mercoledì 22 luglio 2015

LA PASSIONE DI GESÙ - P. Luigi di S. Carlo Passionista - Direzione Apostolato Passionista Recanati (MC) 1989




Vi prego per quanto so e posso: approfittatevi di quel­la scienza divina che Gesù vi insegna alla scuola della sua Passione.
Fondate sempre la vostra meditazione sopra i misteri della Passione di Gesù, non la lasciate mai: vedrete miracoli della misericordia di Dio. È qui che hanno im­parato i santi.
Senza l'esperienza della Croce non s'intendono le splendide meraviglie che Dio opera nell'anima. (S. Paolo della Croce, Fondatore della Congregazione dei Passionisti)

METODO PER MEDITARE LA PASSIONE DI GESÙ
PREMESSA
Leggendo questo libro non devi contentarti di sapere quanto ha sofferto Gesù. Ti gioverà molto, dopo aver letto uno o più punti, fermar­ti alquanto a meditare le sue strazianti pene: al­lora esse penetreranno a fondo nella tua mente e nel tuo cuore, e il tuo spirito sarà imbevuto del sentimento della Passione di Gesù. Forse anche tu fai parte di quelle anime che potreb­bero chiedere: Come potrò meditare, se non ne co­nosco il modo? Per meditare non si richiedono qualità straordinarie. "Per ben meditare non si ricerca né grande capacità, né talenti, né stu­dio, né grandi ardori, né gusto sensibile sui mi­steri e sulle verità che si vanno meditando; ma solamente un cuore retto, una buona volontà, che desidera efficacemente la propria salvezza, un'umiltà sincera, che conosce i suoi bisogni. In poche parole: basta avere le qualità di un povero, penetrato intimamente dal sentimento della sua estrema miseria". Quanto è facile presentarsi a Dio con queste disposizioni! Il motivo, quindi, della tua incapacità è un pretesto qualunque da cui non ti devi far dominare.
(…) Che cos'è la meditazione? Nient'altro che l'eser­cizio, su qualche verità della fede, delle tre po­tenze dell'anima: la memoria, l'intelletto, la vo­lontà. Meditare la Passione del Signore è eserci­tare le tre potenze su qualche punto di essa. La memoria ricorda le sofferenze di Gesù, l'intellet­to le considera, la volontà suscita santi affetti e buone risoluzioni. In quante parti si divide? Si può dividere in tre parti: preparazione, meditazione propriamen­te detta, conclusione.

Preparazione. Consiste nel disporre l'anima a ben meditare. È preparazione remota quando l'anima, qualche tempo prima della meditazio­ne, durante le stesse occupazioni giornaliere, pensa e stabilisce in anticipo il punto da medita­re, il frutto che si vuol ricavare, il tempo e il luogo più opportuni per raccogliersi. Molti non rie­scono a meditare convenientemente perché trascurano questo genere di preparazione. La preparazione prossima è quella che impegna immediatamente prima di considerare il punto prestabilito, e consiste nei seguenti atti: 1) in­vocazione dello Spirito Santo; 2) atto di fede; 3) atto di umiltà; 4) atto di adorazione; 5) atto di pentimento; 6) atto di preghiera. La prepa­razione dev'essere breve, proporzionata al tempo che si decide di impiegare nella medita­zione. Generalmente basta spendervi cinque o dieci minuti.
Meditazione. È la parte più importante, che dà il nome all'orazione mentale. Qui si mette in azione la memoria, l'intelletto, la vo­lontà.
La me­moria ricostruisce quel fatto della Passione che ti sei proposto di meditare, presentando la co­siddetta composizione di luogo. Questo libro ti fa­cilita il compito, offrendoti la possibilità di sce­gliere i brani della Passione che desideri. Non occorre fermarsi molto: basta rappresentarsi il fatto con le principali circostanze, senza per­dersi nelle minuzie descrittive.
L'intelletto, contemplando il fatto che sgorga dalla memoria, matura riflessioni naturali e semplici. È utile, nel meditare la Passione, ri­cordare le seguenti domande e ascoltare la ri­sposta che viene dalla fede: Chi patisce? Che co­sa patisce? Per chi patisce? Come patisce? Esse ti forniranno abbondante materia di riflessione e il tuo intelletto sarà illuminato. Non basta. Dopo esserti concentrato sui do­lori di Gesù, devi occupare l'intelletto rifletten­do sulla tua condotta in relazione a quello che mediti. Esamina la coscienza, fa l'applicazione a te stesso: "Questa è la parte principale della meditazione: l'applicazione pratica a se stesso di ciò che si medita. Rifletti se sei abituato a regolare i tuoi pensieri, i tuoi giudizi, le tue operazioni sulle verità che mediti". Qui fermati molto: tutto il tempo impiegato nel conoscere te stesso sarà speso benissimo. Alla luce delle pene del Salvatore da una par­te, e delle tue imperfezioni dall'altra, il tuo cuore si sentirà commosso e allora subentrerà la volontà. I primi atti, che sorgono spontanei dalla materia meditata, sono di compassione, di gratitudine, di pentimento, di amore, a cui devo­no seguire i propositi. In ogni meditazione si formula un proposito generale, di evitare i peccati e i difetti volontari, e uno particolare, il frutto che si intende ricava­re dalla meditazione. Perché questo riesca effi­cace, è bene stabilire nel proposito anche i mez­zi a cui ricorrere durante il giorno per mante­nerlo. L'omissione di questi mezzi impedisce di met­tere in pratica il proposito particolare. Conclusione. La meditazione si avvia alla con­clusione, che consiste in un atto di ringrazia­mento a Dio per le grazie ricevute durante l'ora­zione, e di preghiera al Signore, alla Madonna, ai Santi Angeli, ai Santi protettori. Chiedi la grazia della fedeltà ai propositi, della perseve­ranza finale, dell'eterna salvezza. Non dimen­ticarti mai di pregare per la Santa Madre Chie­sa, per i poveri peccatori, per le anime del Pur­gatorio. Fa' il segno della croce e recati al tuo lavoro.

ESEMPIO PRATICO
(LA FLAGELLAZIONE DEL SALVATORE)
Preparazione
Remota. Durante la giornata, attendendo alle tue incombenze, recita di tanto in tanto, più con la mente che con le labbra, questa espres­sione: O Gesù mio, domani mattina, in chiesa, o in casa, nel luogo più appartato e più adatto, voglio meditare la tua flagellazione, e intendo fare il proposito particolare di mortificare i miei sensi. Gesù mio, aiutami a meditare bene. Ma­ria SS., intercedi a tale scopo per me. Angelo mio custode, stammi vicino perché mi prepari adeguatamente. Gesù mio, le tue sofferenze mi spronino a mortificarmi.
Prossima. Nel luogo che hai scelto per la tua meditazione, prendi una posizione né troppo scomoda né troppo comoda, e inizia così: Invocazione dello Spirito Santo. Nel nome del Pa­dre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fe­deli e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Manda il tuo Spirito e tutto sarà ricreato. E rinnoverai la faccia della terra. Preghiamo. O Dio, che con il dono dello Spiri­to Santo guidi i credenti alla piena luce della verità, donaci di gustare nel tuo Spirito la vera sapienza e di godere del suo conforto. Per Cri­sto nostro Signore. Amen.
Atto di fede nella presenza di Dio. Mio Dio, eccomi qui al tuo cospetto per ravvivare la fede nella tua divina presenza. Tu sei qui presente, mi vedi, mi guardi, circondi e penetri tutto il mio essere. Lo credo, mio Dio, più che se ti vedessi coi miei occhi. Sostieni questa mia fede.
Atto di umiliazione. Signore, non sono degno di parlare, di trattare con Te, maestà infinita, alla cui presenza tremano i cieli e la terra. Io sono una misera creatura, macchiata di innumere­voli difetti, meritevole d'essere allontanata per sempre da Te. Mio Dio, arrossisco e mi con­fondo.
Atto di adorazione. Ti adoro, mio Dio, prostrato davanti a Te. È questo il mio dovere, ma quan­to poco so compierlo! Sento perciò il bisogno di unire alle mie adorazioni quelle degli Angeli e dei Santi del cielo. Ti adorino per me.
Atto di pentimento. O Signore, tu non respingi un cuore umiliato e contrito; perciò mi pento delle mancanze commesse. Mi spiace tanto di averti offeso, mio Dio, che vorrei prima esser morto. Perdonami per la tua misericordia.
Atto di preghiera. Signore, col perdono dammi pure la grazia di fare bene questa meditazione, a cui Tu stesso mi chiami. Fammi bene inten­dere le pene di Gesù nella flagellazione. Maria SS., Angelo mio Custode, S... (si nomini il San­to Protettore) intercedete per me presso Dio.
Meditazione
Composizione di luogo. (È opera della memoria e della fantasia. Per aiutare l'una e l'altra, giova leggere prima quanto è scritto in questo libret­to ai numeri 87, 88, 89, 90).
Ecco, anima mia, il tuo Gesù, sottoposto al tormento della flagellazione.
Tolto dal cospetto di Pilato, Gesù è condotto al luogo destinato a questo supplizio, spogliato delle sue vesti, legato strettamente per le mani alla bassa colonna. La sua sacra persona rima­ne curva, e subito i carnefici, armati di crudeli strumenti, li scaricano su di lui con ferocia inaudita. Nessuna parte del corpo rimane in­tatta dai flagelli: petto, spalle, dorso, fianchi, braccia e gambe vengono orribilmente per­cossi.
In breve la sua pelle si fa livida, poi si rompe e ne sprizza vivo sangue, che scorre sulla per­sona divina, intride i flagelli, le vesti dei perfidi esecutori e il terreno. Brandelli di carne si stac­cano per la violenza dei colpi. In alcuni punti si scoprono le ossa. Gesù stenta a reggersi in piedi, esaurito di forze, e cade immerso nel proprio sangue appena viene slegato.
Riflessione.
(È opera dell'intelletto).
Anima mia, avvicinati ora a Gesù ridotto in quello stato e domanda a te stessa: chi è che così patisce? Un uomo qualunque, un servo, uno schiavo? Dovresti averne pietà, anche se fosse un malfattore. Invece è il Verbo Eterno, la Sa­pienza del Padre, il Creatore, il Dominatore dell'universo, Dio fatto uomo per essere salva­tore, amico, padre, sposo. O Gesù, sei dunque tu quell'uomo disfatto dai flagelli? Che cosa patisce? Getta uno sguardo, anima mia, e rifletti se vi possono essere dolori più atroci. Gesù che è purezza, santità per essen­za, si vede vergognosamente spogliato delle vesti; poi, dalla pianta dei piedi fino alla som­mità del capo, il suo corpo immacolato viene lacerato e scorticato. Non ha più l'aspetto di un uomo, è una sola piaga, sembra un lebbroso. Gesù mio, come potrò credere che sei il più bello tra i figli degli uomini? E chi può dire quanto soffri nel cuore e nello spirito?
Per chi patisce? Non per sé, non per le colpe che non ha, ma per le colpe dell'umanità intera, di te in particolare. È spogliato con tanta confu­sione per scontare i peccati di immodestia. È coperto di piaghe per i peccatori disonesti. Il giusto patisce per il peccatore, l'innocente per il colpevole. A te erano dovuti quei flagelli. Ri­conosci almeno la gravità del peccato impuro. Come patisce? Con una mansuetudine, con una pazienza che non conosce limiti. Potrebbe fa­cilmente vendicarsi: basterebbe un gesto, un desiderio e i nemici perirebbero tutti. Invece soffre e tace, senza dare il minimo segno di ri­sentimento, lasciando indovinare l'asprezza del dolore dal sangue e dalle piaghe di cui è ri­coperto il suo corpo, dalle lacrime che gli scor­rono sul volto. Soprattutto soffre con infinita carità. Per l'amore che ti porta sta legato alla colonna e subisce quegli spietati flagelli. Se ti fosse concesso di penetrare nel suo Cuore Di­vino lo vedresti acceso del desiderio di patire ancora per liberare te dai flagelli dell'ira divina. Ecco come soffre. Rifletti ed esamina la tua condotta. Gesù è quel modello divino che devi ricopiare. Quanto sei dissimile da Lui! Tu fuggi il patire inerente alla condizione umana. Co­stretto a subirlo, ti lamenti, ti inquieti, di adiri, concepisci sentimenti d'odio, di vendetta. Eppure hai meritato le sofferenze. Ricorda i tuoi peccati e arrossisci. Tu sei la vera causa di quei flagelli, perché ti abbandoni ai piaceri e al­la sensualità. Dov'è la tua attenzione per frena­re gli istinti disordinati, per mortificare i sensi interni ed esterni, per assoggettare il corpo alla ragione e alla fede? Mio Dio, mi vergogno esa­minando la mia coscienza. Come sono diverso da Gesù.
Affetti, propositi. (Sono opera della volontà). Voglio, Gesù mio, mutar vita. Ti dono tutti i miei affetti.
Affetti di compassione. Ti compatisco, caro Gesù, nei tuoi acerbissimi dolori. Poiché non posso offrirti altro, accetta almeno questi miei senti­menti, queste mie lacrime di compassione. Vorrei compatirti come i Santi, Maria Maddale­na, la tua stessa Madre.
Affetti di gratitudine. Sii benedetto e ringraziato in eterno, Signore! Le tue piaghe liberano l'a­nima mia dal peccato, il tuo sangue mi purifica dalle colpe. Non me ne dimenticherò mai.
Affetti di pentimento. Mi pento dei peccati, li de­testo. Fossi morto prima di averti offeso. Affetti di amore. Ti amo tanto, Gesù mio, per quello che soffri per me. Il mio povero cuore non conoscerà in avvenire altro amore che il tuo, e spinto da questo dolce amore tutto sof­frirò per Te. Come segno della mia sincerità, accetta i miei propositi.
Proposito generale: Prometto di stare attento per evitare non solo qualunque peccato, ma anche qualunque difetto avvertito. Sarò umile, pa­ziente, obbediente, casto.
Proposito particolare. In particolare, o Gesù, ti prometto di mortificare la mia carne. Oggi a pranzo e a cena mi mortificherò due volte nel bere e nel mangiare.
Conclusione
Che cosa ti renderò in cambio, o Signore, per le grazie che mi hai concesso durante questa meditazione?
Atto di ringraziamento: Ti ringra­zio di tutto cuore, e voglio che ogni mio respiro sia un continuo atto di ringraziamento. Mi uni­sco agli Angeli e ai Santi del cielo, e ai giusti di questa terra, e ti offro i ringraziamenti che in­cessantemente ti fanno. Accettali come se fos­sero miei.
Atto di preghiera: Riuscirò a mantene­re questi sentimenti e questi propositi? Certa­mente no, se guardo alla mia debolezza. Si­gnore, assistimi e aiutami sempre, ho bisogno di Te. Nel momento del pericolo accresci in me l'orrore del peccato e la forza di evitarlo. Per i tuoi flagelli, per le tue piaghe, salva l'anima mia, converti i peccatori, consola gli afflitti, assisti gli agonizzanti, proteggi i miei parenti e benefattori, dona la pace alla Chiesa, la perse­veranza ai giusti. Venga il tuo regno. Ti rendia­mo grazie, o Dio Onnipotente, per tutti i tuoi benefici. Tu che vivi e regni nei secoli dei seco­li. Amen.
Nel nome del Padre e del Figlio e del­lo Spirito Santo. Amen.

Avvertenze
1. Nell'Esempio pratico ho supposto che si medi­ti un solo punto. Volendo dividere la medita­zione in due o tre punti, rimane la medesima prefazione e si cambiano in ogni punto le parti della meditazione (cioè la composizione di luo­go, le riflessioni, gli affetti e i propositi), adat­tandole a quel che si medita.
2. Il Metodo insegnato per meditare è utile per i principianti e per tutte quelle anime che in al­tro modo non possono meditare. È bene quindi che ognuno se lo ricordi, per servirsene quan­do ne ha bisogno. Oltre l'orazione ordinaria vi è un'orazione straordinaria o infusa che il Signo­re dona volentieri alle anime che corrispondo­no alle grazie dell'orazione ordinaria. Gli scrit­tori di Teologia Mistica fanno giustamente os­servare che il numero delle anime favorite dal dono dell'orazione è superiore a quello che co­munemente si crede. Mi basta aver accennato all'orazione straordinaria perché nessuno creda che il Metodo debba sempre e assolutamente essere seguito.
Preghiera prima della lettura
Gesù Crocifisso, illumina la mia mente e spro­na al pentimento il mio cuore mentre attendo alla lettura della tua dolorosa Passione. Conce­dimi il desiderio e la forza di imitare i tuoi lu­minosi esempi di virtù, per intercessione del­l'Addolorata tua Madre, Maria SS.ma.
Preghiera dopo la lettura
Ti ringrazio, o Gesù mio Crocifisso, dei buoni pensieri ed affetti che hai suscitato in me du­rante la lettura della tua Passione. Ti prego umilmente: accordami la grazia di conservare sempre il frutto spirituale che ho ricavato.

I - LA PASSIONE PREDETTA
1. La Passione di Gesù Cristo predetta dai profeti
La storia di Gesù Cristo è stata scritta prima che Egli nascesse.
I profeti dell'antica alleanza tennero fisso in Lui il loro sguardo fatidico, videro da lontano le sue meravigliose gesta, e le narrarono ai po­poli che credevano in Lui, Redentore futuro. Quel che si dice della vita di Gesù in generale, si deve dire in particolare della sua Passione. Tutto è stato predetto, dalla più grande alla più piccola circostanza, e leggendo le profezie ci sembra di leggere la storia evangelica della Passione. In particolare sono stati predetti l'o­dio e la congiura dei nemici contro Gesù; il traditore nella persona di un suo intimo; la vendita per trenta monete d'argento; la fla­gellazione; la condanna a morte; il fiele e l'aceto; la divisione delle vesti; la croce­fissione; la compagnia dei ladroni; la se­poltura; la risurrezione. Perché tanti dolori al futuro Messia? I profeti si preoccupano di farcelo sapere. "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le no­stre iniquità... Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condot­to al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori". Di sua spontanea volontà, per nostro amore, per toglierci il peccato, per ridarci la grazia, il Messia si assoggetta alla Passione, alla morte.
Considera. I profeti predicevano la Passione di Ge­sù, la vedevano e meditavano. Mettiti spiritualmen­te in loro compagnia e rivivi i loro affetti verso le pe­ne del Salvatore.
2. Predizione di Gesù
Venuto il tempo stabilito da Dio, il Verbo si fece carne ed abitò tra noi. Cresciuto in sa­pienza ed età davanti a Dio e agli uomini, vide avvicinarsi l'ora della sua immolazione. Cono­sceva minutamente lo strazio che si sarebbe fatto di lui, e ne parlò ad amici e nemici. Quando i sacerdoti ebrei e gli scribi gli chiesero con quale potere scacciasse così imperiosamen­te i profanatori del tempio, rispose predicendo la sua Passione: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere", intendendo parlare del mistico tempio del suo corpo che doveva morire sulla croce. Un giorno il si­nedrio mandò alcuni seguaci perché co­gliessero l'occasione di catturare Gesù. Il Sal­vatore disse loro: "Per poco tempo ancora ri­mango con voi, poi vado da colui che mi ha mandato", indicando che la sua morte era vicina. Fece la stessa predizione dopo la guari­gione dell'ossesso: "Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato in mano degli uomini". Si può dire che non perdesse occasione di avvertire della sua prossima fine specialmente i discepo­li, allo scopo di togliere loro ogni motivo di scandalo quando l'avrebbero visto morire sulla croce.
Considera. Gesù parla volentieri della sua Passione per farla conoscere prima ancora che avvenga. Ascolta volentieri la lettura di essa e richiamala so­vente alla memoria per piacere a Lui.
3. Circostanze della Passione
Il Signore non si contentò di predire la sua Passione in modo generico. Volle farla cono­scere in precedenza nei minimi particolari. Predisse e designò il traditore nella persona di un suo Apostolo. Pietro infatti gli aveva detto: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna". Gesù rispose: "Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!", indicando con ciò chiaramente l'Apostolo Giu­da Iscariota che l'avrebbe tradito. Predisse i singoli tormenti che doveva subire dopo il tradimento: "Ecco, noi saliamo a Geru­salemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanne­ranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo fla­gelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre gior­ni risusciterà". Predisse la sua morte in croce: "E lo consegne­ranno ai pagani perché sia schernito e flagella­to e crocifisso". "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia in­nalzato il Figlio dell'uomo". Noi sappiamo che il serpente di bronzo, innalzato nel deser­to, era collocato sopra una specie di croce. Predisse che sarebbe stato sepolto per circa tre giorni: "Come infatti Giona rimase tre gior­ni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuo­re della terra". Infine, Gesù compendia tutto in poche parole: "Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà". I profeti, a cui si ri­ferisce Gesù, non avevano taciuto nulla delle principali circostanze della sua Passione.
Considera. Gesù conosce e predice i singoli tormenti che dovrà subire. Tu adora la sapienza del Verbo Eterno, che tutto vede, e medita la sua Passione con viva fede.
4. Desiderio di patire
A Gesù premeva soprattutto di far sapere ai discepoli che si sottoponeva volontariamente al­le sofferenze, per loro amore e per quello di tutti gli uomini: "C'è un battesimo che devo ri­cevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!". Era il battesimo del suo san­gue, che doveva versare interamente per l'u­manità. Soffriva perché gli era alquanto ritar­dato il tempo della Passione. Si paragonò al buon pastore: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il po­tere di riprenderla di nuovo". Molto signi­ficative, a questo proposito, sono le parole che indirizzò all'Apostolo Pietro. Gesù aveva par­lato apertamente della sua vicina Passione ai discepoli; ma Pietro, dopo averlo ascoltato, lo trasse in disparte, lo biasimò, lo riprese e ter­minò dicendogli: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai". Per l'affetto che portava al Maestro, Pietro non voleva persuadersi che "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" si sarebbe sottomesso a tante umiliazioni. Gesù, che non voleva malintesi, tolse ben presto l'Apostolo dal suo inganno con una parola dura: "Lungi da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secon­do Dio, ma secondo gli uomini!". In questo modo Gesù faceva capire chiara­mente che desiderava la sua Passione e la subi­va volentieri per la gloria del Padre e per la re­denzione dell'umanità.
Considera. Poiché Gesù desidera tanto patire per amor tuo, impara a soffrire sempre per amor suo.


II - LA CONDOTTA DEI NEMICI
5. Scacciato dalla Sinagoga
Il momento sacrificale della Vittima Divina non era lontano. Gli scribi, i farisei e gli anziani del popolo odiavano Gesù, che aveva osato, a più riprese, smascherare la loro ipocrisia nella pratica puramente esteriore della legge. Non erano sempre riusciti a nascondere il loro odio, e lo manifestarono in particolare quando inviarono dei servi per catturare il Signore, impugnarono le pietre per lapidarlo e, dopo la guarigione del cieco nato, tentarono di met­tergli le mani addosso per arrestarlo. L'odio e l'invidia crebbero smisuratamente per la ri­surrezione di Lazzaro, l'ingresso trionfale in Gerusalemme e le entusiastiche acclamazioni del popolo. "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro". Determinarono perciò di disfarsene e il pri­mo atto, che doveva servire come punto di par­tenza, era di scacciarlo dalla Sinagoga, ossia di scomunicarlo. I pretesti non mancavano. Ba­stava dare un senso diverso alle parole e alle azioni del Salvatore relative al sabato, al tem­pio, alle tradizioni, alle prerogative della nazio­ne e al comportamento verso i peccatori. Si adunarono e presero la loro decisione: Gesù doveva essere escluso dalla Sinagoga. Nel giorno stabilito un sacerdote apparve sulla soglia delle numerose Sinagoghe di Gerusa­lemme e, a voce alta, dichiarò separato dal po­polo, per la vita e per la morte, Gesù di Naza­ret, il seduttore, il falso profeta. Così l'Eterna Sapienza fu imputata di errore, l'innocenza condannata come rea di delitti, il Salvatore del mondo proclamato pericoloso per l'umanità. Mai, come in questo momento, Egli apparve davvero il segregato dai peccatori, e i suoi stessi nemici, senza volerlo, proclamarono uf­ficialmente tale sua prerogativa.
Considera. Gli Ebrei allontanano Gesù, perché rie­sce loro di rimprovero. Rifletti che lo puoi scacciare dal tuo cuore con una vita riprovevole.
6. Il Cattivo Consiglio
Dopo averlo espulso ufficialmente dalla Si­nagoga, i nemici "tennero consiglio per arre­stare con un inganno Gesù e farlo morire". La sera del martedì prima di Pasqua, i pon­tefici e i farisei si riunirono in segretissima as­semblea, di cui potevano far parte solo i più co­nosciuti e dichiarati nemici di Gesù. Per essere sicuri della segretezza delle loro deliberazioni, scelsero, come luogo di adunanza, una casa privata e solitaria di Caifa, situata sopra un monte, detto oggi del Cattivo Consiglio, a sud di Gerusalemme, verso Betlemme. Quando tutti furono presenti, si aperse la discussione. "Che facciamo? Questo uomo compie molti se­gni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeran­no il nostro luogo santo e la nostra nazione". La discussione si fece animata, poiché tutti vo­levano suggerire qualche mezzo per impedire a Gesù di operare prodigi e raccogliere segua­ci. I capi della congiura volevano ben altro; Caifa, che presiedeva l'assemblea, disse aper­tamente: "Voi non capite nulla e non conside­rate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera". Ciò significava che era necessario far morire Gesù e tutti acconsentirono. L'Evangelista ag­giunge: "Questo però non lo disse da se stes­so, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi".
Considera. I nemici sono convocati per decidere la morte di Gesù. Tu, raccogliendo le potenze dell'ani­ma, stabilisci di farlo sempre vivere in te con la gra­zia.

