domenica 24 maggio 2015

dal DIARIO DI UN CONVERTITO.....PIETER VAN DER MEER (1880-1970)




In attesa scruto l’anima come un dannato

Forse è meglio non cercare, non riflettere, vivere senza problemi, senza la tortura di questi eterni quesiti che non hanno risposta: meglio vivere da bestia soddisfatta. Ho l’anima lacerata dall’incertezza. Posso chiamare bianco il nero, ridermi delle cose sacre, prenderle in ridicolo: nulla me Io impedisce. Mi compiaccio di questi cattivi pensieri e vorrei possedere la purezza di un bambino. Quale tormento non sapere a chi chiedere, dove trovare un medico per l’intelligenza e per il cuore! Sciocchezze. La vita è un gioco da prendere sorridendo. Ecco il solo mezzo per non disperare. Che cosa sono la felicità, questo nostro bambino che cresce? Gran belle cose, senz’altro: ci aiutano e ci danno forza. Ma perché non mi danno tanta forza di modo che possa scacciare questa crudele inquietudine e questo problema che continuamente mi tormenta? Perché Vivo? Non accade nulla: nulla che mi interessi. Vivo nell’attesa. Da sempre, la mia vita è attesa di qualcosa, d’una catastrofe, d’una gioia, di qualcosa che sia grande e bello... Non ho avuto l’ambizione o il desiderio di occupare una carica, un posto di responsabilità. Vivo per qualcosa d’altro. Non so che cosa sia quest’altro, ma vivo nell’attesa di qualcosa. Ho visto diversi amici, ho parlato con persone di cultura, ma non ho imparato nulla. Io cerco le verità fondamentali e queste persone invece accettano la vita in modo passivo. Chi sono io? Io e tutti gli altri che, mai soddisfatti come me, spingiamo sogni e desideri verso mondi sconosciuti? Cerchiamo forse qualcosa che abbiamo perduto? Perché non mi accontento di quanto sta davanti a me, vero, palpabile, reale? Perché il mio spirito invoca l’Infinito, l’Eternità? È stupido cercare una risposta, si perde tempo. Ma perché allora questi problemi mi assalgono furiosi come una tempesta? La nostra vita non dura più di un attimo, portiamo nel cuore la tempesta selvaggia delle passioni, siamo torturati dai desideri e dalla speranza, vogliamo raggiungere l’impossibile e tenerlo ben fermo tra le mani. Interroghiamo il passato, leggiamo quello che gli uomini hanno scritto, ma non comprendiamo. Interroghiamo la terra il cielo, gli astri, gli abissi dello spazio e gli abissi dell’anima; piangiamo di nostalgia e di compassione davanti ad ogni cosa bella, compiamo gesti di passione ardente e poi, all’improvviso, restiamo freddi, immobili. Più nulla, più nulla... Tutte le strade sono mie, ma sento in me l’incertezza. Contemplo questa tragica bellezza di creatura abbandonata, mi accorgo di vivere come un re in esilio cosciente della sua forza e della sua debolezza, tremo di estasi e di spavento quando guardo la Via Lattea, nutro la mia disperazione con la certezza che non potrà mai liberarmi dalla materia che mi tiene prigioniero, e tremo. Dove troverà la terra promessa della felicità e della pace?


