«Mio
caro amico, la tua santità è strettamente legata alla tua
competenza professionale, scriveva un prete a un giovane studente di
medicina. Così come è impossibile essere un buon sacerdote e al
tempo stesso un cattivo cappellano, allo stesso modo, anche se per un
altro motivo, non si può essere contemporaneamente un buon cristiano
e un medico mediocre.» Questo studente, Pietro Tarrés , divenuto
medico e poi sacerdote, è stato beatificato dal beato papa Giovanni
Paolo II, il 5 settembre 2004.
Pere
Tarrés è nato nel maggio 1905 nella città di Manresa, proprio nel
cuore della Catalogna iberica (Spagna). Questa antica città è anche
la patria spirituale di sant’Ignazio di Loyola. Il neonato riceve
il Battesimo il 4 giugno, nella chiesa della Madonna del Carmine. Suo
padre è fabbro-meccanico in uno stabilimento tessile. In seguito,
dopo un periodo di disoccupazione, verrà assunto come
autista-meccanico presso una ricca vedova della città. Nel 1908, una
prima sorella, Francisca, segue Pietro, e, nel 1910, una seconda,
Maria-Salut. Vedendo che tutte le carezze si rivolgono verso
Francisca, Pietro viene preso da una terribile crisi di gelosia. Un
giorno in cui la piccola è stata issata su un seggiolone, Pietro la
spinge con forza, per farla cadere. Senza il pronto intervento del
padre, la caduta della bambina avrebbe potuto avere gravi
conseguenze. Ma la crisi non dura, e Pietro diventa un fratello che
ama con passione. Riserva alle sue sorelle una varietà di soprannomi
affettuosi dicendo loro: «Noi non faremo come quei fratelli che,
quando crescono, non si amano più. Noi ci vorremo sempre bene e
cercheremo di essere dei santi.» Quanto a lui, ama chiamarsi Guy, in
onore di Guy de Fontgalland, un bambino parigino morto in odore di
santità, di cui ha letto la vita. Un giorno, la sorella più
giovane, la beniamina, si ammala gravemente. Tutto sembra perduto e
l’abito per la sepoltura è pronto. Dietro suggerimento di una
signora, Pietro si precipita alla fontana di Sant’Ignazio dove
attinge un’acqua considerata miracolosa; quest’acqua viene data
alla piccola morente che, con grande stupore di tutti, si ritrova
completamente guarita.
Colpo
di fulmine
Pietro
inizia il suo percorso scolastico con i Fratelli delle Scuole Pie,
ma, verso l’età di dieci anni, viene assunto come fattorino nella
farmacia della città. Il farmacista non tarda a notare
l’intelligenza di questo ragazzo, e gli ottiene una borsa di studio
per frequentare la scuola secondaria. Un giorno, lasciandosi
trascinare da alcuni compagni, Pietro soccombe alla tentazione di
rubare delle albicocche. È sull’albero quando compare
all’improvviso il contadino e gli grida: «Te, ti conosco, tu sei
il figlio del fabbro. Lo dirò a tuo padre.» Questa minaccia è per
il ragazzino come un colpo di fulmine, perché non ha mai dato
dispiaceri ai suoi genitori. Il giorno dopo, la famiglia è invitata
a un matrimonio dopo il quale Pietro è preso da una forte
indigestione. Quando suo padre viene a trovarlo, il ragazzo capisce
che è già a conoscenza della faccenda delle albicocche, ma il
signor Tarrés lascia semplicemente che suo figlio si assuma le
conseguenze della sua colpa.