7. Astuzie di Giuda
La morte di Gesù era decretata, ma non era facile trovare il modo e il tempo per attuarla. I nemici "temevano il popolo" e dicevano: "Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo". Ben presto Giuda, uno dei dodici Apostoli, si sarebbe fatto avanti e li avrebbe tolti d'imbarazzo. In quella stessa sera, Gesù con i suoi era uscito dal tempio e si era avviato verso il monte degli Ulivi, dove era solito pernottare. Anche Giuda era con loro, ma presto si era allontana­to dalla comitiva con il pretesto, forse, di prov­vedere a qualche necessità del gruppo aposto­lico. In realtà il traditore aveva ben altri progetti. Destinato ad amministrare i beni, offerti dalla generosità dei fedeli, era divenuto, da qualche tempo, avaro e ladro, continuando a seguire Gesù con la speranza di saziare la sua avarizia. Questa speranza dileguava di giorno in giorno, per cui concluse che servire Gesù non gli avrebbe fruttato più nulla. Decise quindi di lasciarlo col tradimento, cercando di ricavare da questo la desiderata ricchezza. Va­gò per la città, rientrò al tempio, ascoltò i di­scorsi che qua e là si tenevano sul conto del Maestro. Venne a sapere, forse per qualche se­greta confidenza, che quella sera stava svol­gendosi l'importante convegno e che sarebbe stato largamente ricompensato chi avesse con­segnato Gesù nelle mani dei nemici. Non at­tendeva altro. Invaso dal dèmone dell'avarizia, Giuda si reca nella casa di Caifa offrendosi di tradire Gesù per intascare la somma stabilita.
Considera. Giuda opera con la più fine astuzia per entrare in possesso di pochi denari; sii santamente furbo per guadagnarti la ricompensa eterna.
8. Il contratto infame
Giuda, col favore delle tenebre che coprono la faccia della terra, si dirige verso l'abitazione di Caifa, dove si sta tramando contro il Salva­tore. Prende la strada di Betlemme. Non cam­mina, ma corre, preso dal timore di non arriva­re in tempo. Chi lo incontrasse per via lo giudi­cherebbe un uomo che ha perduto la ragione. Giunge finalmente dove si tiene l'assemblea, trova il mezzo di farsi introdurre e si mette su­bito "a discutere con i sommi sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo nel­le loro mani". Il traditore domanda: "Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?". Alla sua proposta "essi si rallegra­rono... e gli fissarono trenta monete d'argen­to" o sicli, somma che si pagava per l'acquisto di uno schiavo. Giuda accetta l'offer­ta e l'infame contratto è stipulato. Da quel mo­mento egli si preoccupò soltanto di trovare "l'occasione propizia" per consegnare Ge­sù ai Giudei. Intanto conveniva dissimulare. Tornò frettolosamente alla solitudine sul mon­te degli Ulivi, associandosi ancora a Gesù e agli altri Apostoli e comportandosi con la massima disinvoltura. Ma la sua malizia non poteva sfuggire all'occhio del divino Maestro, che conosce le occulte trame del rinnegato di­scepolo.
Considera. Giuda vende il Salvatore per un prezzo vile; rifletti che quando pecchi, non apprezzando per nulla la grazia del Redentore, lo vendi per un prezzo anche più vile.


III - L'ULTIMA CENA
9. L'addio alla Madre
Il giorno seguente, mercoledì, il Salvatore si recò coi suoi a Betania, non molto distante da Gerusalemme. Lontano dalla folla, nascosto ai suoi nemici, in solitudine ed in intimi collo­qui, prepara i discepoli alla sua prossima morte. Inoltre, sapendo che la sua fine era vicina, vo­leva dare un addio alle persone più care, a Laz­zaro, a Maria Maddalena, a Marta, e ad altri che gli erano stati tanto devoti. Fra questi occu­pava certamente il primo posto la sua benedet­ta Madre, Maria SS., a cui Egli aveva riservato un particolare attestato del suo filiale affetto nell'addio che stava per darle. Il Vangelo non ne parla, è vero; ma pensare diversamente è come dimenticare il sentimento universale del­la pietà cristiana. Gesù, inginocchiato dinanzi a sua Madre, le dice che è giunto il tempo di sacrificarsi per il genere umano, per riconciliarlo con Dio; le do­manda la sua benedizione prima di eseguire la volontà del Padre celeste. Quale scena subli­me! Quale momento solenne per Maria! Essa, non badando ai suoi vivissimi sentimenti di Madre, immersa in un dolore che non ha no­me, e fra lacrime abbondantissime, pronuncia quel fiat che aveva già espresso nell'Annuncia­zione e in mille circostanze della sua vita, uni­formandosi pienamente alla volontà del Divin Padre. Così Gesù può andare alla morte, sa­pendo che sua Madre è divinamente rassegna­ta al grande sacrificio.
Considera. Gesù e Maria, nel separarsi, soffrono in­dicibilmente per la tua salvezza; impara a separarti anche tu dalle persone care se così richiede la volontà di Dio.
10. Da Betania a Gerusalemme
Soddisfatti i doveri di affetto e di pietà verso parenti ed amici, Gesù non pensa che all'ese­cuzione della sua grande opera. Ma prima Egli vuol celebrare la Pasqua a Gerusalemme, nella cinta della città. La mattina del giovedì chiama Pietro e Giovanni e dice loro: "An­date a preparare per noi la Pasqua, perché pos­siamo mangiare". Essi gli chiesero: "Dove vuoi che la prepariamo?". Rispose Gesù: "Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d'acqua. Seguitelo nella casa dove entrerà e direte al padrone di casa: Il Maestro ti dice: Dov'è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà una sala al piano superiore, grande e addobbata; là preparate".
I due obbediscono e s'incamminano subito alla volta della città, dove incontrano l'uomo, lo se­guono, trovano tutto come aveva predetto Ge­sù e incominciano a preparare. La prepara­zione richiedeva del tempo. Volendo seguire in tutto le consuetudini della nazione, do­vettero lavorare quasi tutto il resto della gior­nata e solo verso sera era tutto pronto. Do­po alcune ore, sull'imbrunire, anche Gesù s'avviò lentamente con gli altri Apostoli verso la città santa.
Considera. Gli Apostoli, obbedendo a Gesù, prepa­rano il luogo dell'ultima cena. Tu prepara bene il mistico cenacolo dell'anima tua per la S. Comu­nione.
11. Cena legale
Vi giunse quando scendeva la sera e qua­si di nascosto, non volendo essere distur­bato in quella cena misteriosa ed intima, che stava per consumare con i suoi Apostoli. Andò direttamente al cenacolo, dove trovò ogni cosa bene apparecchiata, secondo gli ordini dati: sala ampia, mensa adorna e imbandita, sedili, o meglio una specie di letto che circon­dava la tavola, secondo il costume degli Ebrei. L'agnello di un anno e immacolato, scelto da due Apostoli, era stato immolato nel tempio, per mano del sacerdote, poi arrostito e condito con erbe amare. I pani azzimi erano stati cotti e il vino attinto dalle anfore. Tutto aveva un simbolo: il pane senza lievito e il condimen­to amaro simboleggiavano le soffrenze della schiavitù; l'agnello ricordava la vittima, il cui sangue era servito a marcare le porte delle case giudaiche, per preservarle dalla collera del­l'Angelo sterminatore. Non mancava nulla, e il misterioso rito, che ricordava la liberazione d'I­sraele dall'Egitto, poté incominciare. Sappia­mo dalla legge come doveva svolgersi: si mangiava l'agnello stando in piedi, con il ba­stone in mano, la tunica rialzata, i fianchi cinti, in perfetto silenzio. All'ora del banchetto, Gesù si mise a tavola con gli Apostoli e portò a termine la cena legale nel modo stabilito.
Considera. Gesù, nell'ultima cena, commemora la liberazione degli Ebrei dall'Egitto. Nella cena euca­ristica, impégnati a commemorare la tua liberazione dal peccato.
12. Lavanda dei piedi
La cena legale era sempre seguita dalla cena usuale, che permetteva ai convitati di saziare la loro fame. Il piccolo agnello non poteva bastare per tutti (non erano mai meno di dieci e spesso passavano la ventina). Terminata la sacra cerimonia, anche Gesù e gli Apostoli si misero a sedere e incominciarono la cena d'uso. All'inizio di essa Gesù si alzò, "depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: 'Signore, tu lavi i piedi a me?'. Gli ri­spose Gesù: 'Quello che faccio io tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo'. Gli disse Simon Pietro: 'Non mi laverai i piedi!'. Gli rispose Gesù: 'Se non ti laverò, non avrai parte con me'. Gli disse Simon Pietro: 'Signore, non solo i piedi, ma anche le mani ed il capo!'. Soggiun­se Gesù: 'Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti'. Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: 'Non tutti siete mon­di'". Quest'incidente di Pietro aveva per­suaso tutti gli altri Apostoli a non fare opposi­zione al Maestro. Tutti, Giuda compreso, si lasciarono lavare i piedi da Gesù.
Considera. Gesù lava i piedi agli Apostoli, dicendo loro che ciò è necessario. Rifletti che solo da Gesù Cristo puoi essere purificato dalle tue colpe.

13. Esempio da imitare
Lavati i piedi agli Apostoli, il Salvatore in­dossò le sue vesti e si rimise a tavola. Stando nel mezzo, al primo posto, aveva Pietro alla si­nistra e Giovanni alla destra; quest'ultimo in­chinandosi un poco, poteva posare il capo sul petto di Gesù. Giuda era coi dodici, non molto distante. Il Signore disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Si­gnore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, an­che voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi di­co: un servo non è più grande del suo padro­ne, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica". Insegnamenti sublimi per i sudditi e per i supe­riori. Sono soprattutto un preavviso agli Apostoli che fra poco si metteranno a discutere tra loro chi sia il maggiore. Gesù li previe­ne: "Sarete beati se le metterete in pratica". La cena intanto continuava.
Considera. Gesù stesso t'invita ad imitarlo nell'u­miltà. Proponi di obbedirlo, comportandoti umil­mente con i superiori, con gli uguali e con gli infe­riori.
14. Ardente desiderio
Presso gli Ebrei si usava, all'inizio dei pa­sti, servire una coppa piena di vino, che tutti i commensali dovevano gustare. Toccava al pa­dre di famiglia, o a chi lo rappresentava, pren­dere la coppa, dopo la preghiera, e passarla ai convitati. Gesù si attenne alla tradizione, e in quell'occasione pronunciò ineffabili parole: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passio­ne, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio... Prende­telo (questo calice) e distribuitelo tra voi, poi­ché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio". Tutti accostarono le labbra al calice, gustando il vino. Le parole di Gesù avevano profonda­mente impressionato gli Apostoli che non osa­vano parlare, pensando al doloroso significato di esse. Non erano convinti, nonostante le molte predi­zioni, che Gesù dovesse morire così presto. Temevano ciò che Egli ardentemente deside­rava. L'ultima Pasqua dava al Signore l'occasione di donarsi nell'Eucarestia, per morire poi sulla croce; ma toglieva agli Apostoli la presenza vi­sibile del dolce Maestro.
Considera. Gesù desidera intensamente trovarsi con i discepoli per offrire il dono eucaristico. Tu desideri davvero cibarti del pane celeste?
15. Il traditore scoperto
La cena produceva silenzio. Si capiva benis­simo che tutti avevano un peso nel cuore, un dolore segreto, dopo le ultime parole di Gesù. Ciò si rifletteva particolarmente sul volto divi­no del Salvatore. Egli aveva già detto: "Non tutti siete mondi". Ora è determinato a parlare più chiaro. Rompe il silenzio e dice: "Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avve­nuto, crediate che lo Sono". Detto questo Gesù si commosse e protestò: "In verità, in ve­rità vi dico: uno di voi mi tradirà". "...Co­lui che mangia con me", "uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto", "co­lui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà". Gli Apostoli si spaven­tano e tutti s'affrettano a chiedere a Gesù: "Sono forse io, Signore?". L'unico che non vorrebbe porre tale domanda è Giuda, evi­dentemente imbarazzato. Avvicinandosi al Salvatore, disse a bassa voce: "Rabbi, sono forse io?". Gesù gli rispose con voce fioca: "Tu l'hai detto". Nessuno dei presenti in­tese la risposta o chi l'udì non ne comprese il significato. Il Divin Maestro voleva evitare al traditore una pubblica umiliazione e dimo­strargli che gli voleva ancora bene e sperava che si pentisse.
Considera. Anche il traditore Giuda, pur avendo la coscienza sporca, domanda ipocritamente: Sono for­se io? Anche tu, talvolta, potresti fingere di essere senza colpa.

16. La grande promessa
Frattanto la cena volgeva al termine, e il Re­dentore aveva stabilito di non terminarla prima di aver realizzato la sua grande promessa. Sappiamo quali parole, fino allora inaudite, erano uscite dalla sua bocca: " 'Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pa­ne che discende dal cielo, perché chi ne man­gia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo'. Allora i Giudei si mise­ro a discutere tra loro: 'Come può costui darci la sua carne da mangiare?'. Gesù disse: 'In ve­rità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo san­gue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera be­vanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno' .
Questa era stata la promessa: solo nell'ulti­ma cena si doveva conoscerne l'adempimento. Considera. Solo Gesù è il pane della vita. Risolvi di nutrirti sempre di lui nell'Eucarestia, per partecipa­re un giorno dell'eterna vita.
17. La mia carne è cibo
Il momento unico nella storia dell'umanità è giunto. Non si può descrivere, perché è al di sopra di qualunque intelligenza e di qua­lunque linguaggio. Bisognerebbe saper leggere le pagine evangeliche con la stessa fede di chi le scrisse e con la commozione del momento in cui furono redatte. "Prima della festa di Pa­squa Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". Ecco l'introduzione al mi­stero d'amore. Poi viene la narrazione del fat­to. Gesù, quasi assorto nella grandezza del mi­stero che sta per compiere in favore dell'uma­nità, prende del pane azzimo, alza gli occhi al cielo, rende grazie a Dio, benedice lo stes­so pane e lo spezza. Mentre lo dà ai suoi disce­poli, dice: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Dio Onnipotente non aveva bisogno di altre parole per operare il prodigio. Con una sola parola, fiat, non aveva creato l'universo? La sua parola opera ciò che significa, e perciò il pane non è più pane, ma è mutato nel suo cor­po. Lo sanno gli Apostoli che, illuminati in quel momento sull'ineffabile mistero, prendo­no il pane consacrato dalle mani di Gesù e se ne cibano con somma riverenza. Gesù per pri­mo si comunica, e nessuna comunione sarà più accetta alla maestà di Dio.
Considera. comanda loro di cibarsene. Lo stesso co­mando ti fa Gesù dal sacro Gesù, porgendo agli Apostoli il pane consacrato tabernacolo.
18. Il mio sangue è bevanda
Con la consacrazione del pane Gesù aveva eseguito una parte della sua promessa, e aveva dimostrato che la sua carne era veramente ci­bo. Non era possibile che non eseguisse anche la seconda parte, dando il suo sangue in be­vanda. Finito il pasto, quando il padre di fami­glia, secondo i riti, passava l'ultima coppa ai convitati, Gesù prende il calice nelle sue san­te e venerabili mani, lo benedice, ringrazia il suo Divin Padre e dice, mentre porge il calice ai suoi discepoli: "Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati". Gli Apostoli, già illuminati e infiammati dal nutrimento del pa­ne celeste, comprendono ancor meglio la pre­ziosità del vino che viene loro offerto da Gesù, e si accingono a berlo con il maggior rispetto possibile. La coppa fa il giro della tavola e tutti, dopo il Signore, bevono il vino consacrato. Quando il calice arriva a Giuda, il Redentore non riesce più a contenere il dolore ed esce in queste espressioni: "Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio del­l'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito: ma guai a quell'uomo dal quale è tradito". Con queste parole Gesù intendeva spaventare il miserabile discepolo e farlo desistere dal suo perfido proposito. Giuda non si lasciò scuotere né convertire.
Considera. Gesù afferma di spargere il suo sangue per la remissione dei peccati. Solo per virtù di questo sangue puoi purificare l'anima tua.
19. Fate questo in memoria di me
Consacrando il pane ed il vino, Gesù si era donato come cibo e bevanda agli Apostoli. Ma la sua promessa non si restringeva solo a que­sti: si estendeva a tutto il popolo che lo ascolta­va, a tutti i suoi seguaci, presenti e futuri. Biso­gnava provvedere perché tutti, anche in avve­nire, potessero nutrirsi del pane che elargisce la vita eterna. Gesù, con la morte in croce, se ne sarebbe an­dato al Padre. Chi avrebbe rinnovato il prodi­gio? Egli vi provvede in modo mirabile con un comando solenne che indirizza agli Apostoli e, per essi, a tutti i loro successori nella dignità fi­no alla fine dei secoli. Dopo la consacrazione del pane, dice espres­samente: "Fate questo in memoria di me". Quella stessa voce onnipotente che aveva con­sacrato il pane e il vino, consacra ora gli Apo­stoli conferendo loro il divino potere di fare quello che aveva fatto Gesù. Il comando divino è chiaro: "Fate questo". A tale comando l'uomo non può resistere, perché "è la bocca di Dio che ha parlato". Gli Apostoli, obbe­dendo al precetto di Gesù, dopo la Pentecoste, iniziarono a fare quanto era stato loro ingiunto e diedero ai fedeli l'Eucarestia. I fedeli "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere". Così l'umile cena­colo si moltiplicò sulla faccia della terra, diven­ne il tempio dei cristiani e ora si trova dapper­tutto: In ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura", "l'agnello di Dio... che toglie il peccato del mondo".
Considera. Il sacerdozio istituito da Cristo ti dona il sacrificio della Messa e l'Eucarestia. Abbi somma venerazione per i ministri di Dio, ascolta volentieri la Messa e visita spesso il SS. Sacramento.

20. Il discepolo prediletto
Le ultime parole pronunciate dal Signore e indirizzate al traditore ferirono gli Apostoli nel loro affetto verso il Maestro. Sembrava loro im­possibile che proprio là, durante l'ultima cena pasquale, si potesse tradire. "I discepoli si guardarono gli uni gli altri non sapendo di chi parlasse". Soprattutto Giovanni, il disce­polo prediletto, non sapeva darsi pace e prova­va una pena immensa. Quasi per consolarsi e per lenire il dolore di Gesù, chinò il capo e lo posò sul petto del Redentore nell'atteggiamen­to di chi vuole riposarsi dolcemente. Mentre si trova in questa posizione, Simon Pietro gi fa un cenno e gli dice: "Di', chi è colui a cui si ri­ferisce?". Giovanni, che aveva alzato un po' la testa per ascoltare Pietro, l'abbassa di nuovo sul petto di Gesù e gli chiede con vo­ce sommessa: "Signore, chi è che ti tradisce?". Gesù non seppe resistere all'accento affettuoso misto a dolore con cui gli era stata posta la do­manda e rispose a bassa voce: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". "E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giu­da Iscariota, figlio di Simone". Giuda lo prese e lo mangiò, e fu questo l'ulti­mo atto della sua ipocrisia. Poi si recherà ad eseguire il suo malvagio disegno.
Considera. Chi ama e compatisce Gesù è ammesso alle sue confidenze. Tu non godi di esse perché non ti curi di compatirlo e di amarlo.
21. Lezione di umiltà
Intanto, col pretesto di manifestare fedeltà al Maestro, era sorta una contesa fra i discepoli, "chi di loro poteva esser considerato il più grande". La discussione che nacque tra loro rivela tutto l'egoismo che si nasconde nel cuore dell'uomo anche in certi momenti solen­ni in cui dovrebbe scomparire del tutto. Gesù, sempre abile maestro, approfitta dell'occasio­ne per combatterlo e impartire sublimi lezioni di umiltà. "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare be­nefattori. Per voi non sia così; ma chi è il più grande tra di voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele". Tutto ciò significa­va che non dovevano preoccuparsi delle digni­tà terrene, perché Egli riservava loro onori ben più grandi nel regno del Padre suo, purché imitassero la sua umiltà nella vita presente. Al dolce rimprovero unisce appositamente il pen­siero della grandezza del premio, per distac­carli dalla terra e affezionarli al cielo.
Considera. L'umiltà è la via indicata da Gesù per raggiungere gli onori celesti. Pensa se stai percor­rendo questa strada, tu che desideri entrare nella gloria del cielo.
22. Partenza di Giuda
Ormai le parole del Maestro non avevano nessuna risonanza nell'animo del traditore, troppo ossessionato dal pensiero del tradimen­to. Capiva però che la sua posizione in quel luogo era diventata insopportabile. Gesù aveva dimostrato chiaramente di cono­scere ogni cosa, e gli Apostoli facevano inten­dere che si sospettava fortemente di lui. Bisognava uscire presto, altrimenti si sarebbe compromesso il buon esito di ciò che era stato concordato coi Giudei. A questo Giuda era an­che spinto dal demonio che si era impossessato di lui. "E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui". Da quel momento una forza misterio­sa interna agitò lo scellerato traditore e non gli lasciò più quiete. Egli si alzò e si avviò all'usci­ta. Passò accanto a Gesù e forse gli fece un cen­no e gli indirizzò qualche frase, quasi per otte­nere il permesso di allontanarsi. Gesù gli dis­se: "Quello che devi fare fallo al più presto". "Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: 'Compra quello che ci occorre per la festa', oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte". Proprio in quell'istante Giuda dà inizio alla passione di Gesù. Attuando la sua congiura, mette in moto le potenze del ma­le, e riserva al Signore una morte terribile, cru­dele e rapida. Domani, prima che il giorno si concluda, il san­gue di Gesù sarà tutto sparso, e la Vittima Di­vina consumata sulla croce.
Considera. Giuda, abbandonato Gesù, si affretta a compiere il tradimento. Quando abbandoni il Signo­re, puoi cadere in colpe maggiori.

23. Sollievo generale
La partenza di Giuda sollevò l'animo di tutti. Si sentivano finalmente liberi di parlare e alleggeriti di un peso che premeva sul loro cuo­re. Anche il volto di Cristo si illuminò di nuovo d'indescrivibile splendore, e la sua bocca si aprì ai più soavi discorsi. Non sembra più quel­lo di prima, taciturno, misteriosamente triste. Conversa con tutti e per tutti ha una parola di affetto. Appena Giuda è uscito, il Salvatore esclama: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glori­ficato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glori­ficherà da parte sua e lo glorificherà subito. Fi­glioli, ancora per poco sono con voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi dò un comanda­mento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; co­me io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Queste parole fanno da introduzio­ne a quella serie di discorsi in cui Egli si è diffu­so come fontana di vita, e in cui si notano abis­si da far tremare.
Considera. Gesù si sente sollevato alla partenza di Giuda. Rifletti se la tua presenza è di peso o sollievo a Gesù.
24. Gesù predice l'abbandono dei discepoli
Pietro, prendendo spunto dalle ultime paro­le di Gesù, volle interrogarlo: "Signore, dove vai?". Gesù gli rispose: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tar­di".
"Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pa­store e saranno disperse le pecore del gregge, ma do­po la mia risurrezione, vi precederò in Galilea". "Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli". Pietro riprese: "Signore, perché non pos­so seguirti ora?". "Anche se tutti si scan­dalizzano di te, io non mi scandalizzerò mai". "Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte". Gesù gli fece osser­vare: "Darai la tua vita per me? In verità, in ve­rità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu m'abbia rinnegato tre volte". "E Pietro gli rispose: 'Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò'. Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli". Evidentemente si ingannavano sulla consisten­za delle proprie forze e il seguito del racconto ci svelerà quanto poco seppero mantenere le ri­petute dichiarazioni di fedeltà. Pietro, che più di tutti protestava, sarà quello che cadrà più miseramente.
Considera. Gesù predice che Pietro lo rinnegherà, perché si fida troppo di se stesso. Impara a fidarti so­lo di Dio, e non delle tue forze, se non vuoi cadere.
25. È necessario prepararsi
Le precedenti parole di Gesù erano un av­vertimento per gli Apostoli. Essi ormai non po­tevano più seguire il Maestro, ma dovevano separarsene dolorosamente, restando abban­donati a mille lotte e prove. I giorni tranquilli erano finiti e scomparivano insieme a Gesù. Cominciavano giorni di dolo­re, a cui bisognava che i discepoli si tenessero preparati. Perciò Gesù domanda loro: " 'Quando vi ho mandato senza borsa, né bisac­cia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?'. Risposero: 'Nulla'. Ed egli soggiunse: 'Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne com­pri una. Perché vi dico: Deve compiersi in me questa parola della scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi ri­guarda volge al suo termine'. Ed essi dissero: 'Signore, ecco qui due spade'. Ma egli rispose: Basta!'". Interpreterebbe erroneamente il pensiero di Gesù chi vedesse, in queste imma­gini energiche, un ricorso alla forza materiale. Com'era sua abitudine, spiega con parole viva­ci lo stato di ostilità che aspetta i suoi. Voleva che si tenessero pronti alla durissima prova im­minente.
Considera. Usando immagini di armi materiali Ge­sù intende preparare i suoi alle prove morali. La pre­parazione spirituale ti è necessaria per essere vitto­rioso nei pericoli dell'anima.