Una lama di luce

Ho visitato Notre-Dame: è tutta bella. Belli i portali pieni di ombra, le torri potenti, la nobile magnificenza delle proporzioni armoniose e audaci, la gravità di sapersi casa di Dio. Ogni forma architettonica racchiude un’idea: ho capito in questa chiesa che cosa è la dirittura interiore, il legame tra bontà visibile e mondo spirituale... Non c’era nessuno nella chiesa. Dall’alto degli archi, già nascosti dall’ombra, scendeva sulla mia anima inquieta una stranissima pace. Ora sono solo: mi siedo e penso. Non capisco nulla della vita. Se Dio non esiste, se l’idea di Dio è stata creata dall’uomo per il bisogno di vincere la solitudine, ripudiare e calpestare le gioie della vita è ridicolo e assurdo. Ma qui, in questo convento, trovo tranquillità e pace, sento che i pensieri si volgono all’anima, capisco che la mia vita e quella di uomini come me è un’esistenza caotica, cieca e senza meta: qui capisco che fino ad oggi sono vissuto per cose effimere, che mi sono accontentato di ciò che passa. Le parole non bastano a descrivere quello che ho provato e quanto ancora brucia in me di luce forte e dolce. Ho intravisto un abisso, un vortice luminoso e accecante. Penso alla fede e capisco che essa è nemica del dubbio e delle questioni inutili. Mi pare di udire una voce: tieni in alto i pensieri e sii pronto. La luce può manifestarsi nel momento più buio della disperazione e perciò conquistarci sull’orlo della felicità. Sii vigilante. Ho paura; il palazzo della mia gioia trema dalle fondamenta: questa mia emozione non è forse frutto della bellezza? Non mi sono forse lasciato commuovere da un magnifico poema? E se queste mie parole non fossero altro che il vestito esteriore di un sogno bello ma vano e inutile? Questo mio spirito ha sete di certezza, vuole una realtà che Io soddisfi in tutto. Potrà Iddio appagarmi?... Dio è il desiderio che l’uomo ha dell’infinito, del bello, del sublime. Dio esiste soltanto nella mente dei sognatori e delle anime semplici. Ma perché allora sentiamo la nostalgia di vette inaccessibili? Perché questo interrogativo ci tortura? Chi ha posto nel nostro spirito questa domanda, chi ci fa sentire il desiderio inderogabile d’una risposta? Se il mondo è materia, di dove hanno origine l’intelligenza e questa furiosa ricerca di una soluzione? Mi fanno impressione la gioia e il rispetto con cui nostro figlio entra in chiesa. I suoi occhi di fanciullo si posano su tutto e vogliono la spiegazione di ogni particolare. Qualche giorno fa mi disse: «Papà, perché noi non ci inginocchiamo mai?». Ciò che non è Dio non dà gioia all’uomo: è passatempo, superficialità, menzogna; non accontenta il nostro sentimento né il nostro desiderio di Bellezza. Ho conosciuto in questo albergo una strana signora non più giovane: viene dall’America e una sera, seduta al mio tavolo, m’ha raccontato la sua vita. Non ha amici né parenti... ma s ì, un amico Io possiede, ben prezioso, e me Io mostra: il libretto degli assegni. Dice di annoiarsi... Viaggia senza meta, spinta dall’inquietudine, senza gioia. Ecco perché ho speranza Non penso al denaro, non desidero essere riverito, non bramo il piacere. Che cosa voglio dunque? Il lavoro, la bellezza e quelle ore di calma durante le quali, come bambino spaurito, cerco il significato del mondo: sono le uniche realtà che fanno tacere la mia inquietudine. Talvolta mi sento abbagliato da una luce improvvisa.

Ecco perché ho speranza.

Mi pare di contemplare l’anima in uno specchio e di camminare oltre questa porta, verso l’eternità divina. Il mio cuore è un incendio, soffro, eppure provo una grande gioia: il pensiero corre ai miei morti, scruta la terra, la vita, gli spazi infiniti; l’inquietudine si placa, posseggo per un attimo la certezza, ho fiducia, mi sento vicino all’Assoluto. Chi ha ragione? Queste donne che hanno rinunziato a quanto noi stimiamo indispensabile - amore, libertà, figli, gloria -, che si sono consacrate a Dio, che allontanano il desiderio che sempre rinasce, che pregano e cantano la gloria dell’Essere invisibile? Oppure noi che nella dispersione di ogni giorno gridiamo con pianto disperato, noi che attendiamo nel domani il compiersi della nostra speranza, che soffochiamo l’angoscia con gioie raffinate, che ci accechiamo alla luce cruenta del mondo visibile?
Alcuni giorni orsono, mentre ero nella. chiesa delle Benedettine, ho sentito un tuffo al cuore: Dio esiste, immenso, eterno, principio e fine di ogni cosa; in quel momento avevo la certezza che un giorno tutto sarà armonia, sentivo fiducia e gioia. La vita è buia e impenetrabile. Non posso liberarmi dal tormento che distrugge la certezza, eppure sento che la forza della fede cattolica s’impadronisce del mio cuore. Questa fede mi fa vedere Dio, mi libera dalla materia, rompe le mie catene, porta Io spirito come aquila verso la luce. Dio mio, non è possibile che tutto sia inutile, che la vita sia un sogno della nostra fantasia: sì, Dio esiste, Dio è il centro del mondo.

