La
storia di Giuseppe l’Ebreo
Il Patriarca
Giacobbe amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché lo aveva
avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe
maniche. Per questo i suoi fratelli, lo odiavano e il loro odio si
accese ancor più quando Giuseppe raccontò loro e ai suoi genitori i
suoi sogni. “Noi stavamo legando i covoni in mezzo alla campagna,
quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri
covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio”. E ancora:
“Ho fatto un sogno: il sole, la luna e undici stelle si prostravano
davanti a me”.
Un giorno Giacobbe disse a Giuseppe: “Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Va’ a vedere come stanno”. Il ragazzo andò. Ma quando essi lo videro complottarono di farlo morire: “Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: Una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!”. Quando Giuseppe fu arrivato, i suoi fratelli lo spogliarono e lo gettarono in una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Passavano in quel momento alcuni mercanti ed essi tirarono su Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento lo vendettero agli Ismaeliti.
Così Giuseppe fu condotto in Egitto. Poi presero la tunica del fratello, scannarono un capro e l’intinsero nel sangue. Quindi la fecero pervenire al padre con queste parole: “L’abbiamo trovata; riscontra se è o no la tunica di tuo figlio”. E il padre suo lo pianse (cf Genesi 37).
Un giorno Giacobbe disse a Giuseppe: “Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Va’ a vedere come stanno”. Il ragazzo andò. Ma quando essi lo videro complottarono di farlo morire: “Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: Una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!”. Quando Giuseppe fu arrivato, i suoi fratelli lo spogliarono e lo gettarono in una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Passavano in quel momento alcuni mercanti ed essi tirarono su Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento lo vendettero agli Ismaeliti.
Così Giuseppe fu condotto in Egitto. Poi presero la tunica del fratello, scannarono un capro e l’intinsero nel sangue. Quindi la fecero pervenire al padre con queste parole: “L’abbiamo trovata; riscontra se è o no la tunica di tuo figlio”. E il padre suo lo pianse (cf Genesi 37).
Preghiamo
con il Salmo 13
Rit.: Sei tu, Signore, il mio rifugio.
Lo stolto pensa: “Non c’è Dio”.
Sono corrotti, fanno cose abominevoli:
nessuno più agisce bene. Rit.
Il Signore dal cielo si china sugli uomini
per vedere se esista un saggio:
se c’è uno che cerchi Dio. Rit.
Non comprendono nulla tutti i malvagi,
che divorano il mio popolo come il pane.
Non invocano Dio: tremeranno di spavento. Rit.
Dio è con la stirpe del giusto,
il Signore è il suo rifugio.
Da Sion viene la salvezza d’Israele! Rit.
In che consiste il vizio capitale dell’invidia
L’invidia
consiste in un sentimento di profondo rammarico che investe una
persona nel vedere, o anche solo nel sapere, che un altro è più
fortunato, più bravo e più capace di lui: perché il suo successo
negli affari è grande, perché è felice, perché la sua carriera è
brillante, perché ogni cosa gli va a gonfie vele, anche la salute e
la famiglia.
Ciò può investire il mio cuore e la mia mente per qualche momento e questo non ci deve impressionare, ma quando il rammarico si impadronisce di tutto me stesso, tanto da diventare un disappunto astioso e pieno di bile che può sfociare in qualche azione o comportamento non corretto, allora diventa vizio capitale, con strascico di gelosie, rivalità, dispetti e livori. Tutta la persona viene contaminata e uno rischia anche di rovinarsi la salute.
Il desiderio di poter avere anche noi il bene degli altri e la loro fortuna, è disdicevole soltanto quando il successo altrui lo consideriamo un male per noi, quando appunto consideriamo il bene degli altri quale diminuzione della nostra gloria e della nostra superiorità. Allora il cuore si rattrista, sente che ci viene rubata la stima che ci è dovuta, le nostre parole e i gesti diventano vivaci, senza ritegno, e tutto ci crea una malinconia infinita.
Il nostro io, il nostro orgoglio, sono feriti mortalmente. Il mio cuore diventa una fontana che butta in abbondanza odio, maldicenze, mormorazioni, giudizi avventati e perversi.
Ciò può investire il mio cuore e la mia mente per qualche momento e questo non ci deve impressionare, ma quando il rammarico si impadronisce di tutto me stesso, tanto da diventare un disappunto astioso e pieno di bile che può sfociare in qualche azione o comportamento non corretto, allora diventa vizio capitale, con strascico di gelosie, rivalità, dispetti e livori. Tutta la persona viene contaminata e uno rischia anche di rovinarsi la salute.
Il desiderio di poter avere anche noi il bene degli altri e la loro fortuna, è disdicevole soltanto quando il successo altrui lo consideriamo un male per noi, quando appunto consideriamo il bene degli altri quale diminuzione della nostra gloria e della nostra superiorità. Allora il cuore si rattrista, sente che ci viene rubata la stima che ci è dovuta, le nostre parole e i gesti diventano vivaci, senza ritegno, e tutto ci crea una malinconia infinita.
