Caro Gesù...
Ti
posso chiedere se puoi spedire da lassù, nella Chiesa dove vado a
trovarti ogni giorno, una bella scatola di byte?... Sai, quegli
apparecchietti di resina che si mettono sui denti e che vengono
prescritti dal gnatologo a chi ha qualche problema alla mandibola?
Non vorrei che a tante persone, a forza di digrignare i loro bei
dentini, si consumassero troppo... Sai che mi hanno ripresa perché ogni
volta che passo davanti al Tabernacolo faccio la genuflessione? Non
va bene, mi hanno detto... perché gli altri non la fanno. Robe da
matti!!! Ti rendi conto?... Un atto d'amore nei Tuoi confronti
viene visto come motivo di scandalo... E se i byte non fossero
disponibili... anche qualche aspirapolvere potente potrebbe bastare.
Grazie...
I Miracoli Eucaristici: MACERATA (1356)
Mi è stato più volte
segnalato o richiesto: perché alcuni davanti al S.S.mo che sta nel
Tabernacolo non fanno più la genuflessione o tutt'al più piegano
appena la testa? Insomma si deve ancora inginocchiarsi in
chiesa davanti a Gesù Sacramento o no?
Mi sento di rispondere così,
in breve: la genuflessione (cioè piegare il ginocchio destro fino a
terra in segno di adorazione davanti al S.S. Sacramento) è sempre
doverosa perché (nonostante una crescente enfasi contraria):
1 ° manifesta l'atteggiamento
proprio dell'orante davanti alla santità di Dio; inginocchiarsi
davanti a Dio non è una umiliazione ma un onore!
2° esprime il sentimento più
profondo dell'uomo davanti a Dio: l'adorazione. Chi adora Dio e
lo riconosce e lo loda, è un uomo grande!
3° significa ogni atto di
riverenza, di fede nella presenza reale di Gesù nel S.S.mo
Sacramento dell'altare.
È scritto nelle nuove
rubriche del messale al n. 84 che davanti all'altare dove si conserva
il Santissimo, il sacerdote e i ministri devono fare la
genuflessione.
Riassumendo "durante la
messa - dice testualmente la istituzione Generale del Messale Romano
- si fanno tre genuflessioni:
dopo l'ostensione dell'ostia
dopo l'ostensione del calice
e prima della comunione.
Ma se nel presbiterio ci fosse
il Tabernacolo col S.S.mo Sacramento/ si genuflette anche prima e
dopo la messa e tutte le volte che si passa davanti al SS.mo"
(n. 233).
Il Papa ha detto a Dublino (29
settembre 1979): “L'Eucaristia nella Messa e fuori della Messa è
il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e merita quindi l'adorazione che
si tributa al Dio vivente e a lui solo. Così, ogni atto di
riverenza, ogni genuflessione che fate davanti al SS.mo Sacramento è
importante perché è un atto di fede in Cristo, un atto d'amore per
Cristo”.
E il 15 giugno 1995, il Papa,
prostrato in ginocchio davanti all'ostensorio del Santissimo nella
Chiesa di S. Maria Maggiore, ha confidato di porre e di conservare
sull'inginocchiatoio della Sua Cappella l'elenco di tutte le persone
che si raccomandano alle sue preghiere (Oss. Rom., 29.10.1995).
Come è desolante invece
vedere gente che passando davanti a Gesù Sacramentato o stando in
piedi o sempre seduti durante la messa, nemmeno si accorgono di Gesù
che sta nel tabernacolo o sull'altare!
Tu non dimenticare mai che
stando davanti a Gesù nel Sacramento e passando davanti a lui, la
genuflessione è il segno evidente del tuo amore, della tua fede,
della tua gioiosa consapevolezza che Gesù è qui, vivo e vero, tra
noi e lo adori, lo riconosci, lo benedici e lo invochi.
Fa' così, insegna così,
perché non ti avvenga come è successo un giorno a Macerata, il 25
aprile 1336. Antica ed illustre città del Piceno, nella
regione centrale d'Italia, le Marche, tra le valli del Potenza e del
Chienti, sta Macerata, capoluogo di provincia. È edificata
sopra un colle a circa sopra il livello del mare, e da questa collina
ferace, quasi come da vedetta militare, si domina e si osserva tutta
la regione picena, al nord sino al mare Adriatico, a sud fino alle
catene degli Appennini, offrendo uno splendido panorama all'occhio
dell'osservatore.
