15 giugno – 12° Anniversario della morte di Padre M. D.
Molinié, sacerdote cattolico, domenicano e tomista, nato nel 1918 e
morto nel 2002, convertito in seguito allo studio della filosofia
durante il quale divenne amico di Cioran, è stato folgorato dalle
intuizioni di Santa Teresa del Bambin Gesù. Durante tutta la sua
vita è stato posseduto dal desiderio di abbozzare per i nostri
contemporanei la dottrina nascosta dal Padre ai sapienti e agli
intelligenti, secondo quanto dice Gesù: "Ti rendo lode Padre
perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai
rivelate ai piccoli".
A questo riguardo diceva: "La filosofia e la teologia sono cose troppo serie per essere abbandonate agli intellettuali... Solo un cuore di bambino ha il diritto ed il dovere di consacrarsi a queste discipline".
Teologo e predicatore di ritiri in numerose comunità contemplative e gruppi di laici, ha lasciato un’immensa eredità spirituale. Ci sono innanzitutto i suoi libri di spiritualità (tra cui La lotta di Giacobbe, Il coraggio di aver paura, Beati gli umili) e di teologia (in particolare la serie "Un feu sur la terre, Réflexions sur la théologie des saints") pubblicati durante la sua vita.
Lettera n.30 di Fr. M.D. Molinié, o.p.
un giorno, a Lourdes, una donna ha avuto l’idea di esibire un cartello: “Signore Gesù, guariscici dall’alcolismo.” Non era un’alcolista ma voleva essere vicino a loro con una preghiera pubblica, riconoscendo peraltro che quel cartello era moralmente pesante da portare. Le dicevano: “Come ha potuto cadere così in basso! È incredibile, sono costernato!” Ella rispondeva gravemente, quasi aggressiva: “Può capitare a tutti!”
Questo genio della carità mi ha fatto ricordare gli alcolisti anonimi, che ho conosciuto grazie al libro di Kessel. Sono nati in America. La loro grande idea si situa un po’ nella prospettiva di quel grido: “Signore Gesù, guariscici dall’alcolismo!” Per entrare nel gruppo degli alcolisti anonimi, bisogna conoscere una vera discesa all’inferno: è il prezzo da pagare, il biglietto d’ingresso in qualche modo. Questi uomini e queste donne sono caduti nella trappola dell’alcool, hanno cercato di uscirne, si sono ripresi più volte, hanno creduto di esserne fuori una volta, due volte, dieci volte... ed è stata come una cappa di piombo, una maledizione che si abbatteva su di loro.
In questa disperazione hanno incontrato gli alcolisti anonimi. Uno di loro spiega che cos’è un alcolista, in termini che rientrano nel determinismo o nella predestinazione. Essere alcolisti è come un’allergia: si è alcolisti come si è miopi o zoppi: “Anche se non bevete, siete degli alcolisti. Siete semplicemente degli alcolisti che non bevono. Gli altri possono bere e ubriacarsi ma non sono al- colisti, è un’altra cosa.” Questo quadro può sembrare fosco, ma c’è del vero. L’alcolista è un paria che, a differenza delle persone normali, non può bere un bicchiere. La trappola che gli si presenta in capo a sei mesi o a un anno, è quella appunto di bere un solo bicchiere... Non se lo può permettere: se ha la disgrazia di toccarlo, cade in una spirale infernale da cui non può più uscire. Gli alcolisti anonimi lo sanno molto bene. La prima cosa che insegnano al neofita, è di non bere per ventiquattr’ore, con l’aiuto dei fratelli: “Ti aiuteremo, perché non puoi uscirne da solo!” Fa parte delle loro scoperte fondamentali: non se ne esce da soli, non è possibile, bisogna essere sostenuti da altri, da quei fratelli che hanno una particolarità molto profonda su cui torneremo. “Se ti viene voglia di bere, se sei in crisi, telefona.” Sanno a chi: può essere un barbone, un operaio, un primo ministro o un artista famoso. Viene subito, chiunque sia: è questa la fraternità degli alcolisti anonimi. Se non può venire, dice: “Chiama questo o quest’altro”... Si trova sempre qualcuno. Tutti si comportano nello stesso modo: per raggiungere il fratello in pericolo, per aiutarlo a passare ventiquattro ore senza bere, lasciano tutto.
