Secondo padre Marie Dominique Molinié op il riassunto di tutta la
rivelazione cristiana contenuta nelle sacre scritture è: “Dio offre
all’uomo la sua intimità: ne segue che il senso della vita sulla terra è
rispondere sì o no a questo invito. A seconda della risposta seguirà
un’eternità beata oppure un’eternità disastrata”. Molti sono chiamati a
comprendere con lucidità questo invito e le sue conseguenze, ma pochi
gli eletti che veramente lo comprendono e consapevolmente lo accolgono.
Questo è anche il riassunto della parabola degli invitati al banchetto
di nozze raccontata sia da san Matteo sia da san Luca.
Proviamo ad avventurarci nei misteri contenuti nel racconto, consapevoli
di procedere balbettando e barcollando. È tuttavia utile provare a
capire qualcosa anche se si commettono degli errori, anche se si
fraintendono o si capiscono male alcuni aspetti, perché quanto più
avremo fatto uno sforzo onesto e leale per comprendere, tanto più grande
sarà la gioia che otterremo quando il Signore ci spiegherà Lui stesso
come in effetti stanno le cose. Inoltre, tanto minore sarà la nostra
presunzione di capire e di sapere, perché avremo almeno intravisto la
profondità del mistero, e questo vale per tutti i misteri che
incontriamo sul nostro cammino.
Un racconto paradossale e drammatico
Il racconto del Signore ha un andamento paradossale e drammatico; ha uno
svolgimento diverso da quello che potremmo aspettarci che accada in un
normale banchetto di nozze organizzato dagli uomini. Forse ai nostri
giorni non più tanto, ma nei tempi in cui i beni materiali non erano
così abbondanti, tutti erano contenti di partecipare a una festa di
nozze in cui si poteva mangiare e bere in abbondanza, cantare e stare
allegri. Nessuno avrebbe cercato scuse per non partecipare, ma
soprattutto nessuno avrebbe malmenato o ucciso chi si fosse presentato
per invitare alla festa. Inoltre, tutti avrebbero fatto del loro meglio
per venire con qualche regalo e con abito decente. Di solito gli uomini
cercano pretesti per moltiplicare le feste, non per non parteciparvi.
Come mai, quando a organizzare la festa è Dio le cose vanno in modo
assai diverso? Come mai il dramma della violenza, dell’assassinio, della
città che brucia e dell’esclusione dal banchetto dell’invitato indegno?
Eppure ogni uomo desidera la festa e la gioia, ogni uomo desidera il
massimo della festa e della gioia che è appunto una festa di nozze, la
festa dell’amore. La parabola raccontata dal Signore descrive allora il
dramma e il paradosso della nostra attuale situazione. L’uomo, in modo
garbato o violento, rifiuta ciò che può renderlo davvero felice e
s’illude, o pretende, di riuscire a costruirsi una pienezza di vita, una
pienezza d’amore, con le sue sole forze e senza dover rispondere
all’invito di Dio. Il risultato di questo rifiuto è la morte e la città
che brucia. Ossia, tutto ciò che l’uomo vuole costruire senza dover
rispondere alle iniziative di Dio è destinato a perire, è destinato ad
andare in fumo.
Ci bastano le feste umane
Proviamo ad approfondire alcuni aspetti della parabola. L’invito alla
festa è rivolto in due tempi. C’è un primo invito più discreto e un
secondo più pressante e più esplicito. Del primo si dice solo che gli
invitati non volevano venire. Perché non volevano venire? Forse
per timidezza? O forse perché, data la loro condizione, non si
ritenevano degni di partecipare a una festa regale? Se fossero stati
questi i motivi, i servi incaricati del secondo invito avrebbero dovuto
dire: “Non abbiate timore, e la vostra umile condizione non sia di
impedimento nel rispondere all’invito del re, il quale è potente,
generoso, buono, e vuole rendere felici tutti i suoi sudditi”. I servi
inviati la seconda volta invece dicono: “Il pranzo è pronto; sono stati
preparati buoi e animali ingrassati, venite alle nozze!”. I servi cioè
cercano di invogliare a partecipare alla festa mostrando l’abbondanza e
la prelibatezza dei cibi riservati agli invitati; ma non c’è niente da
fare nonostante l’abbondanza e la prelibatezza dei cibi, gli invitati
non ne vogliono proprio saperne di venire alla festa preparata dal loro
re, ma se ne vanno: chi al proprio campo, chi ai propri affari.
