Mt. 26, 67 - 27, 10
Allora
gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano,
dicendo: "Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?".
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!".
Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire".
Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno".
Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo".
Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".
Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò.
E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!".
Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire".
Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno".
Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo".
Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".
Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò.
E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
…
Venuto
il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero
consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo
condussero e consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda, il
traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e
riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani
dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente".
Ma quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!". Ed
egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò
ad impiccarsi.Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero:
"Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di
sangue". E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del
vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu
denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi. Allora
si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero
trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di
Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del
vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.
Perché
costoro trattano tanto oltraggiosamente Gesù, mentre si preparano a
ucciderlo? Che bisogno c’è di tale crudele commedia, se non perché
tu veda sotto tutti gli aspetti il loro insolente comportamento?
Sembra infatti che, avendo finalmente nelle loro mani la preda,
sfoghino il furore e la rabbia da cui sono posseduti, celebrando una
specie di festa, alla quale si abbandonano con voluttà, dando prova
del loro istinto sanguinario.
Ammirate,
d’altra parte, la filosofia degli evangelisti, i quali riferiscono
con precisione ogni circostanza. Qui si manifesta il loro amore per
la verità: con tutta obiettività, infatti, essi narrano quello che
in apparenza sembra ignominioso, senza nascondere nulla, senza
vergognarsi, considerando anzi grandissima gloria – come di fatto è
– che il Signore di tutta la terra abbia tollerato di patire tali
obbrobriose sofferenze per amor nostro. Ciò manifesta la sua
ineffabile carità e insieme l’imperdonabile malvagità dei suoi
avversari, i quali osano trattare con tanta crudeltà Gesù, così
dolce e mite, che ha parole tali da mutare un leone in agnello.
Niente, difatti, niente tralascia Cristo per dimostrare la sua
mansuetudine e, dal canto loro, i suoi avversari non trascurano
niente di ciò che può essere violenza e crudeltà, sia negli atti
sia nelle parole. Tutto questo era stato predetto in passato da
Isaia, il quale in una sola frase aveva riassunto tale ignominiosa
violenza: “Molti si turberanno, tanto il suo aspetto apparirà
senza gloria al cospetto degli uomini, e la tua gloria tra i figli
degli uomini”. Quale oltraggio è paragonabile a questo? Questo
volto, che il mare guardò con timoroso rispetto e il sole non potrà
contemplare sulla croce senza ritirare i suoi raggi, questo volto i
nemici ora lo coprono di sputi, lo schiaffeggiano, lo percuotono,
mettendo in atto senza moderazione, anzi con ogni eccesso, il loro
furore. Gli infliggono difatti i colpi più insultanti, prendendolo a
schiaffi e a pugni, e aggiungono a tali oltraggi l’insolente
infamia degli sputi. Gli rivolgono, inoltre, parole piene di
ingiuriosa derisione: “Indovinaci, Cristo, chi ti ha percosso?”.
Gli parlano così, perché la moltitudine lo considera un profeta. Un
altro evangelista riferisce che l’offendono in questo
modo, dopo aver ricoperto il suo volto con un panno, come se avessero
tra loro un individuo ignobile e di nessuna considerazione. E non
solo uomini liberi, ma anche gli schiavi si burlano di lui.
Leggiamo
e rileggiamo spesso quanto l’evangelista narra, ascoltiamo come si
deve il racconto di questi fatti e incidiamoli nella nostra mente,
poiché sono la nostra nobiltà. Di questo, infatti, io mi vanto: non
solo della risurrezione di molti morti, ma anche dei dolori e della
passione che Cristo soffrì. Questo Paolo ricorda frequentemente
nelle sue lettere: la croce, la morte, i dolori, gli insulti, le
violenze, gli oltraggi. E ora dice: “Usciamo per andare a lui,
sopportando la sua ignominia”, ora: “anziché il gaudio che gli
stava dinanzi, preferì sopportare la croce, senza curarsi
dell’ignominia”.
