LA
PICCOLA VIRTU’ DELLA CORTESIA
In
una lettera a Madame de Chantal, san Francesco di Sales scriveva:
"Piccola cortesia, virtù modesta, ma segno di una virtù
maggiore... E occorre esercitarsi nelle virtù piccole, senza le
quali le grandi virtù sono spesso false ed ingannevoli". E'
raro, infatti, rimanere estasiati davanti ad una persona regolarmente
affabile e gentile. Ciononostante, questa affabilità e questa
gentilezza presuppongono una vigilanza ed un dominio di sé poco
comuni. Ora, vi è un certo numero di piccole virtù che, come la
cortesia, non provocano un'ammirazione rumorosa; ma quando
vengono meno, le relazioni tra gli uomini sono tese, faticose,
addirittura burrascose, a tal punto che talvolta portano a dei
disastri. Queste "virtù modeste" sono esattamente quelle
che rendono sopportabile e gradevole la nostra vita quotidiana.
Perciò vorrei dedicare questa serie di conversazioni alle
piccole virtù delle famiglie cristiane. A prima vista, è un
proposito assai modesto. Eppure, non è forse logico che sia prima di
tutto alla famiglia che l'insegnamento di Cristo apporti la sua
luce, il suo calore ed i suoi semi di gioia?
Non
è forse vero che è tra le quattro mura della stanza in cui vi
trovate adesso che dovete osservare la legge di Gesù Cristo? A
questo riguardo, in molte menti bisognerebbe rettificare alcuni
errori. Alcuni ritengono che l'unico oggetto della religione sia
garantire agli uomini la felicità in un altro mondo. Certo, Gesù
Cristo ci ha fatto questa promessa ed è per mantenerla che il Figlio
di Dio è venuto a far parte della famiglia umana, si è incarnato e
ci ha riscattati. Tuttavia, quel dono prodigioso di felicità
eterna, senza paragone con le nostre risorse e le nostre ambizioni,
ha come condizioni la nostra fede, la nostra buona volontà, i nostri
sforzi sinceri, tutte cose che dobbiamo realizzare fin da adesso. In
realtà, noi abbiamo soltanto una vita che, oltre la morte, non avrà
fine. La nostra felice eternità è cominciata fin dal giorno del
nostro battesimo. E' qui, sulla terra, che ha inizio per noi il
nostro cielo, pregando Dio ed osservando i suoi comandamenti. La
religione non è solo una questione riguardante l'aldilà; ha la sua
bella funzione anche quaggiù. Essa deve regolare la nostra vita
presente. Dicendo la nostra vita presente, intendo dunque la nostra
vita reale, la nostra vita quotidiana. Anche a questo proposito,
sbagliano molte persone, talvolta dei buoni cristiani. Costoro
compiono una separazione artificiale tra ciò che chiamano vita
profana ed i doveri propri della religione, che formerebbero una
breve parentesi nella vita di ciascuno. Ma se, per la maggioranza
degli uomini, il tempo riservato alla preghiera è per forza molto
breve rispetto alle loro varie occupazioni, non dimentichiamo che noi
viviamo tutto il giorno sotto lo sguardo di Dio, e che gli dobbiamo
costantemente l'omaggio della nostra obbedienza, il quale si
traduce nell'offerta esplicita di ogni nostra attività. Per essere
esatti, l'espressione "vita profana" non ha senso per un
cristiano, perché tutta la sua vita è consacrata interamente a Dio,
che egli deve onorare in ogni sua azione, perfino in quelle più
ordinarie.
Che
voi mangiate o che voi beviate, scrive san Paolo, qualunque cosa
facciate, fate tutto per la gloria di Dio.
Alcune
persone si dispiacciono di non avere tempo per andare in Chiesa di
frequente: nell'attuale complessità dei lavori domestici, non
trovano il tempo per concedere a Dio una lunga preghiera. Non credete
che, per quanto breve, la vostra preghiera possa tuttavia essere
molto fervente? E perché cercare Dio su una strada dove non vi
aspetta affatto? Vi dà appuntamento sulla via in cui vi ha posto la
sua Provvidenza: è là che l'incontrerete sicuramente, tra le
vostre occupazioni giornaliere. Pensate solo ad offrirgliele,
compiendole nel modo migliore. Le vostre giornate trascorrono sia sul
luogo del vostro lavoro, sia all'interno della vostra casa... E' qui
che dovete praticare le virtù cristiane... Certo a volte dovete
compiervi dei doveri molto gravi - in quel momento si tratta di
dedicarvi ad un malato o di far fronte ad una situazione materiale
critica, oppure di perdonare dei torti che vi hanno fatto
soffrire - ma generalmente, un cristiano non fugge di fronte alle
virtù difficili e quest'occasione non gli si presenta che in
modo intermittente. Invece, la vita familiare implica molti piccoli
doveri che spesso vengono trascurati, sia perché sono molto
numerosi, sia perché non sembrano molto importanti. Nondimeno, essi
lo sono, ed è la ragione per cui meritano la vostra attenzione.
D'altronde, come faceva notare san Francesco di Sales, queste virtù
modeste richiedono una grande virtù, cioè un grande amore, quello
che si manifesta nei dettagli più piccoli. Proponendovene la
pratica, non vi raccomanderò una perfezione di ripiego, ma la
divina virtù della carità, di cui le piccole virtù del focolare
domestico sono come la moneta spicciola. Scusatemi per essermi
attardato su queste riflessioni preliminari: era necessario per
spiegarvi le mie intenzioni. Avrò ancora tempo per spiegarvi la
piccola virtù della cortesia? Basteranno poche parole. Che
intimità incantevole quella in cui tutti si sforzano di mostrarsi
gentili ed amabili, cortesi come dicevano i nostri avi! Essere
gentili, come dice il nome stesso (NA.T. in francese "poli"
vuol dire come primo significato "levigato"), presuppone
che noi smussiamo le asperità del nostro carattere. Un oggetto che
non sia stato levigato viene definito grossolano, e questo epiteto,
quando viene applicato agli uomini, non ha davvero nulla di
lusinghiero. Ma ecco, la gentilezza viene assai spesso considerata
come un articolo d'esportazione. Cortesi ed affabili con gli
estranei, una volta rientrati in casa propria, non ci si fa più
scrupoli. Dopo tutto, non si torna a casa per rilassarsi? Sia pure a
patto che la molla non ferisca nessuno rilassandosi troppo
bruscamente.
E'
forse indispensabile per rilassarsi alzare la voce a dismisura o
assumere un' aria arcigna? Aggrottare le sopracciglia o mettere il
broncio non sono segno di una vera distensione, mentre il
sorriso, le attenzioni e le premure reciproche creano in casa
un'atmosfera di riposo e di pace. La cortesia non crea degli obblighi
solo negli inferiori rispetto ai superiori. Badate, diceva Nostro
Signore, di non disprezzare nessuno di questi piccoli. Gesù
vuole che rispettiamo in ogni uomo la sua duplice dignità: di essere
dotato di ragione e di figlio di Dio. Ogni uomo, qualunque sia la sua
condizione, ha diritto ai nostri riguardi. Non si potrebbe
definire meglio la cortesia. Il vostro focolare sarà una famiglia
cristiana se tutti già fanno a gara nell'avere premure nei confronti
degli altri. Abbiate riguardo dell'età degli anziani, i cui capelli
sono diventati bianchi; abbiate riguardo della debolezza di quelli
che dovete consigliare o rimproverare; abbiate riguardo della
stanchezza di coloro che si ripiegano un po' troppo su se stessi.
Bandite dal vostro vocabolario e dai vostri comportamenti le
asprezze che non esprimono i veri e profondi sentimenti d'affetto che
provate gli uni per gli altri. Volete impegnarvici questa settimana?
Vi garantisco otto giorni di felicità.
Il
contrassegno sicuro d'amore verso Dio sta nel conformarsi pienamente
a tuta i Suoi voleri e fare che non vi sia differenza alcuna tra
la nostra e la Sua volontà.
LA
PICCOLA VIRTU’ DELLA SINCERITA’
Dite
sì, se è sì; no, se è no. Tale è la regola che Gesù impone ai
suoi discepoli. Vuole che ci si possa credere sulla parola. Non c'è
vita sociale possibile, in effetti, se non ci si può fidare
delle dichiarazioni altrui. Ingannare qualcuno, è trattarlo da
nemico, ma è al tempo stesso disonorare se stessi e rendersi indegni
di fiducia. Si capisce che Nostro Signore non accetti che
delle labbra cristiane proferiscano una menzogna. Nessuna scappatoia
né inganno: diciamo semplicemente la verità: si, se è sì; no, se
è no.