Voglio trovare Dio oltre le parole

Mi piacciono gli uomini che cercano, quelli che indagano, gli uomini che non si accontentano delle cose comuni, che gridano verso Dio. So che cos’è questa follia di grandezza. Non mi accontento della vita di tutti i giorni. Io voglio Dio. Ecco la salvezza: credere che la vita ha un senso, credere che è basata su di un solido fondamento. Colui che vive nel raccoglimento e che non si lascia stordire dalle cose e dagli uomini, colui che guarda al di là delle apparenze deve convincersi dell’esistenza di un Principio, deve accettare l’ordine, la presenza dello Spirito di Dio. Io ho provato la calma di questi momenti di certezza; sento, sulle rovine del cuore, il grido di questa indistruttibile speranza. Quanto deve essere profonda la gioia di colui che, all’improvviso, dopo aver camminato a lungo e cercato la pace inutilmente, capisce che lui pure è figlio di un Padre che Io conosce e che Io ama, e non un atomo sperduto nell’immensità dello spazio! Quest’uomo camminava disperato nel vuoto, e ora la coscienza gli dice con parole di fuoco che la sua vita non è inutile, che Dio Io vede, che Gesù Io ama, che la sua angoscia è compresa e amorevolmente seguita da una mano divina. Accetto. Voglio la verità. Il mio spirito è conquistato da queste cose meravigliose. Come uomo non capisco, ma l’anima sente. Mi abbandono a Dio. Mi pare di destarmi da un sogno: dopo lungo errare attraverso la notte vuota e oscura, ho ritrovato l’anima. Recito il Pater, e al suo confronto tutta la scienza dell’uomo mi pare vuota e assurda. L’anima ha fame, e la semplice preghiera insegnata da Gesù ha il potere di saziarla. Traccio il segno di Croce, e sento in me la pace. Non capisco, non so spiegare, ma questa .è la realtà. Mi sento infinitamente debole e immensamente grande. Ero arido al pari della terra bruciata, ed ecco che la pioggia benefica mi irrora. Che cosa ho fatto per meritare questo dono? Perché è stato concesso a me e alla mia famiglia e non ad altri? Ho cercato a lungo una risposta ai problemi e non ho capito questa semplice verità: basta mettersi in ginocchio, offrire il cuore a Dio e ogni mistero si fa luminoso come il sole. Tutto è mutato in me. Quello che prima giudicavo degno di grande attenzione ora non mi interessa più. Ripenso al tempo passato e non mi riconosco: ero io l’infelice, l’inquieto che cercava con ansia e che giocava con la sua angoscia perché non trovava pace? Ero io l’ignorante che tentava di saziare la sua fame di Dio con cibi terreni e che ingannava se stesso con menzogne nutrite d’orgoglio? Si, ero proprio io. La disperazione mi faceva sanguinare, gli uomini che incontravo mi davano la sensazione del caos, eppure giudicavo la religione come il sogno fatuo, sorpassato e inutile, di uomini fuori tempo, e mi credevo generoso e sapiente perché ero disposto ad accordare diritto di cittadinanza a tutte le idee. Ero ridicolo e cieco. Ora invece vedo. Sono in ginocchio e inizio così la mia nuova vita. 

PIETER VAN DER MEER (1880-1970) è stato una delle più forti figure della rinascita cattolica olandese contemporanea. Dopo una giovinezza scettica, ma nella costante ricerca di valori autentici, l’ansia di superare le sue inquietudini e il desiderio di una completa certezza lo spinsero alla fede cattolica e alla conversione. La sua straordinaria avventura spirituale è proposta in intense pagine di amore e di fede che costituiscono la numerosa raccolta dei suoi scritti, tra,i quali sono stati pubblicati dalle Edizioni Paoline: La verità vi renderà liberi (1973); Diario di un convertito (1975 – 7ed); Uomini e Dio (1975 – 7ed); Il paradiso bianco (1975 – 2ed); Tutto è amore (1974); La Terra e il Regno (1975).


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