Il
visitatore che entra nella chiesa di San Valentino di Castellarano,
in Italia centrale, vi nota la tomba di un adolescente morto a
quattordici anni, sulla quale può leggere l’iscrizione: Io sono di
Gesù. “Io appartengo a Gesù” è una frase che Rolando Rivi
ripeteva in ogni occasione opportuna e non opportuna. Questa
appartenenza incondizionata a Gesù Cristo, confermata dalla morte
sanguinosa, costituisce una risposta forte alle ideologie del XX
secolo, che sostenevano che l’uomo appartiene alla razza o allo
Stato; è anche una risposta cristiana alla mentalità secondo la
quale l’uomo non ha altro padrone che se stesso e i suoi desideri.
Rolando
è nato il 7 gennaio 1931 a San Valentino, nella diocesi di Reggio
Emilia, in una famiglia numerosa di agricoltori, unita e sostenuta da
una viva fede cristiana. Suo padre, Roberto, consacra il bambino fin
dal giorno del suo battesimo alla Madonna del Carmelo. Dalla nonna,
Rolando imparerà la devozione al Rosario. Alla scuola elementare,
viene affidato alla maestra Clotilde Selmi, cristiana fervente che
attinge la sua forza nella Comunione quotidiana. Un anno, nel periodo
di Natale, il bambino porta al presepio un sacchetto, e dice ad alta
voce: «O buon Gesù, ecco i miei peccati; ce ne sono cento, li ho
contati. Ma Ti prometto che, un altr’anno, Ti porterò un sacco di
virtù!» Rolando fa la sua prima Comunione il 16 giugno 1938. Verrà
descritto dai suoi compagni come un bambino pieno di vitalità, dal
carattere entusiasta, scatenato durante i giochi, il più veloce
nella corsa, ma anche il più assiduo alla preghiera. Intelligente,
dotato di un ascendente naturale, ha una personalità trascinatrice:
sa organizzare le distrazioni, ma anche, una volta passata l’ora
del gioco, condurre i suoi compagni in chiesa. Mostra loro come
pregare il rosario, li incoraggia a servir Messa con lui e insegna
loro la carità fraterna: «Se ami il Signore, allora ami tutti».
Per Rolando, la carità nei confronti dei poveri è inseparabile
dall’amore di Dio; quando un povero viene a bussare alla casa
paterna, egli è il primo ad accoglierlo, a portargli del pane e
delle coperte.
La
confessione frequente
Eccellente
cantore nella corale parrocchiale, Roberto Rivi insegna quest’arte
al figlio. Presto appassionato di musica, Rolando canta e suona
l’armonium. In seguito, nel seminario, sarà un ottimo corista. Al
mattino, appena alzato, si inginocchia e fa la sua preghiera. Come
suo padre, prende l’abitudine di partecipare ogni giorno alla
Messa. La vocazione sacerdotale matura rapidamente nel suo cuore
grazie all’incontro con un prete esemplare: il parroco di San
Valentino, don Olinto Marzocchini. Quest’ultimo esercita una grande
influenza su Rolando con la sua profonda vita interiore e le sue
qualità di organizzatore. Invita i giovani a confessarsi
frequentemente, per vivere nell’amicizia di Gesù.
Il
Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: «Il sacramento della
Riconciliazione con Dio opera una autentica “risurrezione
spirituale”, restituisce la dignità e i beni della vita dei figli
di Dio, di cui il più prezioso è l’amicizia di Dio» (CCC, 1468).
La confessione dei peccati veniali è anch’essa benefica: «Sebbene
non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe
quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla
Chiesa. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci
aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive
inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita
dello Spirito» (CCC, 1458). Per questa ragione papa Benedetto XVI
affermava, il 7 marzo 2008: «Se, pur essendo animati dal desiderio
di seguire Gesù, non ci si confessa regolarmente, si rischia poco a
poco di rallentare il ritmo spirituale sino a indebolirlo sempre di
più e forse anche spegnerlo.»
