Il Beato Alessio Zaryckyj nacque, sestogenito, il 17 ottobre 1912 nel
villaggio di Bil’ce del distretto di Medynyci, nella regione di
Lviv (Ucraina). Ordinato sacerdote il 7 giugno 1936, il Beato partì
per Stynova Alta e Stynova Bassa, in Galizia, con l’incarico di
viceparroco. Di questo periodo abbiamo la testimonianza di Sua
Beatitudine Josyp Slipyj che il 28 marzo 1964 mise per iscritto:
“«Alessio» si distinse dagli altri per l’esercizio quotidiano
delle virtù teologali e morali. Era, infatti, una personalità
profondamente pia e religiosa, di spirito dolce e modesto. Me lo
ricordo sempre allegro, vivace e pronto al lavoro. Non è quindi
strano che già mentre studiava attirasse su di sè l’attenzione
di tutti a causa dell’intensa vita spirituale che conduceva.
Veniva, secondo i suoi meriti, giustamente considerato uno degli
allievi più progrediti per quanto riguarda la sua formazione
sacerdotale. Come sacerdote doveva essere nominato padre spirituale
del Seminario Minore, però la sua salute fragile non glielo
permise; fu quindi assegnata alla sua cura pastorale una parrocchia
di campagna.”
La
seconda missione pastorale fu a Strutyn, un piccolo paesino del
distretto di Zolochiv, nella regione di Lviv. Anche qui il suo arrivo
segnò un cambiamento sensibile nella vita parrocchiale: la gente
cominciò ad accostarsi quotidianamente al Sacramento Eucaristico e
alla Confessione mensile. Padre Zaryckyj ebbe un’attenzione
particolare per l’educazione religiosa dei giovani. Per i bambini
più piccoli fu organizzato un asilo infantile. Da quel momento i
bimbi, mentre i loro genitori lavoravano, ebbero un luogo dove stare
insieme. Lì imparavano poesie, canti, danze e altri giochi;
lì approfondivano la loro conoscenza del catechismo. Anche i ragazzi
provenienti da famiglie piuttosto povere avevano la possibilità di
frequentare la scuola. A fine anno il Padre Zaryckyj accompagnava i
ragazzi in gita a Goshiv, famoso luogo di culto mariano. La gente
amava e rispettava padre Zaryckyj per la sua profonda umiltà, per
la religiosità sincera, per la modestia di vita e l’indole
affettuosa.
La guerra e la scomparsa del “mondo di ieri”...
La guerra e la scomparsa del “mondo di ieri”...
Nel
settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale. Con l’arrivo
dei “liberatori” sovietici cominciò il terrore e la pressione
sull’avanguardia della società ucraina di allora, e padre Alessio
ne sperimentò le conseguenze in prima persona. Dopo aver messo in
casa parrocchiale ben due famiglie di lavoratori (cosa che limitò
anche l’attività di P. Alessio) il governo vietò nelle scuole
l’insegnamento della religione. Visto che non gli restava alcuna
possibilità di azione educativa, padre Alessio passò
all’attività clandestina. I ragazzi furono divisi in piccoli
gruppi, secondo il luogo di residenza di ognuno di loro, e l’alunno
più preparato insegnava agli altri la religione che lui stesso
imparava direttamente dal padre. Alcune lezioni di questo genere,
nonostante il pericolo e il rischio di venir scoperti, si tennero
anche nella casa parrocchiale. P. Alessio rimase a Strutyn, impegnato
con tutto se stesso in quest’attività, fino all’anno 1946. Nel
1946 una grande carestia si abbatte’ su tutto il territorio dello
stato ucraino. Padre Zaryckyj, con comprensione e misericordia, pur
avendo poco da dare, cercava di aiutare tutti. Si avvicinava il
momento della Prova e della Croce vissuta. Toccante questa
testimonianza della sua parrocchiana Anastasia K.:
“Un
giorno, dopo la celebrazione pubblica nella chiesa, il padre è
salito sull’ambone e ha detto ai presenti che quella era
probabilmente la sua ultima Liturgia tra noi, perché di lì a poco
sarebbe scaduto il termine che gli avevano concesso per firmare il
passaggio alla Chiesa ortodossa. Il Padre ci ha detto anche che aveva
risposto in modo negativo, che non avrebbe tradito il Nostro Signore
Gesù Cristo. Tutti noi amavamo veramente padre Zaryckyj, tutti
perciò serbavamo un grande rammarico: ciò che gli è successo ha
lasciato un triste dolore nei nostri cuori.” L’ultimo
insegnamento che il beato impartì ai suoi fedeli fu: “Non tradite
la fede dei vostri padri.”