Il nostro io, il nostro orgoglio, sono feriti mortalmente. Il mio cuore diventa una fontana che butta in abbondanza odio, maldicenze, mormorazioni, giudizi avventati e perversi.
Che
cosa ci dice la Bibbia
“Un cuore
tranquillo è la vita di tutto il corpo, l’invidia è la carie
delle ossa” (Pr 14,30).
“Dio ha creato
l’uomo per l’immortalità, ma la morte è entrata nel mondo per
invidia del diavolo” (Sap 2,23-24).
“Pilato sapeva che
i sommi sacerdoti gli avevano consegnato Gesù per invidia” (Mc
15,10).
È chiaro che i
mali dello spirito vengono perché non ascoltiamo il nostro Gesù.
Dice infatti la Bibbia: “che se uno non segue la sana parola,
costui è accecato dall’orgoglio, è preso dalla febbre di cavilli,
e da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti
cattivi” (1 Tm 6,4).
Come
si camuffa l’invidia
Non è cosa rara
che l’invidia si presenti come zelo per le cose di Dio. Si tratta
di un falso zelo e ciò ci deve far riflettere. Infatti quelli stessi
che ardono d’invidia per il bene che altri compiono, pensano e si
convincono di agire soltanto loro per la gloria di Dio. Questo
succedeva anche nei primi anni della Chiesa e non solo allora.
Sappiamo che non sono esenti le comunità religiose e i movimenti.
Ecco alcuni esempi.
Molti miracoli e prodigi avvenivano tra il popolo per opera degli apostoli, e andava crescendo il numero di coloro che credevano nel Signore, fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze quando passava Pietro, perché anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro e venisse guarito. Allora il sommo sacerdote e i suoi aderenti, pieni di gelosia e di invidia misero le mani sugli apostoli e li gettarono in prigione (cf At 5,12ss).
Un giorno ad Antiochia di Pisidia, dopo il grande discorso che Paolo tenne nella Sinagoga, molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la Parola di Dio. Quando i Giudei videro quella moltitudine furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo. Ma l’apostolo vista la loro ostinazione disse: “A questo punto ci rivolgiamo ai pagani. Fu allora che i Giudei sobillarono le donne pie e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba” (cf At 13,12ss).
Può, dunque, succedere che l’ardore di zelo per il Signore diventi, in pratica, vera gelosia, una sporca invidia che sfocia in contese che minacciano la vita di una comunità ecclesiale.
Dice San Giacomo: “Dove c’è invidia e ambizione egoistica, là c’è disordine e ogni azione cattiva” (Gc 3,16). E San Paolo scrivendo ai Corinti afferma: “Quando c’è tra voi invidia e discordia, non appartenete forse al mondo? Quando uno dice: Io sono di Paolo, e l’altro: Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini?” (1 Cor 3,3ss). Si devono fuggire come la peste: contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, litigi, gelosie, insubordinazioni, al contrario dobbiamo rivestirci del Signore nostro Gesù Cristo.
Molti miracoli e prodigi avvenivano tra il popolo per opera degli apostoli, e andava crescendo il numero di coloro che credevano nel Signore, fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze quando passava Pietro, perché anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro e venisse guarito. Allora il sommo sacerdote e i suoi aderenti, pieni di gelosia e di invidia misero le mani sugli apostoli e li gettarono in prigione (cf At 5,12ss).
Un giorno ad Antiochia di Pisidia, dopo il grande discorso che Paolo tenne nella Sinagoga, molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la Parola di Dio. Quando i Giudei videro quella moltitudine furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo. Ma l’apostolo vista la loro ostinazione disse: “A questo punto ci rivolgiamo ai pagani. Fu allora che i Giudei sobillarono le donne pie e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba” (cf At 13,12ss).
Può, dunque, succedere che l’ardore di zelo per il Signore diventi, in pratica, vera gelosia, una sporca invidia che sfocia in contese che minacciano la vita di una comunità ecclesiale.
Dice San Giacomo: “Dove c’è invidia e ambizione egoistica, là c’è disordine e ogni azione cattiva” (Gc 3,16). E San Paolo scrivendo ai Corinti afferma: “Quando c’è tra voi invidia e discordia, non appartenete forse al mondo? Quando uno dice: Io sono di Paolo, e l’altro: Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini?” (1 Cor 3,3ss). Si devono fuggire come la peste: contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, litigi, gelosie, insubordinazioni, al contrario dobbiamo rivestirci del Signore nostro Gesù Cristo.
Preghiamo con il Salmo 54
Rit.: Porgi l’orecchio, Dio, alla mia preghiera.
Non respingere la mia supplica;
dammi ascolto e rispondimi,
mi agito nel mio lamento,
sono sconvolto al grido del nemico. Rit.
Chi mi darà ali come di colomba,
per volare e trovare riposo?
Io invoco Dio e il Signore mi salva. Rit.
Di sera, al mattino, a mezzogiorno
mi lamento e sospiro ed egli ascolta la mia voce;
mi salva, mi dà pace. Rit.
Don
Timoteo Munari SDB
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