Assumpta
est Maria in coelum, gaudent angeli (antifona dei Vespri della festa
dell'Assunzione), Maria è stata assunta da Dio, in corpo e anima,
nei Cieli. Ne gioiscono gli angeli e gli uomini. Perché ci pervade
oggi questa letizia intima, perché sentiamo il cuore traboccante e
l'anima inondata di pace? Perché celebriamo la glorificazione di
nostra Madre, ed è naturale che i suoi figli, costatando l'onore
tributatole dalla Trinità Beatissima, sentano una grande allegrezza.
Cristo,
suo Santissimo Figlio, nostro fratello, ce la diede come Madre sul
Calvario quando disse all'Apostolo Giovanni: Ecco tua madre (Gv 19,
27). Noi tutti l'abbiamo ricevuta, assieme al discepolo amato, in
quel momento di immensa afflizione. Maria Santissima ci ha accolti
nel dolore mentre si compiva l'antica profezia: Una spada ti
trafiggerà l'anima (Lc 2, 35). Tutti siamo suoi figli; Ella è Madre
dell'umanità intera. E oggi l'umanità commemora la sua ineffabile
Assunzione: Maria è accolta in Cielo, figlia di Dio Padre, madre di
Dio Figlio, sposa di Dio Spirito Santo. Più di Lei, soltanto Dio.
Stiamo
contemplando un mistero d'amore. La ragione umana non riesce a
comprendere. Solo la fede può spiegare come una creatura umana sia
stata elevata a una dignità così grande da essere il centro d'amore
su cui convergono le compiacenze della Trinità divina. Sappiamo che
è un segreto divino. Ma, trattandosi di nostra Madre, ci sentiamo
capaci, per così dire, di capire di più di quanto non ci sia
concesso in altre verità di fede.
Come
ci saremmo comportati se avessimo potuto sceglierci la madre? Credo
che avremmo scelto quella che abbiamo, ma l'avremmo colmata d'ogni
grazia. Così fece Gesù. Essendo onnipotente, sapientissimo e
l'Amore stesso (Deus caritas est, Dio è amore [1 Gv 4, 8]), il suo
potere compì per intero tutto il suo volere.
È
un ragionamento che i fedeli hanno scoperto da tempo: Era conveniente
— scrive san Giovanni Damasceno — che colei che nel parto aveva
conservato integra la sua verginità conservasse integro da
corruzione il suo corpo dopo la morte. Era conveniente che colei che
aveva portato nel seno il Creatore fatto bambino abitasse nella
dimora divina. Era conveniente che la Sposa di Dio entrasse nella
casa celeste. Era conveniente che colei che aveva visto il proprio
figlio sulla Croce, ricevendo nel corpo il dolore che le era stato
risparmiato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre.
Era conveniente che la Madre di Dio possedesse ciò che le era dovuto
a motivo di suo figlio e che fosse onorata da tutte le creature quale
Madre e schiava di Dio (SAN GIOVANNI DAMASCENO, Homilia II in
dormitionem B.V. Mariae, 14 [PG 96, 742]).
I
teologi, perché si potesse comprendere in qualche modo il senso di
tutta l'abbondanza di grazie di cui Maria è rivestita e che culmina
nell'Assunzione in Cielo, si sono espressi sovente con ragionamenti
simili. Essi dicono: Era conveniente, Dio poteva farlo, quindi lo
fece (GIOVANNI DUNS SCOTTO, In III Sententiarum, dist. III, q. 1). È
la spiegazione più chiara del perché il Signore concesse a sua
Madre, fin dal primo istante della sua concezione immacolata, tutti i
privilegi. Fu immune dal potere di Satana ed è tutta bella — tota
pulchra! —, senza macchia e purissima nell'anima e nel corpo.
Guardate,
però, che se Dio ha voluto innalzare in tal modo sua Madre, non le
ha risparmiato, durante la sua vita terrena, né l'esperienza del
dolore, né la stanchezza del lavoro, né il chiaroscuro della fede.
A quella donna che un giorno proruppe in lodi a Gesù esclamando:
Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il
latte, il Signore risponde: Beati piuttosto coloro che ascoltano la
parola di Dio e la osservano (Lc 11, 27-28). Era l'elogio di sua
Madre, del suo fiat (Lc 1, 38), sincero, pieno di dedizione, portato
a compimento fino alle ultime conseguenze, che non si sarebbe
manifestato in gesti spettacolari, ma nel sacrificio nascosto e
silenzioso di ogni giorno.