Nel
settembre 1939, viene dichiarata la guerra. Due zii di Rolando
vengono mobilitati e saranno uccisi al fronte. Ricevuta la Cresima
nel 1940, il bambino vuole, per quanto lo riguarda, diventare «un
perfetto cristiano e un soldato di Gesù Cristo». Nella primavera
del 1942, annuncia al suo parroco la sua ferma decisione di diventare
prete; incoraggiato da don Olinto, ne parla ai suoi genitori che
acconsentono con gioia. Nell’ottobre del 1942, a undici anni e
mezzo, Rolando entra nel seminario minore della sua diocesi, a
Marola; in questa occasione, veste la tonaca talare – come era
l’uso allora. Oggi, un gesto così prematuro può suscitare
sorpresa, ma la vestizione dell’abito talare non equivaleva a un
impegno definitivo, che sarebbe stato preso in seguito in tutta
libertà. Tuttavia, per un bambino maturo come Rolando, portare la
tonaca significava già essere consacrato a Dio per sempre.
Il
suo sogno: essere missionario
Al
seminario, la giornata vede succedersi a un ritmo intenso gli
esercizi di pietà e le lezioni, equilibrati da tempi di svago.
Rolando, che non è l’ultimo ad approfittare dei momenti di
ricreazione – la sua cara tonaca ne uscirà più di una volta
sfilacciata – si sottomette con entusiasmo a questo regolamento
austero che, per molti dei suoi compagni, è difficile da sopportare.
Legge molti racconti di missioni; in particolare, lo affascina
l’esempio allora recentissimo del beato Miguel Pro, gesuita
messicano fucilato nel 1928 per ordine di un governo anti-cristiano.
Il giovane desidera partire per le missioni lontane per evangelizzare
coloro che non hanno ancora sentito parlare del Signore Gesù; questo
progetto missionario, lo confiderà nel 1944 al vicario di San
Valentino, don Camellini. Per il momento, Rolando si unisce con tutto
il cuore, con gli altri seminaristi, alla consacrazione del mondo al
Cuore Immacolato di Maria, fatta l’8 dicembre 1942 da papa Pio XII,
in risposta alla richiesta della Madonna di Fatima.
In
un discorso pronunciato all’Aparecida, in Brasile, il 13 maggio
2007, papa Benedetto XVI ha proposto alcune riflessioni che aiutano a
comprendere meglio l’amore appassionato che molti giovani hanno per
Gesù: «Che cosa ci dà realmente Cristo? Perché vogliamo essere
discepoli di Cristo? La risposta è: perché speriamo di trovare
nella comunione con Lui la vita, la vera vita degna di questo nome, e
per questo vogliamo farlo conoscere agli altri, comunicare loro il
dono che abbiamo trovato in Lui. Ma questo è veramente così? Siamo
realmente convinti che Cristo è la via, la verità e la vita?
Davanti
alla priorità della fede in Cristo e della vita “in Lui”...
potrebbe sorgere anche un’altra questione: questa priorità non
potrebbe essere per caso una fuga verso l’intimismo, verso
l’individualismo religioso, un abbandono della realtà urgente dei
grandi problemi economici, sociali e politici del mondo, ed una fuga
dalla realtà verso un mondo spirituale?... Possiamo rispondere a
questa domanda con un’altra: che cosa è questa “realtà”?. Che
cosa è il reale? Sono “realtà” solo i beni materiali, i
problemi sociali, economici e politici? Qui sta precisamente il
grande errore delle tendenze dominanti nell’ultimo secolo, errore
distruttivo, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti
quanto di quelli capitalisti. Falsificano il concetto di realtà con
l’amputazione della realtà fondante e per questo decisiva, che è
Dio. Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di
“realtà” e, in conseguenza, può finire solo in strade sbagliate
e con ricette distruttive.»
Nel
1943, in seguito allo sbarco anglo-americano in Sicilia, il Duce
Benito Mussolini viene destituito, e il governo italiano firma un
armistizio con gli Alleati. Questa denuncia dell’Asse Roma-Berlino
provoca l’occupazione di una gran parte della penisola da parte
dell’esercito tedesco; l’Emilia Romagna, in particolare, diventa
teatro di scontri drammatici tra le truppe tedesche e i partigiani.
Il 22 giugno 1944, una compagnia di soldati tedeschi effettua una
perquisizione nel seminario di Marola, accusato di essere un covo di
partigiani, e s’impadronisce dei vasi sacri della cattedrale di
Reggio, là deposti in previsione di un eventuale bombardamento. La
gravità delle circostanze costringe i superiori del seminario a
chiudere l’istituto in attesa di giorni migliori.
