Vivere
nel presente - Senza rimpianti e senza "se"
È
difficile vivere nel presente. Il passato e il futuro continuano a
tormentarci. Il passato con la colpa, il futuro con le ansie. Tante
cose sono accadute nella nostra vita per le quali ci sentiamo a
disagio, pieni di rimpianti, di rabbia, di confusione o, per lo meno,
ambivalenti. E tutti questi sentimenti sono spesso colorati di colpa.
La colpa che dice: "Dovevi fare qualcosa di diverso da quello
che hai fatto; dovevi dire qualcosa di diverso da quello che hai
detto". Questi "dovevi" continuano a farci sentire in
colpa rispetto al passato e ci impediscono di essere pienamente
presenti nel momento attuale.
Peggiori
della colpa sono però le nostre ansie. Le nostre ansie riempiono la
nostra vita di "se": "se perdo il lavoro, se mio padre
muore, se non ci sarà abbastanza denaro, se l'economia va male, se
scoppia una guerra?". Tutti questi "se" possono
talmente riempire la nostra mente che diventiamo ciechi ai fiori nel
giardino e ai bambini nelle strade, o sordi alla voce grata di un
amico.
I
veri nemici della nostra vita sono questi "dovevi" e questi
"se". Ci spingono indietro nell'inalterabile passato e in
avanti verso un imprevedibile futuro. Ma la vera vita ha luogo qui ed
ora. Dio è un Dio del presente. Dio è sempre nel momento presente,
che quel momento sia facile o difficile, gioioso o doloroso. Quando
Gesù parlava di Dio ne parlava sempre come di un Dio che è quando e
dove noi siamo. "Chi ha visto me ha visto il Padre. Chi ascolta
me ascolta il Padre." Dio non è qualcuno che era o che sarà,
ma Colui che è, e che è per me in questo momento. Perciò Gesù è
venuto a spazzar via il peso del passato e le ansie del futuro. Egli
vuole che noi scopriamo Dio proprio là dove siamo, qui e ora.
La
gioia - Il frutto della speranza
Vi
è una relazione intima tra gioia e speranza. Mentre l'ottimismo ci
fa vivere come se presto un giorno le cose dovessero andare meglio
per noi, la speranza ci libera dalla necessità di prevedere il
futuro e ci consente di vivere nel presente, con la profonda fiducia
che Dio non ci lascerà mai soli, ma adempirà i desideri più
profondi del nostro cuore.
In
questa prospettiva, la gioia è il frutto della speranza. Quando ho
la profonda fiducia che Dio è veramente con me e mi tiene al sicuro
in un abbraccio divino, guidando ognuno dei miei passi, posso
liberarmi dall'ansioso bisogno di sapere come sarà domani, o quel
che accadrà il prossimo mese, o l'anno prossimo. Posso essere
pienamente dove sono e prestare attenzione ai tanti segni dell'amore
di Dio in me e intorno a me.
Spesso
parliamo del "buon tempo andato", ma quando vi riflettiamo
criticamente e lasciamo perdere i nostri ricordi pieni di
romanticismo, scopriremo presto che proprio a quell'epoca eravamo in
grandi ansie circa il nostro futuro.
Quando
confidiamo profondamente che l'oggi è il giorno del Signore e che il
domani è saldamente nascosto nell'amore di Dio, i nostri volti
possono distendersi e possiamo sorridere a Colui che ci sorride.
Ricordo
che una volta camminavo lungo la spiaggia con un amico. Parlavamo
intensamente del nostro rapporto, sforzandoci di spiegare l'un
all'altro e di comprendere i nostri sentimenti reciproci. Eravamo
così preoccupati delle nostre difficoltà che non notammo il
magnifico tramonto da cui si sprigionava un ricco spettro di colori,
sopra le onde incappucciate di schiuma che si rompevano sulla vasta,
silenziosa spiaggia.
All'improvviso
il mio amico esclamò: "Guarda... Guarda il sole... Guarda!".
