L'AZIONE
MATERNA E REDENTRICE DELLA CHIESA
Diletti
Figli e Figlie!
Eccoci
a celebrare insieme il primo maggio, la festa del lavoro. È una
festa nuova, che ha trovato posto nel calendario religioso in questi
ultimi tempi; ed è chiaro che la Chiesa, introducendola nella serie
delle sue sacre celebrazioni, manifesta un’intenzione redentrice,
quasi un desiderio di ricupero, e certamente uno scopo santificatore.
S’era prodotto un distacco in questi ultimi secoli fra la
psicologia del lavoro e quella religiosa, un distacco che ha avuto
grandi ripercussioni sociali, e che ancora tiene lontane dalla fede
tante folle di uomini e di donne, che fanno del lavoro non solo la
loro professione, ma altresì la loro qualifica spirituale,
l’espressione della loro suprema concezione della vita, in
opposizione a quella cristiana. È questo uno dei più grandi
malintesi della società moderna, e che tutti oramai dovrebbero
sapere risolvere da sé, non solo a lode della verità, ma a tutto
vantaggio altresì del lavoro stesso e dei lavoratori, che della
fatica e dell’attività produttiva portano nella loro vita
l’impronta distintiva.
IL
LAVORO COME OGNI ONESTA ATTIVITÀ UMANA È SACRO
Infatti,
per ciò che riguarda il lavoro, il pensiero cristiano, e per esso la
Chiesa, lo considera come espressione delle facoltà umane, e non
soltanto di quelle fisiche, ma altresì di quelle spirituali, che
imprimono nell’opera manuale il segno della personalità umana, e
perciò il suo progresso, la sua perfezione, e alla fine la sua
utilità economica e sociale. Il lavoro è l’esplicazione normale
delle facoltà umane, fisiche, morali, spirituali! e riveste perciò
la dignità, il talento, il genio perfettivo e produttivo dell’uomo.
Ne esplica la sua fondamentale pedagogia, ne segna la statura del suo
sviluppo. Obbedisce al disegno primigenio di Dio creatore, che volle
l’uomo esploratore, conquistatore, dominatore della terra, dei suoi
tesori, delle sue energie, dei suoi secreti. Non è perciò il
lavoro, di per sé, un castigo, una decadenza, un giogo di schiavo,
come lo consideravano gli antichi, anche i migliori; ma è
l’espressione del naturale bisogno dell’uomo di esercitare le sue
forze e di misurarle con le difficoltà delle cose, per ridurle al
suo servizio; è l’esplicazione libera e cosciente delle facoltà
umane, delle mani dell’uomo guidate dalla sua intelligenza. È
nobile perciò il lavoro, e, come ogni onesta attività umana, è
sacro.
ASSICURARE
AL LAVORO UNA SUA GIUSTIZIA CHE GLI RENDA UN VOLTO UMANO FORTE LIBERO
E LIETO
Qui,
fra le tante, due interrogazioni fermano il facile corso di questi
pensieri. E cioè: che cosa dobbiamo dire del lavoro quando esso è
pesante, oppressivo, inetto a raggiungere il suo primo risultato, il
pane, la sufficienza economica per la vita? quando serve ad
accrescere l’altrui ricchezza con lo stento e la miseria propria?
quando si manifesta indice, e quasi suggello d’insuperabili e
intollerabili sperequazioni economiche e sociali? La risposta teorica
è facile, anche se nella pratica è spesso assai difficile; ma è
risposta forte della sofferenza umana, una forza alla fine
vittoriosa: bisogna rivendicare al lavoro condizioni migliori,
progressivamente migliori; bisogna assicurare al lavoro una sua
giustizia, che cambi al lavoro il suo volto dolorante e umiliato, e
gli renda un volto veramente umano, forte, libero, lieto, irradiato
dalla conquista dei beni non solo economici, sufficienti ad una vita
degna e sana, ma altresì dei beni superiori della cultura, del
ristoro, della legittima gioia di vivere e della speranza cristiana.
