Chi
ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la
spada?«Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per
virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né
morte né vita« né alcun'altra creatura potrà mai separarci
dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8,35-39).
Queste parole di san Paolo si applicano in modo particolare alla vita
di Mons. Sloskans, vescovo lettone che, dopo un anno di episcopato,
ha sofferto per la fede; incarcerato in diciassette prigioni
sovietiche, ha conosciuto la deportazione in Siberia e un esilio di
più di trent'anni lontano dalla sua patria. La sua vita testimonia
della presenza di Gesù Cristo nella sua Chiesa, e in ciascuno dei
suoi discepoli: il Salvatore dà loro forza e luce, anche in
condizioni umanamente insopportabili.
Boleslaw
Sloskans è nato il 31 agosto 1893, a Tiltgals, in Lettonia. Questo
paese baltico faceva allora parte dell'impero russo degli Zar. I
genitori di Boleslao, che sono cattolici, hanno la gioia di mettere
al mondo sei figli. La formazione religiosa si fa in seno alla
famiglia. Alla conclusione dei suoi studi elementari, Boleslao
informa suo padre della sua intenzione di diventare prete.
Quest'ultimo esprime il suo consenso con un pugno sul tavolo,
mettendo come unica condizione che suo figlio s'impegni a diventare
un buon prete. Alla fine dei suoi studi effettuati a San Pietroburgo,
in Russia, Boleslao viene ordinato prete il 21 gennaio 1917.
Nell'autunno seguente scoppia la rivoluzione bolscevica; i comunisti
s'impadroniscono del potere. Poco per volta, l'insegnamento religioso
viene proibito, le chiese vengono chiuse, i vescovi e i preti
imprigionati« Nel novembre 1918, la Lettonia riconquista la sua
indipendenza dalla Russia, ma, rimanendo chiuse le frontiere,
Boleslao è costretto a rimanere a Pietrogrado. Vi è incaricato
della parrocchia di santa Caterina dove il suo zelo pastorale e la
saggezza del suo giudizio sono molto apprezzati.
«Un
uomo semplice ma santo»
In
seguito alla rivoluzione dell'ottobre 1917, la Santa Sede si
preoccupa della situazione della Chiesa cattolica in Unione
sovietica. Per garantire alla Chiesa latina migliori probabilità di
sopravvivenza, bisognerebbe consacrare nuovi vescovi. Il Padre Michel
d'Herbigny, Gesuita, delegato del Vaticano per le trattative con i
nuovi capi del Cremino, riceve da Pio XI la missione di realizzare
queste consacrazioni episcopali. Nel 1926, egli ottiene un visto per
visitare le comunità francesi di Russia. In viaggio per Mosca, il
Padre d'Herbigny viene ricevuto a Berlino dal nunzio apostolico,
Mons. Pacelli, il futuro Papa Pio XII, che lo consacra segretamente
vescovo. A Mosca, Mons. d'Herbigny consacra vescovo un prete
francese, il Padre Neveu. Quest'ultimo gli raccomanda Boleslao
Sloskans, un «uomo semplice ma santo», che, nella speranza di
proseguire la sua missione pastorale a Pietrogrado, ha preso la
cittadinanza russa. Boleslao, che non ignora nulla dei pericoli che
comporta l'incarico di vescovo sotto il regime comunista, accetta
questo fardello con coraggio. Il 10 maggio, viene consacrato nel
massimo segreto, e incaricato delle diocesi di Mogilev e di Minsk, in
Bielorussia, con la qualifica di vicario apostolico. Ha trentatre
anni. Nel mese di settembre seguente, fa conoscere ufficialmente la
sua consacrazione episcopale, il che non gli impedisce di adottare
una linea di condotta senza condiscendenza nei confronti delle
pubbliche autorità.