Mi mise un braccio intorno alle spalle e insieme contemplammo la
rutilante sfera di fuoco scomparire gradualmente sotto l'orizzonte
del vasto oceano.
In
quel momento entrambi conoscemmo la speranza e la gioia.
La
sofferenza - Una comunione dei deboli
Un
modo molto importante per farci amico il dolore è farlo uscire
dall'isolamento e condividerlo con qualcuno che può accoglierlo.
Tanta parte del nostro dolore rimane nascosto, anche ai nostri amici
più intimi. Quando ci sentiamo soli, andiamo da qualcuno in cui
abbiamo fiducia e gli diciamo: "Mi sento solo. Ho bisogno del
tuo sostegno e della tua compagnia"? Quando ci sentiamo ansiosi,
sessualmente inquieti o inaspriti, osiamo chiedere a un amico di
essere con noi e di accogliere la nostra pena?
Troppo
spesso pensiamo o diciamo: "Non voglio disturbare gli amici con
i miei problemi; ne hanno abbastanza dei loro". Ma la verità è
che invece onoriamo i nostri amici confidando loro le nostre lotte.
Non diciamo forse anche noi ai nostri amici che ci hanno nascosto i
loro sentimenti di paura e di vergogna: "Perché non me l'hai
detto, perché l'hai tenuto segreto per tanto tempo?". Certo,
non tutti possono accogliere le nostre pene nascoste; ma io credo che
se desideriamo veramente crescere acquistando maturità spirituale,
Dio ci manderà gli amici di cui abbiamo bisogno.
Tanta
parte della nostra sofferenza deriva non soltanto dalla nostra
situazione dolorosa, ma dal nostro sentimento di essere isolati nel
nostro dolore. Molta gente che soffre profondamente per una cattiva
abitudine - all'alcool, alla droga, al sesso o al cibo - trova il suo
primo vero sollievo quando può condividere la propria pena con altri
e scoprire di essere veramente ascoltata. I tanti servizi di
consulenza sono una incisiva testimonianza della verità che
condividere il nostro dolore è l'inizio della guarigione. Quando
scopro di non essere più solo nella mia lotta e quando comincio a
sperimentare una nuova "fraternità nella debolezza",
allora può prorompere la vera gioia, proprio in mezzo al dolore.
Non
è facile tuttavia uscire dal nostro isolamento. In qualche modo,
vogliamo sempre risolvere da soli i nostri problemi. Ma Dio ci ha
dato gli uni agli altri per costruire una comunità di amore
reciproco, dove possiamo scoprire insieme che la gioia non è
soltanto per altri ma per tutti noi.
La
conversione - Lo spirito di amore
Pur
rendendomi conto che dieci anni fa non avevo la minima idea che sarei
andato a finire dove sono ora, mi piace tuttavia conservare
l'illusione che la mia vita è sotto controllo. Mi piace decidere di
che cosa ho più bisogno, che farò tra poco, che cosa voglio
raggiungere e che cosa gli altri penseranno di me. Mentre sono così
occupato a condurre la mia esistenza, mi scopro dimentico dei lievi
movimenti dello Spirito di Dio in direzioni completamente diverse
dalle mie.
Ci
vuole molta solitudine interiore e molto silenzio per diventare
coscienti di questi movimenti divini. Dio non grida, non urla e non
spinge. Lo Spirito di Dio è dolce e gentile come una voce sommessa o
una leggera brezza. È lo spirito dell'amore. Forse non crediamo
ancora del tutto che lo Spirito di Dio sia davvero uno Spirito di
amore, che ci conduce sempre più nelle profondità dell'amore. Forse
non abbiamo fiducia in questo Spirito, per paura di essere
condotti in luoghi nei quali perderemmo la nostra libertà. Forse
pensiamo ancora allo Spirito di Dio come a un nemico che vuole da noi
qualcosa che non è bene per noi.
Ma
Dio è amore, soltanto amore, e lo Spirito di Dio è lo Spirito di
amore che vuole guidarci al luogo dove possano essere adempiuti i
desideri più profondi del nostro cuore. Spesso noi stessi non
sappiamo neppure quale sia il nostro desiderio più profondo.