Quando
meditiamo queste verità, comprendiamo un po' di più la logica di
Dio; ci rendiamo conto che il valore soprannaturale della nostra vita
non dipende dalla realizzazione delle grandi imprese che a volte ci
figuriamo con l'immaginazione, ma dall'accettazione fedele della
volontà di Dio, dalla disposizione generosa a far fronte al piccolo
sacrificio quotidiano.
Per
giungere a essere divini, per divinizzarci, è necessario imparare a
essere molto umani, vivendo al cospetto di Dio la nostra condizione
di uomini comuni e santificando questa apparente piccolezza. Così
visse Maria. Colei che è piena di grazia, colei che è oggetto della
compiacenza divina ed è al di sopra degli angeli e dei santi,
condusse un'esistenza comune. Maria è una creatura come noi, ha un
cuore come il nostro, capace di provare la consolazione e la gioia,
la sofferenza e le lacrime. Prima che l'Arcangelo le comunicasse la
volontà di Dio, la Madonna ignorava di essere stata prescelta fin
dall'eternità per essere la Madre del Messia. Si considerava
creatura infima (cfr Lc 1, 48) e perciò riconosce, con profonda
umiltà, che in Lei ha fatto grandi cose l'Onnipotente (Lc 1, 49).
La
purezza, l'umiltà e la generosità di Maria contrastano con la
nostra miseria e il nostro egoismo. Ce ne accorgiamo, ed è logico
che ci sentiamo spinti a imitarla; siamo come Lei creature di Dio e,
se ci sforziamo di essere fedeli, il Signore opera anche in noi
grandi cose. La nostra pochezza non sarà di ostacolo: Dio sceglie
infatti ciò che non ha valore perché risplenda di più la potenza
del suo amore (cfr 1 Cor 1, 27-29).
Maria,
nostra Madre, è un modello di corrispondenza alla grazia; se noi
contempliamo la sua vita, riceveremo dal Signore la luce necessaria
per divinizzare la nostra esistenza quotidiana. Noi cristiani
pensiamo molte volte alla Madonna nel corso dell'anno, quando
celebriamo le festività mariane, e anche in diversi momenti di ogni
giornata. Se approfittiamo di queste occasioni cercando di figurarci
come si comporterebbe nostra Madre nei compiti che dobbiamo svolgere,
un poco alla volta finiremo per imparare: e finiremo per
assomigliarle, come i figli assomigliano alla madre.
Si
tratta di imitare innanzitutto il suo amore. La carità non si ferma
ai buoni sentimenti: deve essere nelle parole, ma soprattutto nelle
opere. La Vergine non si limitò a dire fiat, ma realizzò in ogni
istante la sua decisione, stabile e irrevocabile. Così noi: quando
ci muove l'amore di Dio e conosciamo la sua volontà, dobbiamo
impegnarci a essere fedeli, leali, e a esserlo veramente. Perché non
chiunque mi dice: « Signore, Signore! », entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt
7, 21).
Dobbiamo
imitare, poi, la sua naturale e soprannaturale eleganza. Maria è una
creatura privilegiata nella storia della salvezza: in Lei il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14). Eppure fu
una testimone discreta, che seppe rimanere nascosta; non amò
ricevere lodi, perché non ambiva la propria gloria. Maria partecipa
ai misteri dell'infanzia di suo Figlio, misteri rivestiti di
apparenze consuete; ma quando giunge il momento dei grandi miracoli e
dell'osanna delle folle, Ella si nasconde. Quando Gesù, che cavalca
un asinello, è acclamato a Gerusalemme come Re, Maria non c'è. Ma
riappare accanto alla Croce, quando tutti fuggono. Questo contegno ha
il sapore — non studiato — della grandezza, della profondità,
della santità della sua anima.
Seguendo
il suo esempio nell'obbedire al Signore, cerchiamo ora di capire
l'insegnamento che ci viene dalla delicata combinazione di
sottomissione e autorità che osserviamo in Maria. In Lei non c'è
ombra del contegno delle vergini stolte, che obbediscono, ma senza
criterio. La Madonna ascolta con attenzione quello che il Signore le
chiede, riflette su quanto non comprende, domanda quello che non sa.
