Mc 1, 40-45
Stranezza
Possiamo considerare adesso un fatto strano, uno dei
tanti che si incontrano nel Vangelo e nella vita. La stranezza è nel
contrasto fra il comportamento che umanamente avrebbe chi passa da
una malattia grave alla completa guarigione, dalla desolazione alla
consolazione, dalla morte alla vita, e il comportamento che invece
Gesù con severità chiede a colui che ha appena beneficato.
Umanamente parlando sembrerebbe naturale e giusto che il lebbroso
esulti per la sua guarigione, che racconti a tutti il cambiamento
straordinario avvenuto nella sua vita e diffonda la fama di colui che
possiede una bontà e un potere così grandi. Gesù invece con
severità gli ordina di non dire niente a nessuno e di andare dal
sacerdote a compiere il rito di purificazione previsto dalla legge.
L'esito di questo contrasto non è secondo le indicazioni del
Signore, ma secondo le inclinazioni naturali dell'uomo appena
guarito, il quale non prende minimamente in considerazione le severe
parole di Gesù. Evidentemente il lebbroso era stato guarito nel
corpo, ma non completamente guarito nello spirito. Aveva ricevuto la
guarigione fondamentale, ma aveva ancora bisogno di molta guarigione
progressiva. Doveva imparare ad ubbidire alle indicazioni del Signore
anche quando queste erano in contrasto con le sue vedute e il suo
sentire.
La conseguenza di questa disubbidienza è che Gesù
non poteva più entrare pubblicamente in una città,
ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e
venivano a Lui da ogni parte. Se invece avesse ubbidito le cose,
probabilmente, sarebbero andate diversamente e: Gesù avrebbe potuto
entrare pubblicamente in città e la gente per incontrarlo non
avrebbe dovuto inoltrarsi nel deserto. Vediamo così che l'agire del
lebbroso secondo l'emozione e l'esaltazione del momento e in
contrasto con le raccomandazioni del Signore, complica e rende più
disagevole sia la missione di Gesù, sia il cammino di chi vuole
incontrarlo. Inoltrarsi nel deserto per incontrare Gesù è molto più
scomodo che poterlo incontrare nella propria città.
Conviene ancora osservare che la disobbedienza del
lebbroso rende Gesù impotente: Gesù non poteva
più entrare. Quando la volontà dell'uomo preferisce agire
secondo le sue luci e i suoi criteri, nonostante le siano noti i
comandamenti di Dio, Dio rispetta la libertà dell'uomo e si tiene in
disparte, fuori, in luoghi deserti; lascia che le conseguenze
delle scelte umane abbiano il loro corso. Normalmente seguono disagi
e complicazioni.
Il primato dell'obbedienza e il fraintendimento
delle parole e delle opere di Gesù
In questo episodio possiamo inoltre chiaramente
vedere come la prima cosa che Gesù chiede a chi ha sperimentato la
sua guarigione e la sua liberazione non è di parlare di Lui, di
diffondere la sua fama, ma di imparare ad obbedirgli, perché chi non
sa obbedire al Signore non è adatto a parlare di Lui e solo chi avrà
imparato ad obbedirgli sarà eventualmente abilitato a proclamare
pubblicamente il Vangelo.
Possiamo osservare ancora ciò che normalmente
accade alle parole e alle azioni miracolose del Signore: le parole
vengono trascurate e i miracoli vengono fraintesi. La missione di
Gesù nel mondo risulta quindi piuttosto impegnativa e complicata a
causa della durezza della nostra cervice e del nostro cuore. Da un
lato è bene che Gesù compia miracoli per mostrare il suo potere e
la sua volontà di liberare l'uomo da tutte le malattie che lo
affliggono e da tutte le situazioni impossibili in cui si è
cacciato, ma l'esercizio di questo potere scatena anche delle
aspettative, dei desideri di liberazione e di felicità che sono
troppo secondo i nostri corti pensieri e non corrispondono alla
liberazione e alla felicità che il Signore può e vuole darci. In
generale la nostra idea di liberazione e di felicità è molto legata
alla fruizione e all'abbondanza dei beni terreni, mentre l'intenzione
del Signore è di staccarci dai beni terreni per farci desiderare ed
acquistare quelli celesti.
L'impresa non è facile perché siamo nati sulla
terra, siamo fatti anche di terra ed è naturale e giusto che
tendiamo a quei beni materiali che ci servono per vivere. Ciò che
non è naturale e non è giusto è cercare di placare la nostra fame
e sete di felicità solo con i beni materiali attaccandoci avidamente
e disordinatamente ad essi. Ciò che non è naturale e non è giusto
è trascurare le esigenze della nostra parte spirituale. Esigenze di
senso, di verità, di amore, di rettitudine… Non trascurare e non
reprimere queste esigenze è l'inizio della ricerca di Dio, del suo
progetto, delle sue leggi; è avviarsi sulla strada che conduce verso
la luce, la pace, la vera gioia, la vera vita. Possiamo ancora
osservare che per Gesù è molto facile guarire l'uomo dalla lebbra o
da qualsiasi altra infermità del corpo, ma anche per lui è
un'impresa complicata e difficile guarire la nostra radicata tendenza
a cercare la vita e la felicità secondo i nostri troppo umani e
insufficienti desideri, dalla tendenza ad agire di testa nostra
trascurando tranquillamente i suoi più severi ammonimenti. Questi
ammonimenti prevedevano il silenzio e un rito di purificazione che un
sacerdote doveva compiere dopo aver constatato la guarigione. Ed è
come se il Signore volesse dirci che senza questi adempimenti la
guarigione ottenuta non era completa, non era stabile e quindi a
rischio di ricadute.