Voi direte: “È poco!” Ma dopo ventiquattr’ore, li si aiuta di nuovo a non bere per altre ventiquattr’ore, e così di seguito. “Domani berrai, domani si beve gratis. Ma nel presente, nel concreto, per ventiquattr’ore, ad ogni costo, non devi bere.” Di giorno in giorno si può andare fino alla morte...
C’è già qui una lezione di vita spirituale: tener duro ventiquattro ore davanti alla tentazione. L’immaginazione si dice: “Non potrò tener duro per un anno e neanche per un mese, non è possibile.” Ma ventiquattr’ore, con l’aiuto dei fratelli, si può. E queste ventiquattr’ore sono indefinitamente rinnovabili... Ma l’avventura comincia quando l’alcolista accetta, all’estremo della sua disperazione, di entrare nel gruppo. Per prima cosa ascolta la testimonianza degli altri e fa la sua: “Mi presento, sono un alcolista.” Può essere chiunque, dall’alto al basso della scala sociale. Questa confessione molto semplice ha uno straordinario potere di liberazione, ed è questa confessione che fonda la fraternità. Sono degli alcolisti e dei disperati che non hanno paura di ammetterlo, anche se non hanno bevuto un bicchiere da dieci anni: “Sono un alcolista che da dieci anni, e per ventiquattr’ore sempre rinnovabili, non ha bevuto, ma sono un alcolista.” Sanno che questo vuol dire essere virtualmente un relitto da raccogliere sul marciapiede in preda al delirium tremens, uno scarto che non ha più volto umano (“sono verme, non uomo”). Hanno sperimentato questa decadenza e accettano di dirlo: “Ecco ciò che sono. Primo ministro o artista di genio, è un’apparenza: in realtà sono un alcolista, questa è la mia definizione.” Questa confessione è un detonatore straordinario e costituisce la base di una fraternità, la massoneria di quelli che non hanno paura di dirlo umilmente, poveramente, con l’audacia e la violenza del cartello di cui parlavo all’inizio. Tra alcolisti che si riconoscono tali, ci si ama con l’amore particolare dei primi cristiani... di fatto, si convertono quasi tutti. Tutto questo è nello stesso tempo molto bello, molto impressionante e molto temibile. Per fare questa confessione, infatti, bisogna passare attraverso qualcosa che assomiglia un po’ alla notte oscura di san Giovanni della Croce: “Ho toccato il fondo della disperazione, della follia e quasi della morte... e ho trovato una liberazione, una fraternità, una gioia e un “guardate come si amano.” Ma il prezzo è alto. Ora, c’è qualcosa che, agli occhi della Chiesa cattolica, è molto più grave dell’alcolismo: l’orgoglio. Perché non possiamo presentarci gli uni agli altri dicendo: “Sono orgoglioso – oppure, sono peccatore, è lo stesso – aiutatemi a non esserlo per ventiquattro ore”? Che cosa ci impedisce di farlo? Immaginiamo un cartello da esibire a Lourdes: “Signore Gesù, liberami dall’orgoglio.” Non sarebbe pesante da portare; tutti approverebbero: “Che umiltà!” Tutti sarebbero pieni di ammirazione. Non ci sarebbero lo spavento o la commiserazione che normalmente si provano davanti a un cartello con la scritta: “Sono un alcolista.” Non fa per niente lo stesso effetto, perché si ritiene normale essere orgogliosi: tutti sono orgogliosi!
È vero, tutti siamo orgogliosi, ma questo non vuol dire che sia normale, è su questo punto che siamo ciechi. Che la confessione dell’orgoglio possa essere così facile, mentre quella dell’alcolismo è così terribile, non è affatto normale. Allo stesso modo, se una donna dice: “Sono una prostituta” è una vergogna, anche se è una persona a modo. L’orgoglio, invece, non sembra grave: in teoria lo è, nella pratica no, perché non è motivo di vergogna! L’orgoglioso non si vergogna di dire: “Sono orgoglioso.”