Io
vi farei un torto se sembrassi solo supporre che si osi mentire in un
focolare cristiano. Sarò più categorico: laddove imperversa la
menzogna, c'è solo forse la parvenza di un focolare, ma le mura
hanno le crepe e la rovina, ahimè! è prossima. Non ci si può
amare al di fuori della verità, e, nel linguaggio dell'affetto,
la menzogna è né più né meno un tradimento.
Ma
se è superfluo e, lo ripeto, offensivo ricordare ai membri di
una famiglia unita il dovere della franchezza, si può dire
altrettanto della piccola virtù della sincerità?
Quando
un giovane marmocchio s'imbroglia nelle spiegazioni che fornisce
circa il suo comportamento, la madre lo interrompe: "Ma che mi
racconti? Ti si muove il naso." E senza dubbio se il colpevole
si guardasse allo specchio, contesterebbe a sua volta la
veracità di sua madre. Ciononostante, costei non s'inganna. Le
narici, le labbra, le palpebre del piccolo fanfarone manifestano
un leggero fremito che rivela che si sta prendendo qualche libertà
con la verità. Ora questo difetto non è solo una cosa da bambini; i
grandi, anche i molto grandi vi sono ugualmente soggetti, e, lo si
voglia o no, queste distorsioni della verità costituiscono un certo
abuso di fiducia, rischiano inoltre di aprire la porta a degli
inganni più gravi. Bisogna proibirseli.
La
caratteristica propria della sincerità è il non voler dire che
delle cose vere. Alcuni hanno ipotizzato che questa parola
deriverebbe dal latino sine cera, senza cera, alludendo alle
cere, paste o unguenti di cui le dame romane si servivano per
mascherare le rughe del viso. Anche le nostre Francesi conoscono
questi segreti di bellezza, e poiché li impiegano, io penso,
per desiderio di risultare più gradevoli a coloro che le
circondano, ci si mostrerebbe ben severi biasimandole di una così
lodevole attenzione, anche se nessun preparato varrà mai la
freschezza naturale della giovinezza. Ma non si potrebbe scusare
meglio chiunque ricorra a degli artifici simili per abbellire,
colorare o camuffare la verità. La sincerità poggia su ciò che noi
pensiamo e su ciò che noi facciamo. Essa ci obbliga dunque in
primo luogo a non essere del parere dell'ultimo che ha parlato e a
non dissimulare il nostro modo di pensare. In famiglia capita che,
col pretesto della carità, si preferisca abbondare come coloro che
manifestano più energicamente la loro opinione. Per paura
d'irritarli si dice amen a tutti i loro giudizi. "Perché
contraddirli, dato che non li convinceremmo?" In tal modo
garantite senz'altro la vostra tranquillità, ma non coprite la
vostra ritirata sotto apparenze caritatevoli. E' lusinghiero per
gli altri attribuire loro un carattere intero ed autoritario? Se voi
ritenete che sbaglino, la carità vi consiglierebbe piuttosto di
illuminarli con dolcezza, sottomettendo loro il vostro punto di vista
che può allargare la loro visuale. La carità non vi costringe ad
adottare un'opinione che non condividete affatto, vuole solamente che
non feriate gli altri emettendo un parere differente dal loro.
Quando
il re san Luigi domandò al signore di Joinville se non gli sembrasse
meno grave essere colpito dalla lebbra piuttosto che commettere
un peccato mortale, Joinville non temette di confessargli
ingenuamente il suo modo di pensare. "Ed io, continuò, qui
oncques ne mentis, dico che preferirei aver commesso dieci
peccati mortali che essere colpito dalla lebbra." Certo, il
sovrano aveva ragione ed ammiriamo la sua santità, ma la lealtà del
cavaliere non è meno ammirevole: "Io che non mento mai..."
Ecco il tipo d'uomo sincero, incapace di fingere.
La
virtù della sincerità non si esercita soltanto nell'esprimere
il nostro pensiero, ma sul terreno più vasto dei fatti di cui noi
siamo i testimoni o gli autori. Su questo punto, molte persone hanno
difficoltà ad essere perfettamente oggettive, perché non
vedono i soli fatti con i loro occhi e non li giudicano unicamente
con la propria fredda ragione. Essi li interpretano sotto
l'impulso, spesso incosciente, dei loro desideri o delle loro paure,
della loro simpatia abile nello scusare i loro amici o della loro
antipatia pronta a sospettare una cattiva intenzione presso gli
altri.
Sapete
che la funzione di testimone non è facile da compiere? Adempiervi
bene supporrebbe che la nostra attenzione abbia osservato tutto
e che la nostra memoria abbia trattenuto esattamente tutto come una
lastra fotografica. Così, in mancanza di un'obiettività assoluta,
raramente possibile, si deve possedere - e questa è una virtù -
abbastanza disinteresse da dichiarare che noi riferiamo le cose come
crediamo averle viste o sentite, tali almeno quali le abbiamo
comprese, così come da esprimere i nostri giudizi con le
sfumature imposte dal rischio che corriamo sempre di snaturare anche
se dico la realtà.
Tuttavia,
il rischio è maggiore quando parliamo di ciò che abbiamo fatto
noi stessi. Occorre un coraggio fiero per non accentuare ciò che ci
mette in valore o per non attenuare quello che ci è sfavorevole. Ma
esagerare la verità o rosicchiarla ingegnosamente, è sempre
alterarla. Povera verità, sembra che uscendo dal pozzo non
abbia vestiti: questo spettacolo ci è concesso raramente
perché, quando si presenta in pubblico, qualcuno generalmente
si è preso cura di vestirla. Che sia adorna di ricami innocenti, è
un crimine benigno, purché a forza di esagerazioni non sia resa
irriconoscibile. Ma chi non ha esagerato mai? Si esagera per
rafforzare l'interesse di una storia; si esagera anche per vanità,
per fare bella figura; va già meno bene, e non va più bene del
tutto se si aggiusta la verità allo scopo di lusingare i gusti o le
tendenze di un interlocutore. Lusingare qualcuno, significa
fatalmente ingannarlo.
Forse
siete più indulgenti verso quelli che sono spinti dalla timidezza a
velare i propri errori o i propri torti. Capita, è sicuro, che si
possa, senza mentire, non dire tutta la verità, ma, più spesso le
reticenze e le preterizioni finiscono per falsarla. Bisogna quindi
condannarsi apertamente? E' talvolta un dovere che comporta, in
compenso, il diritto d'invocare le circostanze attenuanti. Ma si
guadagna sempre a parlare di sé con severità: quando ci si accusa,
gli altri vi trovano delle scuse. E vice versa.
Infine
il silenzio può, anche lui, testimoniare contro la verità. Per
esempio, si è interrogati e, per dare una risposta soddisfacente,
bisognerebbe dilungarsi in commenti. Allora, per pigrizia o per
stanchezza, si semplifica, si schematizza, e della verità, non
rimane un granché.
Ora,
dei casi appena passati in rivista, questo mi pare il più
pericoloso, perché viola la fiducia dovuta in famiglia. Se
decidete che le vostre attività non interessino gli altri o che essi
non vi abbiano niente a che vedere (eccetto il caso, ben inteso,
di un segreto di cui siate i depositari), voi create all'interno del
focolare domestico delle zone chiuse in cui l'individualismo
rode poco a poco i legami della comunità familiare. Se sembrasse
facile non dire tutto, presto sarà più semplice non dire nulla, e
si finirà col vivere sotto lo stesso tetto, estranei gli uni agli
altri. Non è forse lontano il momento in cui questo silenzio
favorirà la dissimulazione di sentimenti e di azioni che non sono
più completamente innocenti. Impercettibilmente abbiamo fatto il
grande passo, siamo entrati nella menzogna. La prossima volta
diremo che la carità pone dei limiti alla sincerità. Ma se
siete autorizzati a tacere certe cose a quelli che amate,
proprio perché li amate, il medesimo principio vuole che
abitualmente voi apriate loro largamente il santuario dei vostri
pensieri e della vostra coscienza, che tutti voi mettiate in comune
le vostre esperienze, le vostre riflessioni, i vostri desideri, che
abbiate fiducia gli uni negli altri. Che un cristiano affermi o
neghi, nessuno può contestare la sua parola: è si, se dice sì, e
se dice no, è no.
LA
PICCOLA VIRTU DELLA DISCREZIONE
Al
dovere della sincerità di cui ho parlato, avrete apportato il
correttivo richiesto, vale a dire che "la verità non sempre è
cosa buona a dirsi". Io sottoscrivo volentieri questa riserva,
se si tratta del bene della persona cui si parla: in tal caso, la
carità è un limite legittimo; ma se la verità dovesse solo
attirare dei fastidi a colui che parla, tacere non sarebbe sempre una
ragione plausibile, e potrebbe accadere che la verità fosse cosa
buona da dire, anche a scapito nostro. Resta fuori discussione che
non si debba parlare senza discernimento, e l'arte di discernere ciò
che si deve dire, così come la maniera di dirlo, costituiscono
l'oggetto della virtù della discrezione.