Una
scelta coraggiosa
Rientrato
a casa, Rolando si sforza di proseguire per quanto può la sua vita
di seminarista. Continua a indossare abitualmente la sua tonaca
talare. Questa scelta è pericolosa in una zona in cui le
organizzazioni clandestine di partigiani, molto attive, sono
controllate dai comunisti. Per gli adepti del marxismo-leninismo, la
Chiesa cattolica non può trovar posto nella società del dopoguerra;
il clero figura in prima fila tra i nemici da abbattere. Secondo una
circolare interna diffusa dal partito nella regione di Modena,
bisogna «liberare l’umanità dal concetto di religione e dalla
schiavitù che secoli di barbarie cristiana hanno creato». Nella
diocesi di Reggio, già quattro preti sono stati assassinati da
partigiani. Una notte, don Olinto, il parroco di San Valentino,
attirato in un tranello, viene picchiato e derubato; minacciato di
morte, si deve allontanare temporaneamente. Il suo sostituto, don
Alberto Camellini, visitando la parrocchia in compagnia di Rolando,
incontra un giorno due partigiani che gli lanciano questa minaccia:
«Ormai, i nostri nemici non sono più i tedeschi né i fascisti, che
non hanno ormai più scampo; sono i ricchi e i preti.»
Al
seminario, Rolando ha sentito parlare dell’enciclica Divini
Redemptoris sul comunismo ateo, pubblicata il 19 marzo 1937 da papa
Pio XI, insieme a un’altra enciclica sul nazional-socialismo. Il
Papa scriveva: «Dove il comunismo ha potuto affermarsi e
dominare..., ivi si è sforzato con ogni mezzo di distruggere fin
dalle loro basi la civiltà e la religione cristiane, spegnendone nel
cuore degli uomini, specie della gioventù, ogni ricordo. Vescovi e
sacerdoti sono stati banditi, condannati ai lavori forzati, fucilati
e messi a morte in maniera inumana; semplici laici, per aver difeso
la religione, sono stati sospettati, vessati, perseguitati e
trascinati nelle prigioni e davanti ai tribunali» (n° 19).
Rolando
è consapevole della violenza antireligiosa che è intrinseca al
comunismo; sa che i partigiani sono potenti nella sua regione.
Tuttavia, non acconsente a togliersi la tonaca, come gli consiglia la
sua famiglia e come l’hanno fatto altri seminaristi della zona.
«Non faccio male a nessuno, dice, non vedo perché dovrei togliermi
la veste talare che è il segno della mia consacrazione a Gesù.» Il
ragazzo esercita un’influenza determinante sui seminaristi minori
ritirati a San Valentino, che egli incoraggia a studiare come lui il
latino, grazie alle lezioni private impartite da un’insegnante. Per
la sua maturità, il giovane appare, nel comune, come il capofila
della gioventù cattolica. Non intende per nulla cedere a
un’intimidazione; significherebbe deludere i giovani cattolici,
che, sul suo esempio, intendono resistere al contagio comunista.
Il
tempo di fare una preghiera
Il
10 aprile 1945, nella settimana di Pasqua, Rolando partecipa alla
Santa Messa a San Valentino. Rientrato a casa, si ritira vicino a un
boschetto, in un luogo in cui viene spesso per studiare in tutta
tranquillità. Poiché non è rientrato all’ora di pranzo, suo
padre va a cercarlo. Ma invece di trovare suo figlio, Roberto vede i
suoi libri di scuola sparsi per terra; su un foglietto strappato da
uno dei suoi quaderni, può leggere: «Non cercatelo. Trascorre un
momento con noi. I partigiani. » Temendo di mettere in pericolo la
vita de loro figlio, i genitori Rivi rimanderanno per ventiquattro
ore la segnalazione della sua scomparsa, permettendo così ai
rapitori di allontanarsi come contavano di fare.