A
Mogilev, si rende conto che è spiato dagli agenti della GPU, la
Polizia segreta di Stato. Pesa quindi attentamente ogni parola
pronunciata in pubblico. All'inizio del settembre 1927, intraprende
un viaggio di quindici giorni per visitare le zone sotto la sua
giurisdizione. Durante la sua assenza, la GPU organizza perquisizioni
nella sua casa. Al suo ritorno, il 16 settembre nella notte, riceve
la visita di agenti della polizia che procedono a una nuova
perquisizione. Essi scoprono mappe e incartamenti militari nascosti
dietro alcuni quadri, tutti documenti che erano stati piazzati dagli
sbirri della GPU in occasione di una perquisizione precedente. Egli
viene immediatamente arrestato. Viene organizzato un simulacro di
istruttoria. Gli interrogatori sfibranti hanno luogo preferibilmente
di notte. Dopo aver subito per parecchi mesi trattamenti inumani in
diverse prigioni, Mons. Sloskans viene condannato all'esilio e a tre
anni di lavori forzati nei campi di concentramento di Solovki, un
arcipelago del Mar Bianco coperto di foreste, dal clima glaciale e
umido. Gli verrà confessato in seguito che l'accusa di spionaggio
non era altro che un pretesto per allontanarlo dalla sua diocesi: se
egli fosse stato veramente riconosciuto come spia, la pena sarebbe
stata molto più pesante.
«Quello
che mi rende così felice»
Nonostante
i tormenti che ha già subiti, Mons. Sloskans scrive ai suoi
genitori: «Avete sicuramente appreso dai giornali che sono stato
arrestato. Dopo sei mesi, mi è finalmente possibile scrivervi. Ho
sempre amato predicare la parola di Nostro Signore: Non uno solo
capello del vostro capo cadrà senza che Dio l'abbia voluto (cf
Mt 10,30). So ora per esperienza che tutto quello che accade per
volontà o con il permesso di Dio è opera di salvezza. Nel corso
degli ultimi quindici anni della mia vita, non ho mai ricevuto tante
grazie quante durante i cinque mesi della mia prigionia. La prigionia
è il più grande e il più bell'avvenimento della mia vita
interiore, anche se rimpiango di non poter celebrare la Messa. Cari
genitori, pregate per me, ma fatelo senza angoscia e senza tristezza.
Lasciate che il vostro cuore si apra al più grande amore possibile.
Sono così felice perché ho appreso ora ad amare tutti gli uomini,
senza eccezione, anche coloro che sembrano non meritare questo amore.
Essi sono i più infelici. Ve ne supplico, non lasciate che alcun
sentimento di vendetta o di amarezza penetri nel vostro cuore. Se noi
ci permettessimo una simile cosa, non saremmo più dei cristiani, ma
dei fanatici. Sono condannato a tre anni. Ve lo chiedo ancora:
Pregate! Che la benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e
Spirito santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre».
La
profonda fede di Mons. Sloskans nell'azione della Provvidenza divina
si fonda su verità che sono ricordate nel Catechismo della Chiesa
Cattolica: «La testimonianza della Scrittura è unanime: la
sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa
si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi
eventi del mondo e della storia... «Dio onnipotente (...), essendo
supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male
esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e
buono da trarre dal male stesso il bene» (Sant'Agostino)« Tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio (Rm 8,28). La
testimonianza dei santi non cessa di confermare questa verità: così
santa Caterina da Siena dice a «coloro che si scandalizzano» e si
ribellano davanti a ciò che loro capita: «Tutto viene dall'amore,
tutto è ordinato alla salvezza dell'uomo, Dio non fa niente se non a
questo fine». E san Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola
la figlia: «Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro
che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in
realtà sempre per il meglio»» (nn. 303, 311-313).
Le
condizioni di detenzione all'arcipelago Solovki sono molto dure:
lavori pesanti, dieta alimentare al di sotto del minimo, privazioni e
trattamenti inumani di tutti i tipi. Un gran numero di prigionieri vi
trova la morte. Mons. Sloskans e gli altri preti detenuti
sull'arcipelago si organizzano per celebrare la Messa. Viene messa a
loro disposizione una stanza che chiameranno «Cappella di San
Germano». Si servono di un bicchiere a guisa di calice e del
coperchio di una scatola di conserva come patena. Il loro unico
abbigliamento liturgico è una stola che hanno confezionata essi
stessi; conoscono a memoria la maggior parte dei testi della Messa.