Ancora
una virtù "piccola", ma che contribuisce fortemente
alla pace del focolare. La virtù della discrezione consiste
principalmente nel non voler conoscere tutto, e secondariamente nel
saper non dire tutto.
Abbasso
gli indiscreti che cercano d'informarsi su tutto di tutti e che
vi fanno delle domande a bruciapelo su delle cose che non li
riguardano! E' fin troppo chiaro che la verità non è dovuta a
quelli che non vi hanno diritto, e che, per di più, potrebbero fare
cattivo uso della risposta che vi avessero strappato. L'indagatore
inopportuno non ha motivo di lamentarsi se avete eluso la sua
richiesta educatamente o... bruscamente. Ogni famiglia ha la sua
storia, i suoi progetti, i suoi segreti che può difendere dalla
curiosità di quelle specie di ladri che sono gli indiscreti.
Ma
ecco un caso più delicato. In una stessa famiglia si possono avere
dei segreti gli uni per gli altri? Rispondo che ciascuno ha
l'obbligo di rispettare la vita personale degli altri e di non
tentare di forzarne l'accesso. Va da sé che quando il capofamiglia è
medico o avvocato, è rigorosamente legato dal segreto
professionale, che nessuno deve cercare di scoprire.
Convenite anche che una moglie, per quanto ami teneramente suo
marito, non è maggiormente autorizzata a metterlo al corrente
di una confidenza di un'amica venuta a cercare da lei un consiglio
per una questione molto intima. Così come non ci permetteremmo
di disporre di una somma di denaro accettata in deposito, allo
stesso modo il segreto che abbiamo acconsentito ad ascoltare non ci
appartiene, è proprietà di colui che ce l'ha confidato; non abbiamo
il diritto di divulgarlo. I genitori possono avere dei segreti
nei confronti dei loro figli già grandi; ma può succedere il
contrario, e ciò richiede molto tatto da parte dei genitori.
Senza
dubbio, nei momenti critici attraversati talvolta dagli adolescenti,
raramente essi troveranno, in genere, dei confidenti più
attenti e più caritatevoli del proprio padre e della propria
madre. Ma vorranno confidarsi con essi solo se i genitori non faranno
subire loro un interrogatorio troppo serrato e se non si lamenteranno
troppo amaramente dei silenzi prolungati del figlio che cresce. A
quest'ultimo direi: " Su, scuotiti un po', fai uno sforzo
per partecipare alla conversazione familiare." E consiglierei ai
genitori: "Lo vedete pensoso, imbronciato, il vostro intuito non
v'inganna, ha un segreto. Il vostro affetto sia al tempo stesso
vigile e paziente. Una domanda troppo diretta lo farebbe rinchiudere
nel suo mutismo. Aspettate. Presto una parola lo tradirà. Non
la rilevate subito. Ma quando sarete in intimità con lui,
chiedetegli con dolcezza cosa significasse quella parola. La
confidenza verrà da sé."
Il
metodo efficace è di essere noi stessi aperti e sorridenti, di
ascoltare sempre gli altri - oh! Sì, bisogna aver cura di ascoltare,
- ma anche di rispettare il loro silenzio. La fiducia altrui è
proporzionata alla nostra discrezione.
E'
forse necessario aggiungere che anche se le confidenze non le
cerchiamo, è poi un dovere conservarle gelosamente per sé? E questo
ci conduce al secondo aspetto della virtù della discrezione, di cui
abbiamo molteplici occasioni nella vita di ogni giorno, intendo
la precauzione di non dire sconsideratamente tutto quello che si
sa.
Gli
antichi avevano fatto della discrezione una dea. La sua statua la
rappresentava con le labbra ben chiuse, e l'avevano posta nel
tempio della gioia. Questo è molto istruttivo, perché la
discrezione porta in sé la sua ricompensa. Parlare troppo nuoce,
afferma un proverbio; al contrario, normalmente non abbiamo che da
rallegrarci per non aver parlato troppo. L'apostolo san Giacomo
dichiara che l'uomo capace di dominare la propria lingua è un uomo
perfetto, ma reputa che questa padronanza non sia una cosa
comune. Questo era anche il parere dell'autore dell'Imitazione: "Più
di una volta, confessa, ho rimpianto di non aver taciuto."
Sicuramente,
un certo rilassamento nelle conversazioni familiari è del tutto
usuale. Si deve poter dire liberamente quel che si pensa: bisogna
comunque aver cura di pensare prima di parlare. E poi, anche in
famiglia, a tutti è gradito che non si parli senza posa: allora
si gusta forse maggiormente il piacere di trovarsi riuniti, mentre
ciascuno è intento alla propria occupazione personale, chi la
lettura, chi il cucito, chi i propri studi. Trattenersi, riposare,
lavorare insieme è già una delle gioie dell'amicizia, molto
più sensibile quando non venga turbata con dei discorsi senza
interesse. Ciononostante, specialmente in famiglia il più delle
volte si parlerà. Prima precauzione da prendere: astenersi dal
ripetere tutto quello che si è appreso fuori, prima di averlo
controllato noi stessi. Naturalmente, più la notizia è
inattesa, piccante, insolita, più si ha fretta e piacere nel
divulgarla. Attenti alla reputazione del prossimo. Non rassicuratevi
troppo presto. "Non c'è fumo senza fuoco", direte voi. In
genere, nelle dicerie c'è più fumo che fuoco. "Questa diceria
scherzosa non è tanto cattiva!" E' forse l'opinione di
colui al quale, così allegramente, tagliate i panni addosso? Il
pungiglione della zanzara è meno spesso di un capello: tuttavia
la sua puntura non ha niente di piacevole. E sareste lusingati che si
facesse lo stesso nei vostri confronti? La discrezione costringe a
discernere il vero dal falso nella storia che ci è stata raccontata;
nell'incertezza, non la ripetiamo; rinunciamo piuttosto a far
ridere a scapito della verità e a spese degli altri. Anche se i
fatti sfavorevoli agli altri fossero esatti, anche se fossero il
segreto di Pulcinella, non diamo pubblicità ad una colpa. La
teologia cattolica ha formulato, a proposito della maldicenza, una
regola di elevata saggezza: "Non si ha il diritto di
parlare delle colpe e dei difetti del prossimo che quando se ne ha il
dovere." Sì, mettete in guardia gli altri dalla malaugurata
influenza o dai cattivi comportamenti di terzi. Dite allora ciò che
sapete per conoscenza certa, ma ditelo gravemente, senza
malizia, unicamente nell'interesse di colui che avete il dovere
di proteggere. Infine, la virtù della discrezione c'impone di
non dire agli altri ciò che darebbe loro inutilmente un
dispiacere. Notate l'avverbio "inutilmente". I
genitori devono riprendere un bambino colpevole; tra fratelli e
sorelle, ci si può far notare reciprocamente i propri difetti:
questo fa parte dell'educazione. Se l'avvertimento è pubblico, che
esso sia breve e che si parli subito d'altro. Ma il rimprovero
sarà più efficace e meno umiliante se viene fatto in privato. Gesù
in persona ce lo consiglia: Se tuo fratello commette uno sbaglio,
vallo a trovare e riprendilo da solo a solo. Al di fuori di questi
casi necessari di correzione fraterna, badiamo a non dare dispiaceri
a qualcuno che ci ama, anche se, occasionalmente, ci fa perdere
la pazienza o ci irrita. Avete la pretesa di dirgli il fatto
suo. E perché? Lo ignoro, ma invece so che siete in collera.
Se volete dirgli il fatto suo, ebbene!, cominciate col riconoscere
tutte le sue qualità, dopodiché, passerete al capitolo dei
difetti; nel frattempo, il vostro corruccio sarà cessato e sarete in
grado di riprenderlo molto gentilmente e con maggior profitto.
No, non datevi dei dispiaceri in questo focolare in cui avete tanti
altri motivi d'essere indulgenti. Certo, vi stuzzicate.
S'indispettisce solo colui al quale si vuole molto bene. Imparate
soltanto a maneggiare i dispetti. Gli scherzi migliori sono quelli
brevi: non insistete su quel piccolo difetto, su quel piccolo
errore. La vostra vittima deve essere la prima a ridere della vostra
osservazione. Fermatevi appena il riso comincia a diventare amaro.
