1. Lo Spirito è
«Persona-dono»
L'esistenza cristiana è intimamente segnata dalla «nube dello Spirito» (cf. Mt 17,5). È lo Spirito che porta i fedeli alla loro piena configurazione a Cristo. Ma, in cosa consiste, concretamente, la presenza dello Spirito Santo e qual è il significato dei suoi doni? La risposta è semplice: la vita cristiana, per svilupparsi e giungere a maturazione, esige una assistenza speciale dello Spirito santo e dei suoi doni. Il mistero profondo dello Spirito è quello di essere «dono»: «Si può dire che nello Spirito santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere amore. È Persona-amore. È Persona-dono» (Dominum et Vivificantem, n. 10).
L'esistenza cristiana è intimamente segnata dalla «nube dello Spirito» (cf. Mt 17,5). È lo Spirito che porta i fedeli alla loro piena configurazione a Cristo. Ma, in cosa consiste, concretamente, la presenza dello Spirito Santo e qual è il significato dei suoi doni? La risposta è semplice: la vita cristiana, per svilupparsi e giungere a maturazione, esige una assistenza speciale dello Spirito santo e dei suoi doni. Il mistero profondo dello Spirito è quello di essere «dono»: «Si può dire che nello Spirito santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere amore. È Persona-amore. È Persona-dono» (Dominum et Vivificantem, n. 10).
Essendo Persona-dono lo Spirito è
la sorgente di ogni dono creato, come la vita, la grazia, la carità:
«L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello
Spirito santo, che ci è stato dato» (Rm 5,5). Ed è Gesù
che ha dato il suo Spirito come dono di vita nuova agli apostoli,
alla chiesa, al mondo: «Innalzato alla destra di Dio e dopo aver
ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha
effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33).
Queste parole di Pietro a Pentecoste, riecheggiano la sua esperienza
pasquale. La sera della risurrezione, infatti, Gesù, apparendo agli
apostoli, disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22).
Anche a Pentecoste gli apostoli «furono pieni di Spirito Santo e
cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il
potere di esprimersi» (At 2,4). Tale pentecoste apostolica
rifluisce su tutta l'umanità, in tutte le sue categorie di giovani e
di anziani, di uomini e di donne. È lo stesso Pietro a spiegare, nel
suo primo kérygma, che questa irruzione dello Spirito non fa
che realizzare la profezia di Gioele:
«Io effonderò il mio Spirito
sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i
vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni.
E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il
mio Spirito ed essi profeteranno» (At 2,17-18).
Il dono dello Spirito significa
vocazione alla profezia da parte dei figli e delle figlie, dei servi
e delle serve; significa chiamata a seguire grandi ideali («visioni»)
da parte dei giovani e ad avere sogni profetici da parte degli
anziani. L'effusione dello Spirito a Pentecoste realizza anche la
profezia di Ezechiele:
«Vi prenderò dalle genti, vi
radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò
con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le
vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo,
metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore
di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro
di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare
e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi
ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio.
Vi libererò da tutte le vostre impurità: chiamerò il grano e lo
moltiplicherò e non vi manderò più la carestia» (Ez
36,24-29).
Lo Spirito è cioè dono di
comunione, è acqua di purificazione, è cuore di carne, è novità,
è obbedienza, è appartenenza e fedeltà a Dio, è abbondanza di
beni.
2. «Vieni, datore dei
doni»
San Giovanni, parlando della nostra vocazione alla comunione con Dio-Amore, afferma: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). È nello Spirito che noi amiamo Dio. Per questo S. Agostino afferma che «lo Spirito santo è il dono di Dio a tutti coloro che per mezzo suo amano Dio»1. Lo Spirito ci abilita al rapporto interpersonale con Dio, all'alleanza tra il nostro «io» e il «tu» divino: «Il dono dello Spirito significa chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti profondità di Dio vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo» (Dominum et Vivificantem, n. 34). È quanto S. Paolo diceva: «Viviamo sotto il dominio dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi» (Rm 8,5.9); «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).
San Giovanni, parlando della nostra vocazione alla comunione con Dio-Amore, afferma: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). È nello Spirito che noi amiamo Dio. Per questo S. Agostino afferma che «lo Spirito santo è il dono di Dio a tutti coloro che per mezzo suo amano Dio»1. Lo Spirito ci abilita al rapporto interpersonale con Dio, all'alleanza tra il nostro «io» e il «tu» divino: «Il dono dello Spirito significa chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti profondità di Dio vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo» (Dominum et Vivificantem, n. 34). È quanto S. Paolo diceva: «Viviamo sotto il dominio dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi» (Rm 8,5.9); «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).
