Noi, popoli cristiani, un tempo eravamo nelle tenebre del paganesimo; la misericordia di Dio ci chiamò alla fede e ci convertì, ed ora siamo luce nel Signore e dobbiamo camminare come figli della luce. Il mondo è ricaduto nelle tenebre, e quanto fa di nascosto nella sua vita di peccato è turpe anche solo a dirsi. È difficile farsi un'idea delle tenebrose opere del mondo e del marciume che lo inonda. Se si pensa solo alle case di peccato, dove tanti vanno a perdersi, se si pensa alle profanazioni del Matrimonio, a tanti mezzi di corruzione che depravano la gioventù e la vecchiaia, si rimane profondamente sconcertati.
Noi cristiani dobbiamo gettare il grido della riscossa con le attività dell'Azione Cattolica, e gridare agli assonnati: Svegliatevi, voi che dormite, risorgete dalla morte e Cristo vi illuminerà. È questo, in fondo, il fine che si prefigge l'Azione Cattolica in tutte le sue multiformi attività di zelo, ed è errore gravissimo ostacolare le sue sapienti iniziative o anche semplicemente sparlarne. Essa è il vero esercito militante della Chiesa, e raccoglie le anime per le battaglie più aspre; si direbbe che è come la fanteria della Chiesa militante, esposta in prima linea ai furori ed agli assalti del nemico.
Figli della luce, noi dobbiamo dame i frutti in ogni sorta di bontà, di giustizia e di verità, opponendoci all'ira del mondo, alla sua depravazione ed alle sue menzogne; la bontà ci fa essere pieni di carità, la giustizia ci fa essere puri, santi e tutti di Dio, la verità ci illumina per cercare e seguire ciò che è accetto al Signore. Figli della luce, non possiamo partecipare alle opere infruttuose delle tenebre, accomunandoci allo spirito del mondo, che anzi dobbiamo riprendere le sue opere tenebrose, metterle in chiaro, smascherarle, perché si risveglino i dormienti e risorgano dal peccato quelli che sono morti alla grazia.
Chi segue il mondo pur pretendendo di essere cristiano, è stolto, perché presume di voler mescolare la luce con le tenebre; è stolto perché perde il tempo prezioso che gli è stato concesso per conquistare la vita eterna, e si getta volontariamente nell'abisso della perdizione. Di questa stoltezza siamo rei un po' tutti, poiché non c'è vita di uomo che non abbia dei grandi vuoti e delle grandi rovine accumulate nel suo percorso.
Se ci esaminiamo alla luce di Dio, e se ponderiamo i peccati commessi, con tutte le raffinatezze della nostra malizia, se ponderiamo le opere buone trascurate, l'incorrispondenza alle grazie divine, le mancanze di fede, le ingiustizie commesse contro il prossimo, e tutte le altre nostre miserie spirituali, ci accorgiamo di avere sperperato il tempo concessoci da Dio, e sentiamo il bisogno di recuperarlo, considerando quale sia il volere di Dio e compiendo quello che il Signore esige da noi per il nostro medesimo bene. Non siamo inconsiderati, prendendo alla leggera la vita; pensiamo ogni giorno che dovremo presentarci innanzi al giudizio di Dio e che, nell'infinita luce che allora ci avvolgerà e ci penetrerà, non avremo come giustificare le nostre manchevolezze e i nostri peccati.
La vita presente non è per noi un simposio, non è un banchetto di piaceri ma è una prova, nella quale dobbiamo meritare l'eterna felicità; non possiamo, dunque, inebriarci di vino o ricercare i diletti materiali dei sensi, ma dobbiamo riempirci di Spirito Santo e, nell'amore del quale Egli c'infiamma, dobbiamo cantare e salmeggiare a Dio dal fondo dei nostri cuori, rendendogli grazie per i suoi benefici, e per ogni cosa che ci avviene nella vita. I divertimenti del mondo sono come fiamme di fuoco divoratore che inaridiscono l'anima nostra, e la gettano in una grande infelicità; i sacrifici, invece, che abbracciamo e sosteniamo per la gloria di Dio, sono come acqua salutare che ci fa mirabilmente fiorire e fruttificare, dandoci una gioia interiore che il mondo non conosce e non può mai provare. Non siamo, dunque, così stolti che, volendo conseguire la felicità, ci gettiamo negli abissi dell'infelicità e, pretendendo di rendere gaia e spensierata la vita, la rendiamo invece un Inferno di dolori e di preoccupazioni che finiscono per gettarci nella disperazione più cupa.
Sac. Dolindo Ruotolo
Tratto da "Lettere di San Paolo Apostolo" - Casa Mariana Editrice - da pag. 1436 a pag. 1438
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