Restiamo così facilmente prigionieri della nostra avidità e della
nostra rabbia, nel presupposto sbagliato che esse ci dicano ciò che
realmente vogliamo.
Lo
Spirito dell'amore dice: "Non aver paura di abbandonare il
bisogno di dominare la tua esistenza. Lascia che io adempia il vero
desiderio del tuo cuore."
Una
vita di disciplina - Una meta precisa
Abbiamo
uno scopo chiaro nella vita? Gli atleti che hanno come scopo quello
di guadagnarsi la medaglia olimpica sono disposti a lasciare che
tuttto il resto diventi secondario. Il modo in cui mangiano, dormono,
studiano e si allenano, tutto è determinato da quello scopo preciso.
Questo
è vero sia nella vita spirituale che nella vita delle competizioni
sportive. Senza un chiaro scopo saremmo sempre distratti e
spenderemmo le nostre energie per cose secondarie. "Fissate lo
sguardo sul premio", diceva Martin Luther King alla sua gente.
Qual è il nostro premio? È la vita divina, la vita eterna, la vita
con Dio e in Dio. Gesù ci ha annunciato quello scopo, quel premio
celeste. A Nicodemo ha detto: "Dio infatti ha tanto amato il
mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui
non muoia, ma abbia la vita eterna". (Gv 3,16)
Non
è facile mantenere lo sguardo fisso sulla vita eterna, specialmente
in un mondo che continua a dirci che ci sono cose più immediate e
urgenti alle quali prestare attenzione. È raro che vi sia un giorno
che non svii la nostra attenzione dalla nostra meta, rendendola vaga
e nebulosa. Pure, sappiamo per esperienza che senza un chiaro scopo
la nostra vita si spezzetta in tanti compiti e obblighi che ci
trascinano lasciandoci un senso di stanchezza e di inutilità. In che
modo allora conserviamo una visione chiara del nostro scopo, come
fissiamo lo sguardo sul premio? Con la disciplina della preghiera: la
disciplina che ci aiuta a riportare sempre di nuovo Dio al centro
della nostra vita. Continueremo sempre a essere distratti,
costantemente occupati da tante esigenze impellenti, ma quando vi
sono un tempo e un luogo messi da parte per tornare al nostro Dio,
che ci offre la vita eterna, allora gradualmente diventeremo
consapevoli che le tante cose che dobbiamo fare, dire o pensare non
ci distraggono più, ma ci portano invece tutte più vicino al nostro
scopo. È tuttavia importante che il nostro scopo rimanga chiaro. La
preghiera mantiene chiaro il nostro scopo, e quando il nostro scopo
diventa vago, la preghiera lo rende chiaro di nuovo.
La
vita spirituale - Una vita riconoscente
Come
possiamo vivere una vita davvero riconoscente? Quando riguardiamo a
tutto quello che ci è accaduto, facilmente dividiamo la nostra vita
tra cose buone e cose cattive da dimenticare. Ma con un passato così
diviso non possiamo andare liberamente verso l'avvenire. Con tante
cose da dimenticare, possiamo soltanto andare zoppicando verso il
futuro.
La
vera gratitudine spirituale abbraccia tutto il nostro passato, gli
eventi buoni come quelli cattivi, i momenti gioiosi come quelli
tristi. Dal punto in cui stiamo ogni cosa che è avvenuta ci ha
portato a questo momento, e vogliamo ricordarlo tutto come una parte
della guida di Dio. Questo non significa che tutto quello che è
accaduto in passato sia buono, ma significa che anche il male non è
avvenuto al di fuori dell'amorevole presenza di Dio.
La
sofferenza di Gesù stesso gli fu imposta dalle forze delle tenebre,
eppure egli parla della sua sofferenza e della sua morte come del suo
cammino verso la gloria.