La dottrina della Chiesa è però molto chiara. L’alcolismo è una malattia che porta alla morte e che comporta certamente un decadimento psichico, ma non uccide che il corpo. L’orgoglio invece è la morte dell’anima, che di per sé è eterna. Allora pongo la domanda: perché la confessione dell’orgoglio non fa lo stesso effetto? Perché ci si può permettere di dire: “Sono orgoglioso,” senza che ciò sia drammatico? Rispondo: perché non è umiliante, e allora non ce ne curiamo. È il mistero delle tenebre. Il vantaggio degli alcolisti sugli orgogliosi è di essere usciti dalle tenebre, per lo meno per quanto riguarda l’alcool. Gli alcolisti sono nella disperazione, ma non nelle tenebre. Sanno cosa vuol dire l’alcool, la follia e la morte che li attende al varco: l’orgoglioso non lo sa. Mortalmente o venialmente orgoglioso non lo sa, è nelle tenebre. Solo una discesa nell’inferno può farci uscire dalle tenebre che presentano l’orgoglio come banale e non così grave. La preghiera della sera della mia infanzia diceva: “Fonte eterna di Luce, Spirito Santo, dissipate le tenebre che mi nascondono la bruttura e la malizia del peccato. Fate che io concepisca, mio Dio, un orrore così grande, da detestarlo, se è possibile, come voi lo detestate, e fate ch’io tema sopra ogni altra cosa il peccare di nuovo in avvenire.” Poiché l’orgoglio è il peccato per eccellenza, possiamo così trasporre la preghiera: “Fonte eterna di Luce, Spirito Santo, dissipate le tenebre che mi nascondono la bruttura e la malizia dell’orgoglio (del mio piccolo o del mio grande orgoglio), fate che io concepisca un orrore così grande, o mio Dio, da detestarlo, se è possibile, come voi stesso lo detestate.” Riprenderei questa preghiera aggiungendo: “Dissipate le tenebre che mi nascondono il pericolo della libertà.” Perché l’orgoglio è libero, non è un determinismo, è una libertà che ha preso la sua direzione e non cambia. Non per colpa della chimica o dei cromosomi, ma a causa della stessa libertà: una volta che la libertà ha deciso, non cambia facilmente.
Quando la scelta è buona, tutto ciò è molto bello, ma rimane vero che anche la libertà che sceglie l’orgoglio non cambia facilmente, anche se è un orgoglio mitigato (come quello di Pietro prima del tradimento). Ci vuole una discesa all’inferno per demolire la presunzione che Teresa di Gesù Bambino denuncia assieme a tutti i Padri della Chiesa. Teresa non era nelle tenebre che nascondono la bruttura e la malizia dell’orgoglio, ma le presentiva, quando diceva a Maria della Trinità: “Temete l’orgoglio come il fuoco!” Allora, si vorrebbe fondare il club degli “orgogliosi anonimi,” senza sospettare che esiste già nella Chiesa: da lungo tempo, infatti, esiste la vita monastica. L’abito religioso è il cartello che dice: “Sono orgoglioso.” Questo abito di penitenza significa: “Sono peggio degli altri, Signore Gesù, guariscimi!” In questa fraternità ciascuno si presenta dicendo: “Aiutatemi per ventiquattro ore a lottare contro il mio orgoglio.” Dovrebbe risultarne un “Guardate come si amano” fondato su questa confessione... Purtroppo non succede così, ed è per questo che non ci si accorge molto dell’esistenza degli orgogliosi anonimi. Si nascondono nei conventi, non li si nota, sono persi nella massa di coloro che non sono entrati in questo club, il cui ingresso costa caro come quello degli alcolisti. Per dire: “Sono orgoglioso” in un certo modo, con una certa musica, che è il dono delle lacrime, bisogna scendere all’inferno... e molti ricalcitrano contro il pungolo. Gli orgogliosi dei conventi non ne sono sufficientemente coscienti, le tenebre nascondono loro la malizia e la bruttura dell’orgoglio, la loro confessione non è abbastanza profonda. Allora, per coloro che fanno parte di questa fraternità segreta, dovrebbe essere il Cielo ed è il Purgatorio. L’amore costa caro, bisogna aspettare degli anni prima che un fratello risponda al loro appello. Tendono la mano, tendono il loro cuore, e gli altri non rispondono. “Non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sarà perdonato...” Ma per perdonare bisogna essere in due, quello che chiede perdono e quello che perdona. Ne risulta una sofferenza specifica, quella di scontrarsi contro un muro. Non si dice: “Mi rifiuto,” ma: “Parliamo d’altro”... oppure: “Io ho torto, ma anche lei!” Non si vuole cantare il dialogo del perdono reciproco. Quando Gesù ci chiede di portare la Croce, si tratta innanzi tutto di questa sofferenza. Non si possono avere tutte le sofferenze, tutti i supplizi e tutte le malattie; ma nessun membro del “club” sfugge alla sofferenza di non poter giocare al gioco del perdono. Nessuno, infatti, vuol dialogare con loro, a parte qualche folle. Chi vuole seguire Gesù Cristo non sfuggirà a questa croce, è nel programma. Se non siete disposti a subire la croce continuando a perdonare e a chiedere perdono, dal profondo del cuore senza che vi rispondano, non cercate di seguire Gesù... Ma cosa succede quando qualcuno, pronto a giocare a questo gioco, incontra un fratello ugualmente pronto? Si faranno del male, evidentemente, è la vita: Gesù ha fatto soffrire la Madonna, “perché ci hai fatto questo?” Maria non ha sempre compreso. Dunque si fanno male, ma sono disposti a giocare al gioco del perdono, allora è il Cielo, “guardate come si amano!”