IV - INEFFABILI DISCORSI
26. Non sia turbato il vostro cuore
Gli Apostoli si sentivano turbati ed afflitti in seguito alle parole udite. Gesù volle consolarli con indicibile dolcezza: " 'Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fe­de anche in me. Nella casa del Padre mio vi so­no molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via'. Gli disse Tommaso: 'Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?'. Gli disse Gesù: 'Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Pa­dre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto'. Gli disse Filippo: 'Signore, mostraci il Padre e ci basta'. Gli rispose Gesù: 'Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io com­pio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre' ".
Considera. Gesù consola gli Apostoli turbati ed af­flitti. Nelle tue interne afflizioni, solo da Gesù puoi essere consolato.
27. Non vi lascerò orfani
" 'Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i miei comanda­menti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un al­tro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo co­nosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfa­ni, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, per­ché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi sa­prete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li os­serva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manife­sterò a lui'. Gli disse Giuda, non 1'Iscariota: 'Signore, come è accaduto che devi manifestar­ti a noi e non al mondo?'. Gli rispose Gesù: 'Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non os­serva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato'„.
Considera. Gesù consola gli Apostoli dicendo che non li lascerà orfani. Egli mantiene anche oggi la sua promessa per mezzo del SS. Sacramento dell'al­tare: prometti di stare sempre vicino a Lui.
28. Vi do la mia pace
"Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'inse­gnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia tur­bato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi, se mi amate, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma biso­gna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Al­zatevi, andiamo via di qui". Tutto ciò che l'uo­mo può sapere di Dio, del Figlio di Dio, dello Spirito Santo, della religione, opera divina di Gesù, tutto è riassunto in questi intimi colloqui del Salvatore, che sorpassano le più alte conce­zioni della mente umana, senza che tuttavia esauriscano i tesori dell'insegnamento del Maestro.
Considera. Gesù distingue molto bene la sua pace da quella del mondo. Rifletti di quale pace sei desidero­so, e impara a non fidarti della falsa pace del mondo.
29. Il ringraziamento
Le ultime parole scossero gli Apostoli che, udendo gli insegnamenti del Maestro, erano assorti in soave estasi. Non avrebbero voluto muoversi, ma si alzarono anch'essi quando vi­dero che Gesù si era levato in piedi. Recitarono insieme l'inno di ringraziamento intitolato Al­leluia. Dall'autorità dei libri della Sinagoga risulta che un tale inno era composto dei seguenti sal­mi: 112. Lodate, servi del Signore; 113A. Quando Israele uscì dall'Egitto; 114. Amo il Signore perché ascolta; 115. Ho creduto anche quando dicevo; 116. Lodate il Signore, popoli tutti; 117. Celebrate il Si­gnore, perché è buono. Sono salmi che ricordano l'uscita dall'Egitto, il passaggio del Mar Rosso, la promulgazione della legge, la passione e la resurrezione del Messia. In essi Gesù vedeva il proprio destino, le sue lotte, la sua morte e il suo trionfo. Recitato l'inno, Gesù uscì dal ce­nacolo con gli undici, discese dal monte Sion e si avviò verso la valle di Giosafat per lo scosce­so pendio dell'Ophel, dirigendosi al Monte degli ulivi.
Considera. Gesù dopo la cena ringrazia pubblica­mente il suo divin Padre. Impara a elevare un fervo­roso ringraziamento dopo la Santa Comunione, con atti di fede, speranza, carità, dolore e formulando propositi di bene.

30. Io sono la vera vite
La discesa non avviene in silenzio. Gesù desidera moltissimo lasciare gli ultimi ricordi ai suoi Apostoli, ed essi desiderano ascoltarli. Al chiaro di luna Egli vede i vigneti piantati sui clivi rocciosi del monte e coglie l'occasione per dire: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vi­gnaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Ri­manete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo rac­colgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".
Considera. Gesù si definisce vera vite e dice che i suoi discepoli sono i tralci. Rifletti: solo da Gesù puoi avere il buon succo della grazia e il vero cibo per l'anima tua.
31. Questo è il mio comandamento
Un amore infinito trabocca dall'anima di Ge­sù. Ispirato da questo amore Egli continua a parlare: "Come il Padre ha amato me, così an­ch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i coman­damenti del Padre mio e rimango nel suo amo­re. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amo­re più grande di questo: dare la vita per i pro­pri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, per­ché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".
Considera. L'amore fraterno è quel progetto che Ge­sù chiama particolarmente suo. Se vuoi essere un autentico discepolo del Signore, sforzati di osservare la carità come insegna il Vangelo.
32. Il mondo vi odia
Gli Apostoli, e tutti i seguaci di Gesù, saran­no bersagliati dall'odio del mondo. Il Divin Maestro lo dipinge chiaramente in anticipo, e premunisce i credenti contro i suoi assalti per­ché lo possano vincere, per quanto sia tremen­do e devastante: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricor­datevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno persegui­tato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non aves­si fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Pa­dre mio. Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro legge: Mi hanno odiato senza ra­gione. Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che pro­cede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, per­ché siete stati con me fin dal principio".
Considera. Chi ama Gesù odia il mondo e chi ama il mondo odia Gesù. Esàminati bene per conoscere da quale affetto sei dominato.
33. Le persecuzioni
L'odio dei nemici di Gesù non si esauriva nell'intimo del loro cuore, non si manifestava soltanto con parole di minaccia; doveva invece produrre una persecuzione crudele, violenta, sanguinosa, prima contro lo stesso Signore e poi contro tutti coloro che seguivano la via da Lui tracciata. Gesù prosegue, avvertendo i suoi discepoli anche di queste persecuzioni: "Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scan­dalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; an­zi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà cre­derà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, per­ché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato. Non ve le ho dette da principio, per­ché ero con voi. Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Do­ve vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora vi di­co la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli con­vincerà il mondo quanto al peccato, alla giusti­zia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, per­ché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato".
Considera. Le persecuzioni sono il distintivo dei se­guaci di Gesù Cristo. Sei preparato ad esse? Come ti comporti quando devi soffrire qualcosa nel nome di Cristo?

34. Io vado al Padre
" 'Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non par­lerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Ancora un poco e non mi vedrete; un po' anco­ra e mi vedrete'. Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: 'Che cos'è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' an­cora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Pa­dre?'. Dicevano perciò: 'Che cos'è mai questo un poco di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire'. Gesù capì che volevano interro­garlo e disse loro: 'Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi ve­drete e un po' ancora e mi vedrete? In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla lu­ce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia' ".
Considera. Gesù se ne va al Padre, ma promette lo Spirito Santo, che consolerà gli Apostoli nelle loro sofferenze. Invoca spesso il Divino Spirito se vuoi avere sollievo nelle prove.
35. Io ho vinto il mondo
" 'In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose vi ho detto in similitudini; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in simi­litudini, ma apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi; il Pa­dre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio. So­no uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre'. Gli dicono i suoi discepoli: 'Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini. Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio'. 'Adesso credete? Ecco, verrà l'ora, anzi è già ve­nuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto pro­prio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, per­ché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose, perché abbiate pace in me. Voi avrete tribola­zioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!' ".
Considera. Gesù vince il mondo con la sua Passione. Se vuoi essere vittorioso nei pericoli, medita sulle sofferenze del Redentore.
36. Padre, glorifica il Figlio tuo
Gesù, camminando con gli undici verso il Getsemani, arriva nella valle del Cedron, si ferma in riva al torrente e rivolge al Padre una preghiera che racchiude tutta la profondità del suo sacrificio. Continua infatti il testo sacro: "Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: 'Padre, è giunta l'ora: glorifica il Fi­glio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico ve­ro Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato' ".
Considera. Gesù domanda al Padre quella glorifica­zione che gli è dovuta. Anche tu glorificalo con una vita corrispondente ai suoi insegnamenti.
37. Padre, custodisci coloro che mi hai dato
Gesù continua la sua preghiera con lo stesso impeto di affetti e con nuovi e sublimi pensieri: "Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sarò più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono an­cora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato a loro la mia parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non chiedo che tu li tol­ga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Es­si non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità".
Considera. Gesù affida la custodia dei suoi discepoli al Padre. Impara a vivere sempre abbandonato nelle mani del Padre Celeste, e a fidarti pienamente di lui.
38. Padre, tutti siamo una sola cosa
"Come tu mi hai mandato nel mondo, an­ch'io li ho mandati nel mondo; per loro io con­sacro me stesso, perché siano anch'essi consa­crati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola cre­deranno in me; perché tutti siano una sola co­sa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sap­pia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché con­templino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi san­no che tu mi hai mandato. E io ho fatto cono­scere il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro".
Considera. Gesù domanda che i discepoli siano una cosa sola con lui e con il Padre. Ecco quello che devi domandare più insistentemente nelle tue preghiere: l'unione del tuo spirito con Dio.

V - GETSEMANI
39. Passaggio del Cedron
Sembrava che Gesù non volesse più smette­re di parlare, tanto il suo cuore traboccava di affetto per i discepoli, che tra poche ore sareb­bero stati sottoposti a durissima prova. Ma il tempo scorreva e i nemici non dormivano. Non conveniva farsi prendere alla sprovvista, ciò non si addiceva alla sapienza divina. Gesù si rimise in cammino con i suoi discepoli e sul ponte di pietra passò il torrente Cedron, di­rigendosi verso l'orto del Getsemani, dove era solito ritirarsi da solo o con i discepoli, per pregare e trascorrere la notte. Il sentiero che dalla valle del torrente sale al Getsemani è scavato nella roccia; lascia da una parte la tomba di Assalonne, sempre in­gombra di sassi gettati dai passanti in segno di disprezzo; poi si allunga tra due muriccioli di pietre a secco. Gesù percorre questo sentiero, ma non sembra più lui. Ha cambiato aspetto, è taciturno, meditabondo, mesto, precede di alcuni passi gli Apostoli. Questi, colpiti dal mutamento di Gesù, cominciano a temere che qualche cosa di molto doloroso stia per verifi­carsi. Il loro timore è più che fondato e diverrà presto una terribile realtà.
Considera. Attraverso il Cedron, Gesù calca quel sentiero che lo conduce al luogo dei dolori e della mortale agonia. Impara a superare le difficoltà che incontri sulle strade della vita, per fare la volontà di Dio.
40. Nell'orto degli ulivi
Verso le ore 22 Gesù giunse al cancello dell'orto, lo spinse e vi entrò. Non volle che tutti assistessero da vicino alla sua ultima pre­ghiera e alla sua mortale agonia. Solo quelli che lo avevano contemplato glorioso sul Tabor sarebbero stati ammessi a contemplarlo abbat­tuto dal dolore nel Getsemani. Le intense gioie e gli intensi dolori divini non sono confacenti a tutte le anime, ma solo a coloro che Dio pre­dilige. Il Salvatore si fermò all'inizio dell'orto e si ri­volse ad otto dei suoi discepoli, dicendo: "Se­detevi qui, mentre io vado là a pregare". Presi con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, che erano stati testimoni della trasfigurazione sul Tabor, si allontanò con loro. Gli altri otto, lon­tani dagli sguardi del Maestro, dimenticarono presto le sue raccomandazioni. Stanchi del cammino, affranti per le forti e differenti emo­zioni provate in quella memorabile giornata e per l'ora tarda, vinti dalla sonnolenza, si ritira­rono in un vicino casolare, dove altre volte avevano pernottato. Cominciava a crearsi at­torno a Gesù quell'isolamento che si sarebbe concluso con il totale abbandono da parte dei discepoli, come Egli stesso aveva predetto.
Considera. Per fare orazione, Gesù entra nell'orto del Getsemani, luogo di solitudine e di silenzio. Im­para a separarti, almeno spiritualmente, dai rumori del mondo, se vuoi parlare con Dio.
41. La mia anima è triste fino alla morte
Gesù s'inoltra nel Getsemani, precedendo di alcuni passi i tre Apostoli, in silenzio e col vol­to segnato dal dolore. Egli si ferma presso un masso a fior di terra e con profonda mesti­zia si rivolge ai tre amici: "La mia anima è tri­ste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". A queste parole i tre rimasero certamente ad­dolorati, perché non avevano mai udito simili espressioni dalla bocca del Maestro e non l'a­vevano mai visto così prostrato. Tuttavia non osarono chiedergli il motivo e, obbedienti, si fermarono nel posto indicato. Avrebbero voluto vegliare, praticando l'esortazione di Gesù, ma la carne era inferma, anche se lo spirito era pronto. Cedettero al sonno e alla stanchezza dove si erano fermati. Gesù si allontana dagli Apostoli quanto un tiro di sasso, una cinquan­tina di passi, e, oppresso da una tristezza mor­tale, entra in una grotta per iniziare la sua dolorosa orazione. L'isolamento è completo, perché nessuno gli tiene compagnia come avrebbe desiderato; può ripetere con Giobbe: "I miei fratelli mi hanno deluso come un tor­rente, sono dileguati come i torrenti delle val­li". E con Isaia: "Nel tino ho pigiato da so­lo e del mio popolo nessuno era con me".
Considera. Iniziando l'orazione Gesù prova un fasti­dioso disgusto, eppure continua a pregare con insi­stenza. Apprendi a non lasciarti sopraffare dalle dif­ficoltà che vorrebbero impedirti di pregare.
42. La grotta dell'orazione
La grotta dove si ritira Gesù è abbastanza ampia, illuminata appena da uno spiraglio di luce filtrante dalla volta molto alta, che pog­gia su colonne naturali. Sembra un tempio a più navate. Non è la prima volta che il Signore vi entra. Spesso gli Apostoli l'avevano visto penetrare in quell'antro per effondere il suo cuore nella preghiera, durante la notte, prima di concedersi un po' di sonno. In questo mo­mento vi accede per innalzare la sua ultima do­lorosa orazione, a cui seguirà non il riposo, sia pure sulla nuda pietra, ma il tradimento, lo strazio, la morte. È importante vedere come prega. Arrivato quasi in fondo alla grotta, s'in­ginocchia, si prostra con la fronte a terra, e incomincia a implorare il suo Divin Pa­dre con forti gemiti erompenti dal cuore, con abbondanti lacrime, con un brivido per tutta la persona e con un sudor di sangue che scorre fino a terra. Questa è la vera immagine di Gesù orante e agonizzante nell'orto, anche se alcuni fenome­ni appena accennati non si sono manifestati subito, ma nel corso della preghiera. La parti­colare situazione del Salvatore dovrebbe com­muovere ogni cuore.
Considera. Gesù, pregando, assume il più umile e commovente atteggiamento. Impara con quale rive­renza ed umiltà devi presentarti al cospetto di Dio per invocare le grazie che sono necessarie alla tua salvezza.

43. Il calice delle umane malvagità
La preghiera di Gesù è delle più commoven­ti: "Padre mio, se è possibile, passi da me que­sto calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!". "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu!". Egli parla delle umane iniquità, che ora gli stanno tutte innanzi, lo circondano da ogni parte, e minacciano come impetuoso torrente di sommergerlo. Ha voluto sostituirsi al­l'uomo peccatore, prendendo su di sé tutti i peccati e rendendosi responsabile davanti a Dio. Ora prova tutta la pena di questa volonta­ria sostituzione. La sofferenza è lacerante, per­ché tra lui e il peccato non vi può essere che una ripugnanza invincibile, necessaria, infini­ta; eppure la deve subire, perché così ha deciso per la salvezza dell'umanità. In quell'istante discerne senza confusione, con estrema chiarezza, "tutte le specie di pec­cati per i quali doveva soffrire: i peccati dei re e quelli dei poveri; i peccati dei preti e quelli dei laici"; i peccati di tradimento, di perfi­dia, di impurità, di sacrilegio, d'imprecazione, di bestemmia. Cumulo spaventoso! In qualun­que parte Egli volga lo sguardo vede solo fiumi di peccati che si scaricano sulla sua persona, per cui Gesù può appropriarsi delle parole del profeta: "Salvami, o Dio: l'acqua mi giunge al­la gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l'onda mi tra­volge".
Considera. L'anima di Gesù è atterrita alla vista di tutti i peccati del mondo. Pensa che anche i tuoi pec­cati rattristarono allora Gesù e proponi di piangerli e di farne penitenza.
44. I discepoli addormentati
Circondato, oppresso, sommerso nell'inde­cenza delle scelleratezze umane, Gesù, Agnel­lo Immacolato, continuava nella sua preghiera al Padre. Dopo un certo tempo si alzò dall'ora­zione e "andò dai discepoli e li trovò che dor­mivano, sfiniti per la tristezza". Disse allo­ra a Pietro: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola?". Rivolgendosi an­che agli altri due: "Perché dormite?". "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?". "Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione... Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". Che cosa intendeva fare Gesù con questa interruzione e con questa visita agli Apostoli addormentati? Oppresso da tanti dolori, voleva aprire ad essi il cordoglio del suo cuore, per rendersi nostro modello di un legittimo sfogo nei momenti do­lorosi della vita. Egli non manifesta le sue pene interiori in pub­blico, e nemmeno a tutti gli Apostoli, anche se erano degli amici fidati. Si rivela triste solo ai tre intimi confidenti, che già avevano assistito alla sua gloria. Le parole da Lui rivolte ai tre prima di iniziare la sua preghiera, ci indicano come dobbiamo parlare in simili circostanze: "La mia anima è triste fino alla morte". Non una parola aspra, non un cenno contro coloro che stavano per togliergli la vita inno­cente: ma la semplice descrizione del suo stato interiore. Ecco come dobbiamo confidare agli altri le nostre sofferenze interiori.
Considera. Gesù rimprovera dolcemente gli Apostoli perché, invece di pregare, dormono. Forse anche tu meriti un simile rimprovero per la tua negligenza nel fare compagnia a Gesù con la preghiera.
45. Il calice della passione e morte
Gli Apostoli, sonnolenti e confusi, non sep­pero che rispondere al richiamo di Gesù. Si rendevano conto del grave stato in cui si trova­va il loro Maestro, ma il sonno impediva loro di obbedire alle sue raccomandazioni e di re­cargli conforto. Perciò Gesù, senza attendere risposta, tornò alla grotta per riprendere la sua orazione, che assumeva ora una modifica rile­vante, pur rimanendo sostanzialmente la stes­sa. In ginocchio, con la fronte a terra, pregò una seconda volta: "Padre mio, se questo cali­ce non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". Non domanda più che il calice si allontani, ma solo che in Lui si compia la volontà del Padre. Nel compiere quest'atto di sottomissione accetta di bere il calice della sua passione e morte fino all'ultima goccia. Dinanzi alla sua mente si svolge la serie di umiliazioni e di sof­ferenze, per cui la sua anima e la sua carne de­vono giungere alla piena soddisfazione della giustizia divina. Ha preso l'apparenza del pec­catore: paghi dunque come se lo fosse davve­ro. Tutti i dolori cadranno su di Lui, che li vede e li sente prima ancora di esservi sottoposto: il tradimento di Giuda, l'abbandono degli Apo­stoli, la negazione di Pietro, le derisioni, gli schiaffi, gli sputi, la condanna, i flagelli, la co­rona di spine, la morte. Nell'orto subisce in an­ticipo tutti i dolori della passione.
Considera. Dinanzi alle pene, che gli verranno in­flitte, Gesù soffre, ma si rassegna per adempiere alla volontà del Padre. Impara anche tu a rassegnarti al­la volontà di Dio nelle afflizioni presenti e in previ­sione delle future.
46. Seconda visita ai tre discepoli
Dopo aver pregato e sofferto a lungo, si alza una seconda volta e si reca dai suoi discepoli: "Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormiva­no... perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli". Questa seconda visita merita una riflessione. Non la fece solamente per mostrare agli Apo­stoli i nuovi tormenti del suo cuore, ma anche per rivelare il suo amore e la premura che ave­va per il loro bene. Forse temeva che fosse loro accaduto qualco­sa. Certamente desiderava sapere che cosa fa­cessero e come stessero. Per tre anni interi si era comportato così, prendendosi la più affet­tuosa cura di loro, vegliandoli sempre, come una madre amorosa verso il suo unico figlio. Non poteva trascurarli alcuni istanti prima di lasciarli definitivamente. Anzi la sua premura, in questa circostanza, doveva rifulgere di splendori più vivi, perché la esercitava proprio quando Egli stesso era schiantato da un'agonia di morte e i suoi più intimi seguaci si dimostravano indegni del suo amore. Poveri noi se il Redentore si preoccu­passe della nostra vita solo quando gli siamo grati! Dovrebbe lasciarci forse in un perenne abbandono. Gesù è venuto apposta per farsi nostro fratello, anche quando noi ci dimenti­chiamo di Lui.
Considera. Ai discepoli addormentati Gesù non ri­volge nessun rimprovero, ma soffre in silenzio. Im­para a soffrire e tacere anche quando le persone care si mostrano indifferenti nei tuoi confronti.
47. Il calice dell'ingratitudine
Questa seconda volta, per compassione, Ge­sù non rivolge ai discepoli neppure un dolce rimprovero. Poiché non spera di ottenere con­forto, ritorna sui suoi passi e rientra nella grot­ta, raggiungendo lo stesso punto e assumendo lo stesso atteggiamento. "E lasciatili, si allonta­nò di nuovo e pregò per la terza volta, ripeten­do le stesse parole...: Padre, se vuoi, allon­tana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Ora si presenta a Lui il calice di tutte le umane ingratitudini: ir­riverenze, profanazioni, sacrilegi verso il sacra­mento del suo amore (la SS. Eucarestia), calun­nie, persecuzioni contro il suo Corpo Mistico (la santa Chiesa), tradimenti orribili da parte di persone da Lui maggiormente beneficate. Il numero di quelle anime, che si danneranno nonostante il suo sangue, lo spaventa. Le vede passare davanti a sé, come portate via da un turbine di gemiti e di singhiozzi, trascinate ver­so gli abissi, dove il perdono non scenderà mai; stende loro invano le mani supplichevoli, con accento di indescrivibile tenerezza. Perché non può aumentare all'infinito gli spasimi e le torture della passione, pur di assicurare la sal­vezza a queste anime stolte? Anche se potesse raggiungere il suo scopo, queste anime non lo ascolterebbero e si dannerebbero ugualmente. È questa dannazione, tenacemente voluta, che fa tanto penare Gesù.
Considera. Il Signore soffre immensamente alla vi­sta di tante anime che si perdono eternamente. Pen­sa se ti preoccupi veramente di salvare la tua anima.
48. Agonia e sudore di sangue
I peccati dell'umanità, i tormenti della sua passione, che già sente, l'ingratitudine di ani­me acquistate a caro prezzo, stringono così for­temente l'anima e il cuore di Gesù che egli co­mincia ad entrare in una specie di agonia mor­tale. Allora un angelo scende dal cielo e s'inginocchia accanto al martire divino per in­fondergli la forza di sopportare l'ultima lotta. Prostrato con la faccia per terra, il Salvato­re moltiplica le invocazioni al Padre, con mag­giore insistenza, perché le sue suppliche sem­brano inascoltate. Prova la pena dell'abbando­no da parte degli uomini e di Dio. Il Padre cele­ste lascia il suo Figlio prediletto, oggetto di tut­te le compiacenze, nell'abbandono che egli stesso aveva accettato in precedenza, quando aveva chiesto di prendere il nostro posto. L'ab­bandono è per lui peggiore della morte e "sa­rebbe morto certissimamente, se una potenza divina non lo avesse sostenuto per riservarlo ad altri supplizi". Se non muore, avverte però le pene di una straziante agonia. Il sangue gli scorre impetuo­samente nelle arterie; sforzando i pori, esce a gocce abbondanti dal corpo e bagna le vesti ed il terreno. La voce del Signore non si ode quasi più e la sua sacra persona, curva sul ter­reno, sembra priva di vita. Sudore, lacrime e sangue si mescolano insieme e scorrono per terra. La lotta finisce. Il Maestro, sentendosi esaurito, riprende le forze, si alza e raggiunge gli Apostoli, ai quali dice: "Dormite ormai e ri­posatevi! Basta, è venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino".
Considera. Gesù, per amore tuo, soffre la pena del più desolante abbandono. Per amore suo, prometti di stargli vicino nelle sue terribili sofferenze.

49. Giuda e i soldati
Giuda, seguito dagli sgherri, non era lonta­no. Aveva raggiunto il suo scopo. Dopo aver frettolosamente lasciato il cenacolo, era corso dai principali avversari di Gesù, per an­nunciare loro che era giunto il momento op­portuno di catturarlo. Li pregava di conceder­gli dei custodi ordinari del tempio e delle guardie assoldate, munite di armi e bastoni, perché sapeva dove si trovava Gesù. Fu subito esaudito. Il traditore, dopo aver costatato che il Signore, con gli Apostoli, aveva abbandona­to il cenacolo da alcune ore, con i soldati discese la città alta, arrivò alla valle di Giosafat, attraversò il ponte del Cedron e si diresse ver­so l'orto del Getsemani, dove sapeva che Gesù, come al solito, si sarebbe certamente rifu­giato. Intanto rivolgeva a quegli scalmanati mille raccomandazioni: "Accostatevi al luogo in gran silenzio, rimanendo un po' indietro e lasciando che io avanzi da solo, per non desta­re sospetti. Mi accosterò a lui e lo bacerò: que­sto sarà per voi il segnale di avanzare. Prende­telo e conducetelo via con precauzione". Tutti promisero di osservare attentamente i suoi consigli.
Considera. Giuda raccomanda l'osservanza di ogni minima precauzione per riuscire nel tradimento. Tu, al contrario, impara ad usare le stesse precauzioni per non perdere mai la grazia del Signore.
50. Salve, Rabbi!
Gli inganni di Giuda non erano ignoti a Ge­sù, che aveva già tutto predetto e ne vede­va chiaramente lo svolgimento. Sapeva che fra poco il traditore sarebbe arrivato con gli sbirri per catturarlo. Uscì perciò dalla grotta, andò dai suoi discepoli per l'ultima volta e indirizzò loro le parole sopra riferite. Mentre i tre Apostoli, spaventati, tentavano di svegliarsi, Gesù, precedendoli, avanzò verso l'uscita dell'orto, dove aveva lasciato gli altri otto. Era circa la mezzanotte. Giuda, arriva­to al cancello, comandò al suo drappello di aspettare fuori. S'inoltrò, credendo che il Si­gnore fosse molto più lontano. Gesù inve­ce era ormai a pochi passi. Vedendolo improv­visamente così vicino, Giuda si trovò a disagio, piuttosto imbarazzato. Si tolse subito d'impac­cio, ricordandosi del segno concordato con gli avversari di Gesù. Si accostò al Redentore e gli disse: "Salve, Rabbi!". E lo baciò. Gesù esclamò, con un accento di tenerezza e di dolo­re: "Giuda, con un bacio tradisci il Figlio del­l'uomo?".
Considera. Con un bacio Giuda tradisce il Signore. Esamina se non ti sei mai servito della tua apparente devozione per nascondere le offese gravi o leggere contro la bontà di Dio.
51. La folla gettata a terra
Alle parole di Gesù, Giuda rimase umiliato, confuso, e quasi istintivamente indietreggiò, mentre dentro di sé cercava una frase qualun­que da indirizzare al Maestro, per nascondere
ancora, se fosse stato possibile, la propria perfi­dia. Capì che con Gesù erano inutili tutte le fin­zioni e che non gli si poteva nascondere nulla, nemmeno il più segreto pensiero. Indietreggian­do, si trovò fuori dal cancello, dove la turba da lui guidata si era fermata. "Gesù allora, co­noscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: 'Chi cercate?'. Gli ri­sposero: 'Gesù, il Nazareno'. Disse loro Gesù: 'Sono io!'. Vi era là con loro anche Giuda, il tra­ditore. Appena disse: Sono io, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: 'Chi cercate?'. Risposero: 'Gesù il Nazareno'. Gesù replicò: 'Vi ho detto che sono io. Se dunque cer­cate me, lasciate che questi se ne vadano'. Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: 'Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato' ". Con la seconda domanda Gesù faceva capire ai nemici che non intendeva lasciarli per sempre a terra e che ora, dopo aver dato momentanea­mente prova della sua divina onnipotenza, essi potevano rialzarsi. Si levarono subito in piedi, ma, per nulla mutati, "si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono".
Considera. Gesù, con una sola parola, atterra la tur­ba dei nemici. Pensa al terrore degli empi, nel giorno del giudizio, quando Egli si manifesterà in tutta la sua gloria e maestà.
52. Gli Apostoli tentano di difendere il Maestro
Dov'erano gli Apostoli, mentre accadevano questi fatti? Pietro, Giacomo e Giovanni, appe­na svegli, presentendo qualche cosa di grave, erano corsi a destare gli altri otto che riposava­no nel vicino casolare. Anch'essi si alzarono prontamente, pieni di sgomento, e in un attimo furono al cancello d'ingresso, vicini a Gesù. Assistettero alla sce­na appena descritta, senza però capire bene co­me sarebbe andata a finire. Quando videro che Gesù veniva brutalmente catturato, comprese­ro di che cosa si trattava e pensarono fosse giunto il momento di agire. "Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per acca­dere, dissero: 'Signore, dobbiamo colpire con la spada?'... Ed ecco, uno di quelli che era­no con Gesù... Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio de­stro. Quel servo si chiamava Malco". Ciò era avvenuto con fulminea rapidità, prima che il Maestro potesse rispondere. "Ma Gesù in­tervenne dicendo: 'Lasciate, basta così!'. E toc­candogli l'orecchio, lo guarì". "Gesù allo­ra disse a Pietro: 'Rimetti la tua spada nel fode­ro... perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi da­rebbe subito più di dodici legioni di angeli?... Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?... Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti' ".
Considera. Gesù non vuole che gli Apostoli lo difen­dano con la forza delle armi materiali. Tu pensa a di­fenderlo sempre con le armi morali di una vita inte­merata, di uno zelo illuminato.
53. Questa è la vostra ora
Le parole di Gesù agli Apostoli e, poco dopo, quelle ai suoi nemici, non sarebbero possibili, se non si supponesse un cambiamento nel con­tegno della turba. Probabilmente l'improvviso intervento degli Apostoli aveva intimorito i ne­mici, i quali, secondo le indicazioni di Giuda, credevano che Gesù fosse solo e che i suoi di­scepoli, a quell'ora, fossero immersi nel sonno. L'oscurità, rotta soltanto dalla fioca luce delle poche fiaccole, non permise loro di rendersi conto che i discepoli erano pochi. Forse pensa­rono addirittura che Giuda li avesse condotti là per tradirli. Il fatto è che indietreggiarono e non si azzardarono a prendere immediatamen­te il Signore. Egli approfittò di questa loro in­certezza per parlare agli Apostoli e invitarli alla calma e alla non violenza. Poi ebbe il tempo di dialogare coi nemici: "In quello stesso momen­to Gesù disse alla folla, a coloro che gli era­no venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: 'Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante, siete venuti a prendermi... ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre'... Al­lora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggiro­no".
Considera. L'ora dei malvagi è quella in cui compio­no opere peccaminose, l'ora invece dei giusti è quella delle opere virtuose. Ti sei servito del tempo per fare il bene e prometti attenzione per l'avvenire?