Ed è come se dicessero: “Ci basta la festa che prepariamo noi con i
prodotti che otteniamo dai nostri campi e con le ricchezze che ci
procurano i nostri affari”.
Effettivamente, dai propri campi e dai propri affari l’uomo riesce ad
ottenere qualcosa per allestire una festa secondo i suoi gusti, ma, nel
migliore dei casi, le feste degli uomini hanno due difetti e nei
peggiori innumerevoli altri. Il primo difetto è che anche nelle feste
più riuscite rimane nel profondo del cuore un senso di insoddisfazione,
un certo disagio, un certo vuoto che niente riesce a colmare. Il secondo
difetto è che le feste alla fine finiscono, e anche se si cerca di
rimediare a questo difetto con la loro ripetizione, col passare del
tempo ci si accorge che le feste riescono a mantenere sempre meno la
promessa di felicità che all’inizio sembravano poter assicurare.
Bisogna poi considerare che, nel profondo del nostro cuore, c’è un
bisogno di assoluto, un bisogno di infinito, il bisogno di qualcosa che
sia veramente in grado di rispondere in modo soddisfacente alla nostra
fame e sete di vita, di verità, di amore. Ora, nessuna festa umana può
rispondere a questo bisogno, ma se a causa della nostra cecità e
stoltezza insistiamo a chiedere alle feste umane ciò che esse non
possono dare, queste feste scivoleranno inevitabilmente verso eccessi,
depravazioni, ricerca di sensazioni estreme, ingiustizie, oppressione,
sfruttamento dei deboli, tradimenti, crudeltà, distruzione e morte.
La persecuzione degli inviati del re
Possiamo allora tentare di capire perché i servi inviati la seconda
volta, vengono da alcuni insultati e addirittura uccisi. Chi, in nome di
Dio e in modo esplicito, si presenta per invitare a partecipare a una
festa organizzata da Dio stesso, ci obbliga inevitabilmente a rispondere
con un sì o con un no; accettare l’invito significa nei fatti
rinunciare alle feste degli uomini e mettersi in cammino verso il
castello del re. Le motivazioni di chi non accoglie l’invito sono
piuttosto misteriose e complesse, in parte consapevoli e in parte no, in
parte colpevoli e in parte no. “Il cuore dell’uomo è un abisso” (Sal
63, 7 prec. vers. CEI) ed è difficilmente guaribile (Ger 17, 9). Così la scrittura ci invita a prendere atto del mistero che siamo e della situazione in cui ci troviamo.
Ora, più l’uomo è attaccato alle feste umane, meno è disposto ad
accogliere un invito che comporta l’abbandono delle feste umane per
dirigersi verso un’altra festa. Ecco perché il Signore dice: È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli (Mt
19, 24). Il ricco, infatti, crede di poter colmare con le ricchezze
l’abisso del suo cuore. La situazione si fa drammatica nel momento in
cui l’invito alla festa del re è colto come una contestazione del
proprio modo di concepire la festa, del proprio modo di concepire la
felicità. È come se gli inviati del re dicessero: “Dai vostri campi e
dai vostri affari, mai riuscirete ad ottenere ricchezze sufficienti per
organizzare una festa come si deve, solo il nostro re ha risorse e
ricchezze sufficienti per fare una festa degna di questo nome: con buoi,
animali ingrassati, musica e danze; venite alle nozze!”. Allora, l’uomo
cattivo e orgoglioso sente minacciata la “sua festa” dalla festa del
cielo e reagisce con durezza a questa minaccia; questa reazione può
giungere fino alla violenza e all’assassinio.