Ritorno alla domanda: perché una tale differenza tra “sono un alcolista” e “sono orgoglioso”? Perché la prima confessione produce un’esplosione metafisica, una deflagrazione terrificante, e la seconda sembra così banale? Che accecamento ci vuole per non provare di fronte al nostro orgoglio lo stesso tremore che si prova davanti al bicchiere capace di trascinarci nella spirale della follia e della morte! Perché? Sì, perché?
Amico lettore, dimentica che ho suggerito la risposta: non c’è niente di più pericoloso delle risposte, si mettono in un cassetto e si rimane tranquilli. Ritorna alla domanda, perché la risposta divenga la tua risposta, e lo Spirito Santo ti sveli concretamente quello che c’è di abominevole nell’orgoglio. Il prezzo da pagare per gustare la dolcezza dell’amore di Dio, è questo orrore... Molti non lo capiscono, in modo particolare tra i mistici, gli uomini d’azione, i monaci, i carismatici, le anime d’orazione. Gli alcolisti anonimi escono dall’inferno e conoscono una specie di Paradiso. Gli orgogliosi anonimi conoscerebbero anche loro, loro soprattutto, un Paradiso: ma è possibile scoprirlo solo alla fine della notte, al termine della discesa nell’inferno del nostro orgoglio. Gli orgogliosi anonimi saprebbero che nove volte su dieci le difficoltà in cui sono invischiati sparirebbero se fossero umili – e che la decima, l’ultima difficoltà sarebbe trasfigurata a immagine di Gesù Bambino o del Cristo in Croce... per non parlare del Cristo in Gloria. Gli orgogliosi anonimi non cercherebbero di essere umili: riconoscerebbero semplicemente, nei gemiti inesprimibili dello Spirito Santo, che sono orgogliosi... permettendo così a Dio di renderli umili a loro insaputa. Gli orgogliosi anonimi ricorrerebbero a un sacerdote appartenente, se possibile, agli orgogliosi anonimi. Egli quale strumento dello Spirito Santo li aiuterebbe a subire l’intervento che lo stesso Spirito Santo opera per togliere a un’anima le sue tenebre. È un’operazione a cuore aperto, estremamente grave, ma “il Cielo ne è il premio!” Gli orgogliosi anonimi prenderebbero come patrone la Vergine Maria e Teresa di Gesù Bambino, le cui intuizioni offrono un’anticipazione del Cielo prima della purificazione che bisogna subire. Presentire il profumo del Cielo cambia molte cose. San Giovanni della Croce dice che le estasi possono fomentare l’orgoglio: la luce di Teresa, no. Con l’estasi, o meglio, senza, quando si è saputa accogliere questa Luce, non c’è che da esserle fedeli, attraverso molte peripezie e tribolazioni certo... ma che importa!
Non è nuovo: la Chiesa l’ha sempre saputo, san Paolo e sant’Agostino l’hanno affermato, ma non hanno ricevuto il carisma di dirlo in questo modo. Se Agostino fosse stato messo di fronte a Teresa, avrebbe riconosciuto: “È esattamente quello che ho voluto dire, specialmente nelle mie discussioni sulla grazia con i pelagiani, ma ella ha avuto il genio di dirlo meglio di me”.
La verità di Teresa di Gesù Bambino è quella della Chiesa. È però così difficile comprenderla bene che i Padri, Teresa e i maestri spirituali non sono di troppo nel denunciare il peccato di Pietro: “Questo povero san Pietro, se avesse detto “Gesù, guariscimi dal mio orgoglio,” se non fosse stato accecato dalle tenebre che gli nascondevano la bruttura e la malizia dell’orgoglio, non avrebbe tradito Gesù.”