Le ostie e il vino arrivano loro grazie alla benevolenza di un
carceriere, ma, quando manca il vino, Mons. Sloskans ne fabbrica a
partire da uva secca messa a bagno in acqua. Il 7 settembre 1928, nel
più gran segreto, Mons. Sloskans ordina prete uno dei detenuti,
Donat Nowicki.
Il
filo che annoda i secoli
Alla
fine dell'ottobre 1928, la cappella di San Germano viene chiusa dalle
autorità del campo. I preti decidono allora di celebrare la Messa di
nascosto, di notte, in una soffitta al di sopra della loro cella. La
mattina, nel convoglio che si reca al lavoro, Mons. Sloskans
distribuisce nella massima discrezione le ostie consacrate ai
cattolici che lo desiderano e nasconde quelle che restano sotto le
radici di un albero, avvolte in un pezzo di stoffa di color porpora,
perché coloro che non hanno fatto la comunione al mattino possano
farla durante la giornata. Questo episodio illustra la seguente
affermazione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica:
«L'Eucaristia costituisce il filo dorato che, a partire dall'ultima
cena, annoda tutti i secoli della storia della Chiesa fino a noi
oggi. Le parole della consacrazione «Questo è il mio corpo» e
«Questo è il mio sangue» sono state pronunciate sempre e dovunque,
anche nei gulag, nei lager, nelle mille prigioni ancora oggi
esistenti. È su questo orizzonte eucaristico che la Chiesa fonda la
sua vita, la sua comunione e la sua missione» (Introduzione della 2a
parte: Spiegazione del quadro «Gesù dà la Comunione ai dodici
Apostoli»).
Ma
nel gennaio 1929, i preti vengono dispersi in altri gruppi di
prigionieri o in celle isolate. Mons. Sloskans viene trasferito
nell'isola di Anser. Verso le metà del mese di ottobre del 1930,
dopo aver scontato la sua pena di tre anni, viene rimesso in libertà.
Sceglie di ritornare a Mogilev; là, constata che molti dei suoi
fedeli sono scomparsi senza lasciare traccia, soprattutto quelli che
avevano inviato pacchi a preti in prigionia. Molti bambini,
influenzati dall'insegnamento ateo, sono pronti a denunciare i loro
genitori alla polizia quando questi ultimi manifestano convinzioni
contrarie alla propaganda comunista. Otto giorni dopo il suo ritorno,
Mons. Sloskans viene nuovamente arrestato: in sua assenza e senza
processo, era stato condannato a un periodo supplementare di esilio.
Nel
dicembre 1930, durante il viaggio lungo e spossante verso la Siberia,
lo abita una convinzione incrollabile: non è solo. Si ricorda delle
parole del salmo: Il Signore è il mio pastore: non manco di
nulla« Se dovessi camminare per una valle oscura, non temerei alcun
male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi
danno sicurezza (Sal 22 [23]). A Ienissei, scende dal treno; nel
momento in cui questo riparte, qualcuno gli lancia un pacchetto
legato alla buona con dello spago. Vi trova un libretto intitolato
Storia di un'anima, l'autobiografia di santa Teresa del
Bambino Gesù. Nel mese di giugno seguente, è costretto a partire
più a nord ancora verso la località Sharo-Turuchansk. Là, vive una
piccola colonia di tredici famiglie, installate sulle pianure
ghiacciate. Le abitazioni sono costituite da baracche di legno di
un'unica stanza dove alloggia e vive tutta la famiglia. Mons.
Sloskans è ospitato da una delle famiglie che gli cede un angolo
della sua baracca. È libero nei suoi movimenti, ma il villaggio è
circondato da immensi campi di neve e la città più vicina è a 1400
km. In una delle rare foreste del luogo, nota una roccia che emerge
dal suolo. Là, solo in mezzo agli alberi, davanti alla vasta
creazione di Dio, riesce a celebrare la Messa, il mistero della fede,
la vittoria della vita sulla morte, la risurrezione dopo la
sofferenza.
Un
raggio che penetra le nubi
Mons.