Pietro
intanto se ne stava fuori nell’atrio; e s’avvicinò a lui una
serva, dicendo: “Anche tu eri con Gesù, il galileo”. Ma egli lo
negò dinanzi a tutti, dicendo: “Non so quel che tu dica”. E
mentre si dirigeva verso il vestibolo per uscire, lo vide un’altra
serva che disse a quelli che erano lì: “Anche costui era con Gesù,
il nazareno”. Ma egli lo negò una seconda volta con giuramento:
“Non conosco quell’uomo”. Poco dopo, quelli che erano lì si
avvicinarono a Pietro e gli dissero: “Certamente anche tu devi
essere di quelli; difatti anche la tua parlata ti dà a riconoscere”.
Allora egli cominciò a imprecare e a spergiurare: “Io non conosco
quell’uomo”. E subito il gallo cantò. Allora Pietro si ricordò
della parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che il gallo canti,
mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, pianse amaramente.
Quali fatti nuovi e sorprendenti! Quando Pietro vede il Maestro
appena catturato, arde di zelo a tal punto che taglia con la spada
l’orecchio di un servo. Ora, invece, quando sarebbe naturale e
logico sdegnarsi e infiammarsi e bruciare vedendo e sentendo quegli
insulti, lo rinnega. Chi non s’accenderebbe di furioso sdegno per i
fatti che ora stanno accadendo? Pietro, al contrario, vinto dalla
paura, non solo non manifesta disapprovazione, ma rinnega il Maestro,
non riuscendo a tollerare la minaccia di quella misera serva
insignificante: e lo rinnega non una sola volta, ma una seconda e una
terza, in un breve spazio di tempo, pur non essendo davanti ai
giudici; egli, ora, si trova fuori: lo interrogano difatti mentre si
dirige verso il vestibolo per uscire; e nemmeno si rende subito conto
della sua colpa: Luca riferisce che Cristo guardò Pietro : in
tal modo dimostra che l’apostolo non solo rinnega Gesù, ma neppure
si accorge della sua caduta, sebbene il gallo abbia cantato; ha
bisogno dell’ammonimento del Maestro: lo sguardo di Gesù è
infatti per lui come una voce, tanto egli è preso dal timore. Marco,
dal canto suo, narra che, dopo il primo rinnegamento, il gallo canta
una prima volta e ripete poi il suo canto quando Pietro rinnega il
Maestro la terza volta ; egli precisa con maggior esattezza la
debolezza dell’apostolo, quasi morto dalla paura, avendolo appreso
direttamente dal sua maestro, in quanto fu discepolo di Pietro. Per
questo motivo si deve ammirare Marco: per il fatto, cioè, che non
solo non ha omesso nella narrazione la colpa del suo maestro ma,
essendo suo discepolo, l’ha descritta con maggiori particolari
degli altri evangelisti.
Come,
dunque, può essere vera la narrazione della vicenda, se Matteo
riferisce queste parole rivolte da Cristo a Pietro: “Prima che il
gallo canti mi rinnegherai tre volte”, mentre Marco ci racconta che
dopo il terzo rinnegamento di Pietro il gallo canta per la seconda
volta? Vi posso assicurare che la narrazione è assolutamente vera e
concorde. Siccome il gallo è solito lanciare tre o quattro volte il
suo verso ogni volta che canta, Marco precisa questo dettaglio per
mostrare che il canto del gallo non è valso a trattenere Pietro e a
farlo rientrare in se stesso dopo il primo rinnegamento. Le versioni
sono dunque ambedue esatte, in quanto il gallo non ha ancora
terminato il suo primo canto che Pietro ha già rinnegato Cristo per
la terza volta. E quando lo sguardo di Gesù lo rende consapevole
della colpa commessa, egli non osa piangere al cospetto di tutti, nel
timore che le sue lacrime lo accusino, ma, uscito fuori, pianse
amaramente.
Venuta
la mattina lo conducono da Caifa a Pilato .
Siccome i sacerdoti e gli anziani del popolo hanno deciso di uccidere
Gesù, ma non possono metterlo a morte a causa della festa di Pasqua,
lo conducono dal governatore. Notate, vi prego, come le cose si
dispongono in modo che l’uccisione di Cristo avvenga come era stata
predetta in antico.
Allora
Giuda il traditore, visto che era stato condannato, preso dal rimorso
riportò i trenta denari .