Teresa lo dice chiaramente. Allora, a tutti i suoi titoli di gloria, aggiungiamo quello di patrona degli orgogliosi anonimi, e invochiamola in questo senso quando adoreremo Gesù Bambino a Natale!
Avvento 1993 Fr. M.D. Molinié, o.p.
A questo riguardo diceva: "La filosofia e la teologia sono cose troppo serie per essere abbandonate agli intellettuali... Solo un cuore di bambino ha il diritto ed il dovere di consacrarsi a queste discipline".
Teologo e predicatore di ritiri in numerose comunità contemplative e gruppi di laici, ha lasciato un’immensa eredità spirituale. Ci sono innanzitutto i suoi libri di spiritualità (tra cui La lotta di Giacobbe, Il coraggio di aver paura, Beati gli umili) e di teologia (in particolare la serie "Un feu sur la terre, Réflexions sur la théologie des saints") pubblicati durante la sua vita.
Lettera n.30 di Fr. M.D. Molinié, o.p.
Gli orgogliosi anonimi
Miei cari Amici,un giorno, a Lourdes, una donna ha avuto l’idea di esibire un cartello: “Signore Gesù, guariscici dall’alcolismo.” Non era un’alcolista ma voleva essere vicino a loro con una preghiera pubblica, riconoscendo peraltro che quel cartello era moralmente pesante da portare. Le dicevano: “Come ha potuto cadere così in basso! È incredibile, sono costernato!” Ella rispondeva gravemente, quasi aggressiva: “Può capitare a tutti!”
Questo genio della carità mi ha fatto ricordare gli alcolisti anonimi, che ho conosciuto grazie al libro di Kessel. Sono nati in America. La loro grande idea si situa un po’ nella prospettiva di quel grido: “Signore Gesù, guariscici dall’alcolismo!” Per entrare nel gruppo degli alcolisti anonimi, bisogna conoscere una vera discesa all’inferno: è il prezzo da pagare, il biglietto d’ingresso in qualche modo. Questi uomini e queste donne sono caduti nella trappola dell’alcool, hanno cercato di uscirne, si sono ripresi più volte, hanno creduto di esserne fuori una volta, due volte, dieci volte... ed è stata come una cappa di piombo, una maledizione che si abbatteva su di loro.
In questa disperazione hanno incontrato gli alcolisti anonimi. Uno di loro spiega che cos’è un alcolista, in termini che rientrano nel determinismo o nella predestinazione. Essere alcolisti è come un’allergia: si è alcolisti come si è miopi o zoppi: “Anche se non bevete, siete degli alcolisti. Siete semplicemente degli alcolisti che non bevono. Gli altri possono bere e ubriacarsi ma non sono al- colisti, è un’altra cosa.” Questo quadro può sembrare fosco, ma c’è del vero. L’alcolista è un paria che, a differenza delle persone normali, non può bere un bicchiere. La trappola che gli si presenta in capo a sei mesi o a un anno, è quella appunto di bere un solo bicchiere... Non se lo può permettere: se ha la disgrazia di toccarlo, cade in una spirale infernale da cui non può più uscire. Gli alcolisti anonimi lo sanno molto bene. La prima cosa che insegnano al neofita, è di non bere per ventiquattr’ore, con l’aiuto dei fratelli: “Ti aiuteremo, perché non puoi uscirne da solo!” Fa parte delle loro scoperte fondamentali: non se ne esce da soli, non è possibile, bisogna essere sostenuti da altri, da quei fratelli che hanno una particolarità molto profonda su cui torneremo. “Se ti viene voglia di bere, se sei in crisi, telefona.” Sanno a chi: può essere un barbone, un operaio, un primo ministro o un artista famoso. Viene subito, chiunque sia: è questa la fraternità degli alcolisti anonimi. Se non può venire, dice: “Chiama questo o quest’altro”... Si trova sempre qualcuno. Tutti si comportano nello stesso modo: per raggiungere il fratello in pericolo, per aiutarlo a passare ventiquattro ore senza bere, lasciano tutto.
Voi direte: “È poco!” Ma dopo ventiquattr’ore, li si aiuta di nuovo a non bere per altre ventiquattr’ore, e così di seguito. “Domani berrai, domani si beve gratis. Ma nel presente, nel concreto, per ventiquattr’ore, ad ogni costo, non devi bere.” Di giorno in giorno si può andare fino alla morte...