È
molto difficile riuscire a portare tutto il nostro passato sotto la
luce della gratitudine. Vi sono tante cose di cui ci sentiamo
colpevoli e proviamo vergogna, tante cose che semplicemente vorremmo
che non fossero accadute. Ma ogni volta che abbiamo il coraggio di
guardare "tutto" e di guardarlo come Dio lo vede, la nostra
colpa diventa una felice colpa e la nostra vergogna una felice
vergogna, perché ci hanno portato a un riconoscimento più profondo
della misericordia di Dio, a una convinzione più forte della guida
di Dio, a un impegno più radicale per una vita al servizio di Dio.
Quando
tutto il nostro passato viene ricordato con gratitudine, siamo liberi
di essere mandati nel mondo a proclamare la buona notizia agli altri.
Come il rinnegamento di Pietro, una volta perdonato, non lo ha
paralizzato, ma è diventato per lui una nuova fonte di fedeltà,
così tutti i nostri fallimenti e tradimenti possono essere
trasformati in gratitudine e renderci capaci di diventare messaggeri
di speranza.
La
preghiera - Dall'ansia alla preghiera
Uno
dei modi meno idonei per smetterla di angosciarci è cercare di non
pensare alle cose che ci procurano quest'ansia. Non possiamo
scacciare le nostre ansie con la mente. Quando giaccio nel mio letto
e mi preoccupo per il prossimo incontro, non posso far cessare le mie
ansie dicendomi: "Non pensare a queste cose; addormentati. Le
cose si metteranno a posto domani." La mia mente risponde
semplicemente: "Come lo sai?", e ricomincia ad angosciarsi.
L'invito
di Gesù ad applicarci col cuore al suo Regno in un certo senso è
paradossale. Si potrebbe interpretarlo cosi: "Se vuoi
angosciarti, fallo per qualcosa per cui valga la pena. Preoccupati di
cose più grandi della tua famiglia, dei tuoi amici, o dell'incontro
di domani. Preoccupati delle cose di Dio: la verità, la vita, la
luce!". Appena applichiamo il nostro cuore a queste cose la
nostra mente smette di agitarsi, perché entriamo in comunione con
Colui che è presente con noi qui e ora, ed è qui per darci quello
di cui abbiamo più bisogno. L'ansia diventa allora preghiera, e i
nostri sentimenti di impotenza si trasformano nella coscienza di
essere fortificati dallo Spirito di Dio.
In
verità, con l'ansia non possiamo prolungare la nostra vita, ma
possiamo andare molto al di là dei confini della nostra breve
esistenza e reclamare la vita eterna quali diletti figli di Dio.
Con
questo le nostre ansie finiranno? Probabilmente no. Finché siamo in
questo mondo, pieno di tensioni e di pressioni, la nostra mente non
sarà mai libera dall'ansia, ma se siamo costanti nel tornare col
cuore e con la mente all'amore di Dio che ci avvolge, allora possiamo
continuare a sorridere del nostro io ansioso e a tenere occhi ed
orecchi aperti alle visioni e ai suoni del Regno.
Compassione
- Soffrire con gli altri
La
compassione è cosa diversa dalla pietà. La pietà suggerisce
distanza, persino una certa condiscendenza. Io spesso agisco con
pietà: do del denaro a un mendicante nelle strade di Toronto o di
New York, ma non lo guardo negli occhi, non mi siedo con lui, non gli
parlo. Sono troppo occupato per fare veramente attenzione all'uomo
che mi si rivolge. Il mio denaro sostituisce la mia personale
attenzione e mi dà una scusa per proseguire il mio cammino.
Compassione
significa stare vicino a chi soffre. Ma possiamo stare vicino a
un'altra persona soltanto se siamo disposti a diventare vulnerabili
noi stessi. Una persona compassionevole dice: "Sono tuo
fratello; sono tua sorella; sono umano, fragile e mortale, proprio
come te. Non mi scandalizzo per le tue lacrime e non ho paura del tuo
dolore. Anch'io ho pianto. Anch'io ho sofferto". Possiamo essere
con l'altro soltanto quando l'altro cessa di essere "altro"
e diventa come noi.