Il paradosso del silenzio
Potrebbe sorgere a questo punto l'interrogativo:
come mai il Signore chiede il silenzio e l'ubbidienza a chi ha
ricevuto una liberazione, una guarigione, una gioia, così grandi?
Che senso ha fare l'esperienza del Signore e della sua gioia e non
poter diffondere questa conoscenza e questa gioia? Conviene intanto
osservare che queste disposizioni non sono sporadiche ed eccezionali,
ma vengono espresse a più riprese e in diverse circostanze. Un
episodio molto significativo in cui incontriamo nuovamente il
paradosso del silenzio dopo l'esperienza della gioia è quello della
trasfigurazione. Pietro Giacomo e Giovanni rimangono talmente
affascinati nel vedere svelatamente la bellezza di Gesù che
vorrebbero rimanere sempre sul monte a contemplare quello spettacolo.
Ma dopo che lo spettacolo è finito Gesù ordina di non dire niente a
nessuno di quanto avevano visto, aggiunge però che dopo la sua
risurrezione avrebbero potuto divulgare la notizia.
Apprendiamo così che c'è un tempo in cui Gesù
chiede di tacere e un tempo in cui chiede di parlare. Il passaggio da
un tempo all'altro è caratterizzato dalla partecipazione agli eventi
che Gesù ha vissuto durante la sua passione, morte e risurrezione e
che i discepoli hanno vissuto fino al giorno in cui hanno ricevuto la
luce e la forza dello Spirito Santo. Questo sta ad indicare che c'è
una conoscenza di Gesù prima della sua passione, morte e
risurrezione, e c'è una conoscenza di Gesù che si ha dopo che si
sono attraversati questi eventi. La prima conoscenza rischia di
generare un equivoco, ossia l'idea che la bontà e i poteri
straordinari del Signore libereranno senz'altro i singoli e il popolo
da tutte le malattie, da tutte le oppressioni e da tutte le schiavitù
in una maniera un po' magica e un po' troppo a buon mercato. Come non
sperare queste cose da chi guarisce i lebbrosi, dona la vista ai
cechi, risuscita i morti, sfama le folle, placa le tempeste? Ma, con
il volgere degli eventi, questa idea viene frantumata. Colui che
doveva liberare il popolo è fatto prigioniero, colui che guariva
ogni malattia è ricoperto di piaghe, colui che sfamava le folle e
risuscitava i morti viene abbandonato da tutti e si ritrova
agonizzante e morente su una croce. Le attese e le speranze suscitate
dalle parole e dalle opere di Gesù muoiono con Lui e con Lui vengono
rinchiuse nel sepolcro. Noi speravamo che fosse Lui a liberare
Israele (Lc 24, 21) dicono amaramente i discepoli di Emmaus… Ma
la storia non è finita, le parole inascoltate di Gesù, quelle che
preannunciavano la sua risurrezione, si realizzano e le apparizioni
del Risorto sconvolgono nuovamente le menti e i cuori sia dei
discepoli che dei suoi nemici.
Non basta però attraversare gli eventi della
passione per comprenderne in profondità il significato. Quando si
giunge all'apice dello scontro fra il Mistero di iniquità e il
Mistero della bontà di Dio ci si ritrova impauriti, inadeguati e
sconcertati di fronte a ciò che accade. Ci vogliono poi del tempo e
luce dall'alto per riprendersi dallo sconvolgimento e per iniziare a
comprendere il senso di quanto è accaduto. Conviene inoltre
considerare che non solo la conoscenza che si ha di Gesù è diversa
prima e dopo la passione, ma anche dell'uomo dopo la passione si ha
una più profonda e sconcertante conoscenza.
Balbettii su alcuni aspetti del Mistero
Possiamo a questo punto cercare di cogliere alcuni
aspetti del mistero che è la formidabile lotta fra la Luce e le
Tenebre, anche se la sua comprensione piena e la sua assimilazione
saranno possibili solo nella luce della gloria celeste. Una prima
considerazione è che i comportamenti umani e le loro conseguenze,
possono giungere in certi momenti a manifestare un'atrocità e un
orrore sconcertanti. L'orrore sconcertante è la malvagità o la
tragedia che si abbattono senza scampo sull'innocente. Questo è un
fatto e la ragione di questo fatto è che le conseguenze dei
comportamenti umani devono condurre inevitabilmente a due possibili
stati: la felicità o l'infelicità. La felicità si deve raggiungere
come premio per i comportamenti buoni, mentre l'infelicità deve
essere la conseguenza dolorosa dei comportamenti cattivi. Questo
stato di cose, questa legge, questo giudizio sulle vicende umane, non
l'abbiamo stabilito noi, ma è stato pensato e voluto da Colui che ha
deciso di dare origine e portare a compimento la storia in cui siamo
coinvolti.