C’è già qui una lezione di vita spirituale: tener duro ventiquattro ore davanti alla tentazione. L’immaginazione si dice: “Non potrò tener duro per un anno e neanche per un mese, non è possibile.” Ma ventiquattr’ore, con l’aiuto dei fratelli, si può. E queste ventiquattr’ore sono indefinitamente rinnovabili... Ma l’avventura comincia quando l’alcolista accetta, all’estremo della sua disperazione, di entrare nel gruppo. Per prima cosa ascolta la testimonianza degli altri e fa la sua: “Mi presento, sono un alcolista.” Può essere chiunque, dall’alto al basso della scala sociale. Questa confessione molto semplice ha uno straordinario potere di liberazione, ed è questa confessione che fonda la fraternità. Sono degli alcolisti e dei disperati che non hanno paura di ammetterlo, anche se non hanno bevuto un bicchiere da dieci anni: “Sono un alcolista che da dieci anni, e per ventiquattr’ore sempre rinnovabili, non ha bevuto, ma sono un alcolista.” Sanno che questo vuol dire essere virtualmente un relitto da raccogliere sul marciapiede in preda al delirium tremens, uno scarto che non ha più volto umano (“sono verme, non uomo”). Hanno sperimentato questa decadenza e accettano di dirlo: “Ecco ciò che sono. Primo ministro o artista di genio, è un’apparenza: in realtà sono un alcolista, questa è la mia definizione.” Questa confessione è un detonatore straordinario e costituisce la base di una fraternità, la massoneria di quelli che non hanno paura di dirlo umilmente, poveramente, con l’audacia e la violenza del cartello di cui parlavo all’inizio. Tra alcolisti che si riconoscono tali, ci si ama con l’amore particolare dei primi cristiani... di fatto, si convertono quasi tutti. Tutto questo è nello stesso tempo molto bello, molto impressionante e molto temibile. Per fare questa confessione, infatti, bisogna passare attraverso qualcosa che assomiglia un po’ alla notte oscura di san Giovanni della Croce: “Ho toccato il fondo della disperazione, della follia e quasi della morte... e ho trovato una liberazione, una fraternità, una gioia e un “guardate come si amano.” Ma il prezzo è alto. Ora, c’è qualcosa che, agli occhi della Chiesa cattolica, è molto più grave dell’alcolismo: l’orgoglio. Perché non possiamo presentarci gli uni agli altri dicendo: “Sono orgoglioso – oppure, sono peccatore, è lo stesso – aiutatemi a non esserlo per ventiquattro ore”? Che cosa ci impedisce di farlo? Immaginiamo un cartello da esibire a Lourdes: “Signore Gesù, liberami dall’orgoglio.” Non sarebbe pesante da portare; tutti approverebbero: “Che umiltà!” Tutti sarebbero pieni di ammirazione. Non ci sarebbero lo spavento o la commiserazione che normalmente si provano davanti a un cartello con la scritta: “Sono un alcolista.” Non fa per niente lo stesso effetto, perché si ritiene normale essere orgogliosi: tutti sono orgogliosi!
È vero, tutti siamo orgogliosi, ma questo non vuol dire che sia normale, è su questo punto che siamo ciechi. Che la confessione dell’orgoglio possa essere così facile, mentre quella dell’alcolismo è così terribile, non è affatto normale. Allo stesso modo, se una donna dice: “Sono una prostituta” è una vergogna, anche se è una persona a modo. L’orgoglio, invece, non sembra grave: in teoria lo è, nella pratica no, perché non è motivo di vergogna! L’orgoglioso non si vergogna di dire: “Sono orgoglioso.”