Sloskans attinge nell'Eucaristia la forza soprannaturale che gli è
indispensabile per vivere la sua vita di esiliato. «L'Eucaristia è
davvero uno squarcio di cielo che si apre sulla terra – affermava
il Papa Giovanni Paolo II –. È un raggio di gloria della
Gerusalemme celeste, che penetra le nubi della nostra storia e getta
luce sul nostro cammino» (Enciclica Ecclesia de Eucharistia,
17 aprile 2003, n. 19). «La Chiesa ha ricevuto l'Eucaristia da
Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma
come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della
sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di
salvezza« Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, memoriale della
morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di
salvezza è reso realmente presente e «si effettua l'opera della
nostra redenzione». Questo sacrificio è talmente decisivo per la
salvezza del genere umano che Gesù Cristo l'ha compiuto ed è
tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per
parteciparvi come se vi fossimo stati presenti» (Ibid. n.
11). Nella comunione, il vescovo esiliato riceve il dono di
pregustare il cielo: «Colui che si nutre di Cristo nell'Eucaristia
non deve attendere l'aldilà per ricevere la vita eterna: la
possiede già sulla terra» (Ibid. n. 18).
Per
provvedere ai suoi bisogni, Mons. Sloskans fabbrica reti e trascorre
molto tempo a pescare. In attesa di giorni migliori, questo pastore
della Chiesa di Dio si abbandona completamente alla Provvidenza, in
una vita di preghiera e di sacrificio. Nel novembre 1932, viene
condotto a Krasnoiarsk, città che raggiunge solo dopo 35 giorni di
viaggio in slitta. Vi giunge la vigilia di Natale; viene rinchiuso in
una prigione glaciale dove resta da solo per due giorni senza cibo.
Scriverà: «Fu la festa di Natale più dura della mia vita!» Presto
lascia la sua cella d'isolamento per essere condotto a Mosca. Là,
viene messo in una cella relativamente confortevole dove riceve la
visita dell'ambasciatore della Repubblica di Lettonia che gli
annuncia la sua liberazione per l'indomani. Questa liberazione è uno
scambio tra una spia sovietica detenuta dalla Lettonia, e lui.
Il
buon pastore
Il
più grande desiderio di Mons. Sloskans non è di rientrare nel paese
natale, ma di ritrovare i suoi fedeli a Mogilev e a Minsk: «Il buon
pastore non abbandona il suo gregge!» esclama. Solo un ordine del
Papa potrebbe deciderlo a lasciare l'U.R.S.S. Ora, un personaggio
influente riesce a convincerlo che questo è proprio il desiderio del
Papa e, in uno spirito di obbedienza, egli accetta e arriva a Riga,
capitale della Lettonia, il 22 gennaio 1933. Poco dopo, parte per
Roma dove viene ricevuto come un «confessore della fede». Il Papa
lo invita a celebrare accanto a lui l'apertura della Porta santa
della basilica di San Pietro per il giubileo dell'anno santo 1933,
che commemora il diciannovesimo centenario della morte di Cristo.
Poi, il Santo Padre gli suggerisce di restare un anno a Roma per
curare la sua salute. Un giorno, parlando con il Papa delle
circostanze della sua rimessa in libertà, egli apprende che,
contrariamente a quello che gli era stato detto, mai il Papa aveva
chiesto che lasciasse l'U.R.S.S., abbandonando i suoi fedeli russi.
Questa rivelazione è molto dolorosa per lui e ne conserverà l'amaro
segreto nel suo cuore fino alla morte, parlandone solo a pochi amici
intimi.
Di
ritorno a Riga, Mons. Sloskans tiene delle lezioni di teologia morale
alla facoltà di teologia e percorre il paese per fare conferenze o
predicare ritiri. Il 17 giugno 1940, la Lettonia viene invasa
dall'esercito sovietico e annessa da Stalin. S'instaura la
persecuzione contro i credenti. Mons. Sloskans riesce a sfuggire agli
agenti della polizia politica che lo ricercano. Ma nel giugno 1941,
la Germania s'impadronisce a sua volta della Lettonia. Viene
ripristinato il libero accesso agli edifici del culto. Nel 1944, i
tedeschi vengono cacciati dalla Lettonia dai russi. Temendo di vedere
il loro vescovo ancora una volta arrestato ed esiliato in Siberia,
alcuni fedeli organizzano la sua fuga in Germania.
Nella
primavera del 1947, Mons. Sloskans si reca in Belgio dove gli viene
affidata la cura di seminaristi lettoni profughi in questo paese.