Molto
dotato per gli studi, il nostro scolaro si fa un punto d’onore di
non deludere coloro che gli hanno permesso di studiare. Il suo
segreto è il l’impegno tenace e il metodo. La sua devozione è
anche molto intensa. Prega il Rosario con le sorelle e le sgrida con
dolcezza quando sono distratte. A quattordici anni, riceve lo
scapolare della Madonna del Carmelo. La Vergine Maria diventa la sua
confidente: «Quando esco di casa, le dico dove vado, e quando
rientro, le dico com’è andata.» È molto legato ai gesuiti della
città, presso i quali serve come chierichetto. Gli viene il
desiderio di diventare sacerdote; «questo qui finirà gesuita»,
assicurano del resto quelli che lo frequentano. Suo padre, che non
vuole perderlo, si spaventa e gli chiede di cambiare consiglieri
spirituali. Ma, a partire dall’età di 16 anni, Pietro inizia gli
studi di medicina a Barcellona, perché gli è stato detto che
l’esercizio della medicina è molto simile al sacerdozio. Cerca un
nuovo direttore spirituale: «L’anima umana, pensa, assomiglia al
corpo, ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura, qualcuno che
sappia medicare con amore le sue ferite, che non sono altro che le
passioni sfrenate, l’egoismo e l’amor proprio.» Trova questo
padre spirituale nella persona di padre Serra, oratoriano e futuro
martire. Quest’ultimo gli scrive: «Sono felice al pensiero delle
virtù che, con la grazia di Dio, tu sei destinato a praticare,
nell’esercizio di una carriera la cui influenza sociale è così
importante. Bisogna che tu sia molto disciplinato...» Pietro prende
l’abitudine di comunicarsi tutti i giorni; ne riceve una amore
della castità che è la sua forza e la sua gioia.
All’inizio
del luglio 1925, Pietro si reca al capezzale di suo padre colpito dal
tifo. Gli sussurra nell’orecchio delle giaculatorie e aggiunge:
«Voi chiedete perdono a Gesù con tutto il cuore, non è vero,
padre? Perdonate a coloro che vi hanno offeso, non è vero?» Questo
amato padre si spegne serenamente. Cinque mesi dopo, Pierre apprende
che sua madre è stata investita da un ciclista. Ritorna
precipitosamente e Manresa e la trova immobilizzata da una frattura
del collo del femore. Rimane presso di lei e la cura con una
dedizione ammirevole. «Povero ragazzo, dirà lei, quanto l’ho
fatto soffrire durante quelle terribili notti!»
Un
impulso straordinario
Pietro
si prodiga nelle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e anima
l’Azione cattolica di Barcellona. Per la festa del Natale 1927,
consacra per sempre la sua verginità al Signore: «La notte di
Natale, dice, sentii un movimento molto forte, un impulso
soprannaturale straordinario. Dio mi chiedeva il voto perpetuo di
castità.» Si confida su questo con il suo direttore spirituale che
gli conferma che questa è la volontà di Dio.
Nella
sua enciclica Sacra virginitas (25 marzo 1954), papa Pio XII
scriveva: «I santi Padri hanno considerato questo vincolo di castità
perfetta come una specie di matrimonio spirituale fra l’anima e
Cristo... “Per me la verginità è una consacrazione in Maria e in
Cristo” (san Girolamo)... Un altro frutto soavissimo della
verginità è che le persone vergini manifestano e rendono pubblica
la perfetta verginità della stessa loro Madre la Chiesa, e la
santità del suo vincolo strettissimo con Cristo.» (nn. 16, 64, 29).
Il
26 giugno 1928, dopo sei anni di brillanti successi, Pietro Tarrés
consegue il suo dottorato in medicina con il massimo dei voti.
Immediatamente, sale la santa montagna di Montserrat per ringraziare
la Vergine. Poi apre uno studio medico a Barcellona. Sua madre e la
sorella minore, Maria-Salut, lo seguono lì. Francisca, la maggiore
delle due sorelle, è entrata come religiosa presso le Suore della
Concezione; Maria-Salut la raggiungerà nel 1930. Pietro si fa una
buona clientela; nonostante tutti i servizi gratuiti che offre ai
poveri della città, si guadagna bene da vivere e acquista una bella
automobile nella quale porta in giro sua madre per distrarla. «Li
vedo prima di tutto come degli amici», dice il nostro medico
parlando dei suoi pazienti. Gli accade di confidare ai suoi colleghi:
«Per me, il medico di fronte al malato è come il sacerdote davanti
all’altare. Il letto è l’altare; il malato, la vittima che
soffre; il medico, il prete. Non avete mai avuto questa idea quando
vi trovate davanti a un malato?» La sua presenza addolcisce i malati
più difficili di carattere. Confesserà in seguito: «Vi assicuro
che per tutto il tempo in cui ho esercitato la professione di medico,
ho fatto tutto il mio possibile perché i malati potessero ricevere i
sacramenti. La morte è il momento in cui la misericordia di Dio
plana su un’anima, e il medico può aiutare a incanalarla. Sono
stato testimone di casi veramente consolanti.» La sua delicatezza
nei confronti dei pazienti non ha limiti. Un povero anziano soffre
soprattutto di non poter uscire di casa. Il dottor Tarrés lo porta
in giro nella sua automobile per svagarlo, come se si trattasse del
suo proprio padre.