È
forse questa la ragione principale per cui talvolta troviamo più
facile mostrare pietà che non compassione. La persona che soffre ci
invita a diventare consapevoli della nostra propria sofferenza. Come
posso dare risposta alla solitudine di qualcuno se non ho contatto
con la mia stessa esperienza della solitudine? Come posso essere
vicino a un handicappato, se rifiuto di riconoscere i miei handicap?
Come posso essere col povero quando non sono disposto a confessare la
mia propria povertà?
Quando
rifletto sulla mia vita, mi rendo conto che i momenti di maggiore
conforto e consolazione sono stati momenti in cui qualcuno mi ha
detto: "Non posso toglierti il tuo dolore, non posso offrire una
soluzione al tuo problema, ma posso prometterti che non ti lascerò
solo e starò con te finché potrò e nel modo migliore di cui sarò
capace". Vi è molta sofferenza e molto dolore nella nostra
vita, ma quale benedizione quando non dobbiamo vivere da soli il
nostro dolore e la nostra sofferenza. Questo è il dono della
compassione.
La
famiglia - Il tormento dell'ansia
La
gente dice: "Non ti preoccupare, tutto andrà bene". Ma noi
ci preoccupiamo e non possiamo smetterla di angosciarci soltanto
perché qualcuno ce lo dice. Una delle cose che causano più
sofferenza nella vita è che ci preoccupiamo molto per i nostri
figli, i nostri amici, il nostro coniuge, il nostro lavoro, il nostro
futuro, la nostra famiglia, il nostro paese, il nostro mondo e
infinite altre cose. Conosciamo già la risposta di Gesù: "E
chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola
alla sua vita?" (Mt 6,27). Sappiamo che la nostra ansia non ci
aiuta e non risolve nessuno dei nostri problemi. Pure, ci angosciamo
spesso, e quindi soffriamo molto. Vorremmo smetterla di stare in
ansia, ma non sappiamo come fare. Anche se ci rendiamo conto che
domani avremo forse dimenticato quello per cui ci eravamo tanto
angosciati oggi, ci rimane tuttavia impossibile distogliere la nostra
mente dall'ansia.
Mia
madre, che era una donna che si curava molto degli altri e pregava
molto, si angosciava parecchio, specialmente per me, per mio fratello
e mia sorella. Quando ero a casa non andava mai a dormire se non era
sicura che io vi avessi fatto ritorno sano e salvo. Ed era così non
solo quando ero adolescente e mi piaceva far tardi con gli amici la
sera, ma anche dopo che ebbi viaggiato in lungo e in largo in aereo,
in treno, in autobus, trovandomi talvolta in situazioni davvero
pericolose. Quando tornavo a casa, avessi diciotto o quarant'anni,
mia madre se ne stava sveglia a preoccuparsi per il figlio finché
non era sicura che fosse al sicuro nel suo letto!
Molti
fra noi non agiscono diversamente. E allora la vera domanda è:
possiamo far qualcosa per angosciarci di meno e stare più
tranquilli? Se è vero che non possiamo cambiare nulla con la nostra
ansia, come possiamo allora insegnare al nostro cuore e alla nostra
mente a non sprecare tempo ed energie in ansiose elucubrazioni che ci
fanno girare a vuoto dentro noi stessi? Gesù dice: "Cercate
prima il regno di Dio". Questo ci dà un'indicazione della
giusta direzione.
Relazioni
- Testimoni viventi dell'amore di Dio
Tutte
le relazioni umane, siano esse tra genitori e figli, tra mariti e
mogli, tra amanti e tra amici o tra membri di una comunità, vanno
intese come segni dell'amore di Dio per l'umanità nel suo insieme e
per ciascuno in particolare. È un punto di vista assai poco comune,
ma è il punto di vista di Gesù. Gesù dice: "Come io vi ho
amato, così anche amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli" (Gv 13,34-35). E come ci ama
Gesù? Egli dice: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho
amato voi" (Gv 15,9). L'amore di Gesù per noi è la piena
espressione dell'amore di Dio per noi, perché Gesù e il Padre sono
uno. "Le parole che io vi dico non le dico da me; ma il Padre
che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il
Padre è in me" (Gv 14,10-11).