VI - DAVANTI AI TRIBUNALI
54. Come agnello in mezzo ai lupi
Gesù faceva capire ai suoi nemici che non avrebbe opposto resistenza e si sarebbe abban­donato al loro diabolico furore. Essi lo intesero bene e, come cani rabbiosi, si avventarono con­tro di Lui. "Allora il distaccamento con il co­mandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono...". Non omisero nulla. Temendo che fuggisse, gli legarono le mani dietro alla schiena stringendogli fortemente i polsi, girandogli le corde attorno al collo e alla vita. Non c'era assolutamente bisogno di queste precauzioni, perché il Signore, come agnello mansueto portato al macello, non respinge la loro brutalità e non pronunzia pa­role di lamento o di minaccia. Con mansuetu­dine divina ascolta le espressioni della folla in­ferocita, di gioia infernale, di derisione, di be­stemmia, d'imprecazione e di sfida. Sopporta ugualmente tutte le villanie, gli urti e le percos­se di quei lupi aggressivi, che si preparano a ri­fare il cammino verso Gerusalemme. Che fanno intanto i discepoli? Dopo che Gesù ebbe vietato loro di ribellarsi e di percuotere, si spa­ventarono di fronte al numero dei nemici che stavano per attaccarli e tutti, abbandonato il Maestro, se ne fuggirono. "Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuo­lo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo".
Considera. Gesù è legato, trascinato, deriso, urtato, percosso. Egli con questi lacci ha liberato te dai vin­coli del peccato e ti domanda perciò riconoscenza.
55. Gesù cade nel torrente
Gesù, tradito da Giuda, abbandonato dagli Apostoli, legato come un malfattore, vigilato, circondato, trascinato da furibondi nemici, ri­torna sulla strada percorsa poche ore prima con gli amici. Il viaggio in tali condizioni riesce penosissimo al Redentore, indebolito dallo spargimento di sangue nell'orto. La condotta degli sbirri verso di Lui ne aumenta le pene. La folla scomposta, tumultuosa, frettolosa scende il sentiero che in certi punti è come una gradi­nata, e intanto carica Gesù di ingiurie. Lo spinge a destra e a sinistra, lo percuote. Si arri­va così al ponte del torrente Cedron. La tradi­zione ci fa assistere ad una scena commovente. Gesù, spinto continuamente con insolenza, ca­de sul letto sassoso del torrente, battendo con le ginocchia e con la testa sulle pietre e gia­cendo immobile tra gli scherni di quei crudeli. Forse vogliono sfogare la loro rabbia vendicati­va per essere stati gettati a terra nell'orto da una semplice sua parola. Cadendo, Gesù volta le spalle a Giuda che, tormentato dal rimorso, osserva ogni cosa da un'arcata del ponte. Sembra che il Messia abbia orrore di mostrare la faccia al traditore, figlio di perdizione. È il castigo dovuto a tutti gli empi ostinati.
Considera. Il Cedron è simbolo del torrente delle umane iniquità. Gesù cade in esso per dare a te la forza di resistere alle tue malvagie passioni.
56. Il pontefice Anna
Legato com'era, il Signore non avrebbe cer­tamente potuto alzarsi dal luogo della caduta. Fu dunque rimesso in piedi dagli stessi nemici che avevano fretta di arrivare alla città alta. Il cammino infatti continuò per una salita fatico­sa, e, a tratti, molto ripida. "E lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Cai­fa, che era sommo sacerdote in quell'anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: 'È meglio che un uomo solo muoia per il popolo' ". I due pontefici, così strettamente uniti da vincoli di parentela, abitavano forse nello stesso palazzo o in due talmente vicini tra loro da sembrare uno solo. Benché non fosse più sommo sacerdote, Anna, per la sua astuzia, per la pratica acquisita in tanti anni di comando, e per l'ascendente che aveva sul po­polo, dirigeva indirettamente gli affari religiosi della nazione. La questione di Gesù che si di­ceva il Messia atteso dagli Ebrei, che aveva di­mostrato questa sua qualità con miracoli di ogni genere, era un problema eminentemente religioso, anzi vitale per la nazione. Era quindi impossibile che Anna non se ne occupasse, sia pure non ufficialmente. Del resto tutte le insi­die tese, tutte le trame ordite contro Gesù, ave­vano avuto come ispiratore ed istigatore que­sto vecchio mascalzone. Con lui aveva preso accordi Giuda prima di eseguire il tradimento. Non deve far meraviglia che Gesù sia stato condotto da Anna.
Considera. Anna impiega tutta la sua astuzia per tendere insidie a Gesù. Rifletti se fai buon uso dei doni naturali ricevuti dal Creatore.
57. Domande e risposte
Era circa l'una e mezza del mattino. Anna che, come gli altri nemici del Salvatore, stava aspettando l'esito della congiura, fu ben presto avvertito che tutto era riuscito bene, e che fra pochi minuti Gesù gli sarebbe stato presenta­to. La gioia che provò a quella notizia fu pari all'odio che lo divorava. Non vedeva l'ora di avere il Messia davanti a sé, per rivolgergli al­cune domande che sarebbero servite a mettere in contraddizione il Signore e a farlo condan­nare per qualche parola più che imprudente. Gesù, circondato dalla turba, legato, vilipeso, in uno stato compassionevole per il doloroso viaggio, entra nel palazzo del pontefice e viene introdotto alla sua presenza. "Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi di­scepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: 'Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Inter­roga quelli che hanno udito ciò che ho detto lo­ro; ecco, essi sanno che cosa ho detto' ".
Considera. Con vera malizia Anna interroga Gesù riguardo alla sua dottrina. Tu, al contrario, medita con semplicità gli insegnamenti divini e impégnati a praticarli.
58. Lo schiaffo
La risposta di Gesù, che chiamava tutto il mondo a testimoniare la sua innocenza, mise Anna in imbarazzo. Nessuno si aspettava che un prigioniero rispondesse così. Mentre il fur­bo sacerdote sta pensando come riprendere l'interrogatorio, un servo del pontefice viene a togliere il padrone d'impaccio. Il servo, secon­do la tradizione, era lo stesso Malco, che fu guarito da Gesù dopo che Pietro gli aveva am­putato l'orecchio. "Aveva appena detto que­sto, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: 'Così rispondi al sommo sacerdote?'. Gli rispose Gesù: 'Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?' ". Niente di più illegale ed ingiusto da parte del servo; niente di più giusto delle parole del Salvatore. Nessuna legge permette di maltrattare un ac­cusato, che ancora non ha ricevuto la condan­na e potrebbe risultare innocente. Tanto meno fu mai concesso ad un servo il diritto di schiaf­feggiare l'imputato, che difende se stesso nel processo. Le parole di Gesù sono quelle della verità che non teme smentita davanti a qualunque prova, e quelle della dolcezza che intenerisce i cuori più insensibili. La tradizione ci dimostra questo servo profondamente im­pressionato dal contegno mansueto del Signo­re. Si sarebbe più tardi convertito ed avrebbe espiato il suo peccato con una vita santa.
Considera. Gesù viene pubblicamente percosso e di­sonorato con uno schiaffo. Impara a sopportare per suo amore le ingiurie che ti vengono inflitte.

59. Prima negazione di Pietro
Mentre avvenivano queste cose alla presenza di Anna, un altro fatto importante si verificava nel cortile del palazzo. Pietro rinnegava ripetu­tamente il suo Maestro. Dopo che gli Apostoli si erano dati alla fuga, Pietro e Giovanni ritornarono in sé e, vergognandosi della loro viltà, decisero di seguire Gesù almeno da lon­tano. "Intanto Simon Pietro seguiva Gesù in­sieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdo­te; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla por­ta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fe­ce entrare anche Pietro". Qui dovevano in­cominciare le negazioni dell'Apostolo troppo sicuro di sé. "E la giovane portinaia disse a Pietro: 'Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uo­mo?'". Una risposta affermativa non avrebbe probabilmente portato a Pietro nessun danno, essendo compagno di Giovanni, pub­blicamente conosciuto come discepolo di Ge­sù. Ma egli temette chissà quali sciagure e, im­pressionato, rispose prontamente: "Non lo so­no". Era la prima negazione, tanto meno scusabile in quanto la domanda veniva da una donna che lo interrogava per pura curiosità.
Considera. Pietro nega Gesù per paura di una don­na. Talvolta anche tu trascuri i tuoi doveri cristiani per un vano timore umano.
60. Seconda negazione
Chi incomincia a cadere non si arresta facil­mente alla prima caduta: segue la seconda, la terza ed altre ancora, finché la mano misericor­diosa di Dio ferma il colpevole e lo aiuta a rav­vedersi. Così avvenne a Pietro. La prima nega­zione fu l'inizio di altre. I servi stavano attorno al fuoco per scaldarsi, poiché faceva freddo. "Anche Pietro stava con loro e si scalda­va". "Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile, e si erano seduti attorno, an­che Pietro si sedette in mezzo a loro". "Ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione". "Una serva gli si avvicinò... e vedendo che stava a scal­darsi lo fissò e gli disse. 'Anche questi era con lui'. 'Anche tu eri con Gesù, il Galileo'". Interrogato alla presenza di tanta gente, Pietro sentì crescere lo spavento e, ormai acce­cato di fronte alla gravità di ciò che stava per compiere, moltiplicò le sue negazioni. "Ma egli negò dicendo: 'Donna, non lo conosco! Non so e non capisco quello che vuoi dire'. Uscì quindi fuori dal cortile e il gallo cantò. Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: 'Costui era con Gesù, il Nazareno'. Ma egli negò di nuovo giurando: 'Non conosco quell'uomo'. Poco dopo un'al­tra lo vide e disse: 'Anche tu sei di loro!'. Ma Pietro rispose: 'No, non lo sono!' ". Povero Pietro! Non si accorgeva che con la paura e con le negazioni si rovinava sempre di più.
Considera. Pietro nega la seconda volta Gesù perché si fida di sé e si mette nelle occasioni. Pensa che que­sto è anche il motivo delle ripetute tue mancanze, dei tuoi molti peccati.
61. Davanti a Caifa
Frattanto Anna, dopo che Gesù ebbe parlato con chi lo aveva schiaffeggiato, si trovò mag­giormente imbarazzato, e non sapeva come proseguire l'interrogatorio per strappare al Si­gnore qualche motivo di accusa. Fu un mo­mento di sollievo quando giunsero gli inviati di Caifa a riferirgli che il Sinedrio era radunato e aspettava che Gesù vi fosse condotto. Solo davanti a questo pontefice doveva svol­gersi il giudizio formale. Le guardie circonda­rono subito il Signore, lo tolsero dal cospetto di Anna, gli fecero attraversare diversi atri e il cortile, e in pochi minuti lo presentarono al Si­nedrio. "Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote": ecco la breve espressione che ci narra il fatto. È sufficiente per indicarci che Gesù si trovò davanti ad un'assemblea formata dei soliti apparati esteriori, di cui è bene farsi un'idea esatta. Caifa è seduto su un palchetto, una specie di trono cesellato riservato al princi­pe dei sacerdoti; gli altri membri del Sinedrio, pontefici, scribi, anziani del popolo, sono se­duti in semicerchio su un gradino coperto di tappeti e cuscini. Gesù viene condotto in mez­zo a loro e lasciato in piedi con le mani legate. Poco discosti vi sono i servi e la folla. Ai lati estremi del semicerchio hanno preso posto i due segretari con le loro tavolette in mano, per registrare le deposizioni.
Considera. Caifa si serve degli apparati esteriori, del fasto dell'autorità, per nuocere maggiormente a Ge­sù, per rendere credibilmente legittima la sua con­danna. Medita se non ti sei mai servito delle tue buone apparenze per peccare più liberamente.
62. False accuse
Si aprì formalmente il processo. Il primo atto del sommo sacerdote fu di chiedere se, fra tan­ta gente, c'era qualcuno disposto a testimoniare contro il Signore. L'accusa doveva essere molto grave, in modo da giustificare una con­danna a morte. I sacerdoti e gli anziani si erano espressi mol­to chiaramente al riguardo. "I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testi­monianza contro Gesù, per condannarlo a morte; ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti testimoni". Molti infatti deponevano il falso contro di lui, ma le loro deposizioni non concordavano. "Finalmente se ne presentarono due, che af­fermarono: 'Costui ha dichiarato: Posso di­struggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni'. Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: 'Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoso contro di te?'. Ma Gesù taceva", e non rispondeva nul­la. Perché infatti avrebbe dovuto replicare ad ac­cuse di individui che sicontraddicevano a vi­cenda e con malizia stravolgevano il senso chiaro delle sue parole? I calunniatori, e coloro­che li assecondavano, non meritavano nessuna risposta.
Considera. Accusato falsamente, Gesù tace. Impara a tacere umilmente quanto ti viene rimproverato un vero difetto.
63. È reo di morte
Questo silenzio di Gesù irritò maggiormente Caifa, che perse la sua calma apparente e si de­cise a porgli una domanda in nome della reli­gione. "Di nuovo il sommo sacerdote lo inter­rogò dicendogli: 'Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Fi­glio di Dio benedetto'. Gesù rispose: 'Io lo sono, tu l'hai detto;... anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla de­stra di Dio, e venire sulle nubi del cielo'". Poi­ché la domanda gli è posta in nome di Dio, Ge­sù risponde con sincerità, rispettando il Padre suo, e conferma dinanzi ad una imponente as­semblea la sua qualità di Figlio di Dio. La rispo­sta gli scatenò addosso una tempesta di furore e di rabbia da parte dei presenti. Caifa si finse invaso da religioso orrore e si preoccupò di di­mostrarlo all'esterno. Gli altri lo imitarono nel­l'ipocrisia. "Allora il sommo sacerdote sistrac­ciò le vesti dicendo: 'Ha bestemmiato! Peché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?' ". La risposta era scontata. "Tutti senten­ziarono che era reo di morte". "E quelli ri­sposero: 'È reo di morte!'.
Considera. Gesù è dichiarato reo di morte, perché ha sostenuto una verità provata con strepitosi miracoli. Impara a non mentire mai alla tua coscienza a costo di qualunque pena temporale.



64. Stolti furori
Appena pronunciata la sentenza di morte, tutti i giudici, i servi e la teppaglia che assiste­vano, furono pervasi da furore diabolico. I giudici che sedevano sui loro cuscini balzarono in piedi; i segretari, intenti a scrivere le deposi­zioni alle due estremità del semicerchio, getta­rono sdegnosamente le tavolette; tutti i pre­senti si misero a schiamazzare lanciando villa­nie all'accusato. E intanto si imita quello che si vede compiere dai capi. Si sputa in faccia a Gesù, lo s'insulta in tutti i modi. "Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeg­giarono; altri lo bastonavano...". Smetto­no soltanto quando sono stanchi, lasciando Gesù nelle mani di alcune guardie, che dal luo­go dell'assemblea lo conducono fuori nel corti­le continuando ad insultarlo. Mentre lo riempiono di percosse Gesù tace sempre e sop­porta, e non esce dalla sua bocca benedetta il minimo lamento. Erano circa le tre e mezzo.
Considera. Insultato, percosso, schiaffeggiato, Gesù soffre e tace. Impara a patire e tacere per amor suo.
65. Terza negazione
Mentre succedevano queste cose davanti a Caifa, Pietro, che aveva cercato di evitare altre domande indiscrete, veniva invece nuovamen­te disturbato. "Passata circa un'ora, un altro insisteva... uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio: 'Non ti ho forse visto con lui nel giardino?. Certo, anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!'". Come se ciò non bastasse, altri si aggiunsero all'interrogante e circondarono il timido e pauroso discepolo. "Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: 'Tu sei certo di quelli, perché sei Gali­leo' ". A queste decise affermazioni Pietro si credette perduto; la dolorosa scena della cattura di Ge­sù al Getsemani gli si presentò nelle minime circostanze, ed ora i nemici gli ricordavano ogni cosa: M'hanno visto nell'orto? Dunque hanno visto il mio particolare ardore per difen­dere Gesù, la spada, il colpo su Malco, tutto. Pensò che, per liberarsi dal grave pericolo, do­veva insistere nella negazione, anche con im­precazioni e spergiuri. "Ma egli cominciò a im­precare e a giurare: 'Non conosco quell'uomo che voi dite' ". Così "in presenza dei servi del sommo sacerdote Pietro negò di conoscere co­me uomo colui che, in mezzo al collegio apo­stolico, aveva confessato per il Figlio di Dio". Era il colmo della viltà e della debolezza umana!
Considera. L'eccessiva paura degli uomini rende Pietro ingrato, infedele, spergiuro. Esàminati seria­mente per vedere se il timore umano non ti ha mai indotto ad essere ingrato con Gesù.
66. Pentimento di Pietro
Era giunto il momento della misericordia di Dio: Pietro, secondo la bellissima espressione di Gesù, doveva convertirsi, per poi con­fermare i suoi fratelli nella fede. Stava ancora pronunciando gli ultimi spergiuri, quando il gallo cantò. Quel canto risvegliò l'Apostolo bu­giardo dal letargo della sua colpa. "E in quell'i­stante, mentre ancora parlava... per la se­conda volta un gallo cantò". Neppure que­sto sarebbe stato sufficiente; ci voleva lo sguar­do di Gesù per portare definitivamente Pietro al ravvedimento. E lo sguardo misericordioso non si fece attendere. Mentre Pietro terminava la sua terza negazione, e il gallo cantava, Gesù, condotto fuori nel cortile in uno stato pietoso, gli passò vicino e lo fissò in volto. Gli occhi del Maestro si incontrarono con quelli del discepolo, e il suo sguardo fu come una freccia che trapassò l'anima del rinnegato. "Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ri­cordò delle parole che il Signore gli aveva det­to: 'Prima che il gallo canti, oggi mi rinneghe­rai tre volte' ". Il ricordo lo sconvolse e gli rivelò l'abisso in cui era caduto. Non ne poteva più; le lacrime gli salivano impetuosamente agli occhi e si affrettò ad uscire dal palazzo per dare libero sfogo al suo amaro pianto. "E usci­to, pianse amaramente". Una pia tradizio­ne ci dice che egli si recò piangendo nella vici­na casa dove abitava la benedetta Madre di Ge­sù, le confessò la colpa commessa e le chiese perdono. Poi si ritirò in una grotta non lontana per continuare a piangere il suo peccato. Per tutta la sua vita, quando udiva il canto del gallo, le lacrime gli scorrevano copiose dagli occhi e gli rigavano le guance.
Considera. Lo sguardo di Gesù intenerisce e conver­te Pietro. Procura di stare sempre con la memoria sotto questo sguardo divino per sentire un sincero dolore dei tuoi peccati.
67. Scherni e percosse
Quando tutti si furono ritirati, giudici, anzia­ni e popolo, Gesù fu consegnato ad alcune guardie, in attesa che si potesse raccogliere un'altra adunanza per prendere l'ultima deci­sione. Nel frattempo le guardie si credettero autorizzate a continuare gli insulti contro il mansuetissimo Signore. Lo attorniarono infatti e gareggiarono nello schernirlo e tormentarlo. "Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano". Una cosa riusciva a umiliarli: il silenzio di Gesù e il suo sguardo, a volte fisso, a volte pie­no di lacrime, ma sempre dolce. Bisognava tro­vare il modo di fargli rompere quel silenzio e impedirgli quello sguardo. La loro crudeltà fu presto soddisfatta. Gli velarono la faccia, lo percossero spietatamente e intanto lo interro­gavano, con accenti di derisione e con bestem­mie. "Lo bendavano e gli dicevano: 'Indo­vina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?'. E molti altri insulti dicevano contro di lui. I servi intanto lo percuotevano".
Considera. Per bastonarlo e schernirlo, i soldati ben­dano il volto di Gesù. Il peccatore per abbandonarsi liberamente alla colpa perde prima di vista l'amabile presenza di Dio.

68. In prigione
La rabbia dei nemici, nonostante tutti i mezzi crudeli adoperati, non riuscì a raggiungere lo scopo che essi desideravano. Gesù, maltratta­to, non fece sentire una parola, né di rimprovero né di rammarico, e neppur diede segno di noia o d'impazienza. Le guardie si stancarono di insultare il paziente e decisero di riposarsi fi­no all'ora fissata per la seconda adunanza. Bi­sognava sorvegliare strettamente il prigioniero perché non potesse fuggire e nessuno dei suoi amici lo venisse a liberare. Al pianterreno, accanto alla stanza del custo­de, esisteva un lurido bugigattolo, che forse serviva da prigione per gli accusati durante la notte e gli intervalli del processo. Per sicu­rezza vi trascinarono Gesù e lo chiusero dentro. Così potevano riposarsi tranquillamente. Al Salvatore il riposo è impedito dalla sporcizia del luogo, dalle corde che lo stringono e dalla impossibilità di assumere una comoda posi­zione. La sua sofferenza continua senza interruzione.
Considera. Gesù, nell'oscuro ripostiglio, soffre e prega. Unisciti spiritualmente a Lui per compatirlo e tenergli compagnia.
69. Dal palazzo di Caifa al Tribunale
Verso le sei del mattino, i pontefici, gli scribi e gli anziani si radunarono di nuovo, non più nel palazzo di Caifa, ma dove venivano giudicate le cause più gravi di religione, proba­bilmente una grande sala annessa al tempio. Troviamo infatti scritto: "Venuto il matti­no, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del po­polo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire... e lo condussero davanti al Sinedrio". A quell'ora, tutti gli abitanti di Gerusalemme conoscevano la cattura di Gesù, avvenuta du­rante la notte. Chi non l'avesse saputo subito, ne venne informato il mattino, e tutti si credet­tero in dovere di verificare coi propri occhi un fatto di tanta importanza. Affluirono tutti al luogo dell'adunanza, e anche i numerosi fore­stieri, che in quei giorni si trovavano a Gerusa­lemme per la celebrazione della Pasqua, fecero il possibile per intervenire. Le guardie, all'ora stabilita, aprirono il bugigattolo, dove avevano rinchiuso Gesù, lo tirarono fuori e lo condusse­ro al tribunale indicato, nello stato miserabile in cui si trovava dopo quella terribile notte. In­tanto, per le strade, la folla dei nemici e dei cu­riosi si andava ingrossando.
Considera. Per le vie di Gerusalemme Gesù è ogget­to di curiosità e d'insulti. Tu invece fissa sempre il tuo sguardo in Lui con viva fede.
70. Io sono il Figlio di Dio
Prima che Gesù ricomparisse loro dinanzi, i principali capi dei Giudei, nelle poche ore d'intervallo dalla seduta notturna, avevano già concordato tra loro il metodo da seguire per consegnare il Salvatore al tribunale civile e far­lo condannare a morte. Era stato deciso di non rivolgergli molte domande, ma di fargli solo ripetere che egli era il Figlio di Dio, uguale al Padre. Ottenuta questa risposta, avrebbero trovato il motivo di accusarlo come bestemmia­tore, e farlo condannare a morte secondo le prescrizioni della legge. Tutto si svolse secon­do i loro progetti. Quando Gesù, con le guardie e la folla, arrivò al tribunale, erano già tutti al loro posto. In fondo all'aula, in alto, il sommo sacerdote; se­duti sui cuscini, intorno, i giudici; in mezzo, con le mani legate, Gesù; ai lati le guardie, e al­le spalle il popolo. Caifa si alzò e domandò al Signore: "Se tu sei il Cristo, diccelo". Ge­sù rispose: "Anche se ve lo dico, non mi crede­rete; se v'interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo se­duto alla destra della potenza di Dio". Allora tutti gli domandarono: "Tu dunque sei il Figlio di Dio?". Il Signore rispose: "Lo dite voi stessi: Io lo sono". Era proprio la risposta che essi volevano. Si misero perciò a gridare: "Che bisogno abbiamo ancora di testimonian­za? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca". Senza procedere oltre si alzarono e con la tumultuante moltitudine si avviarono alla Torre Antonia, residenza del governatore della Giudea, Ponzio Pilato, da cui doveva essere pronunciata la sentenza di morte.
Considera. I Giudei vogliono la morte di Gesù per­ché ha detto la verità, ha detto cioè di essere Figlio di Dio. Tu, al contrario, rinnova la tua fede in Lui e, prostrato, adoralo profondamente.