«Grazie
alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il
volto del Signore risorto, ricorda papa Benedetto XVI. Tutto quello
che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me (Mt 25, 40): queste parole del Signore sono un
monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore
con cui Egli si prende cura di noi» (Lettera Porta fidei, 11 ottobre
2011, 14).
Apostoli
in giacca e pantaloni
Un
giorno, Pietro si reca in un quartiere povero della città dove deve
assicurare la sostituzione di un amico, quando viene circondato da un
gruppo di uomini e di donne che gli rubano tutto quello che ha. Per
nulla turbato, chiede: «Ditemi dove si trova il dispensario, perché
sono il medico che sostituisce il dottor X.» Sconcertati, i suoi
aggressori gli presentano le loro vive scuse e gli restituiscono ciò
che gli hanno rubato. Allora, chiede loro se conoscono qualche casa
in cui vi sia un malato. Lo conducono in una grotta dove giace una
donna tubercolotica, circondata da tre bambini rachitici. Questo
spettacolo miserabile condurrà in seguito Pietro a fondare il
sanatorio di Nostra Signora della Mercede, per i malati di
tubercolosi poveri. È anche pensando a questo dramma che egli
diventa un fervente consigliere della “Federazione dei giovani
cristiani di Catalogna”, movimento volto a promuovere la dottrina
sociale della Chiesa tra la gioventù operaia abbandonata e lasciata
in balia alle utopie comuniste e anarchiche. Il dottor Tarrés tiene
anche delle lezioni presso la facoltà, come professore incaricato, e
scrive vibranti articoli nel settimanale “Fiamma”, organo della
“Federazione” di cui è diventato il vero leader. «Abbiamo
bisogno di apostoli, dichiara; apostoli in giacca e pantaloni per
evangelizzare le officine, le fabbriche, gli uffici... per seminare
con amore il seme della nostra fede, la ragione della nostra vita, la
verità della nostra dottrina.»
Nella
Lettera Porta fidei, papa Benedetto XVI afferma, nella stessa
direzione: «Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è
la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel
cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la
mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non
ha fine» (n° 15).
Pietro
stesso si sposta in automobile con alcuni giovani, per parlare di
Gesù e del suo Vangelo nei diversi quartieri della città. La sua
eloquenza è tale che a volte, dopo aver sentito i suoi discorsi, dei
giovani strappano la loro tessera di membri delle organizzazioni
anarchiche. Ma altre volte, con i suoi compagni, deve fuggire a piena
velocità nella Opel nera, i cui finestrini non vengono sempre
risparmiati. «Siamo forti perché siamo liberi, dice egli ancora, e
siamo liberi perché siamo casti. La purezza della gioventù è il
sale che impedisce ai popoli di corrompersi... è la garanzia della
più solida pace familiare.»
Gesù
ci dice: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8). I
“puri di cuore” designano coloro che hanno accordato la propria
intelligenza e la propria volontà alle esigenze della santità di
Dio, attraverso la carità, la castità, e la fede. C’è un legame
tra la purezza del cuore, del corpo e della fede. La purezza del
cuore ci donerà di vedere Dio: fin d’ora ci consente di vedere
ogni cosa secondo Dio. La purificazione del cuore esige la preghiera,
la pratica della castità, la purezza dell’intenzione e dello
sguardo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica 2518, 2531, 2532).
Come
la cera
Questo
cammino di purificazione, iniziato con il Battesimo, si sostiene con
la grazia santificante. «Nel Battesimo, spiegava papa Benedetto XVI
ai giovani, il 24 settembre 2011 in Germania, il Signore accende, per
così dire, una luce nella nostra vita, una luce che il catechismo
chiama la grazia santificante. Chi conserva tale luce, chi vive nella
grazia è santo... Cristo non esige azioni straordinarie, ma vuole
che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e
perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì,
voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce... Una
candela può dar luce soltanto se si lascia consumare dalla fiamma...
