In pace, sobria e pudica,
le parole di Cacciaguida nel XV canto del Paradiso Dantesco delineano
l'ideale di donna nella Firenze del XIII secolo, dove, sul finire del
1219, nacque Umiliana de' Cerchi. Il padre Ulivieri (Vieri),
originario di Acone in Val di Sieve, era molto ricco. Non abbiamo
notizie sulla madre, probabilmente morì giovane e Vieri passò a
seconde nozze: in tutto ebbe diciassette figli. I Cerchi, guelfi di
parte bianca, erano una famiglia in vista: un fratello di Umiliana
ricoprì importanti cariche pubbliche. Erano tempi di lotte infinite,
anche all'interno delle mura cittadine. Il vicino di casa poteva
essere un nemico e dunque ogni abitazione benestante aveva la sua
torre. I guelfi erano fedeli al papa mentre i ghibellini
patteggiavano per l'imperatore tedesco. In realtà più che per la
politica si lottava per motivi economici: ricchi mercanti e nobili si
contendevano il potere. A Firenze le lotte iniziarono con l'uccisione
di Buondelmonte, il giorno di Pasqua del 1215. Proprio in quel
periodo turbolento lo spirito evangelico fece nascere nuove piante
all'interno della Chiesa, si pensi ai Francescani e ai Domenicani.
San Francesco morì quando Umiliana aveva sette anni. La notizia
suscitò scalpore anche a Firenze, che molte volte aveva visitato, e
certamente arrivò agli orecchi di Umiliana.
Poco conosciamo della sua fanciullezza ma possiamo immaginarla del tutto normale. Le donne erano soggette a moltissimi limiti, sottomesse al padre o al consorte, dovevano rispettare regole sociali anche nel vestiario. Quindicenne, per obbedienza al padre, andò in sposa a Bonaguisi, un tessitore tanto ricco quanto avido e rozzo nei costumi, probabilmente anche usuraio. Vieri sistemò bene anche le altre figlie, basti citare le unioni con gli Adimari e i Donati. Il matrimonio di Umiliana fu dunque un accordo economico tra due ricche famiglie (la dote sponsale era un vero e proprio contratto), del tutto insignificanti le sue aspirazioni. La giovane sposa soffrì più di tutto per le iniquità e la cattiva condotta di vita del consorte e cercò di compensare ciò con molte opere di carità.
La Provvidenza viene sempre in aiuto ai giusti. Umiliana trovò nella sua nuova dimora una collaboratrice eccezionale: la cognata Ravenna. Fu un sostegno importante anche perché, essendo maggiore d'età, aveva il controllo della casa e insieme davano meno nell'occhio. L'unione fu perfetta. Si alzavano di buon ora e, frequentata la Santa Messa (solitamente nella vicina S. Martino), attendevano ai lavori di casa, coordinando la servitù. Si dedicavano poi alle opere di misericordia. Umiliana solitamente si alzava prima dello stabilito e, quando il silenzio avvolgeva la casa, pregava intensamente il suo Gesù. Ravenna testimoniò che Umiliana sottraeva dalla mensa tutto il cibo che poteva per distribuirlo ai poveri insieme a panni e vestiti. Per gli infermi una volta vuotò metà del proprio materasso. Insieme visitavano il Monastero domenicano di Ripoli e l'ospedale di S. Gallo. Umiliana confezionava anche i paramenti sacri per le chiese che visitava, utilizzando di nascosto le stoffe preziose che il marito le donava: somma venerazione portava per il culto divino. Per i poveri si fece anche questuante tra le ricche conoscenti e sovente lavorava di notte, lontana dagli occhi della gente. Nella carità l'unica regola è quella di Cristo, quindi non ha misura. Quando venne scoperta arrivarono ingiurie e percosse, oltre che dal marito anche dai parenti. Umiliana però conosceva bene il passo del Vangelo che chiama beati i perseguitati per causa del Signore. Incarnando perfettamente l'ideale francescano, vestì l'abito del Terz'Ordine nella Chiesa di S. Croce dalle mani di fra' Michele degli Alberti, il suo confessore.
Il matrimonio (durante il quale erano nate due figlie, una di nome Regale) durò cinque anni, fino alla morte improvvisa del marito che spirò, grazie a lei, munito dei conforti religiosi. I parenti dovevano mantenere per un anno la vedova che poi tornava nella propria famiglia. Durante quest'anno invitò alla sua mensa molti poveri. La consuetudine crudele di quei tempi prevedeva che dovessero essere lasciati anche i figli (nel caso di Umiliana fortunatamente saranno allevati da Ravenna).