Cancellate la punzecchiatura con una buona dose di tenerezza. Ma
non usate mai - avete capito, mai - l'ironia, soprattutto i più
anziani verso i più giovani. L'ironia ferisce sempre e le sue ferite
sono profonde. Voi affermate: " La cugina Berta ha un bisogno
irrefrenabile di cantare, e l'infelice è stonata. Le dovrò dire che
è intonata?" Certamente no, ma poiché ci mette tutta
l'anima a cantare (o ad eseguire) la sua romanza, ditele che quella
romanza è molto graziosa. Non mentirete e non l'addolorerete. Dopo
tutto, la sua mania innocente vi avrà un po' divertito. Dunque
saranno tutti contenti. Tutti? Non pensate che il mondo sia diviso in
due categorie? A fianco di quelli che cercano di dare dei dispiaceri,
ci sono tutti quelli, assai più numerosi, che si sforzano di far
piacere. Avete già scelto da tanto tempo, siete fra i secondi. Ecco
ciò che vi aiuterà a decidere con la discrezione voluta i casi di
coscienza che vi ho sottoposto, con uguale rispetto della verità e
della carità.
LA
PICCOLA VIRTU DELLA GRATITUDINE.
La
piccola virtù della gratitudine completa la prima trilogia delle
virtù domestiche. Ci si fa da parte senza fatica davanti agli altri
appena si pensa a ciò che ci danno, e la nostra riconoscenza si
manifesta usando delle cortesie a loro riguardo.
In
seno alle famiglie, l'ingratitudine positiva, quella che si manifesta
con la cattiveria, fortunatamente è poco frequente. Il figlio
ingrato che scappa dalla casa paterna sbattendo la porta, il padre
despota che tratta sua moglie ed i suoi figli da schiavi
costituiscono delle mostruosità. Ciò che è meno raro, in
compenso, è il dimenticare i piaceri che ci fanno gli altri o
anche solo la pessima abitudine di non esprimere mai loro la nostra
contentezza. A questi spiacevoli difetti occorre contrapporre la
piccola virtù della gratitudine.
Gli
smemorati sono, a quanto pare, molto numerosi. Ci autorizzerebbe a
crederlo un episodio del Vangelo, mi riferisco a quello dei dieci
lebbrosi che Gesù aveva guarito nei pressi di un villaggio. Quando
queste persone videro che il loro male era scomparso, ce ne fu
soltanto uno che andò a gettarsi ai piedi del Salvatore per
ringraziarlo. Gesù non poté fare a meno di osservarlo: Non sono
forse stati guariti in dieci? Dove sono gli altri nove? Quelli
benedicevano senz'altro nel proprio cuore l'inviato di Dio che aveva
avuto pietà della loro miseria; ma, ansiosi di far constatare
la propria guarigione dalle autorità ufficiali per poter rientrare
nella comunità, trascurarono un atto di riconoscenza pure assai
elementare. Ora i nove smemorati erano dei compatrioti di
Gesù, e l'unico che abbia pensato a manifestargli la sua gratitudine
era un Samaritano, uno straniero!
Nostro
Signore sottolinea egli stesso questo contrasto a prima vista
paradossale, ma che non è inaudito. Mentre spesso aspettiamo invano
i ringraziamenti delle persone che abbiamo aiutato a costo di veri
sacrifici, altri per i quali abbiamo fatto assai meno se ne ricordano
molto tempo dopo e non sanno cosa inventare per contraccambiare. Non
succede forse anche che, attenti al ringraziare un estraneo di un
beneficio occasionale, sembriamo non accorgerci nemmeno dei
piaceri quotidiani che ci fanno i nostri parenti? Da parte loro,
queste gentilezze sono quanto c'è di più naturale. E sia, ma lo
sarebbe anche il dir loro che noi ne siamo riconoscenti.
La
nostra memoria è singolarmente capricciosa, a meno che non si
tratti del nostro cuore. Se noi dimentichiamo una cortesia di cui
siamo stati oggetto, con che precisione manteniamo il ricordo di
una mancanza di riguardo o di una parola offensiva! Lo dice un
proverbio: La memoria del male ha una lunga traccia, quella del
bene passa presto. Come sappiamo ricordare agli altri i nostri buoni
servizi o la briga che ci siamo presi per far loro un favore! Il
ricordo dei favori resi è più tenace di quello dei favori ricevuti.
La vanità è così abile a falsare le prospettive! Ed è senza
dubbio
meno grave che le nostre ingratitudini siano imputabili ad un prurito
dell'amor proprio piuttosto che ad una mancanza d'affetto verso
coloro che ci amano: eppure la cosa migliore sarebbe che il nostro
affetto fosse abbastanza forte da rimanerci sempre ben in mente.
Bisogna
quindi combattere il nostro maledetto amor proprio e cominciare
la lotta molto presto. In quale casa non si è sentito il seguente
dialogo? Al pranzo familiare, il figlio chiede un pezzo di pane
a suo padre. Questi prende la pagnotta e ne taglia una bella
fetta, che il figlio morde subito con grande appetito.
-
Ebbene! Chiede il papà, come si dice? Con la bocca piena, il
moccioso mormora un timido grazie. - Grazie a chi? - Grazie,
papà...
E
quante volte si ripresenterà questa scena? Una delle prime parole
articolate dai vostri bambini è: no. Quella, è inutile
insegnargliela, ma quante ripetizioni sono necessarie per inculcare
loro l'abitudine di dire: grazie. Istintivamente, tendono la mano per
ricevere: "Ancora, ancora!.." Il ringraziamento non risale
dalle oscure regioni dell'istinto, scaturisce da una coscienza
rischiarata dall'educazione.
Molti
adulti a questo riguardo rimangono dei bambini per tutta la vita. Non
sono mai soddisfatti; reclamano ancora; vogliono sempre di più.
Insaziabili, si rendono infelici, affliggono e stancano gli altri dai
quali esigono ancora e sempre di più. Come portarli a riconoscere
che ciò che manca loro è poca cosa in confronto a tutto quello
che hanno ricevuto? Come persuaderli soprattutto ad apprezzare
maggiormente ciò che possiedono? Anche loro dovrebbero imparare a
dire grazie.
Grazie,
questa parolina gioiosa che termina con una sonorità cristallina, è
la parola magica che introduce nella famiglia la cortesia, il
buon ordine e la serenità.
Grazie,
è già la preghiera che da una famiglia cristiana si eleva a Dio per
ringraziarlo. Avete notato il posto che occupa questo atto di
gratitudine nelle nostre preghiere abituali? Al mattino,
diciamo: "Mio Dio, vi ringrazio di tutte le grazie che mi avete
fatto fin qui. E' ancora per effetto della vostra bontà che vedo
questo giorno..." E alla sera: "Quali azioni di grazie vi
renderò, o mio Dio, per tutti i beni che ho ricevuto da voi. Voi
avete pensato a me da tutta l'eternità, mi avete creato dal nulla,
avete dato la vostra vita per riscattarmi e mi colmate, ancora ogni
giorno, di un'infinità di favori..." Rifletteteci, non c'è un
solo giorno in cui Dio non vi abbia concesso un beneficio
particolare; perfino nei giorni in cui siamo stati provati, cercando
bene, osserveremo che accanto alla nostra tristezza si è insinuata
una piccola gioia. Non è forse una grande felicità l'unione che
regna nel vostro focolare? Voi che vi amate, ringraziate Dio di una
sorte tanto dolce.
Ma
sappiate anche rivolgervela gli uni agli altri quella parolina che
costa così poco da dire e che fa tanto bene ascoltare. Prima di
addormentarvi, qualche volta riportate alla mente tutto ciò che,
nella giornata che sta per finire, avete ricevuto dagli altri. Da
tutti gli altri, perché è notevole il numero degli uomini e
delle donne che lavorano ogni giorno per nutrirvi, vestirvi,
procurarvi le comodità dell'esistenza. Anche se limitate il
calcolo ai membri della vostra famiglia, sarete letteralmente
stupefatti da tutto quello che in un solo giorno ricevete da loro;
tutto quello che vi hanno insegnato; i consigli che vi hanno dato; la
manforte che vi hanno dato; talvolta un incoraggiamento, talaltra un
avvertimento ma sempre per il vostro bene; una parola amorevole
che vi ha toccati, una parola divertente che ha dissipato le vostre
noie; i loro successi di cui siete stati fieri; i loro sforzi che
hanno stimolato i vostri. In una famiglia è un bel calcolare
ciò che ciascuno riceve dagli altri. Ed ecco certamente di che
impegnarvi per non essere sempre colui che riceve. Domandatevi
quindi: " Che cosa ho dato loro? Che posso dar loro in cambio?"