Un chiaro esempio della verità di queste cose lo possiamo vedere nella
storia di Giovanni Battista. Il tetrarca Erode che viveva con la moglie
di suo fratello Filippo, non riesce a sopportare il rimprovero di
Giovanni; incomincia allora col metterlo in prigione e poi, proprio
durante il banchetto del suo compleanno, giunge all’estrema malvagità di
farlo morire nel disperato tentativo di continuare la “sua festa” senza
essere contestato da quella scomoda voce.
La persecuzione oggi
Ciò che è successo a Giovanni Battista è continuato a succedere fino ai
nostri giorni. Quando la Chiesa insegna senza ambiguità come va intesa
la relazione fra uomo e donna, come vanno intesi i rapporti intimi nel
matrimonio e come non vanno intesi prima del matrimonio, quando mette in
guardia dalle conseguenze dolorose che seguono i disordini nelle
relazioni fra uomo e donna, è come se toccasse un nervo scoperto è come
se contestasse il modo barbaro ormai diffuso di concepire l’amore, è
come se minacciasse ciò da cui gli uomini sperano di trarre il massimo
della gioia, il massimo della festa secondo il loro modo di concepire la
gioia e la festa dell’amore. Le reazioni che seguono sono scomposte,
indignate, violente; ma soprattutto ed è peggio, questi insegnamenti non
vengono minimamente presi in considerazione. Ognuno in questa materia
fa quello che vuole ed è come se dicesse: “Questo campo lo lavoro io a
modo mio, questo è un affare in cui non ti permetto di entrare”. Così,
coloro che invitano alla festa dell’amore secondo il progetto di Dio,
vengono derisi, sbeffeggiati, considerati come retrogradi e complessati
oppure ignorati.
Ma la reazione negativa nei confronti degli inviati del re la possiamo
considerare anche secondo altri aspetti: tutti quegli aspetti per cui
l’uomo si sente minacciato dai rappresentanti di Dio nelle cose a cui è
particolarmente legato, quelle da cui ottiene o spera di ottenere
benessere e sicurezza. Possiamo pensare alle parole di Gesù: Se uno
viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i
fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio
discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non
può essere mio discepolo (Lc 14, 26-27). Queste parole minacciano e
attaccano tutto ciò che abbiamo di più caro, tutto ciò in cui cerchiamo
gioia, protezione, considerazione sociale, tutto ciò per cui siamo
disposti a investire ogni nostra risorsa per costruirci una vita, un
benessere, una festa, così come noi intendiamo la vita, il benessere e
la festa. Allora, l’invito del Signore a seguirlo non ha di solito molto
successo.
Un fatto poi che gli inviati del re ci ricordano, è appunto l’esistenza
di un Re supremo, l’esistenza del Re dei re che tutto domina, tutto
governa e ci invita a partecipare alla sua vita, alla sua gioia, al suo
amore. Ecco in fondo la minaccia più grande da cui cerchiamo di
difenderci. Stoltamente impegnati in questa impossibile impresa,
assomigliamo a un re che con diecimila uomini vorrebbe vincerne uno che
ne ha ventimila, non riusciamo allora a cogliere l’invito che ci è
rivolto e tanto meno a rallegrarcene, così l’invito alla festa e alla
gioia di Dio stesso cade nel vuoto.
Il paradosso e la cosa stupefacente della condizione umana è che ci
troviamo fortemente impegnati a difenderci, a combattere, a far male,
all’unico vero nostro amico e la mostruosità a cui giungiamo è di
crocifiggere Colui che ci ama. Molti sono chiamati a questa dolorosa e
benefica presa di coscienza, ma pochi gli eletti che vi giungono, tanto
pochi quanto i discepoli fedeli sotto la croce. La croce era già stata
annunciata nella precedente parabola dei vignaioli che stoltamente
uccidono il figlio del re venuto a chiedere quanto gli era dovuto. In
questa parabola vengono uccisi solo gli inviati del re e anche questo
fatto si ripete lungo la storia fino ai nostri giorni.
I cristiani, con le parole e con la vita, sono portatori di una certa
idea originale di Dio in se stesso, dei rapporti fra Dio e l’uomo, dei
rapporti degli uomini fra di loro e del destino finale della vita umana.