71. Giuda segue Gesù
Prima di assistere a ciò che avviene dinanzi a Pilato, dobbiamo meditare sulla fine orrenda del traditore Giuda. Egli si abbandonò alla di­sperazione dopo aver assistito alla seconda adunanza del Sinedrio. Questo disgraziato Apostolo, dopo che ebbe tradito Gesù, seguì la turba dal Getsemani ad Anna, vide tutti gli strapazzi a cui fu sottoposto il Redentore, assi­stette alla sua caduta nel torrente, al primo in­terrogatorio alla presenza di Anna, allo schiaf­fo, alle negazioni di Pietro, alle domande di Caifa, alle acclamazioni di morte, agli sputi, al­le percosse, e probabilmente conobbe pure i dolorosi ed indecenti scherzi delle guardie nel resto della notte. Anch'egli, dopo una notte in­sonne, il mattino raggiunse il tribunale delle cause gravi dove poté udire ogni cosa e capire che per il Salvatore ogni speranza era ormai perduta. La vista di tutti questi maltrattamenti inflitti al Maestro precipitò Giuda nel baratro della disperazione.
Considera. Poiché segue Gesù con cattive disposizio­ni, Giuda non ne ricava alcun bene, anzi peggiora la sua situazione. Esamina la tua disposizione nel se­guire Gesù e convertiti.
72. Disperazione di Giuda
È difficile indovinare lo stato d'animo del perdido traditore dopo il misfatto. Provò sen­z'altro in modo intensissimo quel turbamento di coscienza che sente il peccatore quando commette una colpa. Seguendo Gesù maltrat­tato, trascinato, battuto, forse si illudeva che i nemici non si sarebbero determinati a uccider­lo. Sperava che il Maestro si sarebbe libera­to da solo, con uno di quei prodigi che tan­to lo avevano reso celebre. Non li aveva operati in altre circostanze, quando i nemici lo voleva­no prendere e lapidare? Perché non do­vrebbe fare altrettanto anche ora? Ma gli avve­nimenti stavano prendendo un'altra direzione. Gesù soffriva e taceva, e quando parlava face­va capire chiaramente che era giunta la sua ora e la morte gli era vicina. Non manifestava nes­suna volontà di liberarsi con un miracolo. Allo­ra Giuda conobbe l'enormità dell'atto compiu­to e si sentì come oppresso da questa cono­scenza. Il suo turbamento si mutò presto in ve­ra disperazione e credette di non meritare più perdono, né davanti agli uomini, né davanti a Dio.
Considera. Giuda dispera del perdono di Gesù, pur avendone più volte sperimentata l'infinita bontà. Non fare mai quest'ingiuria al Signore, neppure leg­germente, ma confida sempre in Lui, pentendoti dei tuoi peccati.
73. Muore impiccato
"Allora Giuda il traditore, vedendo che Ge­sù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: 'Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente'. Ma quelli dissero: 'Che ci riguarda? Veditela tu!'. Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allonta­nò...". Abbandonando frettolosamente quel luogo, discese nella valle, passò il Cedron e, quasi senza avvedersene, rifece quella via che aveva percorso il martedì precedente, quando si era recato al solitario palazzo di Cai­fa, verso Betlemme, e aveva stipulato l'orribile contratto. A un certo punto si fermò, stanco del cammino e tremendamente sconvolto nel­l'animo. Mirò un po' più in alto il monte del cattivo consiglio, più in basso il Getsema­ni, e, al di là del torrente, Gerusalemme con il suo tempio; tutto gli ricordò la sua perfidia. Rammentò gli insegnamenti e i benefici ricevu­ti da Gesù e le numerose espressioni della sua inesauribile bontà. Gli risonavano ancora all'o­recchio le ultime parole dell'orto: "Amico, per questo sei qui!". La sua ingratitudine, nei con­fronti di tanta carità, gli parve mostruosa, im­perdonabile. Lo sciagurato non volle pensare che l'umiltà e il pentimento l'avrebbero potuto ancora salvare. Gli sembrò che solo la mor­te lo avrebbe liberato da tanti rimorsi. Sconvol­to dalla disperazione fissò la corda al collo, si arrampicò su un albero, vi attaccò l'altra estre­mità del laccio, si lasciò cadere penzoloni e ri­mase strozzato. La violenza dell'atto, i movi­menti disperati dell'ultima stretta, gli ruppero le viscere, che si sparsero sul terreno.
Considera. Giuda richiama alla mente la propria in­gratitudine per meglio decidersi alla disperazione. Riflettendo che sei un ingrato, decidi al contrario di pentirti, abbandonandoti alla bontà di Dio.
74. Il campo del vasaio
Come sarebbero stati usati i denari gettati da Giuda nel tempio? I sacerdoti li avevano rifiu­tati. Quando però li videro sparsi sul pavimen­to e seppero che il loro possessore si era tolto violentemente la vita, ordinarono di raccoglier­li e dissero: "Non è lecito metterli nel tesoro, perché sono prezzo di sangue". Tennero quindi consiglio per decidere l'uso a cui dove­vano destinarsi". E, tenuto consiglio, com­prarono con essi il Campo del vasaio per la se­poltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato Campo di sangue fino al giorno d'oggi„. Si avverava così la profezia del profeta Gere­mia che molti anni prima aveva affermato: "E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli d'Israele avevano mercan­teggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore".
Considera. Il prezzo del sangue di Gesù mette scru­polo ai Giudei, i quali però non ne sentono alcuno nel procurargli la morte. L'ipocrisia finge sempre delicatezza nelle cose piccole, per meglio nascondersi quando commette gravi danni.

75. Davanti a Pilato
Mentre Giuda si abbandonava al suo gesto disperato, Gesù, con le mani legate, con le ca­tene al collo e in mezzo alla turba rumorosa e insultante, veniva condotto dal governatore romano di tutta la Giudea. Pilato era stato avvisato dell'arrivo dell'augusto prigioniero. Quando giunsero al pretorio "era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non conta­minarsi e poter mangiare la Pasqua". Il go­vernatore non poté fermarsi al solito luogo del­le sentenze, ma fu costretto ad uscire e, facen­dosi avanti, si fermò vicino a Gesù. "Uscì dun­que Pilato verso di loro e domandò: 'Che accu­sa portate contro quest'uomo?'. Gli risposero: 'Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato'. Allora Pilato disse loro: 'Prende­telo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!'. Gli risposero i Giudei: 'A noi non è consentito mettere a morte nessuno'. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire". Continuando poi nelle accuse dissero: "Abbiamo trovato co­stui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re".
Considera. Gli ingiusti accusatori vogliono essere creduti senza prove. Hai anche tu questa pretesa, quando devi riferire i difetti del tuo prossimo?
76. "Io sono re"
Udendo le ultime parole dei Giudei "Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Ge­sù... che comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: 'Tu sei il re dei Giudei?'. Gesù rispose: 'Dici questo da te oppure altri te lo hanno detto sul mio conto?'. Pilato rispose: 'Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?'. Rispose Gesù: 'Il mio regno non è di questo mondo; se il mio re­gno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi conse­gnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quag­giù'. Allora Pilato gli disse: 'Dunque tu sei re?'. Rispose Gesù: 'Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo; per rendere testimonianza alla ve­rità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia vo­ce'. Gli dice Pilato: 'Che cos'è la verità?'». E senza aspettare la risposta, si mosse per usci­re dal pretorio.
Considera. Gesù è veramente il re di tutti, ma i ne­mici della verità si rifiutano di assoggettarsi a Lui. Tu, invece, sii amante del vero e sempre sottoposto al dominio di Gesù.
77. "Io non trovo in lui nessuna colpa"
Questa brusca interruzione del colloquio de­notava chiaramente che il governatore si trova­va in uno stato di angosciosa preoccupazione e in imbarazzo. Capiva che l'accusato era innocente e voleva liberarlo. "E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei... i sommi sacer­doti e la folla e disse loro: 'Io non trovo in lui nes­suna colpa'. I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. E mentre lo accusa­vano i sommi sacerdoti e gli anziani, non ri­spondeva nulla. Allora Pilato gli disse: 'Non senti quante cose attestano contro di te?'. Pila­to lo interrogò di nuovo: 'Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!'. Ma Gesù non rispose nulla, sicché Pilato ne restò mera­vigliato. Ma essi insistevano: 'Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui' ". Il debole Pilato, fra il misterioso silenzio di Ge­sù, le escandescenze e insulse accuse dei suoi nemici, non sapeva che fare.
Considera. Pilato riconosce l'innocenza di Gesù, ma è debole nel difenderlo. Rifletti se sei zelante dell'o­nore di Gesù con le parole e con l'esempio.

78. Gesù mandato da Erode
Nella mente di Pilato balenò improvvisa­mente un pensiero. Era Galileo anche Gesù? Lo chiese subito ai vicini e gli fu risposto che l'accusato apparteneva proprio a quella regio­ne, non soggetta al suo dominio ma a quello di Erode. Il re della Galilea, per una felice combi­nazione, si trovava in quei giorni a Gerusalem­me. Per togliersi da quell'impiccio, Ponzio Pilato decise che Gesù fosse condotto davanti a quel re per essere da lui giudicato. "Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode, che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme". Il governatore romano credeva così di potersi liberare da ulte­riori fastidi e da ogni responsabilità; sperava inoltre di ottenere, con quest'atto di deferenza verso Erode, la cessazione della pubblica inimi­cizia esistente fra loro. In questo modo, con un'unica azione, si ripro­metteva di conquistare due vantaggi. In parte non s'ingannò, perché "in quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro".
Considera. Per liberarsi di un dovere increscioso, Pi­lato si serve di un pretesto, sia pure fondato, e allon­tana Gesù dal suo tribunale. Vedi se non lo imiti nel cercare pretesti per esimerti dai tuoi doveri.
79. Per le vie di Gerusalemme
L'ordine di Pilato venne prontamente ese­guito. Alle guardie e ai servi che avevano cat­turato, legato e custodito Gesù, conducendolo da un tribunale all'altro, subentrarono i soldati romani, probabilmente gli stessi che avevano seguito Pilato nel sedare l'insurrezio­ne dell'isola di Ponza e dei Giudei, e che appartenevano alla legione italica. Circondato da questi soldati e dalla solita folla, Gesù lascia il pretorio e viene condotto alla re­sidenza di Erode. Passa per le vie di Gerusa­lemme con le mani legate, le vesti insudiciate, il volto pieno di rossore e tumefatto dagli schiaffi, la barba sordida di sputi. Non può asciugarsi in alcun modo, né nascondere le lacrime che gli scorrono abbondanti alla vista dell'odio di un popolo tanto beneficato, che tratta così barbaramente il suo Salvatore. Per tanta ingratitudine dovette piangere spesso nella sua Passione.
Considera. Lo stato compassionevole di Gesù nel suo viaggio da Pilato ad Erode non muove a pietù il cuo­re indurito dei nemici. Tu, invece, inginocchiati spi­ritualmente davanti a Lui, baciagli le mani legate e bagnale delle tue lacrime.
80. Silenzio misterioso
Verso le otto Gesù varcò le soglie del palazzo di Erode. Da molto tempo il re deside­rava vedere e sentir parlare il Redentore; per­tanto si rallegrò quando gli venne presentato. "Alla vista di Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui". Osservandolo però ridotto in quello stato, sor­dido, pallido, sfigurato, dovette provare un senso di ribrezzo. Non si sarebbe potuto cam­biargli le vesti e presentarlo con un aspetto più decente? Dal momento che era lì, bisognava in­terrogarlo. "Lo interrogò con molte doman­de... C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza". Non è difficile immaginare che genere di do­mande rivolgesse Erode, e quali accuse ripetes­sero i Giudei; il primo interrogava per sua per­sonale curiosità, i secondi si accaloravano ripe­tendo le accuse presentate davanti a Pilato con diabolica malvagità. Tutti meritavano la mede­sima risposta: il silenzio. E Gesù la diede, per­ché sta scritto: "Ma Gesù non gli rispose nul­la". Dimostrava di sapere dinanzi a quale razza di gente si trovava: un re adultero ed omicida e una corte che adulava e plaudeva gli scandalosi. Tali persone non meritavano dav­vero di udire la voce di Gesù.
Considera. Né i disonesti, né i calunniatori, né i cu­riosi meritano di ascoltare la voce soave di Gesù. Cerca di conoscere qual è il motivo per cui il Signore, in certi momenti, non si fa sentire e non si rivela a te.
81. Trattato da pazzo
Erode restò deluso; neppure una sillaba poté udire dalla bocca di Gesù. Era perciò molto in­dispettito e, quasi per rifarsi dell'offesa subita, ordinò che il Salvatore fosse trattato come un pazzo. La veste bianca era, a quei tempi, anche il di­stintivo dei poveri dementi; Gesù venne co­stretto ad indossarla. "Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rive­stì di una splendida veste e lo rimandò a Pila­to". Fu come un segnale di derisione uni­versale. Erode, per primo, si prese gioco del Maestro e lo derise in tutti i modi; a lui fece eco l'intera corte con gli stessi soldati. I Giudei, che non aspettavano altro, subito ne seguirono l'esem­pio e, mentre con le funi gli stringevano i polsi, il collo e la vita, lo maltrattavano come dettava loro la rabbia. Infine Erode ordinò che Gesù fosse ricondotto a Pilato. Bisognò rifare la stes­sa via in mezzo ad un popolo che andava cre­scendo di numero rispetto a questo nuovo spettacolo di scherno.
Considera. L'Eterna Sapienza è tacciata di pazzia perché non acconsente alle pretese umane. Tu, pro­strato, adora questa Sapienza, e assoggettati umil­mente ai suoi imperscrutabili giudizi.

82. Ritorno da Pilato
Dall'alto della Torre Antonia, residenza del governatore romano, il centurione di guar­dia vide una turba avanzare tumultuosamente attorno ad un uomo biancovestito. Quando la folla si avvicinò e ne udì gli schia­mazzi e le ingiurie, comprese immediatamente di che cosa si trattava. Corse quindi ad avverti­re Pilato, che ne fu molto meravigliato. Con finta calma uscì dalla sua abitazione e discese nel Litostroto (che significa lastricato). La folla era arrivata e Pilato credette fosse giunto il momento più opportuno per liberare Gesù. "Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le au­torità e il popolo, disse: 'Mi avete portato que­st'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trova­to in lui nessuna colpa di quello di cui lo accu­sate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimanda­to. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente casti­gato, lo rilascerò' ". A questa proposta i Giudei tacquero, ma il loro silenzio indica­va che essa non piaceva affatto. Pilato lo capì subito, e andava escogitando in che modo po­tesse ugualmente liberare Gesù.
Considera. Pilato dichiara Gesù innocente, eppure lo vuole castigare. Sono questi i mezzi termini a cui ricorrono coloro che non vogliono compiere tutto il loro dovere: decidi, da parte tua, di evitarli sempre.
83. Gesù o Barabba?
Pilato si ricordò in tempo della consuetudine che avevano gli Ebrei, per le feste di Pasqua, di liberare un malfattore condannato a morte, chiunque egli fosse. Disponeva proprio allora di un famoso prigioniero chiamato Barabba; era stato incarcerato perché, durante una sommos­sa popolare, aveva commesso un omicidio. Il popolo cominciò appunto a chiedere al gover­natore ciò che sempre gli veniva concesso in questa particolare circostanza. Si presentò a Pi­lato l'occasione favorevole per liberare Gesù; l'astuto romano se ne volle servire, proponen­do al popolo la scelta fra i due: Barabba o il Sal­vatore. "Quindi, mentre si trovavano riuniti, Pilato disse: 'Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?'. Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia". Lasciando loro il tempo di riflettere, Pilato salì al Tribunale da cui doveva pronunciare la sentenza. Forse il popolo, davanti alla figura di Barabba sedizioso ed omicida, non avrebbe avuto difficoltà a reclamare la libertà di Gesù. Ma i capi dei Giudei, girando per la fol­la, la eccitarono a chiedere la liberazione di Ba­rabba.
Considera. La proposta di Pilato ai Giudei è quella che rivolge a se stesso il peccatore quando deve deci­dere tra il peccato e la grazia. Rifletti se hai mai fatto simile proposta e pèntiti di cuore.
84. Il messo di Procla
Durante questa breve attesa. Procla, moglie di Pilato, gli inviò un messo speciale che recava alcune tavolette plasmate di cera, sulle quali aveva scritto delle parole misteriose. Gli man­dava a dire di non impicciarsi delle cose di quel giusto, perché in sogno era stata molto turbata a causa sua. In poche parole, non doveva spor­carsi le mani in simile vicenda. Pilato rimase molto colpito dal testo di quel messaggio e crebbe in lui il desiderio di liberare Gesù ad ogni costo. "Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù". Solo una volontà energica avrebbe potuto trionfare di queste insidie, ma il governatore romano era un debole.
Considera. Dio manda a Pilato un ammonimento straordinario, perché si decida per la giustizia, ma egli non ne tiene conto. Lo imiti forse nel respingere le ispirazioni al bene?
85. "Vogliamo Barabba"
Lette le tavolette e ripresosi dalla prima impressione di sgomento, il procuratore lanciò uno sguardo alla turba e capì che era pronta a rispondere. Rivolse loro la stessa domanda. "Allora il go­vernatore domandò: 'Chi dei due volete che vi rilasci?' ". Un urlo feroce salì da quelle migliaia e migliaia di bocche. "Ma essi si mise­ro a gridare tutti insieme: 'A morte costui! Dac­ci libero Barabba!'. Questi era stato in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: 'Crocifiggilo! Crocifiggilo!'. Ed egli, per la terza volta, disse loro: 'Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò'. Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le lo­ro grida crescevano". Pilato non sapeva darsi ragione di questa osti­nazione della folla; per questo, temendo di es­sersi espresso male, ripeté quasi la stessa do­manda per ben tre volte. La folla, suggestiona­ta dai suoi capi, non era capace di dare altra ri­sposta. Povero popolo sempre ingannato dai sobillatori!
Considera. Fa paura l'ostinazione della turba nel chiedere la morte di Gesù. Ma fa anche spavento quel cristiano che rimane ostinato nella colpa.
86. Pilato si lava le mani
Si capiva che la folla era cocciuta nella sua in­credibile richiesta, per cui Pilato volle almeno compiere un atto pubblico che indicasse la sua innocenza nella condanna del Giusto. Parlò in segreto ad un ufficiale e gli ordinò di mandar­gli un servo con una catinella d'acqua. Fu ben presto obbedito. Pochi minuti dopo comparve un servo con l'oggetto richiesto e salì i gradini del tribunale. Il popolo sottostante era curioso di sapere dove andassero a finire quel breve si­lenzio, quel parlottare sotto voce, quel gesto del servo. Sconvolto, alterato e indispettito Pilato si ri­volse al popolo. "Pilato, visto che non ottene­va nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: 'Non sono responsabile - disse - di questo sangue; vedetevela voi!'". Uno scoppio di rabbia e di imprecazioni fu la rispo­sta di tutta la turba. "E tutto il popolo rispose: 'Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i no­stri figli'. E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedeva­no, e abbandonò Gesù alla loro volontà". Era finita per l'innocente Gesù!
Considera. Il proclamarsi innocente e il lavarsi le mani non impediscono a Pilato di essere colpevole. Una simile dichiarazione non servirà neppure a te per liberarti da quelle colpe di cui sei responsabile da­vanti a Dio.


VII - FLAGELLAZIONE
87. Diversi modi di flagellare
La liberazione di Barabba significava la rovi­na di Gesù. Preludio ordinario dell'esecuzione capitale era la flagellazione. Questo tormen­to veniva inflitto agli schiavi per castigarli o ai condannati a morte. Non era in tutto uguale presso gli Ebrei e presso i Romani: gli Ebrei non potevano dare più di quaranta colpi al ca­stigato e solo in determinate parti del corpo; per i Romani non vi era numero fisso e poteva­no colpire dappertutto. Gli strumenti usati era­no le verghe, o le fruste, rafforzate alle estremi­tà da almeno quattro staffili. Gli esecutori di questo supplizio potevano essere i littori, o i carnefici stimati fra i più ignobili. Ad essi era affidata la flagellazione quando veniva adope­rata la frusta. La tortura era orribile e poteva recare anche la morte. Gli staffili solcavano il corpo del paziente e stracciavano la carne, tra­sportandone dei brandelli fin dai primi colpi. Se non recava la morte, lasciava però sempre il corpo tutto pesto e lacerato.
Considera. Per intendere lo strazio procurato a Gesù nella flagellazione giova richiamare alla mente gli ef­fetti che producevano gli strumenti adoperati. Ricor­dati di essi quando contempli il Signore flagellato.
88. Quello usato con Gesù
Gesù fu flagellato con la frusta, all'uso roma­no, come si sarebbe flagellato uno schiavo giu­deo. Il Salvatore fu prima condotto a nord­est del pretorio, verso una colonna fissata al terreno e recante alla sommità un anello a cui si assicurava la vittima. Pilato, sebbene a ma­lincuore, pronunciò le parole consuete: "Va, o littore, legagli le mani, velagli gli occhi e colpi­sci con vigore e precauzione". Il suo ordine fu subito eseguito, e il verginale corpo di Gesù fu prima di tutto spogliato delle sue vesti. Benda­rono poi il volto al Salvatore, gli legarono le mani e lo assicurarono alla colonna che, essen­do bassa, costringeva il paziente a stare curvo. Anche gli esecutori erano pronti, armati della frusta coi quattro staffili, ritti in piedi e dietro la vittima. Mai come in questo momento Gesù poté meglio applicare a sé le parole del profeta: "Sono torturati i miei fianchi, in me non c'è nulla di sano. Poiché io sto per cadere e ho sempre dinanzi la mia pena".
Considera. Gesù soffre l'angoscia della nudità a cau­sa dei peccati contro la purezza. Compatisci il buon Gesù e promettigli una modestia angelica.
89. Come fu eseguito
Ad un cenno del procuratore, i carnefici "co­minciarono a colpire con lentezza, spaziando i colpi sulla carne palpitante, affinché nessun posto rimanesse privo di dolore. I solchi si av­vicinavano ai solchi, prima d'incrociarsi con ar­te studiata, scotendo tutto l'organismo con spaventevole commozione. Ben presto la pelle venne strappata e tolta a brani sanguinosi, e le costole, scavate dalle acute estremità degli staffili, mostrarono le ossa". Presto Gesù apparve come lo avevano predetto i profeti: dalla pianta dei piedi fino alla sommità del capo non si trovava una parte sana, sem­brava un lebbroso, un percosso da Dio, l'ulti­mo degli uomini. Il suo corpo viene ridotto ad una sola piaga, ad una figura di sangue; il san­gue scorre abbondante in terra, intride i flagelli, le vesti, le mani, la faccia dei carnefici.
Considera. Gesù è pesto e lacerato dai flagelli per i peccati d'impurità. Mira nelle sue piaghe la malizia del peccato impuro e piangi sui dolori del Salvatore.
90. Immerso nel sangue
Una sofferenza così spaventosa sarebbe stata sufficiente a dare la morte a Gesù, se Egli stes­so, con la sua divinità, non avesse sostenu­to la debolezza della sua umanità nel momento in cui poteva soccombere. Ma questo aiuto di­vino sosteneva l'umanità solo a sopportare le pene, non a diminuirle. Esse furono immense, peggiori della morte, superiori ad ogni umana immaginazione. Quando la flagellazione ebbe termine, Gesù, privo ormai di forze, affranto, si abbandonò al suolo, rosseggiante di sangue. Allora cessarono i colpi e i flagellatori, staccan­do Gesù dalla colonna, gli slegarono le mani e lo lasciarono steso a terra, finché riprendesse un po' di forza. Non esce un lamento dalla bocca dell'Agnello Divino nel luogo del suo macello, e lascia che le piaghe, il sangue, le la­crime e l'affannoso respiro parlino dell'atrocità dei suoi dolori. Appena sembrò che si ripren­desse, gli stessi carnefici lo rialzarono da terra, gli rimisero addosso le vesti (che si bagnarono subito di sangue) e stettero ad aspettare gli or­dini del procuratore.
Considera. L'Uomo-Dio vien meno sotto i flagelli per dar forza alla tua debolezza. Inginocchiati vicino a Lui, compatiscilo e fortificati nel suo prezioso san­gue.