Ora, gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi
sono afflitti da molteplici dolori e tribolazioni, e questo è il
segno che le loro opere non sono buone. Per liberarsi con le sue
forze da questo stato di cose l'uomo compie svariati e disperati
tentativi, tutti destinati a complicare ed aggravare la sua
situazione. Uno di questi tentativi è quello di cambiare le regole
del gioco. Così, per cercare di apparire giusti, ciò che è male lo
si chiama bene e ciò che è bene male. E per placare la propria fame
e sete di vita si è disposti ad escogitare le soluzioni più
stravaganti e a violare le leggi morali più evidenti. Quando poi si
è raggiunti dalle conseguenze dolorose delle proprie azioni cattive,
come il ladrone sulla croce, si vorrebbe venir liberati dalla
tribolazione facendo appello al potere che Dio ha di compiere
miracoli. La passione e la morte in croce di Gesù ci dicono invece
che non è possibile sfuggire alla giustizia divina la quale ha
stabilito che ai comportamenti cattivi e malvagi seguano tribolazioni
e morte. Ma la passione e morte di Gesù manifestano anche l'immenso,
sconcertante e imprevedibile amore di Dio per noi peccatori. Amore
che lo spinge a prendere su di se, innocente, le conseguenze dolorose
dei nostri peccati, così che mediante il suo esempio e la sua grazia
anche noi possiamo seguirlo sull'unica via che conduce alla felicità
eterna.
L'apostolo Pietro che in un primo tempo voleva
evitare per se e per il Signore la via della croce, dopo aver
attraversato gli eventi della passione e dopo aver ricevuto luce
dall'alto così si esprime: Carissimi, se, facendo il bene,
sopportate con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a
Dio… perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme…Egli portò i nostri peccati nel suo
corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il
peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati
guariti (1 Pt 2, 20b-25).
La passione e la morte del Signore manifestano così,
sia la sconcertante malvagità a cui gli uomini possono giungere
quando ostinatamente si rifiutano di accogliere le parole, le leggi e
gli inviati di Dio, sia lo sconcertante amore di Dio che, nonostante
tutto, continua ad offrire il suo perdono e a mendicare il nostro
amore. Ma la via della croce sarebbe improponibile, senza senso e
senza speranza se Gesù con la sua risurrezione non proclamasse
inequivocabilmente la vittoria della vita sulla morte, della luce
sulle tenebre, dell'amore sull'odio, della consolazione sulla
disperazione. Possiamo allora considerare la Passione, Morte e
Risurrezione di Gesù come la manifestazione suprema della Giustizia
e della Misericordia di Dio.
Giustizia e Misericordia
Le nostre azioni cattive producono tribolazioni,
disperazioni e morte, tutte cose a cui ci ribelliamo e da cui
vorremmo fuggire, ma non è possibile compiere azioni malvagie e non
subirne le conseguenze dolorose. Queste conseguenze dolorose ci
schiaccerebbero e ci porterebbero alla disperazione se la
Misericordia di Dio non decidesse di prendere su di sé gran parte di
questo dolore che, come dice il buon ladrone sulla croce, giustamente
noi meritiamo. La giustizia di Dio non può evitarci le tribolazioni
e la morte che ci sono dovuti, ma la misericordia di Dio può
aiutarci a portarne il peso ed assicurarci, nonostante tutto, un
approdo di vita e di gioia.
Dalla passione, morte e risurrezione del Signore,
possiamo allora cogliere l'invito a sperare contro ogni speranza. La
speranza per un esito positivo della nostra vita e della vicenda
umana è messa a dura prova dalle tribolazioni e dalla morte che
sembrano smentire sia la capacità di Dio di governare la storia, sia
la sua bontà. Le tribolazioni e la morte smentiscono e vincono il
nostro desiderio di vita e di felicità. La sproporzione di certe
tribolazioni che implacabilmente si abbattono sugli innocenti
smentiscono l'esigenza di giustizia secondo cui le sofferenze e i
castighi spettano ai malvagi, mentre il premio e la felicità
spettano ai buoni. A tutte queste smentite, a queste contraddizioni
che ci affliggono e ci paralizzano, c'è un'unica risposta che non è
data da nessuna filosofia né da nessuna religione del mondo, ma è
data unicamente dalla risurrezione di Gesù. La risurrezione di Gesù
ci assicura che, anche per noi, se seguiamo Lui, tutte le
tribolazioni e le contraddizioni avranno una fine e troveranno una
risposta quando, attraversata la morte, giungeremo nel Regno della
Vita, della Luce e dell'Amore; allora, le tenebre e la morte non
potranno raggiungerci mai più.
Questi sono alcuni aspetti del mistero della vita
presente che il lebbroso guarito, i discepoli e gli apostoli dovevano
imparare a conoscere con l'aiuto e la luce dello Spirito Santo. Senza
una qualche comprensione del Mistero della passione, morte e
risurrezione di Gesù, si rischia di dire su di Lui cose poco solide,
fuorvianti e illusorie. Cose che rischiano di allontanare o di
rendere più difficoltosa la sua ricerca. Questo è quanto è
successo nell'episodio che stiamo meditando. La disubbidienza del
lebbroso a proposito del silenzio che gli era stato ordinato, ha
costretto Gesù a stare fuori in luoghi deserti e di
conseguenza coloro che erano alla sua ricerca dovevano percorrere un
cammino più austero e disagevole.