Poi, si dà totalmente al compimento della volontà divina: Ecco la
serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1, 38). Non
è meraviglioso? Maria Santissima, maestra di tutto il nostro agire,
ci insegna così che l'obbedienza a Dio non è servilismo, non
soggioga la coscienza: ci muove nel nostro intimo a scoprire la
libertà dei figli di Dio (cfr Rm 8, 21).
Il
Signore vi avrà concesso di scoprire tanti altri lineamenti della
corrispondenza fedele della Santissima Vergine alla volontà di Dio,
tutti di tale forza da indurci a considerarli come esemplari: la
purezza, l'umiltà, la fortezza, la generosità, la fedeltà... Io
vorrei parlare di uno che li avvolge tutti, perché è il clima del
progresso spirituale: la vita di preghiera.
Per
trarre profitto dalla grazia che in questo giorno la Madre nostra ci
offre e per assecondare in ogni altro momento le ispirazioni dello
Spirito Santo, pastore delle nostre anime, dobbiamo impegnarci
seriamente in un attivo rapporto con Dio. Non possiamo rifugiarci
nell'anonimato; la vita interiore è un incontro personale con Dio,
altrimenti non esiste. La superficialità non è cristiana. Accettare
la banalità nella nostra condotta ascetica è come sottoscrivere il
certificato di morte dell'anima contemplativa. Dio ci cerca uno per
uno. Noi dobbiamo rispondergli, uno per uno: Eccomi, Signore, perché
mi hai chiamato (cfr 1 Sam 3, 5).
La
preghiera, lo sappiamo bene, è un parlare con Dio. Qualcuno forse
domanderà: parlare di che? Di che vogliamo parlare se non delle cose
di Dio e di quelle che riempiono la nostra giornata? Parleremo della
nascita di Gesù, della sua vita in questo mondo, del suo
nascondimento e della sua predicazione, dei suoi miracoli, della sua
Passione redentrice, della sua Croce e della sua Risurrezione. E alla
presenza di Dio Uno e Trino, invocando la mediazione di Maria
Santissima e l'intercessione di san Giuseppe nostro Padre e Signore —
per il quale nutro tanto amore e tanta venerazione — parleremo del
nostro lavoro quotidiano, della famiglia, delle amicizie, dei grandi
progetti e delle cose piccole e forse anche meschine.
Il
tema della mia orazione è la mia stessa vita: tale è il mio modo di
pregare. Considerando la mia situazione concreta, sorge naturale il
proposito, preciso e risoluto, di cambiare, di migliorare, di essere
più docile all'amore di Dio. Un proposito sincero, concreto. Né può
mancare la supplica insistente e al tempo stesso fiduciosa allo
Spirito Santo, perché non ci abbandoni, perché Tu sei il Dio della
mia difesa (Sal 42, 2).
Siamo
dei comuni cristiani; lavoriamo in svariate professioni; tutta la
nostra attività scorre lungo binari ordinari; tutto si svolge
secondo un ritmo abituale, senza sorprese. I giorni sembrano tutti
uguali tra di loro, perfino monotoni... Ebbene, questo schema di
vita, in apparenza così consueto, ha un valore divino; è qualcosa
che riguarda Dio stesso, perché Cristo vuole incarnarsi nelle nostre
occupazioni e animare dal di dentro anche le azioni più umili.
Questo
concetto è una verità soprannaturale precisa, sicura; non è una
considerazione per consolare, per confortare quanti tra noi non
riusciranno a iscrivere il proprio nome nel libro d'oro della storia.
Cristo stesso è interessato a quel lavoro che dobbiamo portare a
termine — mille e una volta — nell'esercizio della nostra
professione manuale o intellettuale, in ufficio, in fabbrica, in
laboratorio, a scuola, nei campi: è interessato anche al sacrificio
nascosto che si offre per non riversare sugli altri l'amarezza del
proprio malumore.
Tornate
su questi argomenti nella vostra orazione, prendete spunto proprio da
essi per dire a Gesù che lo adorate, e vi ritroverete contemplativi
in mezzo al mondo, nel rumore della strada: ovunque. È questa la
prima lezione nella scuola in cui si impara a trattare Gesù. In
questa scuola Maria è la migliore maestra, perché conservò sempre
un atteggiamento di fede, di visione soprannaturale, dinanzi a tutto
ciò che accadeva nella sua vita: Custodiva tutte queste cose nel suo
cuore e le meditava (Lc 2, 51).