Questo era un atto di accusa di se stesso e dei sacerdoti. Giuda
accusa se stesso, non perché si penta del suo tradimento, ma perché
ormai è troppo tardi, e si autocondanna proclamando apertamente di
aver consegnato Cristo. Accusa i sacerdoti e gli anziani del popolo
perché essi, avendo la facoltà di cambiare i loro criminosi
disegni, non decidono di farlo. Osservate come Giuda si penta del
proprio tradimento solo quando il suo peccato è ormai consumato e
non può più porvi rimedio. Così si comporta il demonio: non lascia
vedere il male, quando non si è vigilanti, prima che sia
irreparabile; così chi ne è vittima non può più pentirsi. Giuda,
allorché Gesù gli rivolse tutti quegli avvertimenti, non si piegò;
ora, quando il suo delitto è già perpetrato, comincia ad avere
rimorso, ma, purtroppo, senza alcuna utilità. È certo un atto
lodevole, quello che compie condannando se stesso, gettando via il
denaro e dimostrando di non temere il popolo giudeo; ma l’impiccarsi
è un gesto imperdonabile ed è opera del diavolo. Il maligno lo
sottrae al rimorso per evitare che egli tragga vantaggio dal suo
pentimento e, persuadendolo ad uccidersi, lo fa perire di una morte
ignominiosa dinanzi a tutti. Considerate, vi prego, come la verità
risplenda ovunque, trovando conferma anche in ciò che fanno e
soffrono i nemici di cristo. La morte funesta del traditore chiude la
bocca a quelli che hanno condannato Cristo e non lascia ad essi ombra
di giustificazione, per impudente che sia. Cosa possono dire, quando
il traditore pronuncia tale sentenza contro se stesso?
Ma
vediamo le parole che egli dice: Riportò i trenta denari ai gran
sacerdoti dicendo: “Ho
peccato col tradire il sangue innocente”; ed essi gli risposero: “A
noi che importa? Te la vedrai tu”. Ed egli, gettati i trenta denari
nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi .
Il traditore non può sopportare il tormento della coscienza.
Osservate, d’altra parte, come i giudei portano ugualmente a
compimento il delitto. Anch’essi, che pur dovevano pentirsi a causa
dei rimorsi di cui soffrivano, non si fermano al primo passo, ma
consumano il loro peccato. Il peccato di Giuda è ormai perpetrato,
dato che si trattava del tradimento di Gesù; ma il delitto dei
sacerdoti e degli anziani del popolo non è ancora completamente
consumato. Tuttavia, non appena l’avranno compiuto, avranno cioè
crocifisso Cristo, anch’essi verranno presi da turbamento e
dapprima diranno a Pilato: “Non scrivere: Questo è il re dei
giudei”. (Di che temete? Perché vi spaventate, essendo il suo
corpo morto inchiodato alla croce?). In seguito metteranno una
guardia al suo sepolcro, dicendo: “affinché non vengano i suoi
discepoli a rubarlo e dicano: È risorto, e sia così l’ultimo
inganno peggiore del primo”. Ma se l’affermazione dei discepoli
non fosse vera, il fatto verrebbe confutato. E poi, come oserebbero
impadronirsi del corpo del Signore coloro che non hanno osato
rimanere presso di lui quando egli veniva catturato e quando Pietro,
il loro capo, intimorito da una serva lo rinnegava tre volte? Ma,
come vi dissi prima, i giudei si turbano; si rendono conto che
l’azione commessa è un crimine, come lo dimostrano le parole da
loro rivolte a Giuda: “Te la vedrai tu”.
O
uomini avari, udite e ascoltate queste parole e considerate ciò che
capita a Giuda: egli perde nello stesso tempo il suo denaro, commette
un peccato, non gode il frutto della sua avarizia e perde infine la
sua anima. La tirannia dell’avarizia è tale che non consente a
Giuda di godere del suo denaro. Non trae vantaggio dalla vita
presente né da quella futura, perde tutto in un istante e, vedendosi
disonorato e disprezzato persino dai complici del suo delitto, si
impicca. Ma, vi ripeto, vi sono alcuni che si rendono conto delle
loro colpe solo dopo averle irrimediabilmente compiute. Osserva,
dunque, come i giudei esitano ad approfondire troppo quanto hanno
fatto e dicono a Giuda: “Te la vedrai tu”. Anche questo fatto
rappresenta per loro una gravissima accusa: tale espressione, in
realtà, è di persone che confermano l’azione temeraria e
l’iniquità compiuta, ma che, come ubriacate dalla loro passione,
non vogliono desistere dalla loro satanica impresa, e preferiscono
insensatamente coprirsi col velo di una finta ignoranza. Se infatti
costoro si esprimessero così dopo la crocifissione, dopo aver fatto
morire Cristo, neppure allora tali parole avrebbero una
giustificazione; tuttavia non li avrebbero condannati tanto quanto li
condannano ora. Adesso che avete Cristo in vostro potere e siete
padroni di liberarlo, come osate dire ciò? Queste parole sono, di
fatto, la più grave accusa contro di voi. Perché? Come mai? Perché
voi gettate ogni responsabilità sul traditore: “Te la vedrai tu”
e, potendo rinunziare a uccidere Cristo, lasciandolo libero, portate
a termine il delitto intrapreso, aggiungendo al tradimento la croce.