OCCORRE
PERVENIRE AD UN ORDINE GIUSTO PER TUTTI E ALLA VISIONE CRISTIANA
DELLA SOCIETÀ
Molto
è già stato fatto in questo senso, ma altro resta ancora da fare.
Le grandi encicliche pontificie hanno alzato voce alta e grave a tale
riguardo; e così quella dei Pastori e dei Maestri e degli Esponenti
del Laicato cattolico. Noi oggi ricordiamo queste magistrali parole,
come quelle in cui risuona l’eco dei nostri testi liturgici. La
Chiesa così onora il lavoro, e cammina anch’essa, non certo alla
retroguardia, sulla via maestra della civiltà del vostro tempo.
L’altra
questione, che sorge spontanea parlando del lavoro, è quella
relativa alla nuova forma, che ha assunto il lavoro moderno, la forma
industriale, quella delle macchine, quella della produzione
massiccia, quella che ha trasformato la nostra società, marcando la
distinzione e l’opposizione delle classi sociali. Che cosa diremo?
si è tanto detto, scritto, operato su questo tema, che non vorremmo
apparire semplicisti nelle Nostre risposte. Ma voi conoscete
l’elementare semplicità di questo Nostro colloquio. La prima
risposta è questa: la Chiesa ammira e incoraggia questa potente
espressione del lavoro moderno: perché mira a moltiplicare i beni
economici in modo che tutti ne possano, in sufficiente misura,
godere; e perché, potenziato dalla macchina, il lavoro è diventato
meno gravoso sulle spalle dell’uomo (cfr. Danusso). Potremmo
anche dire: perché, organizzato com’è, il lavoro moderno produce
nuovi rapporti sociali, nuova solidarietà, nuova amicizia fra chi vi
attende, fra i lavoratori specialmente; e ciò è un bene, se davvero
la solidarietà dell’amore li unisce e conferisce alla società un
tessuto di rapporti umani più compatti e più coscienti, cioè li
associa nella confluenza dapprima delle categorie proprie alle
indispensabili divisioni funzionali del lavoro compresso e
organizzato da compiere, e poi della tutela dei comuni interessi; ma
insieme li forma alla concezione organica della società, che non
deve risultare dall’urto di contrastanti e irriducibili avidità,
ma dall’armonia dialettica della collaborazione ad un ordine giusto
per tutti e della partecipazione ad un bene comune razionalmente
distribuito. Speranza questa ancora in gran parte, ma anche realtà,
che va maturandosi là dove la visione cristiana della società e il
concetto sacro della persona umana, quale soltanto il Vangelo può
alla fine definire e difendere, guadagnano la mentalità del moderno
progresso.
NEL
NOME DEL FABBRO DI NAZARETH «SALUTIAMO E BENEDICIAMO TUTTI I
LAVORATORI»
Quante
cose avremmo ancora da dire! ma questa risulta quasi da sé: la
religione sta alla radice e sta al vertice del processo che fa
grandeggiare sia il concetto, che la realtà del lavoro. Essa ha una
sua dottrina anche per l’aspetto di fatica e di pena, che il lavoro
non perde mai, e ricordandone l’infelice origine (cfr. Gen.
3, 19), ne rammenta il felice e sublime epilogo, il suo valore
redentivo (cfr. Matt. 5, 6); e quasi l’insegnamento non
bastasse a persuaderci dell’onore e dell’amore che al lavoro
umano noi dobbiamo, essa, la nostra religione, un esempio e un
protettore oggi ci offre, l’umile e grande San Giuseppe, maestro
d’opera a quel Cristo dalle cui mani divine l’opera della
creazione e della redenzione sortì. Veneriamo Giuseppe, il fabbro di
Nazareth; e nel suo nome salutiamo e benediciamo oggi tutti i
Lavoratori.
E
siccome, in un modo o in un altro, tali siete voi tutti, di cuore
tutti vi benediciamo.
OMELIA
DI PAOLO VI - dal sito http://www.vatican.va/
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