Supplichiamo
in questo giorno la Madonna perché ci faccia contemplativi, perché
ci insegni a comprendere gli appelli costanti che il Signore rivolge
alla porta del nostro cuore. Preghiamola: Madre nostra, tu hai
portato sulla terra Gesù che ci rivela l'amore di Dio nostro Padre;
aiutaci a incontrarlo e a riconoscerlo in mezzo agli affanni di ogni
giorno; muovi la nostra intelligenza e la nostra volontà perché
sappiamo ascoltare la voce di Dio e seguire l'impulso della grazia.
Non
pensate però soltanto a voi stessi: dilatate il vostro cuore fino ad
abbracciare tutta l'umanità. Pensate, prima di tutto, a coloro che
vi circondano — parenti, amici, colleghi — e cercate di vedere
come far maturare in loro un senso più profondo di amicizia con
Nostro Signore. Se sono persone rette e leali, capaci di vivere più
vicine a Dio in modo abituale, affidatele in modo particolare alla
Madonna. E pregate per tante anime che non conoscete, perché tutti
gli uomini sono imbarcati sulla stessa barca.
Siate
leali, generosi. Facciamo parte di un solo corpo, il Corpo Mistico di
Cristo, la Santa Chiesa, a cui sono chiamati molti che cercano con
schiettezza la verità. È nostro preciso dovere, pertanto,
manifestare agli altri lo splendore e la profondità dell'amore di
Cristo. Il cristiano non può essere un egoista; se lo fosse,
tradirebbe la sua vocazione. Non si ispira a Cristo il comportamento
di coloro che si accontentano di conservare l'anima in pace — falsa
pace — trascurando il bene degli altri. Dal momento che abbiamo
accettato il significato autentico della vita umana, rivelatoci dalla
fede, non possiamo restarcene tranquilli e come persuasi che ci
stiamo comportando bene, quando in realtà non cerchiamo in modo
concreto e pratico che gli altri si avvicinino a Dio.
C'è
un grosso ostacolo per l'apostolato: il falso rispetto, il timore di
affrontare argomenti spirituali con l'idea che tali discorsi non
saranno accettati in determinati ambienti e che si corre il pericolo
di ferire talune suscettibilità. Quante volte questo modo di
ragionare non è che la maschera dell'egoismo! Non si tratta di
ferire nessuno, anzi, al contrario, di servire. Benché personalmente
indegni, la grazia di Dio ci trasforma in strumenti a vantaggio degli
altri, consentendoci di partecipare loro la buona novella: Dio vuole
che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità (1 Tm 2, 4).
Ma
è lecito entrare in tal modo nella vita degli altri? È necessario.
Cristo è entrato nella nostra vita senza chiederci il permesso. Allo
stesso modo aveva agito con i primi discepoli: Passando lungo il mare
della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre
gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro:
« Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini » (Mc 1,
16-17). Ognuno conserva la libertà — falsa libertà — di
rispondere al Signore di no, come fece quel giovane carico di
ricchezze di cui ci parla san Luca (cfr Lc 18, 23). Ma noi stessi,
assieme al Signore — se vogliamo essere obbedienti alla sua parola:
Andate e insegnate (cfr Mc 16, 15) — abbiamo il diritto e il dovere
di parlare di Dio, di trattare questo grande tema umano, perché il
desiderio di Dio è quanto di più profondo sgorga dal cuore
dell'uomo.
Maria
Santissima, Regina Apostolorum, Regina di tutti coloro che anelano di
far conoscere l'amore del tuo Figlio: tu che tanto comprendi la
nostra miseria, chiedi tu perdono per noi, per la nostra vita: per
tutto quello che in noi sarebbe potuto essere fuoco ed è stato
cenere; per la luce che non ha illuminato, per il sale divenuto
insipido. Madre di Dio, onnipotenza supplice, ottienici assieme al
perdono la forza di vivere veramente di fede e d'amore, per essere in
grado di portare agli altri la fede di Cristo.
La
via migliore per non perdere mai l'audacia apostolica, lo slancio
ardente ed efficace di servire tutti gli uomini, altro non è che la
pienezza della vita di fede, di speranza, d'amore; in una parola, la
santità. Non trovo altra ricetta che questa: santità personale.