Anche in altre circostanze è possibile constatare
che quanti hanno subito il fascino o hanno beneficiato della
guarigione di Gesù disubbidiscono tranquillamente alle sue parole o
costituiscono un impedimento per altri che hanno un urgente bisogno
di Lui o vogliono godere della sua presenza. Possiamo pensare agli
apostoli che impediscono ai bambini di andare a Gesù, o ai discepoli
e alla folla che vogliono far tacere il grido del cieco Bartimeo, o
ancora alla folla che impedisce l'accesso a Gesù del paralitico che
verrà poi calato dal tetto. Ancora gli apostoli volevano impedire ad
un tale di scacciare i demoni nel nome di Gesù. Questo accade perché
sia la conoscenza di Gesù, del suo messaggio e del suo amore, sia la
conoscenza della propria miseria e povertà non è ancora così
solida e profonda come sarebbe auspicabile. È nell'ora del trionfo
delle tenebre che l'amore e la fedeltà dei discepoli vengono messi a
dura prova, e se l'esito della prova non è molto incoraggiante,
molto di più lo è lo sguardo misericordioso di Gesù che continua
ad offrire il suo perdono e il suo amore a quanti onestamente
riconoscono la loro miseria e accolgono con gratitudine la
sorprendente misericordia che li salva.
Non ci sono alternative
Dopo la passione, morte e risurrezione di Gesù è
possibile avere una consapevolezza più acuta sia delle proprie
miserie e delle proprie colpe, sia della vittoria che l'amore e la
sapienza di Dio riescono a riportare sulle nostre tenebre e la nostra
morte. Questo percorso o questo programma può essere considerato
piuttosto austero e poco attraente ed allora molti preferiscono dare
ascolto ai maestri che promettono percorsi senza tribolazioni e
sofferenze, in cui le miserie dell'uomo vengono accuratamente
mascherate e le colpe dichiarate inesistenti. In realtà non ci sono
alternative alla verità dei fatti e all'unica via di salvezza che ci
è offerta dal Signore Gesù. Pietra scartata dai costruttori che
diviene testata d'angolo. Pietra che riduce in frantumi sia coloro
che vi inciampano, sia coloro su cui cade (Sal 117, 22; Mt 21, 44).
L'alternativa non è fra un percorso senza
sofferenze e senza colpe e uno in cui sono previste tribolazioni
esteriori ed interiori, ma fra un percorso in cui per le
tribolazioni, le miserie, le colpe, la morte, è previsto il soccorso
e il sollievo della grazia di Dio, e un percorso in cui queste realtà
dovranno essere affrontate senza il soccorso della grazia. Nel primo
caso abbiamo la speranza certa della vittoria finale, nel secondo si
giunge prima o poi ad uno stato di disperazione senza rimedio.
Ma che male abbiamo fatto?…
Abbiamo prima osservato che non è possibile
compiere azioni malvagie senza che prima o poi seguano complicazioni
e tribolazioni. Potremmo allora chiederci: ma quali sono le azioni
malvagie causa di tante sofferenze? A questa domanda c'è una
risposta immediata e a tutti evidente. È infatti evidente che furti,
rapine, uccisioni, corruzioni, tradimenti, menzogne, ubriachezze,
lussurie… sono azioni malvagie e producono sofferenze a non finire.
Ma a monte di queste malvagità, e loro causa, ce n'è un'altra che
non è così evidente e che al suo inizio non produce nessuna
sofferenza o tribolazione, anzi, sembra produrre e promettere
esuberanza di vita. Questa malvagità iniziale consiste nella
superficiale, imprudente e affrettata decisione di voler gestire la
propria esistenza trascurando di approfondire le parole, le leggi e
il progetto di Dio sulla realtà o sulle situazioni di fatto
esistenti. Se questa decisione non muta è destinata a radicarsi
sempre più profondamente nel cuore dell'uomo, il quale diventerà
duro come la pietra e capace delle più imprevedibili e atroci
malvagità.
Conviene allora chiedersi il perché della decisione
di trascurare le parole e le leggi di Dio. La risposta va ricercata
nell'evidente possibilità di godere immediatamente di un qualche
bene che sembra avere il potere di saziare la nostra fame e sete di
felicità o di espandere e accrescere la pienezza di vita a cui
ognuno di noi tende. A questa possibilità si contrappone però una
parola di Dio che limita o vieta la sua fruizione. Questo è quanto
succede in ogni peccato e lo possiamo constatare anche nel
comportamento del lebbroso guarito.
La prova della fede
Dopo la sorprendente guarigione, il lebbroso si
trova in uno stato di gioia, di consolazione, di esultanza, di
eccitazione. La sua vita è passata dalle tenebre alla luce, dalla
morte alla vita, dall'isolamento e dall'esclusione alla possibilità
della libertà e delle relazioni. A questo punto però è messo di
fronte a una scelta o una prova: la prova della fede. Il lebbroso
deve scegliere fra ciò che lui vede, capisce, sperimenta, e ciò che
la parola di Gesù gli dice di fare. Ciò che Gesù gli dice di fare
lui non lo comprende pienamente, non lo vede come un bene, anzi, lo
vede chiaramente in contrasto con la reale possibilità di espandere
e accrescere la sua gioia condividendola con il maggior numero
possibile di persone. Così, Colui che gli ha ridato la vita è anche
Colui che sembra voler limitare o mortificare il suo espandersi.
Ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 'Guarda di non
dir niente a nessuno'. Ma il lebbroso superficialmente e
imprudentemente decide di regolarsi secondo il suo sentire, il suo
capire e l'esaltazione del momento. Decide di sfruttare l'immediata e
reale possibilità di accrescere la sua gioia andando in giro a
proclamare e divulgare quanto gli era accaduto.
La prova della fede invece prevede sempre dei
momenti in cui è chiesto di rinunciare ad appoggiarsi su ciò che
uno sente e comprende per aderire a qualcosa che non si sente e non
si comprende. Prevede sempre di rinunciare a qualche bene
immediatamente fruibile in vista di beni maggiori ma non
immediatamente fruibili. In fondo è chiesto di rinunciare a un
progetto di vita e di felicità secondo il nostro pensiero per
aderire a un progetto di vita e di felicità secondo il pensiero di
Dio.
Qualcuno potrebbe pensare che è poco ragionevole
rinunciare ad appoggiarsi su ciò che uno vede e comprende per
aderire a ciò che non si vede né si comprende. In realtà ogni
giorno noi prestiamo fede a cose che altri ci dicono e noi non
vediamo né comprendiamo. Questo avviene perché è ragionevole
basarsi sulla presumibile onestà o credibilità di chi ce le dice, e
poi perché è evidente che non possiamo vedere e comprendere tutto,
inoltre possiamo constatare la stoltezza di coloro che non vogliono
credere a cose di cui noi abbiamo una conoscenza certa. L'alternativa
non è fra credere e non credere, perché è impossibile regolare la
propria esistenza solo su ciò che siamo in grado di comprendere.
L'alternativa è a chi decidiamo di prestare fede: ai saggi o agli
stolti? Sempre ci saranno dei momenti in cui dovremo scegliere se
fidarci di quanto ci viene detto o proposto da altri. In questi
momenti il compito della ragione è di valutare o discernere chi è
degno di fiducia e chi non lo è. Questo compito è tanto più
importante e delicato quanto più le cose da credere si propongono di
incidere sui nostri comportamenti e riguardano in varia misura gli
aspetti più vitali e profondi della nostra esistenza.
Quando poi è Dio a proporre qualcosa da credere è
ragionevole aspettarsi di essere posti di fronte a cose
particolarmente oscure e incomprensibili. Bisogna allora evitare sia
di trascurare o lasciar cadere quanto ci viene proposto, come ha
fatto il lebbroso, sia di voler a tutti i costi comprendere per poi
aderire alle parole di Dio. Il compito doveroso e legittimo della
ragione è quello di valutare se è credibile o no chi sollecita la
nostra adesione a cose che sono per noi invisibili e incomprensibili.
Per imparare a discernere chi è credibile e chi non lo è, è
indispensabile che diventiamo noi stessi credibili, ossia che
ingaggiamo una lotta senza tregua verso ogni forma di simulazione, di
ipocrisia o di menzogna che vediamo sorgere in noi in tutte le
situazioni in cui ci veniamo a trovare, sia nelle grandi come nelle
piccole cose. In questo modo la nostra capacità di discernimento si
affinerà sempre più; allora, per connaturalità o per similitudine,
sapremo distinguere coloro che meritano fiducia da quelli che non la
meritano.
Sconcertanti contraddizioni
Visto che il lebbroso non si è fermato a riflettere
se Gesù, nonostante la sua imprevedibile richiesta, era degno di
fiducia oppure no, potremmo cercare di fare noi, al suo posto, alcune
riflessioni in merito. Intanto il lebbroso aveva ricevuto da Gesù
solo del bene. Questo bene inoltre era così grande e stupefacente
che nessun uomo comune poteva donarglielo. Lui dunque aveva
sperimentato che una cosa umanamente incredibile e impossibile era
successa. Inoltre non aveva solo sperimentato la potenza di Gesù, ma
anche la sua bontà e umiltà. L'umiltà e la bontà di chi aveva
voluto ascoltare la supplica di un disperato, di chi aveva avuto
compassione di lui, un'umiltà e una bontà che avevano vinto il
ribrezzo nei confronti di una malattia ripugnante come la sua. Una
bontà che si era spinta fino a toccare il suo corpo malato e a
guarirlo. Ora, a questo punto, succede un fatto sconcertante, quasi
incredibile, ed è che con i fatti Gesù viene dichiarato stolto e
non degno di fede. Forse il lebbroso non si accorge che, disubbidendo
a Gesù e comportandosi in maniera opposta al suo ammonimento, è
come se affermasse di essere più saggio e sapiente di colui che
aveva appena dimostrato una bontà e una potenza mai visti sulla
faccia della terra. Vediamo qui un esempio del fatto che il cuore
dell'uomo è un abisso difficilmente guaribile (Sal 63,7; Ger
17, 9).
Dio che limita e mortifica
Abbiamo prima osservato che Gesù, dopo avere ridato
la vita e la gioia al lebbroso, è anche colui che limita o mortifica
il loro espandersi ordinando di non divulgare quanto è accaduto.