Ma aspettando l'occasione di servirli con altrettanta
generosità, non perdete quella di dire grazie quando essa si
presenta. Grazie al minimo piacere reso da chi che sia, ma
pronunciato senza affettazione, come si scambia uno sguardo. Da sé
sola questa parolina ricompensa di tutte le fatiche; se
necessario rimedia la frase un po' forte che vi è scappata poco
prima; equivale ad un sorriso e spesso lo provoca; rende felice colui
che la dice e colui al quale è rivolta. E' sorprendente osservare
che nel momento in cui Nostro Signore andava volontariamente incontro
alla morte per meritare agli uomini la vita eterna, ha voluto a
ringraziare i suoi apostoli per l'attaccamento che gli avevano
provato quando viveva con loro. "Voi, disse loro, siete rimasti
vicino a me nelle mie prove". La grandezza dell'anima di Gesù
si rivela in questa delicatezza. Egli non ha smesso di colmare i
suoi apostoli, ha dato loro tutto, ed è lui che li ringrazia.
Non
è forse proprio di un cuore davvero generoso mostrarsi
riconoscente verso gli altri per il poco che cercano di fare per lui?
Gli ingrati si reclutano tra i cuori egoisti, gli spiriti
meschini ed i caratteri mediocri. La piccola virtù della gratitudine
è la prova di un gran cuore. Anche nei confronti di colui che è
maldestro o che sbaglia, dal momento che ha buona volontà,
siate riconoscenti almeno per la sua intenzione. Quanto a quello che
vi parla in questo momento, poiché avete avuto la pazienza di
ascoltarlo, non può finire meglio che dicendovi grazie.
LA
PICCOLA VIRTU’ DELLA MODESTIA
Virtù
evangelica, senza ombra di dubbio. Osservate la Beata Vergine Maria.
L'inizio del racconto di san Luca gravita intorno a Lei; è lei che
ottiene da suo Figlio il miracolo di Cana; poi lei non interviene che
una sola volta durante la missione del Salvatore. Nel tempo
rimanente, lei resta nell'ombra, lasciando il posto alle pie donne
che si prendono cura del Maestro e degli apostoli. Lei si fa da parte
fino all'ora tragica della croce, quando ritorna vicino a Gesù che
sta per morire.
Quale
altro modello di riservatezza è san Giuseppe! Il Vangelo segnala la
sua presenza ogni volta che il Bambino e sua Madre hanno bisogno dei
suoi servigi. Dopo di che, non si parla più di lui. Quanto a Gesù,
il Figlio di Dio che si è abbassato al nostro livello di creature,
ponete mente al modo in cui si sottrae alle ovazioni delle folle. Non
vuole che si rumoreggi sulle guarigioni che opera. Si fa da parte
davanti a suo Padre, di cui non è che l'inviato. Sono venuto,
dichiara, non per essere servito, ma per servire. Perciò può
raccomandare al suo discepolo di non ricercare le situazioni
onorifiche: Tu, gli dice, quando sei invitato ad un banchetto, va' a
metterti all'ultimo posto. Se sei degno di un rango più
elevato, vi sarai condotto sicuramente. Avete inteso il
consiglio di Nostro Signore: " Fatti da parte di fronte agli
altri. Se puoi scegliere, occupa l'ultimo posto". Non ve ne
lamentate, in questo modo sarete più vicini a Lui. Charles de
Foucauld, l'eremita dell' Hoggar, di cui conoscete la strana
carriera, dovette la sua conversione a questa semplice parola
dell'abate Huvelin: Gesù ha talmente preso l'ultimo posto che
nessuno ha potuto sottrarglielo.
Ma
- c'è sempre un ma - il nostro amor proprio non ha il suo
tornaconto in questo farsi da parte, e fa presto a rivendicare i suoi
diritti quando addirittura non li pretenda, cosa che capita spesso.
Farsi da parte? Rimanere nell'ombra? Gliela raccontiamo bella!
L'amor proprio si afferma, campeggia, s'insedia, riconduce tutto a
lui. Gli contrapponete gli altri? Degli altri non conosce che ciò
che gli devono o che può ricavarne. Da qui nascono i conflitti che
distruggono la buona intesa tra gli uomini. "Perché dovrei
venire dopo gli altri, non sono altrettanto capace?" penserà
uno. "Ho i loro stessi bisogni, ritiene un altro, e per lo meno
altrettanti meriti". Io sono il capo, stima un altro, il mio
ruolo è forse quello di farmi da parte, dal momento che devo
esercitare l'autorità?". E siamo ad un passo dal concludere che
l'umiltà non possa essere ritenuta una virtù, perché se la si
mettesse in pratica, condurrebbe all'annichilimento di ogni
personalità. Ecco ciò che denota un'estrema confusione delle
idee. Il Vangelo - avremo occasione di riaffermarlo - è una scuola
di grandezza e di audacia. Ben lungi dall'annichilirci, ci obbliga al
contrario a trarre tutto il profitto possibile dalle nostre
qualità naturali, a metterci in avanti per agire, ma dopo aver
fatto del nostro meglio, per non metterci in valore. E' il primo
aspetto della virtù del cancellare se stessi (della virtù di
modestia, n. d. r.). Del resto, la parola lo indica molto
chiaramente. Lo scolaro non avrebbe nulla da "cancellare"
sulla lavagna se non vi avesse precedentemente scritto delle cifre o
delle lettere. Io non posso farmi da parte che dopo aver agito; non
posso tenermi nell'ombra se non dopo essermi mostrato. L'umiltà
non consiste nel nascondersi per non fare niente, ma nel non avere
ammirazione per se stessi quando si è fatto il più ed il meglio
possibile. Dirò di più. Se si vuol portare a buon fine un
lavoro, bisogna avere di mira solo il lavoro, senza ricercare gli
applausi. Se si vuol parlare in modo utile, bisogna pensare
unicamente a quel che si dice, senza ascoltarsi parlare.
Non si può essere contemporaneamente spettatori ed attori; non ci si
può mettere alla finestra per vedersi passare per strada. Il buon
artigiano è tutto preso dalla sua opera; si fa piccolo davanti ad
essa. Purché sia ben fatta, è soddisfatto e rifiuta come indegno di
lui ogni moto di vanità e sentimento di sufficienza. Si vuol
pretendere che la sua modestia l'abbia annichilito? Da parte mia
trovo che questa persona umile sia straordinariamente fiera. Perché
la fierezza non è l'orgoglio: ben oltre, essa lo esclude. Non
soltanto la piccola virtù del farsi da parte non ci sminuisce, ma
presenta un altro aspetto sotto il quale s'imparenta con la
carità. Il discepolo di Gesù Cristo, se non prova ammirazione per
sé, in compenso si compiace nel riconoscere ciò che gli altri
fanno di buono e soprattutto ciò che fanno meglio di lui. Non lo si
sente vantarsi, ma è il primo a lodare con gioia i successi altrui.
Così come si fa piccolo dietro al suo operato ben fatto, rimane
molto semplicemente nell'ombra davanti alle qualità ed ai
meriti dei suoi simili. Di questa disposizione, san Paolo non esita a
fare un precetto universale: Che ciascuno di voi, scrive, reputi
in tutta umiltà che gli altri gli sono superiori. Non protestate.
L'Apostolo non vi chiede di negare l'evidenza. No, non chiudete
gli occhi sulle vostre qualità personali; anche voi, su parecchi
punti, siete più abili o più virtuosi di molte persone. Ciò non
toglie che anche coloro di cui avete il diritto di stimarvi superiori
abbiano delle attitudini e forse anche delle virtù che voi non
possedete, o almeno allo stesso grado. Se noi guardiamo con
obiettività, non c'è nessuno che non ci superi in qualche
cosa: quel tale è più energico, quell'altro più ingegnoso, questa
più vivace, quella più indulgente. Cerchiamo sempre di riconoscere
le qualità degli altri e facciamoci da parte lealmente di fronte
alla loro superiorità. Ancora un passo ed arriviamo alla perfezione.
Poiché gli altri hanno come noi dei meriti e dei diritti, perché
dovremmo esigere che si pieghino sempre ad ogni nostra volontà?
Dobbiamo saper farci da parte di fronte ai desideri o alle preferenze
delle persone con cui viviamo.
Sicuramente,
esistono delle circostanze in cui un capo famiglia deve imporre la
sua decisione, per non tradire il proprio dovere di stato; ma
allora, non è la sua opinione o il suo gusto personale che fa
prevalere: pretende il rispetto di una legge superiore alla
quale si sottomette per primo. All'infuori di questi casi in cui
l'autorità ha il dovere di esercitare le sue responsabilità, la
buona intesa sarà garantita sempre meglio a quella famiglia in cui
ognuno si proporrà di far piacere agli altri.