A
piedi, Rolando viene condotto a Monchio, a venticinque chilometri da
San Valentino, in un casolare che serve da rifugio a un gruppo di
partigiani comunisti, il battaglione Frittelli. Fin dal suo arrivo,
il prigioniero è trattato con brutalità e al di fuori delle regole
di disciplina applicate dai partigiani (secondo le quali un accusato
doveva essere giudicato dal tribunale di distretto). Imprigionato nel
porcile vicino al casolare, viene sottoposto a diversi interrogatori
che mirano a estorcergli delle confessioni. Lo si accusa di essere
una spia al servizio dei Nazisti, di aver rubato ai partigiani una
pistola e di essersene servito per sparare loro addosso. Ha su di sé
una piccola somma di denaro, guadagnata con i suoi servizi come
sacrestano: vi si vuol vedere il prezzo del suo tradimento, pagato
dall’occupante. Rolando nega tutto. I suoi aggressori lo insultano
e percuotono con la cinghia e con pugni. La proprietaria del
casolare, che ha sentito tutto, riferirà particolari sulle torture
subite dall’adolescente. Quest’ultimo, tuttavia, persiste nel
negare ciò di cui lo si accusa. Il seminarista viene spogliato della
sua tonaca talare, e questa viene stropicciata e trattata con
derisione; i partigiani non permettono al ragazzo di indossarla
nuovamente. Il venerdì 13 aprile, alle tre del pomeriggio, portano
il loro prigioniero, ferito e sfinito dalle sevizie subite per due
giorni e mezzo, in un boschetto vicino al casolare. Quando vede la
fossa scavata proprio a lato, Rolando capisce la sorte che lo
aspetta; piangendo chiede: «Lasciatemi il tempo di fare una
preghiera per mio papà e mia mamma». Questo ragazzo che vive la sua
ultima ora non pensa a sé, ma ai suoi famigliari, coloro che ama di
più al mondo. Si inginocchia vicino alla fossa. In quel momento, un
partigiano tira due colpi à bruciapelo sul giovane, che cade,
mortalmente ferito alla tempia e al cuore. L’assassino, un
commissario politico, verrà descritto, nella sentenza del tribunale
che lo condannerà nel 1952, come «un uomo fanatico, sostenitore ad
oltranza dell’odio di classe». Alcuni partigiani, che avevano
tentato di salvare il giovane, diranno che l’omicida aveva loro
chiuso la bocca gridando, per giustificare il suo atto: «Domani, ci
sarà un prete di meno!»
Pio
XI, nell’enciclica Divini Redemptoris, aveva spiegato l’assenza
totale di scrupoli che si constatava spesso tra i militanti
comunisti: «Se si strappa dal cuore degli uomini l’idea stessa di
Dio, essi necessariamente sono dalle loro passioni sospinti alla più
efferata barbarie. È quello che purtroppo stiamo vedendo: per la
prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente
voluta, e accuratamente preparata dell’uomo contro tutto ciò che è
divino. Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la
religione come “l’oppio del popolo”, perché i princìpi
religiosi che parlano della vita d’oltre tomba distolgono il
proletario dal mirare al conseguimento del paradiso sovietico, che è
di questa terra» (n° 21-22).
La
verità su Dio e sull’uomo
Nell’enciclica
Centesimus annus (1° maggio 1991), il beato Giovanni Paolo II mostra
dove prende radice il totalitarismo moderno di cui il comunismo è
stato la forma più omicida: «Il totalitarismo nasce dalla negazione
della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità
trascendente, ...allora non esiste nessun principio sicuro che
garantisca giusti rapporti tra gli uomini. I loro interessi di
classe, di gruppo, di nazione li oppongono inevitabilmente gli uni
agli altri... La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da
individuare nella negazione della trascendente dignità della persona
umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo,
per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare:
né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la nazione o lo
Stato» (n° 44).
Il
Catechismo della Chiesa Cattolica riprende questa dottrina: «Solo la
Religione divinamente rivelata ha chiaramente riconosciuto in Dio,
Creatore e Redentore, l’origine e il destino dell’uomo. La Chiesa
invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro
decisioni a tale ispirazione della Verità su Dio e sull’uomo: “Le
società che ignorano questa ispirazione o la rifiutano in nome della
loro indipendenza in rapporto a Dio, sono spinte a cercare in se
stesse oppure a mutuare da una ideologia i loro riferimenti e il loro
fine e, non tollerando che sia affermato un criterio oggettivo del
bene e del male, si arrogano sull’uomo e sul suo destino un potere
assoluto, dichiarato o non apertamente ammesso, come dimostra la
storia (cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n° 45-46)”»
(n° 2244).