Questo è un fatto strano ma non occasionale, anzi è una
caratteristica costante dell'agire di Dio. Nel racconto della Genesi
Dio dona la vita all'uomo, gli mette a disposizione innumerevoli
beni, ma si preoccupa anche di indicare un albero i cui frutti non si
devono mangiare. Eppure quei frutti sono belli e buoni, capaci di
procurare una gioia e una pienezza di vita maggiori. E, come il
lebbroso, anche Adamo ed Eva decidono di trascurare il comando di Dio
e di regolarsi secondo la loro collaudata saggezza. Ad Abramo vengono
fatte delle promesse stupefacenti, ma poi viene a trovarsi in una
situazione paradossale in cui Dio stesso vuole distruggere l'unico
mezzo per cui quelle promesse si possono realizzare. Dio libera il
suo popolo dall'opprimente schiavitù dell'Egitto, ma poi lo conduce
in un deserto aspro e terribile in cui è sempre a rischio di morire
di fame e di sete. Israele si stanca presto del cibo con cui viene
nutrito, mormora contro Dio e rimpiange le cipolle d'Egitto; e anche
Mosè amaramente constata: Tu non hai per nulla liberato il tuo
popolo (Es 5, 23). Il figlio maggiore della parabola del padre
misericordioso decide di rimanere in una casa ricca e prospera, ma
non riesce a raggiungere quella pienezza di vita e di gioia a cui il
suo cuore aspira, e il padre gli nega quel capretto e quella festa
con gli amici che, secondo lui, riuscirebbero a saziare il suo cuore.
Questi fatti, che senso hanno, cosa ci indicano, che
cosa ci rivelano? Ci rivelano che Dio dona sì la vita, la
liberazione, la guarigione, la gioia, ma non tutta la vita e la gioia
possibili. Dio mette anche nel profondo del nostro cuore
un'aspirazione o un desiderio per una vita più piena e una gioia più
grande. Per raggiungere la pienezza di vita e di felicità a cui
aspira, l'uomo ha due sole possibilità e queste sono una prova per
la sua libertà. L'uomo è chiamato a decidere se ricercare la
pienezza di vita facendo la fatica di accogliere e praticare i
comandamenti di Dio , oppure tentare la più facile via di decidere
da solo ciò che è bene e ciò che è male per lui. La prova della
libertà è anche la prova della fede, l'uomo deve scegliere se
credere a quanto gli viene detto e proposto da Dio oppure scegliere
di regolarsi secondo la sua volontà trascurando le parole di Dio. La
gravità e le conseguenze di questa scelta sono magnificamente
descritti nel racconto del peccato originale, nella parabola del
figlio prodigo, in quella della casa costruita sulla roccia o sulla
sabbia… La bellezza e la ragione profonda di questo progetto sta
nel fatto che all'uomo Dio chiede di metterci del suo per raggiungere
la pienezza della vita e della felicità, vuole che la pienezza della
beatitudine, ossia la contemplazione del suo volto, sia un bene
liberamente scelto e non un bene calato dall'alto in cui l'uomo
riceverebbe tutto e non darebbe nulla. Così nella vita presente, che
è essenzialmente un periodo di prova, l'uomo è chiamato a scegliere
se fidarsi e affidarsi a Dio oppure a tentare da solo l'impossibile
impresa di trovare qualcosa che riesca a dare senso alla sua vita e a
saziare il suo cuore inquieto.
Credere in Dio e affidargli la nostra vita costa;
ogni giorno è chiesta la fatica di imparare ad appoggiarsi su ciò
che non vediamo né comprendiamo e questa è una croce per la nostra
intelligenza e la nostra volontà. Ci sono poi dei periodi più o
meno lunghi in cui bisogna attraversare situazioni particolarmente
contrarie alle nostre inclinazioni e ai nostri gusti, periodi in cui
più che liberazione e gioia si sperimenta prigionia e tristezza.
Bisogna allora credere che quando Dio chiede qualcosa che sembra
limitare o mortificare la vita, in realtà offre un'occasione per
meritare una maggiore pienezza di vita. La risposta di Dio alla
fatica che facciamo per conformarci alla sua volontà accettando di
passare dove non vediamo e non comprendiamo è la beatitudine eterna.
Se invece non vogliamo fare la fatica di conformarci alla sua
volontà, nel breve periodo le cose possono anche andare assai bene e
darci l'illusione di poter continuare a godere la beatitudine terrena
che siamo riusciti a raggiungere, ma, a lungo andare, questa
beatitudine crollerà, come crolla una casa costruita sulla sabbia
quando è investita dalla tempesta.
Più saggi del Creatore
Abbiamo ancora osservato che il lebbroso pur avendo
riavuto da Gesù la salute e la vita, disubbidendo ai suoi comandi
praticamente dichiara di essere più saggio e sapiente del suo
benefattore e quindi che quei comandi non favorivano il suo bene ma
erano piuttosto una costrizione e limitazione all'espandersi della
vita. Questa è una stoltezza tipica dell'uomo nei confronti del suo
Creatore. Infatti, l'uomo che è chiamato dal nulla all'esistenza
dalla bontà, dalla magnanimità e dalla sapienza di Dio, riceve
anche da Lui alcune direttive o comandamenti; direttive a cui pensa
bene di disubbidire perché, a suo parere, evidentemente contrastano
con la possibilità di espandere e di accrescere la sua vita e la sua
gioia. L'uomo si ritiene sufficientemente esperto per sapere ciò che
è bene e ciò che è male per lui.