Penso
che in questo nessuno mi contraddirà. Se la madre ha il merito di
essere definita la regina del focolare, non è perché tutti le
obbediscono ma perché ella si fa continuamente piccola per
essere al servizio di tutti. Gesù non ha forse affermato che è più
grande colui che serve gli altri? Ebbene! Sarebbe ingiusto che la
mamma fosse l'unica a farsi da parte. Tutti devono imitarla e, così
facendo, tutti contribuiscono al benessere della famiglia. Le
famiglie infelici sono quelle rette dalle due brutte leggi del
"ognuno per sé" e del "io prima di tutto". Al
regno dell'egoismo, Cristo ha sostituito quello dell'amore, che
implica l'abnegazione. Nelle famiglie cristiane, l'ordine
egoistico è rovesciato: "Prima gli altri: io, dopo." Si
trova la felicità nel rendere felici gli altri. Invece di
impossessarsi della sedia più comoda o di far ambire la parte
migliore, ciascuno pensa ad offrirle agli altri e si rallegra
nel concedere loro quel piacere.
Gli
sposi sono sempre d'accordo quando, prima di esprimere un desiderio,
il marito e la moglie, ognuno per conto proprio, si chiedono
intimamente: "Lei, che cosa preferisce?" "Lui, cosa
desidera?" E' una gara a chi accontenterà l'altro. E voi,
figlioli, credete che papà e mamma non rinuncino spesso ai loro
comodi per farvi piacere? Sono felici della vostra gioia. A
vostra volta, non perdete nessuna occasione per indovinare le loro
preferenze e fatevi da parte, gentilmente, senza farlo notare.
Non dite: "Non si pensa a me, sono sacrificato." In
una famiglia in cui tutti si sforzano di praticare la virtù di
modestia, nessuno è sacrificato. Non c'è più bisogno di pensare a
sè, gli altri ci pensano prima di voi. Nessuno viene dimenticato
allorché ognuno dimentica se stesso per gli altri.
-
E' il paradiso in terra?
-
In fede mia, lo penso davvero, e desidero con tutto il cuore che voi
lo possiate sperimentare.
Estratto
dal libro: Les petites vertus du foyer,
Georges Chevrot, ed. Le Laurier, Paris.
Sapete
voi quali sono i cuori che amano veramente Dio? Sono quelli, che
senza far distinzione di peccato grave o leggero, si guardano per
quanto possono, dal darGli il più piccolo disgusto.
LA
PICCOLA VIRTU’ DELLA SPERANZA
(…)
…la speranza è una grandissima virtù, sia perché il suo
oggetto è Dio stesso posseduto in cielo, sia perché per non
dubitare di una tale felicità, noi che viviamo nell'oscurità,
nelle, difficoltà nella sofferenza, dobbiamo fare un atto di fede
totale nella bontà di Dio ed amarlo di un amore simile al suo, amore
che si dà prima di aver ricevuto. Ma questo prezioso lingotto
della speranza soprannaturale si paga nel corso di tutta la vita con
una quantità di atti di fiducia in Dio, che ci autorizzano a
parlare, secondo Péguy, della "piccola speranza"
quotidiana, "quella che ci dà il buongiorno ogni mattina".
E' questa che vorrei veder risplendere in tutte le vostre famiglie in
quest'inizio di anno nuovo. Nel linguaggio cristiano, la
speranza non è una previsione, contrariamente a ciò che
immaginano tante persone per cui "sperare" consiste
nello scrutare l'avvenire, nel soppesare le probabilità per
stabilire pronostici; dopodiché, concludono: Per me ci sono
buone speranze, o al contrario: non ho grandi speranze, che
significa in realtà: credo di avere o non avere delle probabilità
di successo. Vi sorprenderei forse dichiarando che quei calcoli non
hanno nulla in comune con la speranza cristiana? Questa, benché
rivolta al futuro, sta interamente nel presente. Sperare, non è
essere sicuri del domani, è avere fiducia oggi, non fiducia negli
avvenimenti imprevedibili, ma in Dio che li dirige e ci ama.
"Lasciate ai pagani, diceva Gesù, la preoccupazione di
sapere ciò che avranno da mangiare o di cosa si vestiranno
domani". Si diano pure pensiero, le loro preoccupazioni non
prolungheranno la loro vita di un minuto. Dio non vi avrebbe
chiamati alla vita se non avesse provveduto ai vostri mezzi di
sussistenza. Sulla terra c'è di che nutrire e vestire tutti gli
uomini. Che tutti siano fedeli ai suoi comandamenti e pratichino
la giustizia, nessuno quaggiù mancherà di nulla. Per ciò che vi
riguarda, fate coscientemente il vostro dovere, impegnatevi
coraggiosamente nel vostro compito ed abbiate fiducia nel vostro
Padre celeste che conosce i vostri bisogni." E Gesù
traccia la nostra regola di condotta in una forma divenuta
proverbiale: Non vi preoccupate del domani. Domani avrà cura di
se stesso. Ad ogni giorno basta la sua pena. Ecco la Speranza secondo
il Vangelo: non si fonda sull'impossibile sicurezza del domani, ma ci
procura la pace nell'insicurezza di ogni giorno. E' oggi che noi
speriamo, senza sapere nulla di ciò che ci riserva il
domani: la nostra sicurezza risiede nella certezza che Dio ci ama; è
in lui che noi speriamo. Ahimè! Una paura istintiva ci spinge a
scrutare l'avvenire, questo "Spettro sempre mascherato che ci
segue fianco a fianco - E che si chiama domani, - Come dice il poeta.
- Oh! domani, è la grande questione, - Di che sarà fatto
domani?... - Domani, è il bagliore nel velo, - E' la nuvola
sulla stella..." I versi di Victor Hugo abitano la nostra
memoria.
Tuttavia
il grande poeta qui s'inganna. La grande questione non è
domani. La grande questione, è oggi. Oggi, noi possiamo scongiurare
i mali di domani che deriverebbero dalle nostre imprudenze: domani,
sarebbe troppo tardi. Oggi noi possiamo pesare le conseguenze
dei nostri atti. Domani, non ci sarà più che da subirle. Ad ogni
giorno basta la sua pena. La speranza cristiana obbligandoci a
vivere giorno per giorno ci risparmia le delusioni e gli
scoraggiamenti. Costruire dei castelli in Spagna è il mezzo più
sicuro di finire a dormire a cielo aperto, al contrario il
timore di non avere più un tetto paralizza i nostri sforzi. Non
sogniamo dei domani fantastici, non inquietiamoci di domani tragici,
facciamo tranquillamente il dovere del giorno presente che conosciamo
e sapremo riempire quello di domani che noi ignoriamo.
Ad
ogni giorno basta la sua pena. Com'è buono Dio ad averci nascosto
l'avvenire! Se conoscessimo la prova che ci attende nei giorni a
venire, il suo peso ci spaventerebbe e ci schiaccerebbe in
anticipo. Pensiamo solamente a sopportare il fardello di oggi, è
adeguato alle nostre forze. Domani avrà cura di se stesso. Domani
Dio ci darà delle nuove forze per far fronte alle nuove difficoltà
che ci sono sconosciute. Gesù ci proibisce di preparare questi
domani? Niente affatto, perché coloro che non vedono oltre il
presente corrono incontro alla rovina.
Il
Signore ci proibisce soltanto di inquietarci del domani.
L'imprevidenza è una colpa, perché sacrifica l'avvenire al
presente; ma l'inquietudine non è un errore minore, perché
sacrifica il presente all'avvenire. L'inquietudine è, sempre nociva,
è generalmente illusoria. Quando ci si è ben premuniti
contro tutte le disgrazie possibili, o non se ne avvera nessuna e ci
si è affannati per niente, oppure ne sopraggiunge un'altra che non
avevamo previsto. Costui si è privato per anni per non aver
bisogni nei giorni della sua vecchiaia, ed ecco che la
svalutazione non gli lascia altro che pezzi di carta senza
valore. Quest'altro che si mette al sicuro da tutte le malattie
future, non gode della salute presente tanto ha paura dei microbi e
delle correnti d'aria. "I paurosi, scrive Shakespeare,
muoiono parecchie volte prima della loro morte."
L'inquietudine è demoralizzante; non elimina le disgrazie
temute, le anticipa; ingrandisce le difficoltà; distrugge la
passione del rischio senza la quale l'uomo non ha coraggio.