Ora, chi ha idee e convinzioni diverse, chi più fortemente è legato e
trae sicurezza dalle sue convinzioni e tradizioni, tanto più si sentirà
minacciato da chi nei fatti propone una diversa visione della realtà. La
convivenza più o meno pacifica di due diverse visioni della realtà può
giungere a dei momenti critici in cui questa convivenza si trasforma in
scontro vero e proprio con morti e feriti. Questi drammi accadono molto
spesso nelle terre di missione oppure lì dove i cristiani vivono accanto
a persone di altre religioni, oppure dove gruppi dominati da
un’ideologia vogliono imporre a tutti la loro ricetta della felicità.
L’invito a una festa diversa da fastidio e i messaggeri di questo invito
sono maltrattati o eliminati.
Come si uccidono i messaggeri di Dio
Un messaggero eliminato tace definitivamente, non può più far sentire la
sua voce, ed è ciò che accade nel mondo in cui viviamo, un mondo in cui
i messaggeri di Dio è come se venissero uccisi perché in modo garbato o
violento facciamo in modo di non sentire più la loro voce. Abbiamo i
nostri campi da lavorare e i profitti dei nostri affari in cui sperare,
assorbiti e impegnati in modo frenetico nelle nostre attività ci è
impossibile sentire la voce dei messaggeri di Dio ed è come se li
avessimo uccisi. Tutto questo è grave, non è senza colpa e non è senza
dolorose conseguenze. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Non sono parole dell’Antico Testamento, sono nel vangelo e sono dette
da Gesù. Esse ci dicono che non ascoltare la voce dei messaggeri che Dio
in ogni tempo manda all’uomo, è tanto grave quanto commettere un
assassinio e che a quest’azione malvagia seguirà un giusto e grave
castigo voluto da Dio stesso.
Come un assassino colpevolmente mette a morte qualcuno e per questo
merita una giusta e dolorosa punizione, così chi non ascolta la voce dei
messaggeri di Dio è come se mettesse a morte sia i messaggeri di Dio
che se stesso e per questo merita una giusta e dolorosa punizione.
Questa punizione è ancora un atto di misericordia da parte di Dio,
perché il dolore che subiamo ci avverte con molta chiarezza che siamo
fuori dalla retta via e che ci stiamo muovendo contro la verità, contro
le leggi della vita. Se Dio non punisse, sarebbe un Dio meno buono e
meno misericordioso, perché in fondo non gli importerebbe molto dei
nostri comportamenti, mentre, proprio il fatto che ci punisce indica che
nessuna nostra azione gli è indifferente, e questo perché ci ama e
vuole il nostro vero bene. Il Signore corregge colui che egli ama e
percuote chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che
voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene
corretto dal padre? (Eb 12, 6-7).
Apparente ingiustizia
Dobbiamo considerare a questo punto l’apparente ingiustizia di questa
punizione. Solo alcuni fra i destinatari dell’invito a nozze maltrattano
e uccidono gli inviati del re, ci si aspetterebbe allora che solo
questi siano puniti, invece, oltre all’uccisione degli assassini, le
truppe del re mettono anche a fuoco la loro città. È bene considerare
allora che, se non tutti hanno ucciso, tutti hanno rifiutato l’invito, e
la città data alle fiamme è per dirci che non rispondere all’invito a
nozze per dedicarci ai nostri campi e ai nostri affari è tanto grave da
meritare che la città in cui viviamo sia bruciata.
Non rispondere all’invito degli inviati del re significa rifiutare
l’invito alla vera vita, alla vera gioia, a una vita e una gioia che non
finiranno mai. Dobbiamo allora sapere che non possiamo cavarcela
facendo finta di niente, evitando di rispondere all’invito del re perché
per il momento stiamo bene così, perché per il momento dai nostri campi
e dai nostri affari riusciamo a ottenere una vita piacevole e
confortevole, verrà un giorno in cui la città in cui viviamo, ossia
tutti i beni e tutte le relazioni da cui otteniamo benessere, protezione
e conforto, saranno dati alle fiamme e andranno in fumo. Solo chi avrà
risposto all’invito e sarà uscito dalla città, scamperà al disastro.
Eugenio Pramotton dal sito http://www.medvan.it/
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