Questi giovani, nel 1948, vengono a studiare all'università di
Lovanio, dove li raggiunge l'arcivescovo lettone. Nel 1951, il Padre
Abate dell'abbazia di Mont-César invita Mons. Sloskans a installarsi
nel suo monastero. Là, egli condivide ormai la vita dei monaci.
Tuttavia non è recluso: il Papa Pio XII gli affida diverse missioni.
D'altra parte, egli esercita il suo ministero episcopale in numerose
occasioni: cresime, ordinazioni. Ogni anno, si reca in pellegrinaggio
a Lourdes con la Lega contadina belga. Prende così l'abitudine di
soggiornare tutti gli anni presso le Suore del Povero Bambin Gesù, a
Simpelveld, nel Limburgo. Ma soprattutto, conduce un'intensa vita di
preghiera, offre il suo esilio per i suoi fedeli e prega per i suoi
ex carnefici nei confronti dei quali non nutre alcun rancore. Rimane
talvolta molte ore in ginocchio o seduto a meditare davanti al
Santissimo Sacramento.
Un
autentico dialogo d'amore
L'esempio
di Mons. Sloskans è un incoraggiamento alla preghiera. Nella sua
lettera apostolica Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II
scriveva: «C'è bisogno di un cristianesimo che si distingua
innanzitutto nell'arte della preghiera« Ma sappiamo bene che anche
la preghiera non va data per scontata. È necessario imparare a
pregare, quasi apprendendo sempre nuovamente quest'arte dalle labbra
stesse del Maestro divino, come i primi discepoli: Signore,
insegnaci a pregare! (Lc 11,1)« La grande tradizione mistica
della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, « mostra come la
preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d'amore,
fino a rendere la persona umana totalmente posseduta dall'Amato
divino, vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel
cuore del Padre. Si fa allora l'esperienza viva della promessa di
Cristo: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e
mi manifesterò a lui (Gv 14,21)« Le nostre comunità cristiane
devono diventare autentiche «scuole» di preghiera, dove
l'incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di
aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione,
contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero
«invaghimento» del cuore« Ci si sbaglierebbe a pensare che i
comuni cristiani si possano accontentare di una preghiera
superficiale, incapace di riempire la loro vita. Specie di fronte
alle numerose prove che il mondo d'oggi pone alla fede, essi
sarebbero non solo cristiani mediocri, ma «cristiani a rischio»...
Occorrerebbe valorizzare, col debito discernimento, le forme
popolari, e soprattutto educare a quelle liturgiche» (n. 32-34).
Mons.
Sloskans trascorre gli ultimi diciotto mesi della sua vita in una
casa di riposo gestita dalle Suore del convento di Betlemme di
Duffel. Vi si fa notare per la sua semplicità sorridente e la sua
preghiera continua: ha sempre il rosario in mano. Il 18 aprile 1981,
Sabato Santo, perde conoscenza. Subito, coloro che lo circondano
pregano per lui, ad alta voce. Intonano la Salve Regina e
tutto a un tratto, il suo volto si trasforma, la sua fisionomia
s'illumina: alza gli occhi al cielo e rende l'anima a Dio nel momento
in cui si canta: post hoc exilium (dopo questo esilio)« O clemens
Virgo Maria! (O clemente Vergine Maria). Il 10 ottobre 1993, le
spoglie mortali di Mons. Sloskans sono state restituite alla
Lettonia, ridivenuta un paese libero. Sono state deposte nella cripta
del santuario nazionale della Vergine di Aglona, a 270 km da Riga,
dove attendono ormai la risurrezione. La causa di beatificazione di
Mons. Sloskans è introdotta a Roma.
La
vita di Mons. Sloskans, esiliato per più di mezzo secolo, può
apparire agli occhi degli uomini come una serie di insuccessi. Ma Dio
giudica diversamente: Beati i perseguitati per causa della
giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché
grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno
perseguitato i profeti prima di voi. (Mt 5,10-12). Che anche noi
possiamo, sull'esempio di Mons. Sloskans, accettare le croci della
nostra vita e offrirle in unione con il Sacrificio di Cristo, per la
salvezza delle anime!
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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