Che cosa infatti impedisce a costoro, che dicono a Giuda: “Te la
vedrai tu”, di desistere da tale crimine? Ora, invece, fanno il
contrario, aggiungendo anche l’uccisione, e sia a fatti che a
parole si avviluppano in mali inevitabili. In seguito, infatti, con
l’autorizzazione di Pilato, essi preferiranno concedere la libertà
a un bandito anziché a Gesù. Dichiareranno innocente un uomo, reo
di innumerevoli delitti, e uccideranno invece Gesù che non ha fatto
loro il benché minimo male, anzi li ha ricolmati di infiniti beni.
Che
fa ora Giuda? Vedendo l’inutilità dei suoi sforzi e il rifiuto da
parte dei sacerdoti di accettare il denaro, egli getta i denari
d’argento nel tempio e, allontanatosi, va ad impiccarsi.Ma
i grandi sacerdoti, raccolte quelle monete d’argento, dissero: “Non
è lecito metterlo nel tesoro sacro, perché sono prezzo di sangue”.
E tenuto consiglio, comprarono con essi il campo del vasaio per la
sepoltura degli stranieri. Ecco perché quel campo è chiamato fino
ad oggi “campo del sangue”. Allora si adempì ciò che era stato
detto dal profeta Geremia: “Hanno preso i trenta denari d’argento,
prezzo di colui che era stato mercanteggiato, e li diedero per il
campo del vasaio, come il Signore mi aveva comandato” .
Osservate come costoro sono nuovamente condannati dalla loro
coscienza. Sapendo infatti d’aver comperato l’uccisione di
Cristo, non mettono il denaro del tradimento nel tesoro sacro del
tempio, ma acquistano un campo per la sepoltura degli stranieri.
Anche questo fatto diventa una testimonianza contro di loro, una
prova manifesta del tradimento. Il nome stesso del luogo, con voce
squillante di una tromba, proclama il delitto da loro commesso. E non
fanno questo a caso, ma dopo aver tenuto consiglio; agiscono sempre
così e, in tal modo, nessuno sfugge alla responsabilità del
crimine: tutti sono ugualmente colpevoli. E ciò – notate – era
stato predetto in passato dalla profezia. Osservate pure come non
solo gli apostoli, ma altresì i profeti riferiscono con esattezza le
sofferenze di Cristo e proclamano e predicono in tutti i dettagli la
sua passione. La stessa cosa fanno, senza accorgersi, anche i giudei.
Se infatti riponessero il denaro di Giuda nel tesoro sacro, non
metterebbero tanto in risalto il fatto; ma ora, acquistando quel
campo, essi rendono palese il loro operato anche alle generazioni
future.
Ascoltate
e fate attenzione, voi che credete di fare del bene con quanto
ricavate dalle violenze commesse e ricevete il prezzo della vita
degli uomini. Queste elemosine sono giudaiche o, meglio, sataniche.
Anche oggigiorno, infatti, vi sono alcuni che dopo aver compiuto
infinite rapine si ritengono completamente giustificati col dare
dieci o anche cento monete d’oro in elemosine. A costoro si
riferisce il profeta, dicendo: “Voi coprite di lacrime il mio
altare”. Cristo non vuole essere nutrito con i proventi
dell’avarizia; egli non accetta questo alimento. Perché offendi il
Signore presentando offerte impure? Meglio sarebbe trascurare colui
che si consuma dalla fame, piuttosto che dargli un tal genere di
alimenti. Trascurarlo è atto di un uomo crudele; ma alla crudeltà
si aggiunge anche l’insulto se gli si offre tal cibo. Meglio non
dar nulla, piuttosto che dare agli altri i beni altrui.