VIII - CORONAZIONE DI SPINE
91. Coronato di spine
Probabilmente Pilato, ordinata la flagellazio­ne, si assentò e lasciò l'incarico al centurione. Quando finì il castigo, non era ancora ritor­nato, e allora i soldati ebbero un'idea crudele, che si accinsero ad attuare immediatamente. Si ricordarono che Gesù aveva affermato di esse­re un re e pensarono che conveniva burlarsi di lui consegnandogli una corona, uno scettro e un manto regale. "Allora i soldati del governa­tore condussero Gesù nel pretorio e gli radu­narono attorno tutta la coorte", cioè circa cinquecento uomini. Lo spogliarono di nuovo, gli legarono le mani e gli buttarono addos­so un manto rosso. Intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, infilandogli nella mano destra una canna, che doveva simboleg­giare lo scettro. In tal modo il re dei secoli, immortale e invisibile quanto alla sua divi­nità, divenuto mortale e visibile per l'assunta umanità, coperto da una clamide, coronato di spine, con la canna in mano, è trattato come un re da burla.
Considera. A Gesù si devono ogni onore e gloria, perché è il vero re dell'universo: Riconoscendogli questo titolo, pròstrati davanti a Lui, coronato di spine, e adoralo.
92. Dolori, sangue e obbrobri
Le spine penetrarono nel capo e nella fronte; da ogni parte si vedeva scorrere vivo sangue, che discendeva per i capelli e per la barba, macchiando il viso e velando gli occhi. Aggiun­gendo ai dolori la derisione e lo scherno, i sol­dati fecero sedere Gesù sopra un pezzo di co­lonna rovesciata, che doveva significare il tro­no. Naturalmente si moveva, rotolava e faceva cadere il Salvatore, che, con le mani legate, non poteva sostenersi. Ogni caduta era oc­casione di risate da parte dei presenti, e intanto spostava la corona di spine sulla testa. I soldati si affrettavano a rialzare il caduto e a rimetter­gli a posto la corona; anzi, perché non si mo­vesse più, levandogli di mano la canna, batte­vano con questa fortemente affinché le spine penetrassero meglio e non si movessero più. Verso Gesù ogni crudeltà era lecita.
Considera. Le spine pungono e penetrano l'adorabile capo di Gesù, che in tal modo sconta tutti i peccati di pensiero. Pèntiti amaramente se con essi hai coro­nato di spine il Signore.
93. Solenne derisione
Pensarono inoltre di dare alla derisione una forma più solenne, per osservare in tutto le più minute cerimonie che si usavano nell'incoro­nazione dei re autentici. I soldati si misero in ordine di marcia e, passando davanti a Ge­sù, si inginocchiavano e fingevano, sghignaz­zando, di adorarlo, mentre gli rivolgevano il saluto e gli dicevano: Salve, re dei Giudei. Al­cuni, più abietti, per meglio attirare l'attenzio­ne dei commilitoni, pronunziate le parole di saluto, sputavano addosso a Gesù. Altri lo urtavano e gli davano degli schiaffi; altri, infine, gli toglievano la canna e lo colpiva­no violentemente al capo. Lo stesso Vange­lo ci narra tutti questi atti di crudeltà, quasi per invitarci a riflettere ai molti altri che probabil­mente mise in atto simile gentaglia. Da parte di Gesù, né una parola né un gesto d'impazienza. Si limitava a lanciare qualche sguardo compassionevole a quegli sciagurati, lasciando scorrere abbondanti lacrime mesco­late al sangue, unico segno del suo immenso dolore.
Considera. I soldati passano davanti al Signore, schernendolo e compiendo ogni sorta di crudeltà. Passando innanzi a Lui spiritualmente, proclamalo il tuo vero re, e attestagli il tuo amore.
94. L'alto piano della Galleria
Era ora che lo scherzo crudele finisse. Ricom­parve finalmente Pilato e ordinò che gli venisse condotto Gesù. Dovette in cuor suo sentire viva la compassione nel vederlo ridotto in quello sta­to miserando, ma tacque, nella speranza che la turba sarebbe rimasta commossa a quella vista, e avrebbe così desistito dal chiedere la morte di Gesù. Pilato avanzò sull'alto piano della Galle­ria, verso la tribuna che sovrasta il grande arco di entrata, e dalla quale si poteva scorgere tutta la folla sottostante. A pochi passi di distan­za lo seguiva Gesù, condotto dai soldati, quasi nudo, coperto solo da quello straccio rosso, con le mani legate che sorreggevano una canna, co­ronato di spine, sfigurato dalle piaghe e dal sangue in tutto il resto della persona. Fu in tale occasione che Egli salì e poi discese quella scala che rese santa lasciando cadere il sangue che gli usciva da tutte le ferite.
Considera. Nessun uomo, ridotto allo stato in cui si trova ora Gesù, fu mai visto salire una scala per es­sere mostrato al popolo. Nel tuo spirito accompagna Gesù e bacia quei gradini che sono imporporati del suo sangue.

95. "Ecce homo"
La turba, che poco o nulla aveva veduto della flagellazione, e nulla sapeva dell'incoronazio­ne di spine e degli improperi dei soldati, stava aspettando con impazienza la ricomparsa di Pilato per udire da lui la formula rituale della definitiva condanna di Gesù a morte. Final­mente la stessa turba notò il movimento che si era creato sulla terrazza, poiché i soldati veni­vano ad occupare la loggia e lo stesso governa­tore, avanzando verso la balaustra, si dispone­va a parlare. La calma si ristabilì da una estre­mità all'altra della piazza, e tutti si disposero a prestare attenzione a quello che sarebbe suc­cesso, ignari certamente dello spettacolo che veniva loro riservato. "Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: 'Ecco, io ve lo conduco fuo­ri, perché sappiate che non trovo in lui nessu­na colpa'. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora". Termi­nato di parlare, Pilato fece avanzare verso la balaustra Gesù, prima tenuto alquanto indie­tro in modo che la folla non lo vedesse ancora. Presentandolo in quello stato compassionevo­le, disse con voce forte e commossa: "Ecce ho­mo! Ecco l'uomo".
Considera. Con le parole "Ecce homo" Pilato invita la folla a riflettere se è possibile temere ancora un uo­mo ridotto in quello stato. Ascoltando queste parole, fissa lo sguardo nel Signore e considera il suo infini­to amore.
96. "Crocifiggilo"
Calò un silenzio improvviso. Pilato contava su quel colpo di scena per pacificare le collere ed approfittare della compassione. Chi avreb­be potuto resistere alla subitanea apparizione di quello spettro sanguinolento? Quel capo cir­condato di spine; quel volto solcato dai colpi dello staffile, livido per gli schiaffi; quegli occhi semispenti da cui scorrevano le lacrime; quelle labbra pallide pronte ad esalare un ultimo re­spiro; quel petto ansante, dove la porpora del manto lasciava vedere orride ferite; quelle ma­ni legate, tra le quali ondeggiava una canna; tutto quell'assieme di dolori e di umiliazioni, misto di orrido e di ripugnante, eppure im­prontato di una maestà che sfolgorava su tutti come un raggio di sole che si posa sulle rovine: non era sufficiente per colpire gli spiriti e com­muovere i cuori?. Pilato s'illuse per un mo­mento che quel popolo non avrebbe più insisti­to nella sua ingiusta domanda. Anche i mem­bri del Sinedrio temettero in un cambiamento della folla; si affrettarono perciò a rompere quel silenzio con alti clamori. "Al vederlo, i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: 'Croci­figgilo, crocifiggilo!'". Erano i soli capi che rispondevano così. La folla taceva ancora, e Pi­lato volle approfittare di questo silenzio per re­plicare con disprezzo e stizza: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna col­pa". A questo punto la folla si riebbe dal suo stupore e, imbeccata dai capi, ricominciò i suoi urli. "Gli risposero i Giudei: 'Noi abbia­mo una legge e secondo questa legge deve mo­rire, perché si è fatto Figlio di Dio' ".
Considera. I Giudei hanno perduto ogni senso di pietà umana, perché si lasciano guidare dall'odio. Tu vigila su te stesso, per non essere mai trascinato da questo vizio.
97. "Tu non avresti nessun potere"
Udendo dai Giudei che Gesù si era dichiara­to Figlio di Dio, Pilato "ebbe ancor più paura". Entrò subito nel pretorio e si fece condurre Ge­sù. Da solo a solo lo interrogò: "'Di dove sei?'. Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allo­ra Pilato: 'Non parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?'". Il governatore che così parlava e credeva di avere pieni poteri sul Figlio di Dio, si ingannava, perché ignorava i segreti consigli della giustizia e della misericordia divina verso l'umanità. Il Signore lo volle disingannare. Ri­spose Gesù: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande". Una tale risposta, data con calma e maestà divina da uno che era legato, coronato di spine, ferito dai flagelli, agi­tò maggiormente il governatore che, non sa­pendo come proseguire, volle tentare ancora una volta di muovere a compassione la folla. "Da quel momento Pilato cercava di liberarlo".
Considera. All'udire le parole di Gesù, Pilato teme ma non risolve. Tu invece, al suono delle divine pa­role, prendi la necessaria risoluzione per osservarle.
98. "Ecco il vostro re"
Ritornò alla tribuna, ma non ebbe neppure il tempo di aprire bocca perché la gente si mise a gridare: "Se liberi costui non sei amico di Ce­sare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare". L'astuzia dei capi dei Giudei ave­va trionfato. Mentre infatti Pilato parlava se­gretamente con Gesù, essi avevano persuaso il popolo di gridare queste parole di minac­cia contro il procuratore romano, nel caso aves­se persistito nella volontà di liberare Gesù. Pi­lato, udendo che lo minacciavano, "barcollò come colpito da folgore, e per un istante non vide più nulla". Si prospettava l'accusa di opporsi a Cesare: ciò significava cadere in di­sgrazia e venire giustiziato. Indispettito, risalì immediatamente il tribunale, si fece portare Gesù, rimasto indietro fra le mani dei soldati, e, prendendo in senso ironico le parole pro­nunciate dal popolo, lo mostrò dicendo: "Ecco il vostro re!". Essi, comprendendo l'ironia, urlarono arrabbiati: "Via, via, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in croce il vostro re?". Gli risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare". Il procuratore comprese che era vana ogni spe­ranza di salvare Gesù. Era costretto a pronun­ciare la condanna, per non correre il rischio di inimicarsi l'imperatore.
Considera. Il timore di Cesare fa dimenticare a Pila­to il dovere della giustizia. Vigila per non lasciarti vincere dal rispetto umano a scapito dei tuoi doveri.

IX - CONDANNA A MORTE E VIAGGIO AL CALVARIO
99. La condanna
Con l'ultima risposta data dai Giudei a Pila­to, il popolo di Dio aveva cessato di esistere per ammissione degli stessi suoi pontefici. Ve­niva abolita la loro vecchia teocrazia. Quei fieri patrioti, che pochi giorni prima avevano decre­tato la morte di Gesù per timore che venissero i Romani a impossessarsi totalmente del lo­ro regno, domandavano ora d'essere confusi con gli altri popoli, schiavi dell'impero. Pur di sopprimere Gesù Cristo, dichiararono ufficial­mente di appartenere solamente a Cesare. Pila­to accettò questa dichiarazione e, nonostante i rimorsi di coscienza e l'intima persuasione del­l'innocenza dell'accusato e dell'odio dei Giu­dei, si piegò a pronunciare la sentenza di mor­te contro il re di Israele. Erano quasi le ore 11 del mattino e il procuratore, rivolto al Si­gnore, dal suo seggio di giudice recitò a voce alta la formula usuale: "Ibis ad crucem. Andrai alla croce". Poi, rivolto ai littori presenti, disse allo stesso modo: "Va, o littore, prepara la croce". E subito, disceso dai gradini del tribuna­le, risalì lo scalone di marmo e si ritirò nei suoi appartamenti, persuaso di aver condannato un giusto e di essere complice nella sua morte.
Considera. L'uomo doveva essere condannato, e in­vece viene condannato Gesù. Ringrazialo di cuore e promettigli riconoscenza.
100. Il titolo
Pronunciata la sentenza, Pilato consegnò Gesù nelle mani dei Giudei, abbandonandolo alla loro volontà, perché fosse crocifisso. Al­lora i soldati slegarono le mani a Gesù, gli tol­sero la canna, la clamide e la corona di spine, e gli rimisero le sue vesti, perché tutti cono­scessero bene, durante il viaggio, chi era il con­dannato a morte. Poi gli fu rimessa in capo la corona di spine, rinnovandone gli atroci strazi: "Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo con­dussero fuori per crocifiggerlo". La croce era là vicino già preparata; mancava solo il tito­lo e l'iscrizione indicante la causa della con­danna. L'ufficiale andò dal procuratore con la tavola dipinta in bianco, e gli chiese che cosa vi doveva scrivere. Pilato rispose: "Scriveteci: Gesù Nazareno, re dei Giudei". Allora l'uffi­ciale per comodità delle genti d'ogni nazione, che in quei giorni si affollavano a Gerusalem­me per la Pasqua, scrisse quelle parole in ebrai­co, greco e latino. Così tutto era pronto per il viaggio al Calvario, luogo destinato al suppli­zio dell'Uomo-Dio.
Considera. Nonostante l'odio dei nemici, il titolo dice chiaro che Gesù è re. Sottometti a Lui tutto te stesso e obbediscilo sempre.
101. La croce
Rivestito delle sue vesti, con la corona di spi­ne in capo, la corda al collo e attorno alla vita, Gesù venne condotto dov'era preparata la cro­ce, perché se la caricasse sulle spalle e la por­tasse al luogo del supplizio. Le croci erano molto pesanti, dovendo sostenere un corpo umano. Perciò il condannato non era costretto a portare la croce intera, ma solo la parte tra­sversale. La croce era composta di due pali: quello verticale raggiungeva l'altezza di circa tre metri. Gesù fu caricato del legno trasversale, a cui gli furono legate le braccia: i polsi, fissati al palo dalle corde, più tardi sarebbero stati inchiodati allo stesso punto. Il Signore non diede alcun segno di ripugnanza, anzi sembrò che non avesse mai desiderato altro nella sua vita. Vide giunto il momento di dimostrare coi fatti quanto aveva insegnato ai discepoli: era necessario che prendessero la loro croce e lo seguissero. Prese con amore e con gioia la sua croce, vedendo in essa il segno del suo trionfo e lo strumento di salvezza eterna per innumerevoli anime.
Considera. Gesù t'insegna che devi abbracciare vo­lentieri la tua croce. Vedi se ti sottoponi ad essa come vuole il Maestro.
102. Il luttuoso corteo
Portando la sua croce, s'incamminò verso il luogo detto del Calvario, in ebraico Golgota. Carico del pesante e ingombrante legno e curvo sotto di esso, Gesù mosse lentamente i primi passi e arrivò sotto il grande arco della Torre Antonia, sulla sommità del ripido pendio, da cui poteva dominare tutta la molti­tudine. Un grido di gioia feroce uscì da quelle bocche, che tanto avevano insistito presso Pilato per­ché condannasse Gesù. Finalmente lo vedeva­no portare lo strumento del suo supplizio, ed esultavano crudelmente. Il funesto corteo si fermò regolarmente e si avviò. Precedeva il Centurione, come prescriveva la legge roma­na, seguito dalla sua compagnia, che doveva stare attorno al condannato; poi veniva Gesù, fiancheggiato da due ladroni, anch'essi con­dannati alla morte di croce. Da una parte stava l'araldo che reggeva i cartelli sui quali erano in­dicate le cause della condanna; dava fiato alla tromba per farsi largo. In coda seguivano i sa­cerdoti, gli scribi, i farisei e la folla tumultuante.
Considera. Gesù muove i primi passi sulla via del Calvario. Avvicinandoti a Lui, pensa di ascoltare le parole: "Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua.

103. Prima caduta
Bisognava discendere per lo stesso pendio, che terminava sulla strada costeggiante il fon­do della valle del Tyropeon. Questa discesa fu molto dolorosa per Gesù. Il Maestro, già inde­bolito da tante sofferenze, si trascinava inciam­pando sui sassi. Gli urti lo facevano barcollare, fra gli scherni, il fango e le pietre che la folla lanciava contro di lui. Altre spinte gli veni­vano dalla turba circostante, che i soldati non sempre riuscivano a tenere a freno. Era facile prevedere una prossima caduta del paziente. Infatti Gesù, giunto quasi in fondo al pendio, urtato in tanti modi, estenuato dalla fatica, cadde miseramente a terra, rima­nendo sotto il peso della croce e bagnando del suo sudore, delle sue lacrime e del suo sangue la polvere della strada. Le mani, legate al palo trasversale, non gli permettevano di ripararsi e di attenuare l'urto della dolorosa caduta. Ap­parve allora così indifeso, così spossato, che si dubitava potesse continuare il cammino. Tut­tavia nessuno si mosse a compassione di lui. Dopo averlo rialzato, lo costrinsero impietosa­mente a continuare verso il supremo olocau­sto.
Considera. Gesù cade, ma non si lamenta, e ripren­de il cammine. Cerca di imitarlo in questa rassegna­zione quando, nella prova, ti sembra di non avere più la forza di sopportare.
104. La casa della Madre
La benedetta Madre di Gesù, dopo il com­movente addio dato al Figlio, lo aveva certa­mente seguito in spirito dovunque, dal cenaco­lo fino alla via del Calvario, sulla quale ora si trovava. Aveva spiritualmente assistito ai suoi singoli dolori, specie all'agonia nell'orto, al tra­dimento, alle derisioni, agli schiaffi, alle per­cosse, alla flagellazione, all'incoronazione di spine, alla condanna. Aveva ricevuto nell'ani­ma sua, in modo misterioso e come di riverbe­ro, tutte le pene che soffriva l'amato Figlio, di­venendo così, prima di ogni anima eletta, la co­pia più fedele dell'Unigenito del Padre. Non si può pensare diversamente, quando si rifletta all'unione naturale e divina che sussisteva tra Maria e Gesù. Con tutta probabilità essa fu presente anche di persona nei momenti più dolorosi della Passione, poiché aveva la sua dimora in Gerusalemme, e per il titolo di donna e di Madre non doveva esserle così difficile e pericoloso seguire Gesù. Ad ogni modo, anche stando in casa sua, poté udire il formidabile urlo dei Giudei, quando videro Gesù con la croce sulle spalle uscire dall'arco della Torre Antonia e avviarsi al supplizio. Comprendendo allora che per il suo amatissi­mo Figlio tutto era finito, si preparò a incon­trarlo lungo il tragitto per dargli un ultimo ad­dio.
Considera. Maria Santissima, più di chiunque al­tro, sente in sé riprodotta, per forza di amore, la pas­sione di Gesù. Pregala perché ti ottenga la grazia di imitarla nel compatire sinceramente il Signore.
105. L'incontro con la Madre
Aiutato dai soldati, Gesù si alzò, continuan­do lentamente e faticosamente il doloroso viag­gio. Il corteo, finita la discesa, svoltò a sinistra per una strada dritta e piana. Intanto il Salva­tore avanzava in silenzio e curvo sotto il peso, con le vesti sporche e grondanti sangue. Ad un tratto, davanti ad una porta, sorretta da alcune pie donne, Gesù vide sua Madre che pian­geva e tendeva le sue braccia materne verso di lui. Gli occhi del Figlio si incontrarono con quelli della Madre, ma soprattutto si incontra­rono il cuore e l'anima. Nessuno potrà mai dire quale dolore provassero entrambi in quel mo­mento. Esso fu tale che impedì loro di articola­re parola. La benedetta Madre, non potendo reggere alla vista dello stato in cui si trovava il Redentore, svenne tra le braccia delle pie donne. Gesù, sotto il peso di quest'altro dolo­re, dovette riprendere il cammino. Alla folla e ai carnefici non importava niente delle soffe­renze dell'uno e dell'altra.
Considera. Lo sguardo di Gesù ferisce il cuore di Maria, e lo sguardo di Maria ferisce quello di Gesù. Domanda loro che ti commuovano il cuore di com­passione per essi e di dolore per i tuoi peccati.


106. Il Cireneo
Il Calvario si faceva più vicino. A destra della strada, dove Gesù si era incontrato con sua Madre, si apre un sentiero ripido, stretto, sassoso, che sale fino alla porta Giudiziaria, la più importante della città. Era la via obbligato­ria per arrivare al luogo della crocifissione. Ge­sù appariva agli occhi di tutti, particolarmente del Centurione, così affranto e sfinito, che giu­stamente si dubitava potesse percorrere con la croce quell'erta salita. Per alleggerirlo del peso "costrinsero un tale che passava, un certo Si­mone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce". Il Salvatore poteva così camminare più speditamente, senza troppi disagi. È facile im­maginare la stizza e la rabbia del povero Cire­neo che lo seguiva, costretto dalla violenza dei soldati a portare pubblicamente un peso tanto umiliante. Solo in seguito, quando divenne cri­stiano, capì l'onore che gli era stato fatto, e al­lora probabilmente ringraziò mille volte il Si­gnore.
Considera. Chi non conosce ancora la preziosità del­la croce, la porta malvolentieri. Cerca di intenderne il prezioso dono e di apprezzarlo.


107. La pia Veronica
È tale la strettezza della via per cui sale il cor­teo, che vi possono passare appena tre o quat­tro persone insieme. La turba si trova quindi a disagio, e avanza a spintoni, costretta in tal modo a diminuire la sua attenzione verso il di­vin Redentore. È il momento opportuno per qualche anima buona, che può liberamente dimostrare compassione verso Gesù con le pa­role o con i gesti. La tradizione ci fa appunto assistere ad uno di questi atti pietosi. Una pia donna, chiamata Veronica (o Berenice), era uscita sulla soglia della sua casa, mentre passava Gesù. Vedendolo sfigurato dai dolori, fu presa da viva compassione per lui, e deside­rò asciugargli il sudore e pulirgli il volto. Senza indugio prese un largo e bianco fazzoletto e lo porse a Gesù, che lo accettò con gratitudine, se ne servì e lo restituì alla caritatevole donna. La Veronica, ritiratasi subito in casa e chiuso l'u­scio mentre passava la moltitudine, spiegò il fazzoletto per osservarlo e, con stupore e gioia, vide impresso su di esso il volto mansuetissi­mo del Signore. Lo ripose religiosamente ed uscì per seguire il Salvatore fino al Calvario.
Considera. La Veronica, come premio della sua com­passione, ricevette in dono l'immagine del Volto Santo. Meditando le pene del Signore, sforzati di imprimerle nel tuo cuore.
108. Alla Porta Giudiziaria
Tutto questo era avvenuto molto rapidamen­te, e gli stessi soldati se ne accorsero a cose fat­te. Si indispettirono, giudicando sconveniente un gesto di compassione e di bontà verso quel­l'uomo, ritenuto un pubblico seduttore e già condannato a morte. Pensarono allora di trat­tarlo con maggiore brutalità, quasi per punirlo del pietoso atto da lui volentieri accettato. Tol­sero la croce dalle spalle del Cireneo e la ricol­locarono su quelle di Gesù, lasciando libero Si­mone, che approfittò del momento propizio per sfuggire rapidamente agli sguardi e agli scherzi ironici di quella turba. Il corteo arrivò alla Porta Giudiziaria, dove era necessario so­stare per udire l'ultima lettura della sentenza di morte. Si era sempre fatto così anche per gli altri condannati, e non si volle certa­mente fare un'eccezione per Gesù e per i due ladroni che lo fiancheggiavano. Era quello il luogo più adatto per dare pubblicità alla con­danna. Specialmente in quel giorno, sotto la famosa porta, dovevano passare i viaggiatori prove­nienti da Damasco, da Joppe (l'attuale Tel Aviv-Giaffa), da Betlemme e da Gaza. Il corteo si fermò, e con la dovuta solennità si rilesse ad alta voce la sentenza di morte, che Gesù ascol­tò nell'atteggiamento più mansueto, mentre la folla lo scherniva e insultava.
Considera. Quando si tratta di fare un dispetto a Gesù, per i nemici ogni pretesto e ogni luogo sono buoni. Tu, al contrario, serviti volentieri di ogni motivo per ossequiarlo.


109. Seconda caduta
Terminata la breve cerimonia, si proseguì il cammino. A un certo punto la strada svolta a sinistra e, dopo un breve tratto, incomincia l'ultima salita. Prima di giungervi, Gesù si seri­ti mancare e cadde improvvisamente a terra, senza che i soldati si accorgessero in tem­po del pericolo. Invece di compassionarlo, si spazientirono e lo spronarono a rialzarsi da so­lo. Appariva chiaro che non ne aveva più le forze. Probabilmente si pentirono di aver la­sciato libero troppo presto il Cireneo ed avreb­bero volentieri caricato la croce ad un altro, se tutti i presenti non avessero preferito la morte piuttosto che portare quello strumento. Dovet­tero rassegnarsi a rialzarlo, prendendolo sotto le ascelle. Il doloroso viaggio riprese. L'addo­lorata Madre e le pie donne avrebbero volen­tieri preso la croce su di sé, se fosse stato lecito. Ma i soldati non avrebbero mai permesso che il condannato fosse sostituito da una donna, e tanto meno dalla madre.
Considera. Gesù cade la seconda volta e nessuno ha pietà di Lui. Avvicinati al Signore con fede e offriti di prestargli aiuto.


110. Le donne piangenti
Dopo pochi passi la strada svolta verso il Cal­vario, e qui un gruppo di donne caritatevoli si era fermato in attesa del passaggio di Gesù. Avevano già visto quali crudeli maltrattamenti gli erano riservati; quando il Signore si avvici­nò ed esse videro in quale stato era ridotto, fu­rono incapaci di trattenere ancora le lacrime, i singhiozzi e i lamenti, e li espressero libera­mente, nonostante la proibizione legale e il pericolo a cui si esponevano. "Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si batteva­no il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Ge­sù, voltandosi verso le donne, disse: 'Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mam­melle che non hanno allattato. Allora comince­ranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?'". Era la pri­ma ed unica volta che parlava durante il viag­gio, e per questo aveva dovuto alzare il suo ca­po coronato di spine e fissare il suo sguardo af­fettuoso, triste, velato di lacrime e di sangue, su quel gruppo di donne pietose. Le sue parole erano una profezia, di cui le donne, e una par­te dei presenti, avrebbero visto il compimento dopo pochi anni.
Considera. Gesù gradisce la compassione nei confronti dei suoi dolori, ma desidera molto di più che si tolga la causa di essi. Rifletti se, compatendo Ge­sù, ti riveli sollecito di emendarti dei peccati, causa delle sue sofferenze.