La bella Cattedrale è
dedicata a Santa Maria Assunta e a San Giuliano. È un tempio
vasto e maestoso nell'interno e formato di colonne toniche binate che
sostengono le arcate. È proprio in
questa Cattedrale che si
custodisce un miracoloso lino liturgico impropriamente detto
corporale, macchiato di sangue sgorgato da un'ostia consacrata.
È la cattedrale del vescovo
Mons. Francesco Tarcisio Carboni, recentemente scomparso. In
quella buia mattina del 20 novembre la sua auto a Chiarine di
Recanati/ tentava di evitare l'urto frontale di uno sprovveduto ma
veniva investita sulla fiancata proprio in direzione di Sua
Eccellenza, che è deceduto sul colpo e di Loreto se lo è portato in
Paradiso! È da là, che ancora oggi, ci ripete: “La croce
non è solo la croce di legno, ma è la volontà del Padre! Chi
mi vuol seguire, prenda la sua croce e mi segua...”.
“L'essere inchiodato a quella croce è la mia realtà! Se la
croce si accetta con amore, questa è perseveranza!” (17 novembre
1995).
Ai sacerdoti diceva: “Siate
maestri di orazione nella liturgia, nella direzione spirituale, nella
vostra stessa vita. Siate messaggeri di speranza nella gioia
del vostro sacerdozio in Maria; nella povertà della vostra vita,
nella luminosità della vostra predicazione.
Siate trovati fedeli da Colui
che legge nei cuori, da chi richiede il vostro ministero, dalla
vostra coscienza, ogni sera; da Maria Vergine”. “Nella
forza dell'Eucaristia”.
Nella forza dell'Eucaristia,
creduta, amata, celebrata, ricevuta, donata.
In Gesù Eucaristia: “L'amore
di Dio - diceva Paolo VI - si è fatto fratello nostro; è Gesù che
ha camminato per le nostre strade e ha detto a ciascuno di noi: io
sono il tuo pane, il tuo maestro, la tua forza/ la tua guida”.
Se quel povero sacerdote del
lontano 25 aprile 1356, di cui è rimasto sconosciuto il nome, ma
svelato il suo atroce dubbio nella presenza di Gesù nell'ostia
consacrata, fosse stato più fedele all'amore di Dio, non avrebbe
provocato una nuova prova - miracolosa - della presenza sacramentale
di Gesù nell'Eucaristia!
Era da un po' di tempo che un
dubbio tremendo lo tormentava, scuotendo la sua fede, il suo amore.
Se avesse detto: Non sono più
io che vivo, ma è Cristo che vive in me! Se si fosse coltivato
nello spirito, predicando, operando il bene, avrebbe avuto quel
dubbio che scuoteva la sua vita sacerdotale!
O è stata una prova
indicibile? A volte il Signore permette che veniamo sottoposti
a prove dolorose per rettificare il nostro amore per lui; a volte
permette che veniamo tentati perché la nostra fede divenga sempre
più ardente e convinta!
Noi allora diciamo: perché
Signore? Perché mi abbandoni in balìa di me stesso?
Perché mi abbandoni Signore?
Che cosa ti ho fatto?... e non sappiamo vedere anche in questa prova,
una grazia che ci innalza ad un amore più forte, ad un dono più
puro.
Quel sacerdote andava ogni
mattina in una delle chiese di Macerata. Probabilmente - dicono i
documenti antichi - andava a celebrare la messa in quella dedicata a
Santa Caterina, che era la cappella delle monache benedettine.
Quella mattina, 25 aprile, era
la festa di San Marco evangelista, proprio colui che ci narra come il
centurione battendosi il petto dinanzi a Gesù Crocifisso esclamò
“Costui è veramente il Figlio di Dio”! L'evangelista che
pone più in rilievo il tradimento di Giuda e di Pietro.
Vendere Cristo o rifiutare di
riconoscerlo è il tradimento che perennemente sta in agguato dietro
ogni nostra Cena eucaristica!
Quel prete, stanco e deluso,
salito all'altare in sacri paramenti, all'orazione sopra le offerte
aveva detto: “Accogli Signore il sacrificio di lode che ti offriamo
nel ricordo glorioso di San Marco e fa' che nella tua Chiesa sia
sempre vivo e operante l'annunzio missionario del Vangelo. Per
Cristo nostro Signore!”. Le monache risposero con fede:
“Amen, così sia, così è”.