In
unione con tutta la Chiesa, celebriamo oggi il trionfo di colei che è
Madre, Figlia, Sposa di Dio. Allo stesso modo che esultavamo, nel
tempo di Pasqua, per la Risurrezione del Signore tre giorni dopo la
sua morte, ci rallegriamo oggi perché Maria, dopo aver accompagnato
Gesù da Betlemme alla Croce, sta accanto a Lui in corpo e anima,
glorificata per tutta l'eternità. La misteriosa economia divina
consiste in questo: la Madonna, resa pienamente partecipe dell'opera
della nostra salvezza, doveva seguire da presso il cammino di suo
Figlio condividendone la povertà a Betlemme, la vita nascosta di
umile lavoro a Nazaret, la manifestazione della divinità a Cana di
Galilea, l'obbrobrio nella Passione, il sacrificio divino nella
Croce, la beatitudine eterna nel Paradiso.
Tutto
questo ci riguarda direttamente, perché questo itinerario
soprannaturale deve essere anche il nostro. Maria ci dimostra che
tale via può essere percorsa, e che è la via sicura. Ella ci ha
preceduti nel cammino dell'imitazione di Cristo, e la glorificazione
di nostra Madre è pegno di ferma speranza della nostra salvezza;
perciò la chiamiamo spes nostra, causa nostrae laetitiae, nostra
speranza e motivo della nostra felicità.
Non
possiamo mai perdere la fiducia di giungere alla santità, di
rispondere agli inviti divini, di perseverare fino alla fine. Il
Signore, che ha iniziato in noi l'opera della santificazione, la
porterà a compimento (cfr Fil 1, 6). Infatti, se Dio è per noi, chi
sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio,
ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme
con Lui? (Rm 8, 31-32).
In
questa festa, tutto è un invito alla gioia. La ferma speranza della
nostra santificazione personale è un dono di Dio; ma la creatura
umana non può rimanere passiva. Ricordate le parole di Gesù: Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce ogni giorno e mi segua (Lc 9, 23). Vedete? La croce ogni
giorno. Nulla dies sine cruce!, non un giorno senza croce; non un
giorno in cui non portiamo la croce del Signore, in cui non
accettiamo il suo giogo. Proprio per questo, a suo tempo non ho
mancato di ricordarvi che la gioia della Risurrezione è la
conseguenza del dolore della Croce.
Tuttavia
non abbiate timore, perché è lo stesso Gesù che ci dice: Venite a
me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e
umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo
infatti è dolce e il mio carico leggero (Mt 11, 28-30). San Giovanni
Crisostomo commenta: Venite a me, non perché voglia chiedervi conto
delle vostre colpe, ma per liberarvi dai vostri peccati; venite a me,
non perché io abbia bisogno della gloria che potete procurarmi, ma
perché ho bisogno della vostra salvezza... Non abbiate timore se
sentite parlare di giogo, perché esso è soave; non abbiate timore
se vi parlo di peso, perché esso è leggero (SAN GIOVANNI
CRISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, 37, 2 [PG 57, 414]).
Il
cammino della nostra santificazione personale passa quotidianamente
per la Croce: non è un cammino di infelicità, perché Cristo stesso
ci aiuta, e lì dove è Lui non c'è posto per la tristezza. Mi piace
ripetere: In laetitia, nulla dies sine cruce! Con l'anima penetrata
di gioia, non un giorno senza croce.
Riprendiamo
il tema che la Chiesa ci propone: Maria è salita al Cielo in corpo e
anima, gli angeli esultano. Penso anche alla gioia di san Giuseppe,
suo sposo castissimo, che l'attendeva in paradiso. Ma torniamo sulla
terra. La fede ci conferma che quaggiù, nella vita presente, siamo
in cammino, come dei viandanti; e non mancano i sacrifici, il dolore,
le privazioni. Tuttavia la gioia deve essere sempre come il
contrappunto del cammino.
Servite
il Signore in letizia (Sal 99, 2), perché non c'è altro modo di
servirlo. Dio ama chi dona con gioia (2 Cor 9, 7), ama cioè colui
che dà tutto se stesso in sacrificio lieto, perché non c'è nulla
che possa giustificare l'afflizione.
Forse
vi sembrerà eccessivo questo ottimismo, dal momento che non c'è
uomo che non conosca i propri limiti e i propri insuccessi, e non
abbia fatto esperienza della sofferenza, della stanchezza,
dell'ingratitudine e forse dell'odio. Noi cristiani, in tutto uguali
agli altri, come possiamo essere esenti da queste costanti della
condizione umana?