111. Terza caduta
Pronunciate le parole alle pie donne, Gesù proseguì stentatamente il viaggio e arrivò all'i­nizio dell'ultima e più erta salita, dove doveva cadere molto più malamente per la terza ed ul­tima volta. Il Calvario, nella sua forma primiti­va, senza le modificazioni apportate in seguito, era un poggio roccioso, alto pochi metri. Formava nel suo insieme una specie di pro­montorio limitato, su tre lati, da fossi di diver­sa misura. Vi si ascendeva per una strada mol­to ripida, solo da sud-est. Quando Gesù stava per incominciare quest'ultimo tratto in salita, le forze non gli ressero più e con la croce cadde pesantemente per terra. Forse i soldati lo credettero morto; ma quando videro che respi­rava ancora, pur non cessando di insultarlo, capirono che non era il caso di esigere da lui nuovi sforzi, per i pochi passi che ancora resta­vano. Lo rialzarono, e, portando di peso lui e la croce, lo trascinarono sulla cima. Il Dio della fortezza, vestito della nostra umanità, non poteva più reggersi da solo.
Considera. Gesù non ne può più, cade ma non si lamenta. Ciò t'insegna a patire e a tacere fino al com­pleto sacrificio.


X - CROCIFISSIONE
112. Preparativi
A sinistra della cima del Calvario esisteva una fossa, con una lunga pietra nel fondo. Tale pietra presentava due buchi, in ciascuno dei quali poteva passare un piede umano. Qui venivano calati i condannati e quando i loro piedi si erano infilati nei buchi, venivano assi­curati con funi al di sotto della pietra. Era una precauzione presa perché i condannati non scappassero mentre si approntavano le cose necessarie per il loro supplizio? Non lo sappia­mo con certezza. Ad ogni modo quella precau­zione non si rivelava necessaria nel caso di Ge­sù, che era arrivato lassù in uno stato di sfini­tezza estrema. Eppure la tradizione ha indicato quella fossa come il luogo dove il Salvatore fu posto, mentre i carnefici preparavano il terreno in cui piantare la croce. Nessuna crudeltà do­veva essere omessa. Il Signore, intanto, dal fondo di questa specie di prigione, udiva le gri­da dei soldati, le bestemmie dei ladroni, e il tu­multo della folla costretta dalle guardie a fermarsi più in basso.
Considera. Per tuo amore Gesù è calato in quella fossa come in una prigione. Per amore suo sappi sta­re ritirato e santamente imprigionato dai legami del dovere.
113. Le donne sul Calvario
Le pie donne, che poco prima avevano com­patito Gesù, avrebbero voluto, insieme con la Madre ed altre devote persone, essergli vicine per confortarlo, almeno con il loro pianto. Fu­rono tutte tenute a distanza e dovettero fer­marsi in gruppo separato, a mezza strada tra il Calvario e il sepolcro di Giuseppe d'Ari­matea. Ce lo fa capire il testo evangelico, che nomina alcune di queste caritatevoli donne. "Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. Tra esse Maria di Magdala, Maria madre di Giaco­mo il minore e di Joses, e Salome, la madre dei figli di Zebedeo e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme". Ma soprattutto c'erano la sua benedetta Madre, la più addolo­rata di tutte, l'apostolo Giovanni, Giovanna di Cusa e la laboriosa Marta, che non poteva mancare in un momento così solenne in cui le anime affezionate davano a Gesù l'ultimo attestato di ammirazione e di affetto. Sebbene per la lontananza potessero vedere ben poco di quello che si stava svolgendo attorno all'adora­bile persona del Redentore, ne indovinavano facilmente le sofferenze e tutte piangevano amaramente.
Considera. La turba dei nemici è numerosa, ma il Si­gnore ha vicino la Madre e un gruppo di persone che lo amano e lo compassionano. Il tuo posto è con que­ste: sappi versare con loro lacrime di dolore.


114. La bevanda di fiele
Appena i carnefici ebbero terminato i prepa­rativi per le tre esecuzioni, e cioè i buchi per le croci, i chiodi, le corde ed altri oggetti necessa­ri, tolsero Gesù dalla fossa e lo condussero a pochi passi di distanza perché fosse spogliato. Prima di procedere a questo i Giudei ave­vano la consuetudine di offrire ai condannati una bevanda, che aveva lo scopo di stordirli, una specie di anestetico che permetteva loro di sopportare meglio i tremendi dolori della croci­fissione. Quest'atto di pietà veniva sempre compiuto da donne misericordiose, che s'inca­ricavano di preparare la bevanda e di offrirla ai giustiziati. Con Gesù si volle che l'azione pie­tosa non fosse disgiunta dalla crudeltà. Non furono la Madre o le pie donne a porgergli la bevanda, ma i soldati, sempre pronti a beffarsi del paziente. La bevanda stessa era stata alte­rata con amarissimi ingredienti. Troviamo in­fatti scritto: "E gli offrirono vino mescolato con mirra. Gli diedero da bere vino mescolato con fiele". Gesù non volle bere. "Ma egli, as­saggiatolo, non ne volle bere". Assaggian­do la bevanda, si amareggiò la bocca, e ne fu tutto disgustato; rifiutandosi di berla, respinse il sollievo che essa poteva procurare. Colui che era venuto per soffrire volontariamente per la redenzione dell'umanità, non voleva morire in uno stato di sopore e d'incoscienza. Gesù vole­va compiere il suo atto sublime con estrema lu­cidità.
Considera. La bocca divina di Gesù è amareggiata dal fiele per scontare i peccati di gola. Vigila su que­sto senso e sappi mortificarlo.


115. Spogliato dalle vesti
Il condannato alla croce doveva esservi con­fitto nudo, privo di ogni indumento. Gesù fu trattato come tutti, senza eccezione. I carne­fici afferrarono la vittima divina e la spogliaro­no con la solita loro ruvidezza, senza alcun ri­guardo alle molteplici piaghe di quel corpo im­macolato. Gli tolsero dal capo la corona di spi­ne, per rimettergliela subito dopo; gli sfilarono poi la veste esterna e quella inconsutile. Gesù apparve agli occhi dei presenti nudo, scorticato dai flagelli, con le piaghe sanguinolente, quasi tutte riaperte per lo strappo delle vesti. Il suo indumento è veramente rosso e la sua veste è aspersa di sangue, perché solo di sangue è rivestita l'assunta umanità. Egli patisce im­mensamente vedendosi così umiliato e il rosso­re verginale che si diffonde sul volto indica la sua interna afflizione. Non è necessario pensa­re che gli venisse tolta anche la cintura renale. Anche se i soldati gliela tolsero, la tradizione ci assicura che una mano pietosa gli cinse un pannolino attorno alla vita e lo ricoprì.
Considera. Gesù si assoggetta nuovamente alla tor­mentosa ignominia della spogliazione, per meritarti la veste della grazia nella vita presente e quella della gloria nella vita futura. Sii riconoscente a Lui, pro­mettendo di conservare sempre candida la veste della grazia, per meritare così quella della gloria.


116. Il supplizio della croce
Questa tremenda e feroce condanna ha origi­ne dalle sponde dell'Eufrate, dove fu usata la prima volta e da cui si diffuse in molte nazioni. Ai tempi dei Romani era conosciutissima e adoperata nei casi stabiliti dall'uso o dalla leg­ge. La forma della croce non fu sempre la stessa. Prima era un palo o tronco a cui veniva in­chiodato il colpevole per le mani e per i piedi. In seguito si aggiunse alla parte superiore del tronco una traversa, che più tardi venne al­quanto abbassata, dando origine alla croce lati­na, che lascia la parte superiore dell'asta libera per attaccarvi la sentenza di morte. Il supplizio della croce era riservato agli schiavi e ai malfat­tori della peggiore specie, e infliggeva quindi al condannato una particolare nota d'infamia, to­gliendogli quasi la dignità di uomo e privando­lo d'ogni diritto alla compassione altrui. Con­tro di lui era lecito l'insulto anche nel momento della sua agonia. Era il più crudele di tutti i supplizi e, naturalmente, il più spaventoso. La storia non ne ricorda di più atroci e la bestia umana non ne poteva concepire di peggiori. Il condannato era prima spogliato delle sue vesti, poi adagiato sul legno, con le braccia distese, tenuto fermo da lacci che paralizzavano la sua resistenza. Ciascun polso e i piedi, che veniva­no uniti, erano forati da un chiodo dalla testa larga, per evitare gli sdrucciolamenti che il pe­so del corpo avrebbe potuto produrre quando veniva innalzata la croce. La posizione del pa­ziente era intollerabile; le contorsioni e gli sfor­zi che ne seguivano potevano procurare vaste lacerazioni ai polsi e ai piedi. Egli poteva so­pravvivere più giorni, a seconda delle sofferen­ze subite in antecedenza. A volte veniva assali­to dalle belve, che ponevano termine ai suoi giorni divorandolo.
Considera. Per meglio comprendere le pene di Gesù in croce, richiama alla tua mente gli orrori del sup­plizio che è stato appena descritto. Serviti di tale co­gnizione per piangere sulla sorte di Cristo.
117. "Là crocifissero lui"
Gesù fu sottoposto ad un supplizio così cru­dele! Spogliato delle sue vesti, e condotto vici­no alla croce stesa per terra, Egli piegò il fian­co, si voltò supino, senza pronunciare un la­mento o una parola, stese le sue mani e i suoi piedi. La vittima era pronta ad immolarsi e il boia poteva adempiere il suo compito. Allora la mano destra venne appoggiata all'estremità della traversa, e un carnefice la fissò d'un col­po secco con un chiodo a quattro capi, lungo dieci centimetri, la cui vista fa ancora raccapric­ciare. Il sangue sprizzò, le dita si contrasse­ro, e dalle labbra della vittima sfuggì un gemi­to. Con un secondo colpo la mano sinistra ven­ne fissata all'altra estremità dell'asse trasver­sale. Un'orribile convulsione scoteva il suppliziato mentre si disponevano le gambe, piegate a me­tà, sul tronco dell'albero maledetto, sul quale Gesù venne issato, appena gli inchiodarono le mani. Mentre una pressione brutale teneva fer­mi i piedi al posto indicato, i martelli conficca­rono l'ultimo chiodo. Tutto il corpo si contorse in un supremo sfor­zo, cercando su quel letto funebre una posizio­ne meno dolorosa. Il petto si dilatò per aspirare l'aria, mentre la testa si rovesciò con un movi­mento convulso, che distese le braccia ed im­presse loro a vicenda una terribile scossa. Poi la convulsione fece abbassare le reni e ripiegare le ginocchia. Il cuore batteva con violenza. La bocca emetteva rantoli e singhiozzi. Grosse la­crime solcavano le guance, mentre gli occhi spalancati invocavano un po' di compassione e di sollievo. Poi seguì l'accasciamento. Il croci­fisso sembrava svenire e perdere coscienza del suo misero stato. Il capo si curvò, le lacrime si inaridirono, le membra si distesero, per quanto era possibile.
Considera. Quelle mani che ti hanno creato, quei piedi che si sono stancati per cercarti, ven­gono confitti in croce. Avvicinandoti al Salvatore, bacia con affetto quelle sante piaghe.
118. Gesù innalzato sulla croce
Abbiamo già detto che la vittima santa, appe­na gli furono fissati i polsi al legno trasversale, venne issata sul palo verticale, già sistemato in precedenza nel buco appositamente scavato. La rudezza dei carnefici procurò al Signo­re altri urti ed altri strazi. Il divino paziente fu a lungo tormentato prima che gli inchiodassero i piedi al palo fissato sul terreno. Gesù batté più volte col capo coronato di spine sul tronco principale della croce, mentre le ferite delle mani, lacerate dalla violenza dei movimenti, lasciavano scorrere rivoli di sangue. I gemiti insopprimibili del Salvatore non com­mossero il cuore degli aguzzini, intenti a fissa­re bene il corpo e a terminare la feroce esecu­zione. Quando fu tutto concluso, si permise al­la folla di avvicinarsi a contemplare comoda­mente i suppliziati. Anche il gruppo delle pie donne, con la Madre di Gesù, si avvicinò, aspettando che la turba si dileguasse per racco­gliersi attorno al Signore.
Considera. Gesù è innalzato sulla croce, dalla quale chiama ogni creatura a sé. Ascolta la sua voce, avvicinati a Lui e non staccarti mai più.
119. Beffe crudeli
Era circa mezzogiorno quando fu croci­fisso Gesù. Il sole avrebbe dovuto raggiungere il suo massimo splendore; invece, a poco a po­co, il cielo si andò oscurando, con la minaccia di mutare il giorno in notte fonda. I membri del Sinedrio e la folla, avidi di osservare i giustizia­ti, e particolarmente Gesù, inizialmente non diedero importanza all'oscuramento, pensan­do solo a dare libero sfogo al loro odio contro il Salvatore e prorompendo in insulti e beffe. Riportiamo ciò che ci fu trasmesso dagli Evan­gelisti. "Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano... E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: 'Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!'. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: 'Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crede­remo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!'. Anche i ladroni crocifissi con lui lo ol­traggiavano allo stesso modo. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porger­gli dell'aceto, e dicevano: 'Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso'". Così ai piedi della croce era rappresentato ogni ordine di cit­tadini (il religioso, il militare, il popolano) e ognuno aveva un insulto particolare da lancia­re contro l'agonizzante Signore, che moriva per essi.
Considera. Si uniscono ai nemici di Gesù per insul­tarlo sulla croce tutti coloro che gli negano fede ed obbedienza. Rifletti come tu stesso ti sei comportato, confonditi ed emendati.


120. "Ciò che ho scritto, ho scritto"
Altre due croci erano state contemporanea­mente erette vicino a quella di Gesù. Vi erano stati inchiodati i due ladroni condannati allo stesso tormento, uno a destra e l'altro a si­nistra del Redentore. Il posto centrale, stimato il più disonorante, era occupato da Gesù, al cui riguardo si compiva la profezia di Isaia che di­ceva: "E’ stato annoverato fra gli empi". Sopra la testa di ciascun crocifisso era stata fis­sata la tavoletta che indicava la causa della con­danna. "Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce... Al di sopra del suo ca­po posero la motivazione scritta della sua con­danna: 'Gesù il nazareno, il re dei Giudei'". I membri del Sinedrio, intenti com'erano ad insultare Gesù, non avevano notato subito quelle parole. Ma, una volta sotto la croce, ne rilevarono il significato umiliante per la loro nazione, si preoccuparono e decisero di far to­gliere quella scritta. "Molti Giudei lessero que­sta iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco". I sommi sacerdoti inviarono allora una delegazione a Pilato: "Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei". Ma il procuratore, ancora angosciato per quello che gli avevano fatto decidere contro coscien­za, rispose seccamente: "Ciò che ho scritto, ho scritto". E non volle sentir parlare di cambia­mento.
Considera. I Giudei non vogliono che si dica che Ge­sù è il loro re, e per questo sono riprovati da Dio. Tu, invece, gloriati di essere suddito di Gesù e di ob­bedire sempre alla sua volontà.
121. Divisione delle vesti
Intanto i soldati si erano fatti in disparte, a sud-est del Calvario, per dividersi gli indu­menti dei condannati, come permetteva l'uso del tempo, o meglio il diritto allora vigente. Di­vise tra loro le vesti dei due ladroni, si accinse­ro a fare lo stesso con quelle di Gesù: la tunica, la veste esterna, la cintura, il mantello, la fascia del capo, i sandali. "I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: 'Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi toc­ca' ". E giocando ai dadi la sorteggiarono. "Così si adempiva la Scrittura: Si son divi­se tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così". Poi il Centurione, seguendo le prescrizioni, raccolse i suoi soldati e ne mise quattro attorno ad ogni croce, con a capo un decurione, perché difen­dessero i crocifissi dagli eccessi della folla. Pre­cauzione non inutile, poiché, se i ladroni ave­vano poco da temere, non era così per il Re­dentore. Infatti su di lui i nemici non cessava­no di scaricare i loro oltraggi e di manifestare il loro odio, che andava crescendo con il cresce­re delle sofferenze di Gesù.
Considera. La fede, simboleggiata dalla veste incon­sutile, non deve mai dividersi. Vedi di custodirla sempre viva ed intatta.


XI - AGONIA E MORTE
122. Prima parola: Padre, perdona
Fra tanti insulti, la vittima divina taceva sem­pre. Si avveravano le parole del Profeta che nella persona del Salvatore aveva detto: "Ten­de lacci chi attenta alla mia vita, trama insidie chi cerca la mia rovina e tutto il giorno medita inganni. Io, come un sordo, non ascolto e co­me un muto non apro la bocca; sono come un uomo che non sente e non risponde". Ma quando vide che intorno a lui il tumulto si era alquanto placato, il Maestro Divino, dalla sua cattedra di dolore, volle impartire gli ultimi preziosi insegnamenti. Il primo doveva servire da solenne conferma a quanto aveva detto pre­cedentemente ai suoi discepoli: "Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledico­no, pregate per coloro che vi maltrattano". Infatti Gesù, vedendo i suoi nemici dominati dall'odio e udendo le loro bestemmie, non ne mostrò risentimento, anzi li compatì, li scusò e alzando come poté il suo languido sguardo al cielo chiese a suo Padre che li perdonasse: "Gesù diceva: 'Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno'". Parole che avrebbero dovuto muovere al pianto gli stessi nemici, se in essi non si fosse estinto ogni sen­timento di umanità. Fecero certamente piange­re di commozione la Madre divina, il discepolo prediletto e le pie donne, che stavano un po' discoste, non potendo avvicinarsi di più.
Considera. Gesù, con le parole e con l'esempio, inse­gna il perdono dei nemici. Ascoltalo e perdona di cuore a chi ti ha offeso.


123. Seconda parola: Oggi sarai con me nel Paradiso
Si vide ben presto che la preghiera di Gesù al Padre non era rimasta inascoltata. Fino a quel momento anche i due ladroni crocifissi si erano uniti alla folla nel bestemmiare il Salva­tore: "Anche i ladroni crocifissi con lui lo ol­traggiavano allo stesso modo". Uno ripete­va le invettive del Sinedrio, l'altro gli diceva schernendolo: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Dopo la preghiera del Signore che invocava perdono, uno di essi, quello che stava a destra e si chiamava Disma, fu colpito dalla pazienza e mansuetudine di Gesù e, illuminato dalla grazia, cominciò a ri­flettere sul Redentore e su se stesso. La luce di­vina si fece sempre più viva nel suo spirito ed egli, rivolgendosi al compagno che continuava a bestemmiare, gli disse: "Neanche tu hai ti­more di Dio benché condannato alla stessa pe­na? Noi giustamente, perché riceviamo il giu­sto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". Queste parole contenevano già il riconoscimento delle proprie colpe, l'umile sottomissione al dovuto castigo, e l'ammissio­ne della purissima innocenza del Salvatore. Era già molto, ma non bastava alla giustifica­zione dell'empio; ci voleva l'aperta confessio­ne della divinità del Messia, dopo aver già cre­duto in Lui interiormente. Inondato di luce suprema il buon ladrone vi­de in Gesù il Messia promesso, il Redentore degli uomini, il Re dei re, il Signore dei domi­nanti, il Verbo fatto carne, il Figlio del Dio vi­vente. Le umiliazioni, la croce, le piaghe, l'a­gonia, non lo scandalizzavano, perché erano segno dell'immenso amore di Dio per l'umani­tà. Vide, credette, confessò: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gesù, che non aspettava altro, gli disse: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". A una confessione fatta in circostanze inaudite, si conveniva una promessa inaudita.
Considera. Una confessione sincera come quella del buon ladrone merita il perdono. Imita questo peni­tente, se vuoi essere perdonato.


124. La Regina dei Martiri
Prima di considerare la terza parola, che Ge­sù pronuncerà dalla croce e che rivolgerà alla Madre, proprio sulla Madonna dobbiamo fis­sare il nostro sguardo. In quei momenti si ac­quistava per i secoli futuri il titolo di Regina dei Martiri. Essa era là! Dopo il suo incontro con il Figlio lungo il viaggio, l'afflitta Madre non lo aveva più lasciato e lo aveva seguito più da vi­cino che le fosse possibile. Tutto vide, udì, os­servò e sentì ripercuotersi nel suo cuore imma­colato le diverse cadute, il fiele, la spogliazio­ne, la corona di spine riposta sul capo, la con­fittura dei chiodi nelle mani e nei piedi, la croce innalzata, le prime parole di Gesù, gli insulti, le percosse, la divisione delle vesti, le bestem­mie, gli improperi. Tutto questo aveva accu­mulato nel suo cuore di madre una sofferenza che nessuno potrà mai esprimere con le parole o con gli scritti. Maria pativa nell'anima quanto il Redentore nel corpo. "Mentre Gesù veniva crocifisso, anche la Madre di lui era spiritualmente confit­ta in croce". Il cuore della Vergine era di­ventato uno specchio in cui si rifletteva al vivo la Passione di Gesù. Avrebbe patito di me­no se i tormenti del Figlio fossero stati inflitti a lei stessa, al suo corpo. Quando, in quei mo­menti, gli sguardi s'incontravano, la povera Madre veniva mortalmente trafitta. Quel volto rigato di sangue e sfigurato dai colpi, quella bocca divenuta nera e riarsa, quel petto gonfio e lacerato, quelle mani, quei piedi aperti e schiantati dai chiodi, quanto le avevano muta­to il Figlio, il più bello di tutti, la delizia degli angeli! L'afflittissima Madre geme, sospira, si sente morire; non per questo vien meno alla più sublime rassegnazione, e tiene intrepida ai piedi della croce il suo posto di corredentrice dell'umanità.
Considera. Maria, ai piedi della croce, soffre con ras­segnazione eroica. Sta sempre al suo fianco, falle compagnia e imita la sua fortezza.
125. Terza parola: Ecco il tuo Figlio
Il cielo intanto continuava ad oscurarsi e la folla, temendo qualche cosa di grave per quello strano fenomeno, era in gran parte discesa dal Calvario, dopo aver diretto un ultimo insulto al Crocifisso. Anche i soldati, inquieti per quello che vedevano, s'erano avvicinati al gruppo del Centurione, sul poggio del Calvario, forse per farsi coraggio. Gli amici di Gesù poterono allora avvicinarsi di più alla sua croce per meglio udire le sue parole e attestargli il proprio dolore ed affetto sincero. Il Salvatore gradì che si accostassero a lui e lo dimostrò pronuncian­do la terza parola, piena di profondi e conso­lanti significati. Gli era cara soprattutto la vici­nanza di sua Madre, a cui in particolare si ri­volse. "Gesù allora, vedendo la Madre e lì ac­canto a lei il discepolo che egli amava, disse al­la Madre: 'Donna, ecco il tuo figlio!'. Poi disse al discepolo: 'Ecco la tua madre!'. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa". Udendo tali espressioni, i più vivi senti­menti di dolore e di amore verso Gesù sgorga­rono nel cuore di Maria santissima e di Gio­vanni. Entrambi intesero quale doveva essere in futuro la loro missione per disposizione di Gesù: Maria, mortale in terra, o immortale in cielo, doveva comportarsi da madre verso tutti coloro che avrebbero creduto nel Signore; i cre­denti, nella persona di Giovanni, avrebbero dovuto comportarsi da figli verso questa in­comparabile Madre.
Considera. Dallo stesso Gesù moribondo Maria è stata dichiarata tua madre e tu sei definito suo figlio. Cerca quindi di amarla e di confidare in Lei con filia­le affetto.

126. Quarta parola: Dio mio....
Dopo la terza parola seguì un lungo silenzio, durante il quale non si fece che soffrire, da par­te di Gesù che agonizzava sulla croce, come da parte di Maria e delle pie persone che piange­vano sotto di essa. Nel frattempo l'oscuramen­to del cielo era spaventosamente progredito, fi­no a non lasciar vedere quasi più nulla. "Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del po­meriggio". Quasi tutti avevano abbando­nato il Calvario ed erano rimasti soltanto gli amici di Gesù, i soldati e qualche altra persona. Durante questa fitta oscurità Gesù tacque. Nel suo misterioso silenzio pregava ed offriva le sue grandi sofferenze al Padre, per la salvez­za eterna delle nostre anime. Quando le tene­bre accennarono a diradarsi pronunciò la sua quarta parola con angoscioso lamento, alzando al cielo lo sguardo morente. "Verso le tre, Ge­sù gridò a gran voce: 'Eli, Eli, lemà sabactàni?' che significa: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?' ". Tali parole, pronunciate in lingua sirocaldaica, non furono comprese da alcuni circostanti, che dicevano: "Costui chia­ma Elia". Altri aggiunsero: "Lascia, vedia­mo se viene Elia a salvarlo". Uno di loro, infatti, era corso a prendere una spugna, imbe­vuta di aceto, l'aveva fissata su una canna e tentava di dar da bere al Signore. La loro curio­sità, fondata sull'ignoranza, rimase delusa. Gesù continuò sottovoce la recita del salmo 21 che inizia appunto con le parole che abbiamo riportato.
Considera. La preghiera confidente, anche se gridata come un lamento, è accetta a Dio. Nei momenti di angoscia unisciti a Gesù e prega con le sue parole.

127. Quinta parola: Ho sete
Un momento dopo, Gesù fece udire di nuo­vo la sua voce. Tutti i condannati alla morte di croce sentivano, in modo speciale e sensibilis­simo, il tormento della sete. Le sofferenze fisi­che, la perdita progressiva di sangue, la tensio­ne del corpo, erano le cause principali che la producevano. Alle volte era così viva che da sola poteva provocare la morte; in confronto ad essa sembravano piccoli gli altri tormenti. Per Gesù la sete doveva essere terribile a causa della notte passata insonne, degli strapazzi ri­cevuti, dei viaggi da un tribunale all'altro, del copioso sudore sparso, delle lacrime e del san­gue versato nell'orto, nella flagellazione, nel­l'incoronazione di spine e nel faticosissimo viaggio al Calvario. Doveva quindi provare un'arsura indicibile e chiese infine refrigerio, dicendo con flebile vo­ce: Ho sete. I soldati avevano accanto un vaso di aceto. Udito il lamento del moribondo, in­zupparono una spugna, vi avvolsero attorno dell'issopo (pianticella legnosa e aromatica da cui si estrae un olio impiegato in liquoreria e in farmacia), la posero in cima ad una canna e gli diedero da bere. Si adempiva così un'altra profezia riguardante il Salvatore: "Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto".
Ma la sete di Gesù, più che naturale era so­prannaturale: non si sarebbe mai lamentato dell'arsura del suo palato, se non fosse stato divorato dalla cocente sete della nostra eterna salvezza. Sembra che con quella parola ci vo­glia dire: La causa della mia sete è la vostra sal­vezza.
Considera. Gesù ha sete dell'anima tua. Con uno slancio d'amore offriti a Lui ed estingui la sua sete.