La dottrina della Chiesa è però molto chiara. L’alcolismo è una malattia che porta alla morte e che comporta certamente un decadimento psichico, ma non uccide che il corpo. L’orgoglio invece è la morte dell’anima, che di per sé è eterna. Allora pongo la domanda: perché la confessione dell’orgoglio non fa lo stesso effetto? Perché ci si può permettere di dire: “Sono orgoglioso,” senza che ciò sia drammatico? Rispondo: perché non è umiliante, e allora non ce ne curiamo. È il mistero delle tenebre. Il vantaggio degli alcolisti sugli orgogliosi è di essere usciti dalle tenebre, per lo meno per quanto riguarda l’alcool. Gli alcolisti sono nella disperazione, ma non nelle tenebre. Sanno cosa vuol dire l’alcool, la follia e la morte che li attende al varco: l’orgoglioso non lo sa. Mortalmente o venialmente orgoglioso non lo sa, è nelle tenebre. Solo una discesa nell’inferno può farci uscire dalle tenebre che presentano l’orgoglio come banale e non così grave. La preghiera della sera della mia infanzia diceva: “Fonte eterna di Luce, Spirito Santo, dissipate le tenebre che mi nascondono la bruttura e la malizia del peccato. Fate che io concepisca, mio Dio, un orrore così grande, da detestarlo, se è possibile, come voi lo detestate, e fate ch’io tema sopra ogni altra cosa il peccare di nuovo in avvenire.” Poiché l’orgoglio è il peccato per eccellenza, possiamo così trasporre la preghiera: “Fonte eterna di Luce, Spirito Santo, dissipate le tenebre che mi nascondono la bruttura e la malizia dell’orgoglio (del mio piccolo o del mio grande orgoglio), fate che io concepisca un orrore così grande, o mio Dio, da detestarlo, se è possibile, come voi stesso lo detestate.” Riprenderei questa preghiera aggiungendo: “Dissipate le tenebre che mi nascondono il pericolo della libertà.” Perché l’orgoglio è libero, non è un determinismo, è una libertà che ha preso la sua direzione e non cambia. Non per colpa della chimica o dei cromosomi, ma a causa della stessa libertà: una volta che la libertà ha deciso, non cambia facilmente.
Quando la scelta è buona, tutto ciò è molto bello, ma rimane vero che anche la libertà che sceglie l’orgoglio non cambia facilmente, anche se è un orgoglio mitigato (come quello di Pietro prima del tradimento). Ci vuole una discesa all’inferno per demolire la presunzione che Teresa di Gesù Bambino denuncia assieme a tutti i Padri della Chiesa. Teresa non era nelle tenebre che nascondono la bruttura e la malizia dell’orgoglio, ma le presentiva, quando diceva a Maria della Trinità: “Temete l’orgoglio come il fuoco!” Allora, si vorrebbe fondare il club degli “orgogliosi anonimi,” senza sospettare che esiste già nella Chiesa: da lungo tempo, infatti, esiste la vita monastica. L’abito religioso è il cartello che dice: “Sono orgoglioso.” Questo abito di penitenza significa: “Sono peggio degli altri, Signore Gesù, guariscimi!” In questa fraternità ciascuno si presenta dicendo: “Aiutatemi per ventiquattro ore a lottare contro il mio orgoglio.” Dovrebbe risultarne un “Guardate come si amano” fondato su questa confessione... Purtroppo non succede così, ed è per questo che non ci si accorge molto dell’esistenza degli orgogliosi anonimi. Si nascondono nei conventi, non li si nota, sono persi nella massa di coloro che non sono entrati in questo club, il cui ingresso costa caro come quello degli alcolisti. Per dire: “Sono orgoglioso” in un certo modo, con una certa musica, che è il dono delle lacrime, bisogna scendere all’inferno... e molti ricalcitrano contro il pungolo. Gli orgogliosi dei conventi non ne sono sufficientemente coscienti, le tenebre nascondono loro la malizia e la bruttura dell’orgoglio, la loro confessione non è abbastanza profonda. Allora, per coloro che fanno parte di questa fraternità segreta, dovrebbe essere il Cielo ed è il Purgatorio. L’amore costa caro, bisogna aspettare degli anni prima che un fratello risponda al loro appello. Tendono la mano, tendono il loro cuore, e gli altri non rispondono. “Non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sarà perdonato...” Ma per perdonare bisogna essere in due, quello che chiede perdono e quello che perdona. Ne risulta una sofferenza specifica, quella di scontrarsi contro un muro. Non si dice: “Mi rifiuto,” ma: “Parliamo d’altro”... oppure: “Io ho torto, ma anche lei!” Non si vuole cantare il dialogo del perdono reciproco. Quando Gesù ci chiede di portare la Croce, si tratta innanzi tutto di questa sofferenza. Non si possono avere tutte le sofferenze, tutti i supplizi e tutte le malattie; ma nessun membro del “club” sfugge alla sofferenza di non poter giocare al gioco del perdono. Nessuno, infatti, vuol dialogare con loro, a parte qualche folle. Chi vuole seguire Gesù Cristo non sfuggirà a questa croce, è nel programma. Se non siete disposti a subire la croce continuando a perdonare e a chiedere perdono, dal profondo del cuore senza che vi rispondano, non cercate di seguire Gesù... Ma cosa succede quando qualcuno, pronto a giocare a questo gioco, incontra un fratello ugualmente pronto? Si faranno del male, evidentemente, è la vita: Gesù ha fatto soffrire la Madonna, “perché ci hai fatto questo?” Maria non ha sempre compreso. Dunque si fanno male, ma sono disposti a giocare al gioco del perdono, allora è il Cielo, “guardate come si amano!”