Ricordate queste frasi così semplici e così vere di Péguy: "Non
amo, dice Dio, colui che specula sul domani, non amo colui che sa
meglio di me quello che sto per fare. Pensate al domani, non vi dico:
calcolate il domani. Non siate quell'infelice che si rigira e si
consuma nel suo letto per sapere come sarà la giornata di
domani. Sappiate solo che quel domani di cui si parla sempre è il
giorno che verrà e che esisterà per ordine mio come gli
altri." Cari amici, coltivate nella vostra famiglia la piccola
virtù della speranza che, elevando i vostri sguardi verso Dio, vi
renderà capaci di ogni coraggio perché vi libererà da tutte le
paure.
LA
PICCOLA VIRTU' DELL'ECONOMIA
Temo
che leggendo questo titolo molti di voi siano trasaliti. "Come,
avrete pensato, con i tempi che corrono, in cui abbiamo tante
difficoltà a sbarcare il lunario, si può forse pensare di
fare economie?" Mi affretto a dirvi che non è questa la mia
intenzione. Una delle caratteristiche della lingua francese è quella
di accettare che si metta da parte del denaro per averlo un domani.
Del resto, questa misura di prudenza difficilmente potrebbe passare
per un atto di virtù. La virtù dell'economia consiste nello
sforzarsi di non perdere nulla e di far uso di ogni cosa nel miglior
modo possibile. Ammetterete senza sforzi che essa ha la sua
importanza nelle vostre case e perfino che è molto d'attualità.
Aggiungo,
ed è questo che mi dà il coraggio di affrontare questo argomento,
che è stato Nostro Signore in persona a predicarci l'economia
in una circostanza che voi conoscete bene, dopo la prima
moltiplicazione dei pani. Vi ricorderete di come una folla di
cinquemila uomini avesse ascoltato i suoi insegnamenti per
tutta la giornata; giunta la sera, il Maestro non volle rimandarli a
casa digiuni. Ma in prossimità del luogo deserto in cui si
trovavano, non c'era un paese in cui potessero rifornirsi di
pane; Gesù fece dunque sistemare i suoi ascoltatori in gruppi
di cento e cinquanta e, prendendo le cinque focacce d'orzo che gli
offriva un ragazzino, le moltiplicò con tale abbondanza che
tutti i presenti ne ebbero a sazietà. Molto di più, tenuto conto
dei commensali accorti che non trascurarono di conservare per il
cammino qualche pezzo dell'alimento veramente caduto dal cielo,
rimanevano qua e là per terra gli avanzi del pasto. Si spreca più
facilmente il pane che non abbiamo dovuto faticare a guadagnarci da
sé. Fu allora che il Signore, rivolgendosi agli apostoli, dette loro
un ordine che, a prima vista, contrasta stranamente con la
prodigalità di cui aveva appena dato prova: Raccogliete, disse, i
pezzi che restano, affinché niente vada perduto. Effettivamente, gli
avanzi così riuniti riempirono dodici ceste. Il pranzo
dell'indomani, insomma. La precauzione non era stata inutile.
Devo
forse confessarvi che questa lezione di economia non m'impressiona
meno del miracolo stesso? Si può quindi essere al tempo stesso
generosi ed economi; bisogna addirittura essere economi per
potersi mostrare generosi. Inoltre, Gesù ci insegna che i doni di
Dio, anche quelli più inattesi, non devono renderci passivi.
Contare su Dio non ci dispensa dal contare su di noi. Noi riceviamo
da Lui tanti beni; il tempo, gli alimenti, i vestiti, il denaro che
ce li procura, e la salute, l'intelligenza, l'abilità, la
forza... La buona resa della nostra attività e l'agiatezza della
nostra famiglia ci ingiungono di non sprecare niente e di
utilizzare al meglio le nostre minime risorse: questo è l'oggetto
della virtù dell'economia. La parola "economia" deriva dal
greco e letteralmente si tradurrebbe la legge della casa, o
l'ordine nella casa. Voi lo sapete, una casa è piacevole solo se vi
regna l'ordine. Mi par di sentire la buona mamma, custode vigile del
focolare, ripetervi la parola di Gesù: "Raccogliete tutto
quello che è fuori posto." Ed il padre farle eco: "Un
posto per ogni cosa e ogni cosa a suo posto." Dei vestiti
spazzolati regolarmente e piegati con cura durano più a lungo.
Gli oggetti sistemati dopo averne fatto uso sono meno esposti a
rompersi. Il tempo che occorre a sistemare le proprie cose è meno
lungo di quello perso a cercare dove abbiamo potuto perderle.
In
una casa ordinata, non si è soliti sprecare e si trae profitto da
cose che altri mandano ai rifiuti. Un foglio di carta, un pezzettino
di stoffa, un pezzo di spago o di lana, invece di essere buttati nel
secchio della spazzatura, sono riposti in una scatola o in un
cassetto speciale, e un giorno si è contenti di trovarli. L'economia
non deve essere confusa con la tirchieria, essa al contrario permette
di spendere, ma consapevolmente. C'è gente che si rovina spendendo a
sproposito. Si lascia tentare dall'attrattiva di un prezzo poco
elevato, ma ha secondo quello che spende. Mi diceva qualcuno: "Non
sono abbastanza ricco da comprare della paccottiglia." Calcolare
non è spilorceria, ma perspicacia in vista di spese utili. Certo,
ora è difficile stabilire un bilancio, anche quello della famiglia.
Qui di nuovo l'economia non stringerà impietosamente i cordoni
della borsa, ma ordinerà saggiamente le spese, lesinando sul
superfluo per garantire l'indispensabile. Se in questa materia
avessi voce in capitolo, direi al marito: "Dia a sua moglie
un po' più di quello che le chiede", ed alla moglie: "Spenda
sempre meno di quanto non contasse fare." Ecco quello che
ristabilirà l'equilibrio e salvaguarderà la pace della coppia.
Siamo
ben lontani dalla religione, penserà qualcuno. Affatto. La
parola di Nostro Signore citata poco fa basta a convincervi che non
abbiamo lasciato il terreno religioso.
La
virtù dell'economia, in effetti, c'insegna a rispettare l'opera di
Dio riconoscendo il prezzo di tutti i beni di cui godiamo. Chi
può dire a Dio: Dacci oggi il nostro pane, colui che spreca o colui
che non vuole perdere niente, perché ne conosce il valore?
Ricordatevi sotto quali tratti Gesù ci ha dipinto il peccatore. Non
è andato a cercare nei bassifondi della società un criminale
sordido. Ha rappresentato il figlio cadetto di un coltivatore,
che dilapida stupidamente la fortuna acquisita lentamente
da suo padre. Il prodigo, il dissipatore offendono Dio, perché
disconoscono il frutto del lavoro umano.
Perché
dobbiamo amministrare saggiamente i beni di cui disponiamo? Perché
non c'e alcuna cosa di cui disponiamo senza l'aiuto dei nostri
simili. Siete proprio voi che vi siete guadagnati il pane che
mangiate; ma quel pane è anche il lavoro degli altri. Lo dovete al
contadino che ha seminato il grano, ai mietitori che l'hanno
falciato e riposto nel granaio, al mugnaio che l'ha trasformato in
farina, ed infine al panettiere. Passate in rassegna tutti gli
oggetti di cui vi servite: testimoniano la meravigliosa
collaborazione degli uomini, in cui ognuno è al servizio degli
altri. Ne consegue che non abbiamo il diritto di sprecare. In
una magnifica pagina in cui condanna gli uomini che abusano delle
loro ricchezze, P. Gratry s'interrompe per predicare il rispetto e la
stima del denaro: "Che cos'è dunque il denaro, scrive, e da
dove proviene? Il denaro, è lavoro accumulato, è tempo, è vita
umana, è sangue, sudore, lacrime. Ecco quello che tenete fra le
mani. Non avete il diritto di profanarlo."
Sì,
colui che spende a destra e a manca non nuoce solo ai suoi propri
interessi, fa torto agli altri, annientando ciò che potrebbe, di
conseguenza ciò che deve servire a qualcuno. Se il Vangelo ci
comanda di essere economi, è prima di tutto per aumentare le nostre
possibilità di aiutare alcuni meno fortunati di noi. Vista
sotto questa angolatura, l'economia non ci appare più come una
vecchietta misera e avara che ha sempre paura di mancare di tutto e
che finisce con l'incontrare un imbroglione che la deruba.
L'economia, io la vedo al contrario come una persona molto
curata nel suo abbigliamento e lungimirante: non lo fa vedere,
ma non ce n'è un'altra come lei per scovare le buone occasioni.
Lei si accontenta di quello che ha, perché è ricca... di tutti i
bisogni inutili che non si è creata. Vi vede in difficoltà?
Vi aiuta subito, perché lasciando che nulla vada perduto, ha sempre
qualcosa da dare. L'avete riconosciuta, non è lontana da voi. Vi
faccio le mie congratulazioni, la vostra casa non mancherà di nulla.