Per rendere possibile e facilitare
questo cammino lo Spirito si fa sorgente di molteplici doni, frutti,
carismi. Per questo nella solennità di Pentecoste lo invochiamo:
«Vieni, Santo Spirito, vieni, datore dei doni». Tradizionalmente si
parla dei sette doni dello Spirito Santo: «la sapienza,
l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il
timore di Dio» (CCC n. 1831). Attribuiti in prima istanza al
Messia (cf. Is 11,1-2)2, nel quale si
realizzano in pienezza, questi doni perfezionano le virtù del
battezzato, rendendolo docile e obbediente a seguire le mozioni dello
Spirito. Se la vocazione del cristiano è la santità, i doni dello
Spirito servono per agevolare la pratica delle virtù sia teologali
(fede, speranza, carità), sia morali (prudenza, giustizia, fortezza,
temperanza). Spesso la tradizione teologica ha messo in correlazione
i singoli doni con le singole virtù. Ad esempio, il dono del timore
viene visto in corrispondenza con la virtù della temperanza e il
dono della sapienza con la virtù della carità. In realtà ogni
singolo dono facilita l'esercizio di tutte le virtù, che ne escono
fortemente rafforzate. Più che in una graduatoria o su una scala i
doni devono essere messi in reciproca circolarità e correlazione.
3. Il timore, come gioiosa
trepidazione per la vicinanza di Dio
Il timore del Signore si può
considerare come il primo gradino della scala della perfezione, che
avrebbe il suo vertice nel dono della sapienza. Afferma S. Tommaso
d'Aquino: «Il timore filiale occupa il primo posto tra i doni dello
Spirito Santo in ordine ascendente, e l'ultimo in ordine
discendente»3. Il Siracide, tuttavia, mostra
l'interdipendenza e il reciproco influsso dei doni:
«Pienezza della sapienza è
temere il Signore; essa inebria di frutti i propri devoti. Tutta la
loro casa riempirà di cose desiderabili, i magazzini dei suoi
frutti. Corona della sapienza è il timore del Signore; fa fiorire la
pace e la salute. Dio ha visto e misurato la sapienza; ha fatto
piovere la scienza e il lume dell'intelligenza; ha esaltato la gloria
di quanti la possiedono. Radice della sapienza è temere il Signore;
i suoi rami sono lunga vita» (Sir 1,14-18).
In una proposta di cammino
vocazionale, si può vedere nel timore di Dio il primo passo per
abbandonare la vita secondo la carne e percorrere la via secondo lo
Spirito. Il timore di Dio fa comprendere che la vita non è
solitudine e silenzio, ma comunione con Dio. Il timore non è paura
di Dio, ma trepidazione e gratitudine per la sua grande prossimità a
noi. È riscoperta e lode della sua grandezza e sapienza, e, allo
stesso tempo, coscienza di essere immersi in questo «ambiente
divino», avvolti dall'abbraccio di Dio:
«Signore, tu mi scruti e mi
conosci; tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i
miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note
tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu,
Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e
poni su di me la tua mano. Stupenda per me la tua saggezza, troppo
alta, e io non la comprendo. Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?» (Sal 139,1-7).
La prostrazione di Abramo di
fronte ai tre pellegrini (Gn 18,2), la sorpresa di Giacobbe
nel sogno della scala, la cui cima raggiungeva il cielo (Gn
28,12), lo sbigottimento di Mosè al roveto ardente (Es 3,6),
la meraviglia di Isaia di fronte al serafino col carbone ardente (Is
6,6-7), il grande spavento dei pastori all'annuncio degli angeli (Lc
2,9), lo stordimento di Giovanni il veggente di fronte al Vivente (Ap
1,17) indicano lo stupore improvviso di chi si trova a tu per tu di
fronte al mistero santo di Dio. È un timore che non si tramuta in
paura, ma, al contrario, si espande per Abramo in servizio e dialogo
con Dio, per Giacobbe in conferma di aver incontrato Dio, per Mosè
in spinta alla missione, per Isaia in obbedienza alla chiamata
profetica, per i pastori in invito a incontrare il neonato Salvatore,
per Giovanni in contemplazione dell'azione efficace e vittoriosa di
Dio nelle martoriate vicende della chiesa e del mondo.
Il timore è la trepidazione
avvertita da chi inizia il cammino della vita nello Spirito e si
affida con confidenza nelle mani di Dio: «Scrutami, Dio, e conosci
il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una
via di menzogna e guidami sulla via della vita» (Sal
139,23-24). Il timore di Dio diventa così consapevolezza della
debolezza umana, esercizio di umiltà e di povertà di spirito, ma
anche fiducia nella misericordia di Dio, speranza nella sua
provvidente bontà, autentico «principio di saggezza» (Sal
111,10).
NOTE
1) De Trinitate, XV 19,35.
2) Il testo ebraico di Is.
11,2 parla di sei doni: spirito di sapienza, intelligenza, consiglio,
fortezza, conoscenza e timore del Signore. La versione greca dei LXX
e la versione latina della Volgata enunciano invece sette doni,
introducendo la «pietà». In realtà si tratta di una
interpretazione di Is 11,3, in cui il «timore del Signore»,
ripetuto in questo versetto, viene tradotto in una sua variazione e
cioè in «pietà».
3) STh, II/II q. 19 a. 9.
Tratto dal sito http://www.vatican.va
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