Ritorno alla domanda: perché una tale differenza tra “sono un alcolista” e “sono orgoglioso”? Perché la prima confessione produce un’esplosione metafisica, una deflagrazione terrificante, e la seconda sembra così banale? Che accecamento ci vuole per non provare di fronte al nostro orgoglio lo stesso tremore che si prova davanti al bicchiere capace di trascinarci nella spirale della follia e della morte! Perché? Sì, perché?
Amico lettore, dimentica che ho suggerito la risposta: non c’è niente di più pericoloso delle risposte, si mettono in un cassetto e si rimane tranquilli. Ritorna alla domanda, perché la risposta divenga la tua risposta, e lo Spirito Santo ti sveli concretamente quello che c’è di abominevole nell’orgoglio. Il prezzo da pagare per gustare la dolcezza dell’amore di Dio, è questo orrore... Molti non lo capiscono, in modo particolare tra i mistici, gli uomini d’azione, i monaci, i carismatici, le anime d’orazione. Gli alcolisti anonimi escono dall’inferno e conoscono una specie di Paradiso. Gli orgogliosi anonimi conoscerebbero anche loro, loro soprattutto, un Paradiso: ma è possibile scoprirlo solo alla fine della notte, al termine della discesa nell’inferno del nostro orgoglio. Gli orgogliosi anonimi saprebbero che nove volte su dieci le difficoltà in cui sono invischiati sparirebbero se fossero umili – e che la decima, l’ultima difficoltà sarebbe trasfigurata a immagine di Gesù Bambino o del Cristo in Croce... per non parlare del Cristo in Gloria. Gli orgogliosi anonimi non cercherebbero di essere umili: riconoscerebbero semplicemente, nei gemiti inesprimibili dello Spirito Santo, che sono orgogliosi... permettendo così a Dio di renderli umili a loro insaputa. Gli orgogliosi anonimi ricorrerebbero a un sacerdote appartenente, se possibile, agli orgogliosi anonimi. Egli quale strumento dello Spirito Santo li aiuterebbe a subire l’intervento che lo stesso Spirito Santo opera per togliere a un’anima le sue tenebre. È un’operazione a cuore aperto, estremamente grave, ma “il Cielo ne è il premio!” Gli orgogliosi anonimi prenderebbero come patrone la Vergine Maria e Teresa di Gesù Bambino, le cui intuizioni offrono un’anticipazione del Cielo prima della purificazione che bisogna subire. Presentire il profumo del Cielo cambia molte cose. San Giovanni della Croce dice che le estasi possono fomentare l’orgoglio: la luce di Teresa, no. Con l’estasi, o meglio, senza, quando si è saputa accogliere questa Luce, non c’è che da esserle fedeli, attraverso molte peripezie e tribolazioni certo... ma che importa!
Non è nuovo: la Chiesa l’ha sempre saputo, san Paolo e sant’Agostino l’hanno affermato, ma non hanno ricevuto il carisma di dirlo in questo modo. Se Agostino fosse stato messo di fronte a Teresa, avrebbe riconosciuto: “È esattamente quello che ho voluto dire, specialmente nelle mie discussioni sulla grazia con i pelagiani, ma ella ha avuto il genio di dirlo meglio di me”.
La verità di Teresa di Gesù Bambino è quella della Chiesa. È però così difficile comprenderla bene che i Padri, Teresa e i maestri spirituali non sono di troppo nel denunciare il peccato di Pietro: “Questo povero san Pietro, se avesse detto “Gesù, guariscimi dal mio orgoglio,” se non fosse stato accecato dalle tenebre che gli nascondevano la bruttura e la malizia dell’orgoglio, non avrebbe tradito Gesù.”
Teresa lo dice chiaramente. Allora, a tutti i suoi titoli di gloria, aggiungiamo quello di patrona degli orgogliosi anonimi, e invochiamola in questo senso quando adoreremo Gesù Bambino a Natale!
Avvento 1993 Fr. M.D. Molinié, o.p.
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