noi potremo soddisfare, non tralasceremo di nutrire; ma quelli che non riusciremo ad assistere, li invieremo a voi, onde evitarvi di udire in quel tremendo giorno le parole rivolte a quanti non hanno avuto misericordia e si sono comportati con crudeltà: “Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare”. Certo, questa disumanità rende anche noi ridicoli insieme a voi. Trascurando infatti le preghiere, l’insegnamento e ogni altra attività sacra, alcuni uomini della Chiesa passano tutto il tempo in discussioni coi mercanti di grano, con i commercianti di vino, e con i venditori di altre derrate. Di qui sorgono liti, contrasti, e s’intrecciano ogni giorno le più varie e grossolane ingiurie. Ecco donde provengono quei nomi attribuiti a ciascun sacerdote, nomi che si addicono piuttosto agli affari mondani che essi trattano. Dovrebbero, al contrario, essere chiamati solo con i nomi derivanti da quelle attività stabilite dagli apostoli: cioè dal sostentamento dei poveri, dal patrocinio degli offesi, il ricovero dei pellegrini e degli stranieri, l’aiuto agli oppressi, l’assistenza agli orfani, la difesa delle vedove, la protezione delle vergini. Ecco gli uffici che dovrebbero essere assegnati ai sacerdoti, in luogo dei preoccupanti impegni relativi a terreni e costruzioni. Questi sono i cimeli della Chiesa; questi i tesori che più le si addicono e che a noi procurano grande facilità nell’assistenza, a voi vantaggio, anzi facilità e vantaggio insieme. Per la grazia di Dio io calcolo infatti che le persone che si riuniscono qui siano circa centomila; orbene se ciascuno si privasse soltanto di un obolo, nessuno sarebbe povero, e noi sacerdoti non saremmo più esposti a tanti biasimi e scherni, che ci tiriamo addosso per il nostro attaccamento ai beni materiali. Sarebbe opportuno ripetere oggi ai sacerdoti, riguardo ai beni della Chiesa, ciò che il signore disse un giorno: “Vendi le tue ricchezze, e dalle ai poveri, e seguimi”. Non è possibile altrimenti seguire il Signore come si deve, se non siamo liberi da ogni preoccupazione troppo grossolana e terrena. Ora, invece, i sacerdoti di Dio assistono alla vendemmia e alla mietitura e si danno un gran da fare per l’acquisto e la vendita dei prodotti. I sacerdoti giudei, il cui servizio di culto era rivolto semplicemente all’immagine delle realtà attuali, erano esenti da tutte queste attività, nonostante si dedicassero a una liturgia alquanto carnale. Noi che siamo chiamati invece a entrare nello stesso santuario dei cieli e penetriamo nel vero Sancta Sanctorum, ci sobbarchiamo alle preoccupazioni e agli affanni dei commercianti e degli uomini d’affari. Ecco donde derivano la grave trascuratezza delle Scritture, la tiepidezza dello spirito d’orazione, l’atrofia di tutta la vita spirituale. È impossibile, infatti, che l’uomo si dividatra le cure terrene e gli impegni spirituali, dedicandosi a entrambi con adeguato impegno. Ecco perché vi prego e vi scongiuro di far scaturire sempre e ovunque per noi abbondanti sorgenti e di far diventare la vostra aia e il vostro torchio uno stimolo per noi: così i poveri saranno più facilmente nutriti, Dio sarà glorificato, e voi, progredendo sempre più nelle opere di misericordia, otterrete anche i beni eterni, che io auguro a tutti noi di possedere un giorno per la grazia e l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. A lui la gloria per i secoli dei secoli. Amen.


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