Permettete che Cristo arda in voi, anche se questo può a volte
significare sacrificio e rinuncia... Abbiate il coraggio di impegnare
i vostri talenti e le vostre doti per il Regno di Dio e di donare voi
stessi – come la cera della candela – affinché per vostro mezzo
il Signore illumini il buio.»
A
Barcellona, il prestigio del dottor Tarrés è immenso. Gli viene
suggerito di presentarsi come candidato alle elezioni, ma egli
rifiuta, ritenendo che quello non sia il suo posto. In Spagna scoppia
la guerra civile e la situazione a Barcellona diventa insostenibile,
perché la città è caduta nell’anarchia. Al riparo del suo
prestigio medico Pietro Tarrés prosegue il suo apostolato.
All’inizio del mese di agosto del 1936, due uomini armati si
presentano nel suo studio: «Togliti il camice e seguici!» Al
commissariato, viene consigliato a Pietro di costituirsi prigioniero
volontario per salvare la propria vita. Egli rifiuta, ma, ben presto
rilasciato, lascia la sua casa e si nasconde presso degli amici dove
soffre di non potersi comunicare: «Mio Dio, se potessi fare la
Comunione! scriverà nel suo diario. Se Tu mi facessi la grazia di
portarmi un prete!» Trascorrono undici mesi in questo eremo di sette
metri quadri. Finalmente, il 24 agosto 1937, venendo a sapere che la
capitale della Catalogna ritrova un momento di calma relativa, Pietro
torna a casa sua. Questi mesi di intensa preghiera hanno ravvivato in
lui il desiderio di diventare sacerdote. Tuttavia, il 28 maggio 1938,
viene arruolato nell’esercito repubblicano (la Spagna è allora in
guerra civile) come tenente medico. Egli scrive nel suo diario, alla
data del 13 giugno 1938: «Non voglio che nessun soldato possa dire
che l’ho trattato in modo negligente.» In effetti, gli accade di
passare una notte intera presso un ferito. Una volta, un soldato
curato da lui, gli confessa: «Dottore, mi era stato dato l’ordine
di ucciderLa, ma mi rendo conto che le Sue idee religiose sono di un
grande valore.»
Una
risposta netta
Tuttavia,
il tracollo dell’esercito repubblicano è vicino. Il 27 gennaio
1939, dopo la dispersione delle truppe in rotta, Pietro Tarrés torna
al suo studio medico. Entra nel seminario non appena esso riapre, e
vi veste l’abito talare il 29 settembre. Passa allora attraverso
una specie di notte spirituale, ma il suo confessore lo rassicura.
Nonostante i suoi 34 anni, si sottomette alla disciplina. Ma poco
dopo, un’anemia lo riduce a una totale incapacità intellettuale.
Per fortuna, la salute gli ritorna e gli studi riprendono con
successo. Durante una pausa di ricreazione, un seminarista chiede a
Pietro: «Quando sarete prete, eserciterete anche la medicina?» La
risposta arriva, netta: «No!» Egli spiega che si tratta di due
vocazioni che richiedono un dono totale di sé e che, di conseguenza,
ha rinunciato alla medicina.
Durante
l’estate del 1941, muore sua madre. Il 30 maggio 1942, Pietro viene
ordinato prete e, l’indomani, celebra la sua prima Messa nella
basilica di Nostra Signora della Mercede. Tre giorni dopo, è
nominato vicario in una piccola parrocchia, Sant Esteve de
Sesrovires. « È una delle parrocchie più piccole della diocesi,
scrive a sua sorella Francisca, ma, anche se vi fosse una sola anima,
mi sentirei felice, tanto grande è il prezzo di un’anima!» Il
primo penitente che il nuovo vicario trova al confessionale è il suo
parroco, un buon prete la cui età, già avanzata, accentua i piccoli
difetti naturali: suscettibilità, complesso di inferiorità,
asprezza di carattere... A poco a poco, il nuovo vicario trasforma la
parrocchia. Mentre insegna il catechismo ai bambini, li inizia al
teatro; organizza circoli di studio, e persino una squadra di calcio,
senza per questo trascurare il confessionale. La sua grande capacità
di lavoro è sostenuta da una vera vita mistica.