Esempio: come al lebbroso anche a noi è chiesto una
volta alla settimana di andarci a presentare davanti al sacerdote per
offrire un sacrificio di ringraziamento e di lode. Ma a questo
comando disubbidiamo tranquillamente perché è evidente che è molto
più bello e piacevole andare ai monti o al mare o occuparsi dei
propri interessi o coltivare le proprie passioni. Alla Messa ci si
annoia mentre altrove ci si diverte. Ai tempi del profeta Amos c'era
chi viveva con disagio il giorno di sabato perché non si poteva
vendere il grano. Aspettavano allora con impazienza il suo termine
per riprendere i commerci diminuendo le misure e usando bilance
false. Oggi si è molto meno timorosi e più disinvolti. Perché
tenere chiusi i negozi di domenica? Molto meglio lasciarli aperti, si
guadagna di più e tutti possono fare i loro acquisti con maggior
comodità, con piena soddisfazione dei commercianti e dei clienti.
Al lebbroso viene chiesto il silenzio su quanto gli
è accaduto, così all'uomo, a cui è capitata la fortuna eccezionale
di essere passato dal nulla all'esistenza, Dio chiede silenzio e
discrezione. Questa richiesta è fatta a tutti in maniera implicita,
ma a Israele e ai cristiani anche in maniera esplicita. Ogni uomo che
viene al mondo ha la sensazione più o meno lucida di essere immerso
in una realtà più grande di lui, sente che la vita è sicuramente
un bene ma presenta contemporaneamente aspetti magnifici e
terrificanti, luci e ombre che suscitano interrogativi a cui non è
facile rispondere e, a volte, si imbatte in fatti o è coinvolto in
situazioni per cui si chiede se sarebbe stato meglio non essere mai
nato. Questi sono alcuni aspetti che fanno sorgere quel Timor di
Dio di cui è detto che è inizio e fondamento della saggezza (Pr
9, 10; Sal 110, 10). Infatti, non mortificare e non vanificare questo
sentimento preserva l'uomo dall'arroganza e lo mantiene nell'umiltà,
inoltre viene stimolato ad indagare e a cercare di comprendere per
quanto gli è possibile il senso o la ragione delle vicende e delle
realtà che gli capita di incontrare. L'esito inadeguato e
insufficiente delle sue ricerche lo spinge infine a supplicare e a
sperare che dall'alto gli sia data la luce per non smarrirsi e per
intravedere la meta del suo cammino, il senso del suo esistere.
Nell'antico testamento il comandamento fondamentale
dell'amore di Dio è introdotto da un'accorata esortazione a fare
silenzio: Ascolta Israele…(Dt 6, 4). Anche il profeta
Isaia così si esprime: Ascoltate e voi vivrete (Is 55, 3) e
nel profeta Baruc troviamo ugualmente: Ascolta, Israele, i
comandamenti della vita… (Bar 3, 9). In molti luoghi e a più
riprese l'invito ad ascoltare è ripetuto con insistenza.
Evidentemente per ascoltare bisogna fare silenzio, se non si fa
silenzio non si ascolta bene e non si capisce bene ciò che Dio ha da
dire, ed allora nasceranno inevitabilmente malintesi, complicazioni,
guai, tribolazioni e morte. Gesù poi, invita al silenzio sia con
l'esempio che con le parole. I suoi insegnamenti infatti sono
preceduti da un lungo silenzio di circa 30 anni. A 12 anni lo
troviamo fra i dottori del tempio mentre li ascoltava
e li interrogava (Lc 2, 46). Uno dei tratti caratteristici di sua
madre è proprio il silenzio. Silenzio che le consente di conservare
nel cuore e meditare le grandi cose che Dio opera nella sua vita. Lo
stesso si può dire di San Giuseppe. Maria, la sorella di Marta,
viene elogiata perché seduta ai piedi di Gesù Ascoltava
la sua parola (Lc 10, 39). Quanto all'insegnamento sull'uso della
parola così dice il Signore: Sia invece il vostro parlare sì,
sì; no, no; il di più viene dal maligno (Mt 5, 37). E sulla
gravità del parlare a vanvera così si esprime: Di ogni parola
infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio (Mt
12, 36).
Se Gesù, al lebbroso come a noi, chiede il silenzio
dopo il dono della vita è perché, nonostante la magnificenza del
dono, non tutto ci è stato ancora dato, beni molto maggiori e molto
più pregiati ha intenzione di darci, ma per venirne in possesso è
fondamentale ascoltare e capire bene le sue direttive. Noi invece,
come il lebbroso, trascuriamo senza riflettere i comandamenti di Dio
e corriamo a destra e a sinistra a godere delle creature con ardore
giovanile. La vita passa presto, dopo non c'è più nulla, allora
bisogna godere fin che si può tutto quello che si può. In questa
prospettiva i comandamenti sono considerati un limite e un
impedimento all'espandersi della vita, e Dio che li ha dati è
considerato il nemico numero uno. A tanto giunge la stoltezza
dell'uomo che reprime o mortifica il timor di Dio e non si
cura di riflettere con intelligenza sul mistero della vita che ha
ricevuto in dono.