128. Sesta parola: Tutto è compiuto
L'ultima ora si avvicinava a grandi passi. Ge­sù, dando uno sguardo all'opera da lui svolta fino a quel momento, vide che tutto era com­piuto. Poteva ripetere quello che aveva detto poco prima della sua passione: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre". Con il suo sguardo divino vedeva allora la giustizia del Padre celeste pienamente soddisfatta, il peccato cancellato, l'uomo riconciliato con Dio, chiuso l'inferno, aperto il paradiso a tutte le umane creature di buona volontà. La missione ricevuta era stata assolta fedelmente in tutte le sue parti, secondo quello che avevano predetto i profeti: non rimaneva più nulla da fare, e dal­la bocca stessa del Signore poteva uscire la di­chiarazione solenne del compimento di ogni cosa. Pronunciò pertanto la sua sesta parola: "Consummatum est! Tutto è compiuto!". Era il grido della sua vittoria, poiché in quel momento poteva invitare tutti gli antichi profe­ti a salire il Calvario e a riconoscervi l'esatto adempimento delle loro predizioni. Isaia pote­va vedere l'Agnello divino condotto al macel­lo; Zaccaria poteva contemplarne le molteplici ferite; Davide poteva osservarlo trafitto nelle mani e nei piedi, dissetato con fiele ed aceto. Che cosa gli restava da fare? Nulla. Si raccolse nello spirito, mentre fino a quell'istante aveva pensato solo a noi, suoi diletti figli.
Considera. Alla fine della sua vita Gesù può dire: Tutto è compiuto. Rifletti se, continuando nella tua attuale condotta, potrai ripetere altrettanto in punto di morte, circa l'esecuzione dei tuoi doveri.

129. Settima parola: Padre, nelle tue mani...
Nel suo profondo raccoglimento, il Redento­re comprese che gli restava ancora un impegno da svolgere: doveva affidare il suo spirito alle mani del Padre. Prima che il Verbo eterno si fa­cesse carne, in cielo era stata posta questa do­manda: "Chi manderò? Chi andrà per noi?". La Sapienza eterna aveva risposto: "Eccomi, manda me", "per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini". La Sapienza si è incarnata in Cristo, che ha pellegrinato da Na­zareth a Betlemme con la Madre; da Betlemme in Egitto; dall'Egitto di nuovo a Nazareth; e a trent'anni ha iniziato a percorrere la Galilea e la Giudea, predicando il regno di Dio, sanando gli infermi, facendo del bene a tutti. Ma venuta l'ora delle tenebre, donò la vita per la salvezza del mondo, e attrarverso indicibili sofferenze giunse a quella croce sulla quale ora si trova in agonia. Il dolore ha distrutto la sua umanità, ma egli non vuole che lo spirito abbandoni il corpo e lasci il mondo, senza il beneplacito del suo divin Padre. Alza dunque gli occhi al cielo, e come per chiedere il permesso di tornare in seno al Padre, con voce commossa e prodigio­samente forte, esclama: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Poi chiuse defini­tivamente quella bocca, che aveva sempre pro­ferito parole di vita eterna, e attese la morte che non doveva tardare.
Considera. Chi si abitua in vita a mettersi nelle mani di Dio, lo farà facilmente anche in prossimità del­la morte. Se vuoi essere sicuro per quel momento, renditi ora familiari le parole di Gesù.


130. Gesù muore
Verso le tre quasi tutta la folla aveva ab­bandonato il Calvario; appena possibile si ri­versò nel tempio di Gerusalemme per assistere all'apertura delle feste pasquali. I Leviti sona­vano le sacre trombe per annunciare che l'a­gnello pasquale stava per essere immolato nel tempio. A quel segno, il popolo doveva prepa­rarsi a celebrare la festa della sua liberazione. All'ora fissata le trombe tacquero e, nell'uni­versale silenzio, il sacerdote colpì la vittima e la folla si prostrò a terra per adorare il futuro libe­ratore, di cui l'agnello era una semplice fi­gura. Ma il liberatore non era più futuro: era là sul Calvario, morente, Agnello di Dio, venuto per cancellare i peccati del mondo. La figura non significava più niente, e doveva cedere il posto alla realtà. Mentre si immolava l'agnello, Gesù Cristo, dopo aver pronunciato le ultime parole, chinò il capo, quasi per concedere alla morte il permesso di avvicinarsi, e consegnò la sua anima nelle mani del Padre. La benedetta Madre si sentì schiantare dal dolore e le pietose donne proruppero in amari pianti e forti la­menti. La morte aveva fatto la sua più nobile preda, che segnava il principio della sua scon­fitta. Infatti, col sacrificio di se stesso, Gesù "ha vin­to la morte e ha fatto risplendere la vita e l'im­mortalità....".
Considera. Gesù muore e muore sulla croce! Te feli­ce se un giorno la morte ti troverà su quella croce sulla quale ti ha messo la misericordia e la giustizia di Dio.

XII - SEPOLTURA
131. Geme l'universo
Non era conveniente che la morte dell'Uomo-Dio, il Creatore dell'universo, sulla croce, avvenisse senza che le creature dessero un segno di orrore e di spavento. Lo diedero, infatti, con una paurosa armonia, cielo e terra uniti insieme. Il cielo, il sole, la luna e le stelle già avevano pianto nell'agonia del Signore e le tenebre si erano distese, come un im­menso drappo funebre, per invitare tutti al lut­to. Toccava ora alla terra dare i suoi segni di dolore. Li diede appena spirato Gesù: essa tre­mò spaventosamente, i macigni si spezzarono, si aprirono i sepolcri, risorsero alcuni corpi di santi che riposavano nelle tombe e percorsero la città apparendo a molti; le basi del monte Moria crollarono, si aprì da sé la pesantissima porta di Nicanore e il velo del tempio, che na­scondeva il "Sancta Sanctorum", si lacerò da cima a fondo, dividendosi in due. Delle voci misteriose furono udite nel tempio santo ri­petere atterrite: "Usciamo di qua"; e intanto si sentivano i passi di gente invisibile che scap­pava. La folla, presa da terrore, uscì dal tempio. I pochi Giudei, che erano rimasti sul Calvario, fuggirono per la paura. Il Centurione, che era di guardia, smarrito e ansioso, glorificando Dio esclamò: "Veramente quest'uomo era giusto". Anche i soldati che erano con lui dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!". Perfino nella lontana Atene, un dotto pagano nell'A­reopago, vedendo i segni terrificanti e non co­noscendone la causa, affermò: "O è il Creatore che soffre, o è il mondo che va in frantumi".
Considera. Tutto l'universo piange in qualche modo la morte di Gesù. Osserva se il tuo cuore rimane in­sensibile e duro dinanzi a questo spettacolo.
132. Lanciata al costato
Dopo questi segni, che non furono di lunga durata, le tenebre si dissolsero e il sole ricom­parve all'occidente, illuminando con i suoi rag­gi la croce insanguinata e il corpo esangue del Salvatore. Allora i Giudei si riebbero dal pani­co e pensarono che non era opportuno lasciare degli esseri umani appesi al patibolo nell'im­minenza della Pasqua. Pregarono dunque Pila­to che facesse spezzare le gambe dei tre croci­fissi, per accelerarne la morte e dare la pos­sibilità di toglierli alla vista del pubblico. Pro­babilmente non sapevano ancora che Gesù era già morto. Anche gli ultimi rimasti sul Calvario erano scappati prima di constatarne il decesso, e il Centurione non aveva ancora potuto darne a Pilato l'annuncio ufficiale. I soldati vennero per eseguire l'ordine ricevuto, e spezzarono le gambe anzitutto ai due ladroni, che evidente­mente apparivano ancora vivi; quando s'avvi­cinarono a Gesù capirono che era già spirato. Allora non gli spezzarono le gambe (per cui il condannato, col corpo completamente afflo­sciato, non avrebbe più potuto sollevarsi ogni tanto con lo sforzo delle braccia per respirare agevolmente), ma uno di essi, chiamato Longi­no, per assicurarsi della sua morte reale, vibrò la sua lancia contro il lato destro del costato di Gesù, con tanto impeto che arrivò al cuore e glielo aprì. "E subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testi­monianza è vera ed egli sa che dice il vero, per­ché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E una altro passo della Scrit­tura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto".
Considera. Dal costato aperto di Gesù vien formata la Chiesa, come Eva da Adamo. Rifletti se ami que­sta tua madre spirituale e se ti comporti da figlio.


133. Giuseppe d'Arimatea
Tanto gli amici quanto i nemici avevano fret­ta di togliere alla vista del pubblico i cadaveri dei giustiziati. Sarebbe stata però una disgrazia se a questo pietoso compito avessero posto mano i persecutori di Gesù. Gli amici lo capiro­no e, disprezzando ogni timore umano, si fece­ro coraggio e si misero all'opera. Fu soprattutto Giuseppe d'Arimatea, uomo buono e giusto, nobile giudeo, molto ricco, membro del Sinedrio (nel quale non aveva dato il suo consenso per la condanna di Gesù), di­scepolo dello stesso Salvatore, ma occulto per timore dei Giudei, a comprendere che doveva ormai vincere i suoi eccessivi timori e mostrarsi seguace del Signore. Servendosi della sua auto­rità e posizione sociale, si presentò arditamente a Pilato e chiese il permesso di rimuovere dalla croce e di seppellire il corpo di Gesù. A Pila­to non era stata ancora annunciata la morte del Redentore, e si meravigliò che fosse giunta così presto. Chiamò il Centurione, lo interrogò e ne ebbe la conferma. Allora comandò che il corpo di Gesù fosse consegnato a Giuseppe. "L'uo­mo buono e giusto" diveniva, con quell'ordine, il padrone della salma, e poteva autorevolmen­te disporne come voleva.
Considera. Giuseppe domanda coraggiosamente il corpo di Gesù e l'ottiene. Impara a superare sempre ogni difficoltà per possedere Gesù.
134. Giuseppe e Nicodemo al Calvario
Non c'era tempo da perdere, se si voleva ter­minare la sepoltura prima che calassero le te­nebre della notte. Perciò Giuseppe uscì in fret­ta dal pretorio e, accompagnato dai servi, in un vicino negozio comperò lenzuola di finissimo lino per avvolgere il corpo del Salvatore, fasce per fermarle, e sudario speciale per il capo, se­condo il costume dei Giudei. Poi acquistò tutti gli arnesi necessari alla schiodatura e alla sepoltura del cadavere, e si avviò al Calvario. Nel frattempo un altro uomo importante, ami­co di Giuseppe e da lui avvertito, faceva prov­vista di cento libbre (poco più di trenta chilo­grammi) di un profumo speciale composto di mirra e àloe, per collaborare al pietoso incarico della sepoltura. Era Nicodemo, dottore della legge, uno dei principali fra i Giudei, quello stesso che nel primo anno della predicazio­ne di Gesù, nottetempo, era andato dal Mae­stro impegnandosi in un lungo dialogo e ricevendone i più sublimi insegnamenti. Ter­minati gli acquisti, giunse ben presto al Calva­rio, dove Giuseppe già lo attendeva.
Considera. I profumi sono un simbolo delle preghiere e delle buone opere. Procura di rendere con esse il debito onore a Gesù.
135. La deposizione
I due personaggi dovettero rimanere quasi inorriditi nel vedere quello strazio sul corpo del Signore. Forse, non avendo assistito alla sua passione, non supponevano che si fossero usate tante crudeltà, e piansero di commozio­ne e di dolore. Poi si avvicinarono all'addolora­ta Madre, la cui vista e il cui dolore erano suffi­cienti a spezzare il cuore umano, e le chiesero il permesso di deporre Gesù. L'ottennero facil­mente più coi cenni che con le parole, e comin­ciarono il loro lavoro, quasi in silenzio, versan­do lacrime. La Madre assisteva e non distoglie­va mai lo sguardo dal Figlio amato. Tolsero pri­ma la corona di spine dal capo ripiegato sul petto, per evitare di pungersi durante l'opera­zione. Poi, con mille riguardi e non senza gravi difficoltà, levarono i chiodi dalle mani, usando una particolare attenzione per non allargare maggiormente le piaghe. Era necessario far reggere il corpo dell'estinto perché non cades­se, prima di cavare i chiodi dai piedi. A ciò si prestarono volentieri Giuseppe, Nicodemo e Giovanni, che forse si servivano di lenzuola piegate e passate sotto le ascelle; intanto i servi estraevano i chiodi. Terminata la schioda­tura, posarono a terra il corpo del Redentore.
Considera. Quali sentimenti dovettero provare i di­scepoli nel toccare quel sacro corpo del Signore! Uni­sciti ai loro sentimenti e mischia insieme le tue la­crime.
136. In braccio alla Madre
Era giunto il momento in cui Maria santissi­ma avrebbe potuto dare sfogo al suo dolore e all'affetto materno, stringendo al seno e al cuo­re l'adorato Figlio. Poiché questo le era stato impedito durante la passione e perfino nell'a­gonia del Getsemani, le sia concesso almeno ora che questo Figlio estinto viene deposto dal­la croce. Ne ha pieno diritto. La tradizione che ci mostra la Madonna con in braccio il defunto Figliolo, non fa che assicurarci di un fatto basa­to sull'istinto della natura umana, specialmen­te materna. Maria fece capire a quegli uomini caritatevoli che desiderava riabbracciare suo Fi­glio; ed essi, ben conoscendo la fortezza mora­le sovrumana di quell'ammirabile donna, finita la deposizione, glielo adagiarono delicatamen­te in grembo. Impossibile descrivere i pensieri, gli affetti, i baci, le lacrime della Madre in quel­la dolorosa circostanza. Nessuna penna, nes­sun pennello, nessuno scalpello ha mai potuto descrivere, dipingere, scolpire adeguatamente questa scena di dolore. Solo le anime sante, ammesse nell'intimità dei cuori di Gesù e Ma­ria, poterono formarsi, nelle loro contempla­zioni, un'idea esatta di quello strazio materno. Davanti a questo spettacolo di dolore, noi non possiamo far altro che ammutolire, ammi­rare, compatire.
Considera. Vedendo la desolata Madre stringere a sé il Figlio deceduto, domandale di partecipare ai suoi dolori e di saper piangere le tue colpe, che ne furono la causa.


137. "La pietra dell'unzione"
Dopo la Madre, anche i discepoli e le pie donne vollero esprimere il proprio dolore ba­ciando e bagnando di lacrime il corpo del Sal­vatore. Ma era necessario affrettarsi, perché il tempo stringeva e la notte non era lontana. Av­volsero in un lenzuolo il corpo di Gesù e, di­scendendo alquanto, lo sistemarono sopra un sasso, che esiste tuttora e viene chiamato "la pietra dell'unzione", per lavarlo e purificar­lo. I discepoli, con ogni precauzione, cancella­rono ogni sozzura dalle benedette carni, men­tre Maria santissima gli puliva il volto e gli or­dinava i capelli. Non ci dobbiamo meravigliare se l'asprezza del dolore le faceva interrompere più volte l'atto pietoso. Finita la pulizia, il cor­po fu avvolto in una sindone monda, in modo che del trapassato si vedesse solo il viso, che veniva baciato l'ultima volta da tutti i pre­senti. Era l'usanza che lo richiedeva, ma la Vergine santa, i discepoli e le donne avrebbero compiuto ugualmente quest'atto di devozione verso la venerata salma, guidati dal proprio sentimento interiore. Legarono infine le fasce attorno al corpo per te­nere insieme le lenzuola e la Madonna di sua mano coprì l'amato volto col sudario.
Considera. Assistendo spiritualmente al misericor­dioso ufficio che viene svolto sul corpo di Gesù dalla Madre e dai discepoli, vedi di partecipare al loro do­lore e di baciare con affetto le sacre spoglie del Si­gnore.
138. Il sepolcro nuovo
Si procedette presto al trasporto della salma verso il sepolcro. Una legge proibiva di seppel­lire un giustiziato nel sepolcro di famiglia, ma Giuseppe d'Arimatea, divenuto padrone legale del corpo di Gesù, non si riteneva più obbligato a tale legge, e avrebbe portato volen­tieri il defunto al Getsemani, dove stavano i se­polcri di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, se non ne fosse stato impedito dalla notte che incombeva e dalla imminente festa di Pasqua. Bisognava rassegnarsi a inumarlo nel se­polcro più vicino. "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardi­no un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto". Il sepolcro era stato fatto scavare nella pietra dallo stesso Giusep­pe, che fu lietissimo di cederlo al Maestro. Sol­levando il divino cadavere dalla pietra dell'un­zione, lo sistemarono sulla bara, formarono un devoto corteo e, scendendo, presero la via ad occidente del Calvario, attraversando una val­letta. In breve arrivarono al sepolcro nuovo. Era un monolito (grosso masso di pietra) "nel quale si era scavata una cella funebre, precedu­ta da un vestibolo e destinata a ricevere una so­la persona". Intanto erano calate le ombre della sera e alcuni servitori rischiararono con le fiaccole la mesta cerimonia.
Considera. Giuseppe è lieto di poter donare a Gesù il suo sepolcro nuovo. Offri volentieri al Salvatore il tuo cuore rinnovato dalla penitenza.
139. Deposto nel sepolcro
Giunti al sepolcro, adagiarono la bara davan­ti all'ingresso e diedero inizio alle ultime prati­che liturgiche in uso presso gli Ebrei. Cantaro­no il salmo 90 ("Tu che abiti al riparo dell'Al­tissimo") e girando mestamente in bell'ordine attorno al defunto esprimevano piangendo l'intensità del loro dolore. Poi alcuni rialzarono il cadavere, entrarono nel vestibolo e, abbas­sando la testa e le spalle, penetrarono, attra­verso l'angusta porta, nella celletta sepolcrale. A destra c'era la panchina scavata nella parete, a pochi centimetri da terra; su di essa distesero il defunto Signore, componendolo religiosa­mente. Camminando all'indietro, uscirono dalla tom­ba e quindi fecero scorrere verso l'imboccatura la pesante pietra che doveva servire da porta. Le pie donne stavano dirimpetto al sepolcro, seguendo con lo sguardo dove veniva collocato il corpo di Gesù e piangendo amaramente. La più addolorata era sempre la Vergine Madre e qui avrebbe voluto fermarsi sempre per non separarsi dal Figlio adorato. Le convenne cede­re alle preghiere dei discepoli e delle donne, intraprendendo con essi la via del ritorno per ritirarsi a casa.
Considera. Il dolore di Maria, durante la sepoltura di Gesù, fu immenso. Compatisci questa buona Ma­dre e rinnovale i sentimenti della tua fedeltà.


140. Guardie e sigillo ufficiale
La mattina seguente, cioè il sabato, in cui ri­correva la grande solennità della Pasqua degli
Ebrei, i principi dei sacerdoti e i farisei andaro­no da Pilato e gli dissero: " 'Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dun­que che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!'. Pilato disse loro: 'Ave­te la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete' ". Quelli andarono, si assicurarono della presen­za del cadavere e della consistenza della porta d'ingresso alla cella sepolcrale, vi apposero il sigillo ufficiale e lasciarono delle sentinelle in­torno al sepolcro perché nessuno osasse avvici­narsi. Poi se ne tornarono in città, sicuri che l'odiato seduttore non avrebbe più dato loro al­cun fastidio. Morto e sepolto quanto alla vita corporale, sarebbe ben presto scomparso an­che dalla memoria degli uomini. Nessuno si sarebbe più ricordato di Lui. Così ragionavano quegli sciagurati, accecati dalla loro malizia. Ma non vi è sapienza, non vi è prudenza contro il Signore. Gesù risorgerà e confon­derà i suoi nemici per sempre.
Considera. I nemici vorrebbero rendere inefficaci le parole di Gesù, ma non ci riescono. Credi sempre al­la parola del Signore e non agire mai contro di lui.
141. Anime addolorate
Intanto le anime affezionate a Gesù sono im­merse nel dolore. I nove Apostoli fuggiti qua e là dopo la cattura del Maestro sono ancora spa­ventati per quello che hanno udito, forse anche un po' veduto, circa la morte di Lui. Pietro sta ancora piangendo il suo grave dolore; Giovan­ni ha la mente e il cuore pieni di ricordi delle sofferenze del Redentore; la Maddalena e le al­tre pie donne sono inconsolabili e cercano un po' di sollievo provvedendo i necessari aromi, per ritornare, dopo il sabato, e spargerli nel se­polcro e sulla salma del caro Maestro, ignoran­do il sigillo e le guardie del corpo messe a cu­stodia della tomba. Maria santissima, col cuore trapassato dalla spada del più vivo dolore, si era ritirata con Giovanni in quella casa da cui era uscita quando incontrò il Figlio che saliva al Calvario. Vegliava nel pianto, nella preghiera e in un continuo atto di rassegnazione alla vo­lontà di Dio. Il dolore di questa Vergine d'I­sraele, di questa figlia di Sion, non poteva pa­ragonarsi ad alcun altro. Era immenso come il mare e non ammetteva umano conforto. Il cuore di tutte queste anime era chiuso nella tomba, dove giaceva insanguinata la spoglia mortale di Gesù.
Considera. Maria gradisce avere attorno a sé delle persone che capiscono i suoi dolori e vi partecipano. Sta sempre vicino alla Madre addolorata e sii un suo compagno indivisibile.
142. Andiamoci anche noi!
Uniti a tante anime addolorate, penetriamo con lo spirito in quella cella funebre; leviamo delicatamente quei veli che ricoprono l'insan­guinato corpo del Salvatore, inginocchiamoci, contempliamo e baciamo con viva fede quelle santissime piaghe, bagnandole con le lacrime della nostra compassione e del pentimento. Quanto è bello, quanto è utile, quanto è com­movente prorompere intanto in queste affet­tuose espressioni che la Chiesa mette sulle lab­bra dei suoi figli adunati intorno al sepolcro di Gesù: "O Gesù, mio dolce amore, a Te mi ac­costo con fede, come se ti vedessi coi miei oc­chi, e Ti contemplo con affetto, ricordando de­votamente le tue sante piaghe. In quale stato ti vedo, Gesù mio, avvolto nel funebre lenzuolo, irrigidito, piagato, sformato! Salve, o Capo la­cerato dalle spine, il cui Volto ha perso il suo divino splendore, dinanzi al quale tremano gli angeli! Salve, o sacro Costato del mio Salvato­re, o mite apertura di amore, più rubiconda della stessa rosa, medicina di ogni nostro male. Voi pure, o sante Mani e santi Piedi, trapassati da chiodi crudeli, accettate il mio tributo di af­fetto! O divin Salvatore, possa stare sempre qui in tua compagnia e non allontanarmi mai più!".

XIII - CONCLUSIONE
143. Egli risorgerà e trionferà
Gesù non deve rimanere là. Il sepolcro, do­micilio della morte, non dev'essere l'abitazio­ne dell'autore della vita. La corruzione, conse­guenza del peccato, non deve impossessarsi di Colui che è senza peccato ed è venuto al mondo per cancellarlo. Il vincitore del mon­do e del demonio non può essere pascolo dei vermi della terra. Egli risorgerà. Ciò era stato predetto molti secoli prima, e la tradizione doveva avverarsi: "...Non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione". Gesù stesso si era preoccupato di avvisare pri­ma amici e nemici, paragonandosi a Giona profeta, dicendo e ripetendo chiaramente in diverse circostanze: "Il Figlio dell'uomo... il terzo giorno risorgerà". Anche i nemici si sono ricordati di queste parole e le hanno ripe­tute a Pilato, perché venissero prese le più severe misure di sicurezza e si evitasse un inganno peggiore. Facciano pure: ma Gesù Cristo, nonostante tutte le loro astuzie, risorgerà, dopo che l'ani­ma sua avrà visitato gli inferi e la sua carne avrà riposato nella tomba parte del venerdì, tutto il sabato e parte della domenica. Allora, accompagnato dai giusti dell'antica alleanza, riprenderà il suo corpo esangue, lo rivestirà di gloria, uscirà senza ostacoli dal sepolcro, vinci­tore della morte e dell'inferno. Un angelo discenderà dal cielo, rimuoverà la pietra d'ingresso, farà tremare la terra, e dirà a chiunque, guardie, donne, discepoli: È risorto, non è qui. Gesù stesso, per quaranta giorni, starà in compagnia della Madre e dei discepoli, ragio­nerà, converserà, si intratterrà familiarmente con loro, darà ordini precisi sulla formazione della sua Chiesa e la predicazione del Vangelo, salirà al cielo alla vista di tutti e manderà agli Apostoli lo Spirito Santo promesso. A loro volta i dodici di spargeranno su tutta la faccia della terra allora conosciuta, Europa, Asia e Africa, e vi predicheranno Gesù Croci­fisso, unica salvezza del mondo, par­lando tutte le lingue e operando prodigi. Il mondo si convertirà, e le anime rette, amanti del vero, a qualunque classe apparten­gano, si rifugeranno all'ombra della croce, sot­toporranno se stessi al giogo soave del Reden­tore, vivranno per Lui, sapranno morire per Lui. Passeranno i secoli. L'opera di Gesù Cristo, la Chiesa, travagliata dalle persecuzioni più crudeli, dalle eresie, dagli scismi, dai nemici, dai falsi amici, dagli scandali interni, da tutte le malizie umane e diaboliche, continuerà a com­piere la missione ricevuta dal suo divin Fonda­tore, assisterà al sorgere e allo scomparire degli imperi, procederà sempre combattuta dai mal­vagi, ma risulterà sempre vittoriosa e arriverà fino al termine dei secoli. Allora Gesù Cristo, giudice dei vivi e dei morti, sarà visibile a tutta l'umanità aduna­ta, ed apparirà "unico Sovrano, il Re dei re­gnanti e Signore dei signori", il fattore di ogni cosa, il padrone dei secoli che per Lui si aprirono e per Lui solo ora si chiudono, il trionfatore eterno. I giusti, che con Lui perse­verarono nel momento della prova, trion­feranno allora con Lui nella vita eterna. I reprobi, che lo abbandonarono per seguire la via del male, peneranno lontano da lui nel fuo­co eterno.
144. Vieni, o Gesù!
"Vieni, Signore Gesù" e per amore degli eletti abbrevia i giorni della tribolazione e svela presto ad essi le gioie del tuo finale trion­fo. Amen!

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