Queste
parole sulle prime suonano molto irreali e mistificanti, ma hanno una
conseguenza diretta e radicale per il modo in cui viviamo i nostri
rapporti giorno per giorno.
Gesù
ci rivela che siamo chiamati da Dio a essere testimoni viventi del
suo amore, e lo diventiamo seguendo Gesù e amandoci a vicenda come
egli ci ama. Che cosa ha da dire tutto questo al matrimonio,
all'amicizia e alla comunità? Dice che la fonte dell'amore che
sostiene questi rapporti non sono coloro che li vivono, ma Dio che li
chiama insieme. Amarsi l'un l'altro non significa aggrapparsi
all'altro per essere sicuri in un mondo ostile, ma vivere insieme in
modo tale che chiunque possa riconoscerci come persone che rendono
visibile l'amore di Dio nel mondo. Non soltanto ogni paternità e
maternità vengono da Dio, ma anche ogni amicizia, ogni associazione
nel matrimonio e ogni comunità. Quando viviamo come se i rapporti
umani fossero di natura solo umana, e quindi soggetti alle
trasformazioni e ai mutamenti e delle norme e dei costumi umani, non
possiamo aspettarci altro che l'immensa frammentazione e alienazione
che caratterizzano la nostra società. Ma quando ci appelliamo a Dio
e lo reclamiamo costantemente come fonte di ogni amore, scopriremo
l'amore come un dono di Dio al popolo di Dio.
Chi
siamo - Reclamare la predilezione di Dio
La
vita spirituale richiede che reclamiamo continuamente la nostra
identità. La nostra vera identità è che siamo figli di Dio,
diletti figli e figlie del nostro Padre celeste. La vita di Gesù ci
rivela questa misteriosa verità. Dopo che fu battezzato da Giovanni
nel Giordano, mentre usciva dall'acqua Gesù vide i cieli aperti e lo
Spirito, in forma di colomba, che scendeva su di lui. E una voce
venne dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono
compiaciuto" (Mc 1,10-11). È il momento decisivo della vita di
Gesù. La sua vera identità gli viene dichiarata. Egli è il Diletto
di Dio. Come tale viene inviato nel mondo affinché attraverso di lui
la gente scopra e reclami la propria appartenenza a Dio.
Ma
il medesimo Spirito che è disceso su Gesù e ha affermato la sua
identità come Diletto Figlio di Dio, lo ha anche condotto nel
deserto per essere messo alla prova da Satana. Satana gli chiese di
provare che era il Figlio Diletto di Dio trasformando le pietre in
pane, gettandosi dal pinnacolo del tempio per essere trasportato
dagli angeli e accettando i regni del mondo. Ma Gesù resistette alla
tentazione del successo, della popolarità e del potere, reclamando
con forza per se stesso la propria identità. Gesù non doveva
provare al mondo di essere degno di amore. Egli era già il "Diletto"
e questo gli consentiva di vivere libero dai giochi e dalle
manipolazioni del mondo, sempre fedele alla voce che gli aveva
parlato al Giordano. L'intera vita di Gesù fu una vita di
obbedienza, di attento ascolto di colui che lo aveva chiamato
"Diletto". Tutto quel che Gesù disse e fece proveniva da
quella comunione spirituale, profondamente intima. Gesù ci ha
rivelato che noi esseri umani, peccatori e sbandati, siamo invitati
alla medesima comunione che Gesù ha vissuto; che siamo i diletti
figli e figlie di Dio, così come egli è il Figlio Prediletto; che
siamo mandati nel mondo a proclamare la predilezione di Dio per
tutti, così come Gesù fu mandato, e che alla fine scamperemo ai
poteri distruttivi della morte, come egli vi scampò.
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