Quando l'uomo disubbidisce ai comandamenti e alle
leggi contenute nella natura delle cose, Dio è reso impotente ed è
come se gli si impedisse di entrare nella città, allora Lui sta
fuori in luoghi deserti e lascia che le conseguenze delle
scelte umane abbiano il loro corso. Prolificano così filosofie
strampalate e inconsistenti, comportamenti morali sempre più
degradati ed aberranti che producono un'impressionante quantità e
varietà di afflizioni, tribolazioni e morte. In generale, troppo
presto gli uomini pensano di aver capito il significato della vita
che hanno ricevuto; questo è anche dovuto al fatto che, un po' per
loro colpa, un po' per inesperienza, pensano di riuscire a cavarsela
da soli ricercando e godendo quei beni che con una certa facilità la
natura può offrire.
In realtà le cose non sono così semplici e non è
così facile nutrire il proprio cuore solo con i beni naturali.
Allora il Signore chiede il silenzio perché si possa ascoltare ciò
che Lui ha da dire sul mistero della vita. E l'obbedienza che chiede,
quella che sembra mortificare e impedire l'espandersi della vita, è
indispensabile per staccarci dai beni presenti e per orientarci verso
quei beni soprannaturali che soli alla fine renderanno beato il
nostro cuore. La strada verso l'invisibile Sommo Bene Lui solo la
conosce e solo ubbidendo e seguendo Lui giungeremo a possederlo.
Gesù opera in incognito?…
L'evangelista annota che dopo la disubbidienza del
lebbroso: Gesù non poteva più entrare pubblicamente
in una città. L'espressione usata sembra quasi alludere o
suggerire che se Gesù non poteva entrare pubblicamente in una città,
trovava tuttavia qualche modo per entrarvi in incognito. La sua
sapienza e il suo amore non sono privi di mezzi e di trovate per
entrare comunque nelle città degli uomini a portare qualche raggio
di luce e di speranza.
Penso che uno dei mezzi con i quali il Signore entra
in incognito nelle nostre città sia l'arte. Ogni forma artistica
infatti, quando è autentica, riesce in qualche modo a trasmettere e
suscitare qualche cosa di bello e di vero. La Chiesa dice poi che
questa bellezza e questa verità sono il riflesso del volto di
Cristo. Così infatti si esprime in una preghiera della Messa: Agli
artisti affidi la missione di rivelare lo splendore del tuo volto, fa
che le loro opere portino all'umanità un messaggio di pace e di
speranza.
Agli artisti viene spesso assegnato il titolo di
"maestro". Sono infatti una figura dell'unico "Maestro"
e lo aiutano con la loro arte a salvare ed elevare l'umanità. Come
il Vangelo e la Chiesa attraversano i secoli e i continenti, così ci
sono in tutte le arti alcuni capolavori che non temono l'usura del
tempo e sono destinati a durare fino alla consumazione dei secoli
portando agli uomini di tutti i continenti: luce, gioia, pace e
consolazione. Il cardinale Giacomo Biffi così si esprime a proposito
delle "Avventure di Pinocchio": In questa favola,
fantasiosamente immaginata e scritta splendidamente, c'è qualcosa di
eterno e di cosmicamente vero. Questo pensiero si può applicare
ad ogni autentico capolavoro.
Un altro mezzo di cui si serve il Signore per
entrare in incognito nelle città degli uomini è la presenza dei
laici nei luoghi e nelle attività in cui la Provvidenza li chiama ad
operare. Essendo nel mondo ma non del mondo sono come il lievito
nella pasta, il seme nascosto, sale e luce per quanti incontrano sul
loro cammino. Essendo il Signore la loro vita e la loro meta ne
diffondono il profumo anche senza parlare o mostrare segni esterni di
speciale consacrazione.
Una conferma di quanto detto ci viene dai colloqui
di Gesù con Marta Robin (1902 +1981), una mistica Francese che per
53 anni è vissuta di sola Eucaristia. Ecco alcuni passi riportati
dal padre Finet dopo il suo primo incontro con Marta nel 1936. Mi
disse che una nuova Pentecoste d'amore e un apostolato laico,
avrebbero ringiovanito la Chiesa. Mi parlò a lungo di quello e mi
disse pure che il laicato avrebbe avuto un ruolo importante nella
Chiesa; molti saranno chiamati ad essere apostoli…ci sarebbero
diversi modi per formare questi laici, tra questi, i focolari di
luce, di carità e di amore…saranno una delle risposte del cuore di
Gesù al mondo, dopo la sconfitta materiale dei popoli ed i loro
satanici errori…
Che l'amore misericordioso del Signore possa infine
trionfare!
Meditazione
di Eugenio Pramotton -
Tratta dal libro: "Alla ricerca dell'acqua viva" - ed. Parva
Gesù stesso nel Vangelo usa diverse volte ad arte rapporti di doppio legame ad esempio nella guarigione dei 10 lebbrosi e nel saluto alle donne il mattino di Pasqua. “Salute a voi” era un saluto laico e romano, non religioso ed ebraico. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo (Amazon): Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Nella guarigione dei dieci lebbrosi un primo doppio legame è nell'invito ad andare dai sacerdoti quando non erano ancora guariti, è il secondo è quando il samaritano ruppe il comando tornando indietro a ringraziare Gesù. In un certo senso tutta la missione di Gesù in ambito ebraico è sotto doppio legame, solo che gli ebrei ruppero il legame dalla parte sbagliata. Grazie.
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