Ditemi,
vi prego: se vedete due uomini, uno nudo e l’altro vestito, non
fareste un’ingiustizia spogliando colui che è vestito per
rivestire quello che non lo è? Certo così voi commettereste una
gravissima iniquità. Se tu dai a uno ciò che tu hai rubato a un
altro, commetti un’ingiustizia e non fai elemosina; ma quale
supplizio meriterai se, pur donando solo una minima parte di ciò che
hai rapinato, chiami questo gesto elemosina? Se un tempo coloro che
offrivano in sacrificio animali mutili venivano condannati, tu che ti
comporti in modo peggiore, come puoi sperare di essere perdonato? Se
un ladro agisce iniquamente quando, dopo aver rubato, restituisce al
proprietario solo ciò che gli ha preso, e riesce appena ad espiare
il suo crimine, aggiungendo il quadruplo di quanto ha rubato, e ciò
sotto l’antica legge, pensa quanto fuoco accumula sul suo capo chi
non solo ruba, ma lo fa con violenza e, senza restituire al
proprietario ciò che ha preso, lo dà a un altro, e non rende il
quadruplo, ma neppure la metà – e appunto non vive più sotto
l’antica legge, ma sotto la nuova. Se costui non viene punito in
questo mondo, devi compiangerlo, perché accumula per sé un tesoro
d’ira ancor più grande, se non fa penitenza: “E quelli sui quali
cadde la torre, credete voi che fossero i soli colpevoli? No, vi
dico; ma se non vi ravvedete, tutti egualmente perirete”.
Ravvediamoci,
dunque, e facciamo elemosina, esente da ogni avarizia, e doniamo ai
poveri con generosità. Ricordatevi che un tempo i giudei
alimentavano tutti i giorni ottomila leviti e, con essi, le vedove e
gli orfani, senza parlare degli altri oneri che erano loro imposti;
oltre a questo, dovevano prestare servizio militare. Ma, ora, la
Chiesa possiede terre, case, affittanze, carri, muli e molti altri
simili beni materiali, costretta a ciò dalla vostra crudeltà.
Converrebbe, infatti, che questo tesoro della Chiesa fosse nelle
vostre mani e che essa ne ricevesse il frutto dalla vostra buona
volontà e generosità. Ora, invece, dal possesso di tali beni
derivano due assurdi inconvenienti: voi rimanete senza frutti, e i
sacerdoti di Dio trattano cose che non sono di loro competenza. Non
era forse possibile che case e campi rimanessero in possesso degli
apostoli? Perché allora essi li vendevano, e distribuivano il
ricavato? Perché ciò era la cosa migliore.
Ora,
al contrario un grave timore ha preso i vostri padri. Essendo voi
dominati da un furioso e smodato desiderio dei beni temporali e
occupati a raccogliere senza seminare, la moltitudine delle vedove,
degli orfani e delle vergini finiva col morire di fame: perciò essi
sono stati costretti ad avere dei beni. Essi non volevano darsi a
questi traffici poco onorevoli, ma desideravano che la vostra buona
volontà costituisse un capitale, da cui poter raccogliere i frutti,
mentre essi si sarebbero dedicati esclusivamente alla preghiera. Voi,
invece, li avete obbligati a imitare coloro che si occupano di uffici
pubblici e di affari privati: di qui si è prodotta una confusione
senza limiti. Se, infatti, anche noi come voi ci occupiamo degli
stessi affari terreni, chi placherà Dio?Per questo non possiamo
aprir bocca: gli ecclesiastici, in pratica, non sono per nulla
migliori degli uomini di mondo. Non avete sentito che gli apostoli
non accettarono neppure di distribuire essi stessi il denaro raccolto
senza tanti traffici? Oggi, invece, i vescovi sono schiacciati dalle
preoccupazioni materiali ancor più degli amministratori, degli
economi, dei commercianti e, mentre dovrebbero occuparsi ed essere
solleciti unicamente delle vostre anime, sono presi dalle stesse
attività e dagli stessi affanni per cui si agitano gli esattori
delle imposte, gli agenti del fisco, i ragionieri, i sovrintendenti
alle finanze: per queste cose ogni giorno si rompono la testa.