Ma il prete è sempre stanco,
avvilito, spento. Più si avvicinava il momento “tremendo e
vivificante della consacrazione” più sentiva impazzire il cuore.
“Come farò a dire: questo è
il mio corpo, questo è il mio sangue! Come farò Signore se un
dubbio terribile mi attanaglia il cuore e mi distrugge la fede?”.
Ma tu, sacerdote del Signore,
non conosci le parole del serafico padre San Francesco che esclamava:
“O meravigliosa altezza e degnazione che da stupore. O umiltà
sublime e sublimità umile che il Signore dell'universo, Dio e Figlio
di Dio, abbia ad umiliarsi così da nascondersi sotto la piccola
figura del pane per la nostra salute!
Guardate, fratelli,
l'abbassamento di Dio... Quindi non tenetevi nulla di voi stessi,
affinché interamente vi accolga colui che tutto si da a voi!”.
Se tu avessi conosciuto San
Filippo Neri quando celebrava la santa messa, mentre teneva fra le
candide mani diafane la santissima Ostia, l'avresti sentito piangere
e adorare:
“Mio Dio, mio tutto!
Mio Dio, mio tutto!”.
Le monache benedettine
raccolte in preghiera, di solito con gli occhi bassi, in quella
fresca mattina primaverile, alzarono gli occhi esterrefatte.
Il celebrante era giunto alla
frazione del pane, prima della comunione. Dicendo
stentatamente: “II Corpo e il Sangue di Cristo uniti in questo
calice, siano per noi cibo di vita eterna...”, ma non riuscì a
finire, si sentì male, mentre un fremito lo percorse per tutta la
persona: dall'ostia era cominciato a stillare vivo sangue che cadde
in parte nel calice e parte sul lino sottostante.
Ancora una volta Gesù si era
manifestato visibilmente, ancora una volta aveva infranto i veli del
pane e del vino e si era mostrato nella sua realtà di carne e
sangue! Ma quando crederemo senza vedere?
Quando, Signore, ti ameremo
senza domandarti una prova una conferma?
Il prete avventurato cadde in
ginocchio con le mani rosse del sangue santissimo di Nostro Signore,
a motivo del timore e del tremore che aveva invaso il suo cuore e le
sue ginocchia.
Inginocchiato pianse a lungo.
Poi finita finalmente la celebrazione che gli sembrò durata
un'eternità, non riuscendo a contenere l'emozione e il turbamento,
corse dal suo vescovo, Nicolo da S. Martino, il quale subito ordinò
dì portare la preziosa tela insanguinata a lui, in cattedrale.
Lasciamo andare la storia e
anche noi ancora smarriti e confusi avviciniamoci all'altare dove sta
il sacro lino insanguinato.
Inginocchiamoci riverenti e
devoti e guardiamo umili e riconoscenti. Vedi un lino di forma
allungata di 129x41 centimetri, di colore giallastro a motivo dei
secoli trascorsi. Ma intanto vedi e adora le due macchie grandi
del Sangue santissimo di Gesù vivente e prega e adora: “Eterno
Padre, noi ti offriamo con Maria, madre del Redentore del genere
umano, il sangue che Gesù sparse con amore nella passione e ogni
giorno offre in sacrificio nell'Eucaristia. In unione alla
Vittima immolata per la salvezza del mondo ti offriamo le nostre
misere gocce di sangue quotidiano in espiazione dei nostri peccati,
per la conversione dei peccatori, per le anime sante del purgatorio,
per le necessità della santa Chiesa.
Oh sangue preziosissimo, segno
di vita e di misericordia concedici di perseverare nella fede, nella
speranza, nella carità...”.
Ah! Come però spesso vanno le
cose umane! La sacra reliquia rimase ad un certo momento della
sua storia secolare, “dimenticata" chiusa nell'armadio che
custodiva le altre reliquie nella cattedrale, sino al 1932, quando
finalmente per ordine del vescovo mons. Peio Scarponi si tornò ad
esporla alla pubblica venerazione. Attualmente il sacro lino è
conservato sotto l'altare del SS.mo Sacramento, per ricordarci ancora
una volta che l'Eucaristia è la fonte e il vertice della vita
cristiana.
È in questo augusto
Sacramento che il cristiano fa esperienza più forte di Dio, sentito
e gustato come l'amico, l'intimo, l'ineffabile. È qui che il
divino Maestro parla al cuore, e lo accende d'amore.
Dal
sito http://www.paginecattoliche.it/
Nessun commento:
Posta un commento