Sarebbe
ingenuo negare l'insistente presenza del dolore e dello sconforto,
della tristezza e della solitudine nel nostro pellegrinaggio terreno.
Dalla fede abbiamo appreso con certezza che tutto ciò non è frutto
del caso e che il destino delle creature non consiste nel progressivo
annientamento dei loro desideri di felicità. La fede ci insegna che
ogni cosa ha un senso divino, perché fa parte dell'essenza stessa
della vocazione che ci conduce alla casa del Padre.
Tuttavia.
questa comprensione soprannaturale dell'esistenza cristiana non
semplifica la complessità umana; ma dà all'uomo la sicurezza che
tale complessità può essere attraversata dal nerbo dell'amor di
Dio, dal forte e indistruttibile cavo che lega la vita di quaggiù
con la vita definitiva nella Patria.
La
festa dell'Assunzione della Madonna ci porta a considerare la realtà
di questa speranza gioiosa. Siamo ancora pellegrini, ma Lei, nostra
Madre, ci ha preceduti e ci indica già il termine del cammino: ci
ripete che è possibile arrivare e che, se saremo fedeli, arriveremo.
Perché la Santissima Vergine non solo è nostro esempio: è auxilium
christianorum, aiuto dei cristiani. E dinanzi alla nostra supplica —
monstra te esse Matrem (inno Ave maris stella) — non può né vuole
rifiutare ai suoi figli le sue cure sollecite e materne.
La
gioia è un bene cristiano. Si eclissa soltanto con l'offesa a Dio,
perché il peccato nasce dall'egoismo, e l'egoismo è la causa della
tristezza. Ma anche allora la gioia è là, nascosta sotto le ceneri
dell'anima, perché il Signore e sua Madre non dimenticano mai gli
uomini. Quando ci pentiamo, quando sgorga dal nostro cuore un atto di
dolore, quando ci purifichiamo nel santo Sacramento della Penitenza,
Dio ci viene incontro e ci perdona; e la tristezza se ne va:
Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era
morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc
15, 32).
Queste
parole sono la conclusione meravigliosa della parabola del figliuol
prodigo che non ci stancheremo mai di meditare: Ecco, il Padre ti
viene incontro; si piegherà sul tuo collo, ti darà un bacio che è
pegno di tenerezza e d'amore; darà ordine che ti portino una veste,
un anello, dei calzari. Mentre tu temi ancora un rimprovero, egli ti
restituisce la tua dignità; temi il castigo, ed egli ti bacia; temi
la parola adirata, ed egli prepara per te un banchetto
(SANT'AMBROGIO, Expositio Evangelii secundum Lucam, 7 [PL 15, 1540]).
L'amore
di Dio è insondabile. Se tale è il suo modo di agire verso chi l'ha
offeso, che mai farà per rendere onore a sua Madre, l'Immacolata,
Virgo fidelis, la Vergine Santissima sempre fedele?
Se
l'amore di Dio si manifesta con tanta grandezza là ove la capacità
del cuore umano — così spesso traditore — è così piccola, che
sarà di quell'amore nel cuore di Maria, la creatura che mai pose il
più piccolo ostacolo alla Volontà di Dio?
Osservate
come la liturgia della festa si fa eco dell'impossibilità di capire
con ragionamenti umani la misericordia infinita del Signore. Più che
spiegare, canta; colpisce l'immaginazione, affinché ognuno porti
nella lode il proprio entusiasmo e supplisca all'insufficienza delle
parole: Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di
sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di
dodici stelle (Ap 12, 1). Al re piacerà la tua bellezza. La figlia
del re è tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il suo vestito
(Sal 44, 12; 14).
La
liturgia si concluderà con quelle parole di Maria nelle quali la più
grande umiltà si unisce alla gloria più alta: Tutte le generazioni
mi chiameranno beata perché grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
(Lc 1, 48-49).
Cor
Mariae dulcissimum, iter para tutum; Cuore dolcissimo di Maria, dà
forza e sicurezza al nostro cammino sulla terra: sii tu stessa il
nostro cammino, perché tu conosci il sentiero più diretto e sicuro
che conduce, per amor tuo, all'amore di Gesù Cristo.
Tratto
dal libro “ E Gesù che passa” di Josemaria Escrivà – da paina
337 a 353
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