LA
PICCOLA VIRTU' DELL'ESATTEZZA
Nel
linguaggio corrente, dire di qualcuno che è esatto, significa
elogiarlo per essere presente all'ora stabilita. Noi ripetiamo
che "l'esattezza è la cortesia dei re". Quello è
solo uno dei significati dell'esattezza. La nostra parola "esatto"
è la traduzione di un participio latino che significa compiuto,
oppure eseguito conformemente a regole e modelli determinati.
Così si parla di una riproduzione esatta o di un calcolo esatto. Un
lavoro esatto è fatto con cura, come una narrazione oggettiva e
precisa costituisce un racconto esatto. Questa cura e questa
precisione caratterizzano l'uomo puntuale, il quale fa al
momento giusto quello che deve.
II
campo della virtù dell'esattezza di cui devo parlarvi è così vasto
che mi limiterò a considerarla sotto l'aspetto della
puntualità.
In
che modo la puntualità potrebbe non essere una virtù, dato che
il suo contrario, l'inesattezza, è un difetto terribile? Che il
pranzo non sia pronto quando tutti i commensali sono riuniti, o che
si debba aspettare un ritardatario per mettersi a tavola, non occorre
altro per caricare d'elettricità l'atmosfera domestica. Ci può
senz'altro capitare di dimenticare occasionalmente l'ora, di aver
calcolato male il nostro tempo, o di essere in ritardo a causa di un
incidente imprevedibile. Un'eccezione si può tollerare. In compenso,
le persone abitualmente in ritardo sono delle vere calamità.
Avete notato il posto occupato dall'esattezza nelle parabole del
Vangelo? E' la storia delle cinque damigelle d'onore che arrivano in
ritardo alla sala delle nozze e trovano la porta impietosamente
chiusa, o per contrasto l'apologo dei servitori che spiano il
ritorno del loro padrone per potergli aprire appena egli bussi.
L'inesattezza implica una trasgressione alla carità e spesso alla
giustizia verso il prossimo. Il bambino che non rientra all'ora
stabilita talvolta dà alla propria madre una preoccupazione che
doveva risparmiarle. Se è sconveniente far aspettare un
superiore, far aspettare un inferiore è un' impertinenza sempre
offensiva. In ogni caso, il ritardatario fa perdere a quelli che
lo aspettano un tempo che avrebbero potuto utilizzare meglio. Si
dice del cancelliere di Aguesseau, che dei capricci domestici
condannavano a pasti a delle ore irregolari, che ingannasse
l'impazienza scrivendo; così riuscì a scrivere un'opera importante
che naturalmente dedicò a sua moglie: gentile e giusta vendetta.
Poiché non tutti hanno queste risorse, non resta altroché maledire
la noncuranza dei "cronofagi" a cui pensava
quell'uomo d'affari americano, che fece pubblicare nei giornali,
per quelli che lo avevano derubato del suo tempo, il seguente
annuncio: "Il Sig. X... questa settimana ha perso due ore d'oro,
ognuna di sessanta minuti di diamanti. Non si promettono ricompense,
perché non le ritroveremo mai."
Nell'inesattezza
vi è una forte dose d'egoismo che dovrebbe farci riflettere. E
dato che attendere ci risulta così sgradevole, impegniamoci a
non far aspettare gli altri. Non far aspettare la mamma che controlla
il quadrante dell'orologio per paura che l'arrosto sia troppo
cotto. Non far aspettare il cliente che vorrebbe entrare in possesso
della sua ordinazione. Non far aspettare il regolamento della
nota del fornitore che ha bisogno del proprio denaro. Ed in genere
non far aspettare il servizio promesso. Dice un proverbio: "
Chi dà presto, dà due volte."
Ma
se il ritardatario danneggia i suoi simili, fa un grave torto a se
stesso. Le sue inesattezze sono la prova che è incapace d'imporsi
una disciplina, sia che bighelloni e sprechi il proprio tempo,
sia che voglia fare più cose di quelle che può. In effetti, ci sono
due tipi di ritardatari, quelli cha hanno sempre tempo, i
perdigiorno, e quelli che hanno sempre fretta, i trafelati. Ora il
tempo è la ricchezza più preziosa che Dio abbia messo a nostra
disposizione e ci chiederà conto dell'uso che ne avremo
fatto: dunque non bisogna perderne nulla; ma Dio ha fissato anche il
ritmo del tempo e noi dobbiamo rispettarne il cammino. Qualcuno ha
detto: "non ho tempo di avere fretta." Niente di più
giusto. Se pretendiamo di sbrigare in venti minuti un affare che ne
richiede il doppio, il lavoro sarà affrettato, l'operato mal fatto:
bisognerà ricominciarlo e, per aver voluto guadagnare tempo andando
troppo in fretta, ci troveremo in ritardo.
Noi
saremo esatti se eviteremo questi due difetti. E prima di tutto le
perdite di tempo. Verso la fine del suo ministero, Nostro Signore
fece questa riflessione davanti ai suoi apostoli: Bisogna che compia
la mia opera finché è giorno; giunta la notte, non si può più
lavorare. Padrone del tempo, Gesù conosceva il prezzo delle
ore. Seguendo il suo esempio, prendiamo il tempo sul serio. E' vero
che la nostra vita è breve: tuttavia quante cose si possono
fare in una vita d'uomo, se si utilizzano le giornate in modo esatto!
Troppe persone, invece di iniziare subito un'opera necessaria, la
rimandano all'indomani dicendo: "C'è tempo." E
quando, dopo qualche giorno, non l'hanno ancora cominciata, con
perfetta mancanza di logica, adducono come scusa: "non ho avuto
tempo."
So
che la maggior parte di voi deve fornire delle ore di lavoro che
assorbono la miglior parte della vostra attività. Tuttavia, senza
contare i giorni di riposo di cui disponete liberamente,
anche nei giorni lavorativi vi resta un po' di tempo per voi. Fate
fruttare il tempo che vi appartiene. Sul suo letto d'ospedale,
Jacques d'Arnoux pensava: "La tua vita sarà breve, bisogna che
sia piena", e pregava così: "Mio Dio, dammi l'esecrazione
dei minuti perduti." E non perdendo tempo, possiamo imparare e
fare molte cose, e al tempo stesso evitiamo la precipitazione,
l'altro nemico dell'esattezza. Organizziamo le nostre giornate senza
congestionarle, prevedendo perfino una parte d'imprevisti.
Il progresso ci fa dei brutti scherzi: a forza di dividere il tempo
seguendo il meccanismo preciso dei nostri orologi che ignorano
lo stato del cielo, siamo arrivati al punto di non distinguere più
il giorno dalla notte. Il coltivatore, invece, regola la propria
giornata sul sole e fa i conti con le stagioni, così come il
pescatore fa con la luna ed il movimento delle maree. Restando in
contatto con la natura, obbediscono alle leggi del Creatore:
così il loro lavoro risulta più metodico e la loro vita più
regolare, non perdono tempo facendo le cose col tempo dovuto.
Sappiamo,
come loro, consultare la natura e fare le cose col tempo dovuto.
Essere pronti senza essere di fretta. Lo strapazzo e la dispersione
nuocciono alla qualità dell'azione. Molti credono di agire quando
non fanno che agitarsi; affermano di macinare tanto lavoro ma, per
una triste legge del contrappasso, l'eccesso di lavoro li schiaccia a
sua volta. Riserviamoci ogni giorno dei momenti di svago; non sono
minuti persi, soprattutto quando li dedichiamo a conversare e a
divertirci in famiglia. Crediamo all'insostituibile potenza del
riposo.
A
cosa dobbiamo che ci siano tanti ritardatari? Al fatto che si
alzano all'ultimo minuto e dopo non possono più recuperare il
ritardo mattutino? E perché si alzano tardi? Perché sono andati a
letto troppo tardi.
Gratry,
che mi compiaccio di citarvi (perché questo precursore ha detto
tutto), scriveva: "Noi siamo sterili per la mancanza di riposo
ancor più che di lavoro... Il riposo del corpo, è il sonno... Il
riposo per la mente e l'anima, è la preghiera." Neppure il
tempo concesso alla preghiera è tempo perso. Quello, lo
riguadagniamo presto. Ponendoci ogni giorno alla presenza di Dio
noi capiamo meglio il valore del tempo ed impariamo a svolgere il
nostro compito con esattezza.
Estratto
dal libro: Les petites vertus du foyer,
Georges Chevrot, ed. Le Laurier, Paris
Dal
sito http://www.preghiereagesuemaria.it/
Dal
sito http://www.preghiereagesuemaria.it/
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