Non
dico ciò semplicemente per lamentarmi, ma perché avvenga qualche
cambiamento in meglio e s’introduca qualche rimedio; perché noi,
sottoposti come ora siamo a così dura schiavitù, riusciamo a
ottenere un po’ di misericordia e voi siate per la Chiesa la sua
rendita e il suo tesoro. Se voi non volete, ecco i poveri dinanzi ai
vostri occhi: quanti noi potremo soddisfare, non tralasceremo di
nutrire; ma quelli che non riusciremo ad assistere, li invieremo a
voi, onde evitarvi di udire in quel tremendo giorno le parole rivolte
a quanti non hanno avuto misericordia e si sono comportati con
crudeltà: “Mi avete visto affamato e non mi avete dato da
mangiare”. Certo, questa disumanità rende anche noi ridicoli
insieme a voi. Trascurando infatti le preghiere, l’insegnamento e
ogni altra attività sacra, alcuni uomini della Chiesa passano tutto
il tempo in discussioni coi mercanti di grano, con i commercianti di
vino, e con i venditori di altre derrate. Di qui sorgono liti,
contrasti, e s’intrecciano ogni giorno le più varie e grossolane
ingiurie. Ecco donde provengono quei nomi attribuiti a ciascun
sacerdote, nomi che si addicono piuttosto agli affari mondani che
essi trattano. Dovrebbero, al contrario, essere chiamati solo con i
nomi derivanti da quelle attività stabilite dagli apostoli: cioè
dal sostentamento dei poveri, dal patrocinio degli offesi, il
ricovero dei pellegrini e degli stranieri, l’aiuto agli oppressi,
l’assistenza agli orfani, la difesa delle vedove, la protezione
delle vergini. Ecco gli uffici che dovrebbero essere assegnati ai
sacerdoti, in luogo dei preoccupanti impegni relativi a terreni e
costruzioni. Questi sono i cimeli della Chiesa; questi i tesori che
più le si addicono e che a noi procurano grande facilità
nell’assistenza, a voi vantaggio, anzi facilità e vantaggio
insieme. Per la grazia di Dio io calcolo infatti che le persone che
si riuniscono qui siano circa centomila; orbene se ciascuno si
privasse soltanto di un obolo, nessuno sarebbe povero, e noi
sacerdoti non saremmo più esposti a tanti biasimi e scherni, che ci
tiriamo addosso per il nostro attaccamento ai beni materiali. Sarebbe
opportuno ripetere oggi ai sacerdoti, riguardo ai beni della Chiesa,
ciò che il signore disse un giorno: “Vendi le tue ricchezze, e
dalle ai poveri, e seguimi”. Non è possibile altrimenti seguire il
Signore come si deve, se non siamo liberi da ogni preoccupazione
troppo grossolana e terrena. Ora, invece, i sacerdoti di Dio
assistono alla vendemmia e alla mietitura e si danno un gran da fare
per l’acquisto e la vendita dei prodotti. I sacerdoti giudei, il
cui servizio di culto era rivolto semplicemente all’immagine delle
realtà attuali, erano esenti da tutte queste attività, nonostante
si dedicassero a una liturgia alquanto carnale. Noi che siamo
chiamati invece a entrare nello stesso santuario dei cieli e
penetriamo nel vero Sancta Sanctorum, ci sobbarchiamo alle
preoccupazioni e agli affanni dei commercianti e degli uomini
d’affari. Ecco donde derivano la grave trascuratezza delle
Scritture, la tiepidezza dello spirito d’orazione, l’atrofia di
tutta la vita spirituale. È impossibile, infatti, che l’uomo si
dividatra le cure terrene e gli impegni spirituali, dedicandosi a
entrambi con adeguato impegno. Ecco perché vi prego e vi scongiuro
di far scaturire sempre e ovunque per noi abbondanti sorgenti e di
far diventare la vostra aia e il vostro torchio uno stimolo per noi:
così i poveri saranno più facilmente nutriti, Dio sarà
glorificato, e voi, progredendo sempre più nelle opere di
misericordia, otterrete anche i beni eterni, che io auguro a tutti
noi di possedere un giorno per la grazia e l’amore di Gesù Cristo,
nostro Signore. A lui la gloria per i secoli dei secoli. Amen.
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