Vedova a poco più di venti anni, Messer Vieri cercò di convincerla a contrarre un nuovo matrimonio. Questa volta il diniego fu risoluto: voleva entrare nel Monastero di Monticelli (fondato da S. Agnese, sorella di S. Chiara). I piani del Signore però erano differenti. La dote che le era stata restituita fu incamerata dal padre (con atto ufficiale!) e non potendo diventare monaca si rinchiuse nella stanza più alta del palazzo (all'angolo tra le attuali Via della Condotta e Via de' Cerchi) che lasciava solo per recarsi alle funzioni religiose. La fedele Gisla le fu più compagna che cameriera. Nella clausura della sua camera, con lo stretto necessario, predispose un altare per la Madonna. Trascorreva le giornate pregando e facendo penitenze, anche con cilici. Digiunava nei giorni di festa e alle vigilie, durante la Quaresima e l'Avvento (anticipandola da San Martino). In alcuni periodi rispettava anche il grande silenzio. Soffrì molto per l'impossibilità a proseguire l'attività caritatevole, anche se con i poveri mezzi che aveva continuò ad aiutare le giovani vedove in difficoltà. Donò a Dio tutta se stessa, nella castità vedovile. Viveva come una reclusa nel cuore di Firenze, in mezzo alla gente che spesso andava a visitarla (comprese le figlie). La sua stanza divenne una sorta di centro spirituale; tra l'altro ogni Giovedì Santo faceva la lavanda dei piedi alle consorelle terziarie. La fede, la sua più importante ricchezza, l'aveva sempre sostenuta nelle difficoltà e Cristo la ricompensò confortandola ogni giorno. Non mancarono le vessazioni diaboliche e le prove spirituali, ma anche le visioni mistiche.
Si ammalò, ma tacque per non arrecare disturbo: unì le sofferenze a quelle di Cristo in Croce. Il giorno della sua ultima Pasqua terrena, al suono delle campane, andò in estasi. Spirò, assistita solo dalla serva fedele, all'alba del 19 maggio 1246. Era di sabato, giorno dedicato a Maria e aveva ventisette anni. I funerali furono un trionfo vista la fama di santità che già la circondava. Le furono fasciati i piedi per evitare gli eccessi del popolo. Aveva espresso questo desiderio per quel senso di pudore che le era stato sempre caro. Il popolo l'acclamò santa e spontaneamente si recava davanti alla tomba per pregare. Fu sepolta nella prediletta chiesa di S. Croce. Dapprima fu inumata in terra, poi dietro una parete sotto la scala del pulpito, fino a quando il fratello Arrigo (che dietro suo esempio si fece francescano) predispose una cappella nel chiostro. Oggi le sue reliquie sono venerate in una cappella del transetto, in una artistica urna. L'umile beata riposa nella basilica che il mondo intero conosce per le sue opere d'arte e perché vi sono sepolti alcuni grandi d'Italia.
La sua vita fu scritta in latino da fra Vito da Cortona (del convento delle Celle) e dal confessore fra' Michele, che entrambi l'avevano conosciuta. Ci fu una inconsueta attenzione nel raccogliere notizie: scrupolosamente sono citati trentaquattro testimoni tra cui tre cognate, una nonna e tre domestiche. Anche i miracoli (ben quarantasette), che si verificarono nei tre anni successivi alla morte, furono registrati da Fra' Ippolito, dello stesso convento. Il suo modello era da contrapporre al diffondersi dei movimenti eretici. La biografia fu compendiata trecento anni dopo da Raffaello Volterrano e dai Bollandisti. Esempio di umile e grande donna, di figlia, di moglie e di madre, in lei risplendono le virtù dell'umiltà, della carità e dell'obbedienza. Le sue maggiori devote furono le donne in difficoltà. Il culto fu approvato da papa Innocenzo XII il 24 luglio 1694.
In Acone oggi una villa occupa il sito dell'antico castello dei Cerchi, visitato dalla Beata. In una cappella è collocata una tela che raffigura la Madonna e Gesù Bambino che appaiono ad Umiliana. Questa tela è attribuita al Guercino; Umiliana è stata ritratta anche da Giotto.
Dal sito
http://www.santiebeati.it/
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