È
pregando che Rolando ha lasciato questo mondo. Come il suo grande
Amico, Gesù Cristo, è morto un venerdì, alle tre del pomeriggio,
dopo una lunga e dolorosa passione. È solo quello stesso giorno, 13
aprile, che don Camellini, il vicario di San Valentino, viene a
sapere dove sia il luogo in cui è stato condotto Rolando. Egli e
Roberto partono subito per Farneta, città vicina dove ha sede il
tribunale dei partigiani della regione; ma nessuno sa nulla. Alla
fine, incontrano il comandante del battaglione Frittelli, che
annuncia loro freddamente: «Abbiamo ucciso Rivi a Piane di Monchio,
perché era una spia.» Arrivati al casolare di Piane, incontrano il
commissario politico; quest’ultimo comincia con il negare, poi
confessa: «Sono io che l’ho ucciso, ma ho la coscienza
perfettamente tranquilla: era una spia al servizio dei tedeschi; li
aveva condotti due volte ai nostri accampamenti.» E a una domanda
del prete che chiede se l’adolescente ha sofferto, l’assassino,
mentendo sfrontatamente, risponde negativamente mostrando la
rivoltella: «Guarda, con questa, non si ha tempo di soffrire.»
Nella
luce
Il
15 aprile, domenica in albis, don Camellini e Roberto procedono al
disseppellimento del corpo del martire che viene provvisoriamente
sepolto nel cimitero vicino. Il 25 maggio 1945, la salma viene
riportata a San Valentino, circondata da una folla tra cui ci sono
centinaia di giovani cattolici che avevano conosciuto il defunto.
Sulla sua tomba, suo padre ha fatto iscrivere queste parole: «Riposa
nella luce e nella pace, tu che sei stato spento dall’odio e dalle
tenebre.» Per molti anni, sarà impossibile pubblicare qualsiasi
cosa riguardo all’assassinio di Rolando Rivi, come sull’omicidio
di molti preti, considerati dai comunisti come “nemici di classe”;
in questa sola regione dell’Emilia Romagna, si stima a quindicimila
il numero delle vittime di questa epurazione, di cui novantatré
preti e seminaristi. Il processo degli assassini di Rolando ha
evidenziato i motivi della sua esecuzione: «Il seminarista Rivi
Rolando, con la sua condotta pia e irreprensibile, con lo zelo per le
pratiche della fede..., costituiva per l’elemento giovanile locale
un esempio edificante di virtù civiche e cristiane che, di per se
stesso, doveva determinare un effetto di attrazione verso la fede
cristiana. La sua cattura e la sua soppressione, pertanto, ... ebbero
come movente e come effetto di eliminare per sempre... un efficace
ostacolo alla penetrazione della propaganda comunista nella
gioventù... Il pretesto invocato dagli assassini, secondo il quale
Rolando sarebbe stato una spia, è stato inventato per i bisogni
della causa.»
Nel
1997, i resti mortali di Rolando sono stati trasferiti nella chiesa
parrocchiale di San Valentino. Il 4 aprile 2001, un bambino
inglese, James, è stato guarito da una leucemia incurabile in
seguito all’applicazione di una reliquia (capelli e sangue) di
Rolando sotto il suo guanciale, accompagnata da una novena di
preghiere della famiglia e degli amici del malato. Tale guarigione,
che i medici hanno dichiarata inspiegabile, è stata presentata alla
Santa Sede in vista della beatificazione. Questa potrebbe avvenire
presto, se la Chiesa ritiene opportuno riconoscere ufficialmente che
Rolando è stato martirizzato in odio alla fede.
«Se
potessimo credere in Gesù Cristo con la prontezza, la spontaneità,
la semplicità, la docilità con le quali ha creduto Rolando Rivi, la
nostra fede diventerebbe forte come la sua, e la nostra Chiesa
diventerebbe forte come quella Chiesa che egli aveva nel suo cuore e
per la quale non ha esitato a morire» (mons. Negri, vescovo di
Montefeltro). Noi possiamo chiedere, per intercessione del servo di
Dio Rolando Rivi, la grazia di appartenere a Gesù senza compromessi
e con cuore indiviso; allora godremo della vera libertà e regneremo
per sempre con Cristo.
Dom
Antoine Marie osb
Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150
Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)
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