Un
giorno, viene chiamato per dare gli ultimi sacramenti a una donna che
sta morendo di parto. Padre Tarrés le amministra l’Estrema
Unzione; rapidamente, il suo colpo d’occhio professionale
diagnostica il problema medico. Si può intervenire ma non c’è
tempo da perdere, è una questione di minuti... Una forza
irresistibile lo spinge ad agire e la mamma è salvata insieme al suo
bambino. Gli accadrà ancora di salvare uno o due morenti, per mezzo
di qualche consiglio discreto; tuttavia questi atti medici resteranno
eccezionali.
Ben
presto, il suo vescovo lo invia all’Università di Salamanca per
seguire degli studi di teologia. Là, soffre il freddo e la fame al
punto che dirà in seguito con umorismo: «Se mi capitasse di
smarrirmi, vi è un posto in cui non vale la pena cercarmi, è a
Salamanca.» Il 13 novembre 1944, consegue la laurea in teologia, e
il vescovo lo chiama a Barcellona per affidargli delle responsabilità
di cappellanie e di direzione di varie opere. Le sue giornate sono
sovraccariche, ma mantiene una disponibilità gioiosa per tutti. Per
sostituire temporaneamente un altro sacerdote, viene nominato
consigliere dell’Azione cattolica femminile. «La donna, dice,
possiede una tale potenza d’amore, una tale capacità di donarsi,
che, messe al servizio della Chiesa, queste possono diventare un
sostegno molto potente.»
Nella
stessa direzione, papa Benedetto XVI osservava, il 10 maggio 2009, ad
Amman, in Giordania: «La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono
arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò
che il mio predecessore papa Giovanni Paolo II chiamava il “carisma
profetico” delle donne come portatrici di amore, maestre di
misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed
umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della
persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto.»
«Non
vi vidi che luci...»
Il
sanatorio, dedicato a Nostra Signora della Mercede, di cui padre
Tarrés è stato l’artefice principale, viene inaugurato nel 1947.
Quello stesso anno, egli deve prendere un po’ di riposo nei
Pirenei, al santuario della Vergine di Nuria. Rientrato a Barcellona,
si vede affidare la cappellania di un centro di accoglienza per donne
malate, provenienti dalla prostituzione. Egli trascorre la sua ultima
Settimana Santa a predicare un ritiro a queste donne. Condivide il
loro pasto e fa acquistare per loro un gran quantità di dolci che
porta loro con la gioia di un bambino. Visita anche la prigione di
Barcellona dove il suo amore e la sua bontà convertono tre anarchici
condannati a morte. Un quarto è così scosso dalle sue parole, che
la vigilia della sua esecuzione compone in suo onore una poesia con
queste parole: «I miei occhi penetrarono il suo petto... Non vi vidi
che luci...»
«È
nella preghiera, afferma padre Tarrés, che si fortifica la mia
anima... Con essa, ho la forza sufficiente per camminare.» Tuttavia,
nel mese di aprile del 1950, sfinito da un linfosarcoma (cancro),
viene ricevuto nel “suo” sanatorio di Nostra Signora della
Mercede: «Ho molto predicato sulla sofferenza, dice, ora bisogna che
io la viva bene.» A volte sospira: «Quale prezzo devono avere le
anime, perché si debba tanto soffrire per loro!» Ci tiene a
recitare il breviario: «So che ne sono dispensato, confessa, ma
l’Ufficio è così bello... Lo dirò finché potrò...» Celebra
ancora la Messa, ma il 30 maggio deve interrompersi all’inizio
dell’Offertorio per proseguire in un altro modo la sua offerta,
sull’altare del suo letto. Una quantità innumerevole di fedeli si
succedono al suo capezzale e vi ricevono una grazia di conforto che
emana dalla sua persona. Dopo averlo visto e sentito, un ex
professore di medicina esclama: «A questo cattolicesimo, sì, ci
credo...» Il 7 agosto, arriva un telegramma del Vaticano: «Santo
Padre benedice con affetto Tarrés.» Questi esclama: «Se i suoi
ministri sono contenti di me, vuol dire che anche Dio è contento di
me!» Il 31 agosto, verso le 11, entra in una dolce agonia, e, un po’
prima delle 18, entra nella vita eterna.
Che
possiamo, a nostra volta, vivere ancorati nella speranza di quei
cieli nuovi e di quella terra nuova, in cui regnerà la giustizia...
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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