L’arresto del Beato
Al Beato toccò la sorte di tutti i sacerdoti grecocattolici che rinunciarono al “passaggio libero e volontario nel seno della madre Chiesa ortodossa”: l’arresto immediato e il processo che doveva “provare” i crimini mai commessi per pronunciare una sentenza di condanna. Per sei mesi padre Zaryckyj rimase incarcerato nella prigione di Zolochiv, prigione dislocata in “una fortezza medioevale che aveva mura di un metro di spessore, con una valle e colline artificiali, circondate da torri di guardia” trasformate appositamente, per queste importanti caratteristiche, in un luogo di detenzione forzata per criminali e dissidenti politici, tra i quali furono collocati anche i ministri fedeli alla Chiesa Cattolica. “Di dentro, oltre l’edificio centrale, si trovava anche una piccola chiesetta, lo spazio interno della quale venne modificato per adibirlo a lavanderia dei prigionieri” . Anche nella condizione di prigioniero, il Beato riuscì a continuare il suo compito di pascere il gregge del Signore. Ogni giorno celebrava il culto vespertino, qualche volta guidava la pubblica preghiera di Moleben’, di mattino e nelle ore serali organizzava le preghiere in comune dei carcerati, raccontava loro la storia della Chiesa, li sosteneva spiritualmente. Da questa prigione passò a quella Leopolitana, con un regime più duro, perché in essa il Beato dovette soffrire molte ore di istruttoria “alla sovietica”, cioè con torture e molte umiliazioni. Sappiamo che patì la fame e subì il tormento di aghi infilati sotto le unghie e il cosiddetto “carcere” (una camera del carcere tutta speciale, alla quale, spesso per qualche giorno, venivano destinati coloro fra i prigionieri che non “cadevano” e continuavano a resistere ad un massiccio “attacco psichico” da parte del “giudice”, aiutato durante “l’interrogatorio” dai suoi compagni complici), e fu cosparso di bitume. In quel luogo le acque gelate gli arrivavano fino alle ginocchia...
L’arresto del Beato
Al Beato toccò la sorte di tutti i sacerdoti grecocattolici che rinunciarono al “passaggio libero e volontario nel seno della madre Chiesa ortodossa”: l’arresto immediato e il processo che doveva “provare” i crimini mai commessi per pronunciare una sentenza di condanna. Per sei mesi padre Zaryckyj rimase incarcerato nella prigione di Zolochiv, prigione dislocata in “una fortezza medioevale che aveva mura di un metro di spessore, con una valle e colline artificiali, circondate da torri di guardia” trasformate appositamente, per queste importanti caratteristiche, in un luogo di detenzione forzata per criminali e dissidenti politici, tra i quali furono collocati anche i ministri fedeli alla Chiesa Cattolica. “Di dentro, oltre l’edificio centrale, si trovava anche una piccola chiesetta, lo spazio interno della quale venne modificato per adibirlo a lavanderia dei prigionieri” . Anche nella condizione di prigioniero, il Beato riuscì a continuare il suo compito di pascere il gregge del Signore. Ogni giorno celebrava il culto vespertino, qualche volta guidava la pubblica preghiera di Moleben’, di mattino e nelle ore serali organizzava le preghiere in comune dei carcerati, raccontava loro la storia della Chiesa, li sosteneva spiritualmente. Da questa prigione passò a quella Leopolitana, con un regime più duro, perché in essa il Beato dovette soffrire molte ore di istruttoria “alla sovietica”, cioè con torture e molte umiliazioni. Sappiamo che patì la fame e subì il tormento di aghi infilati sotto le unghie e il cosiddetto “carcere” (una camera del carcere tutta speciale, alla quale, spesso per qualche giorno, venivano destinati coloro fra i prigionieri che non “cadevano” e continuavano a resistere ad un massiccio “attacco psichico” da parte del “giudice”, aiutato durante “l’interrogatorio” dai suoi compagni complici), e fu cosparso di bitume. In quel luogo le acque gelate gli arrivavano fino alle ginocchia...
Lo
stesso padre Zaryckyj, in seguito, confermò ai suoi intimi che il
motivo principale del suo arresto era stato il rifiuto di rinnegare
la Chiesa cattolica per passare a quella ortodossa. Il tribunale
sovietico, adoperando la montatura abituale in casi simili, lo
processò come “dissidente politico”, imputandogli i reati di
tipo ideologico e attivo (art. 54 del Codice Penale dell’Unione
Sovietica, allora vigente). Il 29 maggio 1948, il “Consiglio
Speciale presso il Ministero degli Affari Interni dell’URSS”
condannò padre Alessio a otto anni di prigionia nei lager dei
lavori forzati. All’inizio fu mandato in uno dei campi della
regione di Irkutsk, dove lavorava nella taiga ove i detenuti
tagliavano, con mezzi primitivi, i ceppi degli alberi secolari. In
seguito fu trasferito nel lager speciale per i detenuti politici in
Mordovia dove i detenuti dovevano caricare e scaricare mattoni su
camion e treni, lavoro durissimo. Padre Zaryckyj, anche se, dato il
suo stato sacerdotale, avrebbe potuto accettare l’aiuto dei suoi
compagni, che ben volentieri erano disposti a dargli una mano per
produrre la quantità quotidiana richiesta, non volle tuttavia mai
far vedere a nessuno la sua stanchezza e desiderò sempre essere
uguale a tutti. Pur in quelle condizione, P. Alessio non trascurò
mai i suoi obblighi sacerdotali ed apostolici: confessava di
nascosto, celebrava clandestinamente la Liturgia, pregava insieme
ai fedeli l’ufficio bizantino in suffragio dei defunti. La maggior
parte della sua permanenza nei campi di lavori forzati padre Alessio
la spese nelle regioni siberiane di Russia – di Kemerovo, di Omsk –
e nella Reppublica Socialista Sovietica di Kazakhstan, a Karaganda,
dove rimase anche dopo il suo rilascio, impedito di rientrare nella
sua patria a causa della riduzione dei suoi diritti civili, quale
conseguenza del “reato” commesso . La città di Karaganda (in
lingua locale del popolo di Kazakhstan significa “il sasso nero”)
fu fondata nel 1934 dai primi esiliati, secondo il programma
sovietico di genocidio ed etnocidio artificiale allo scopo di creare
una solida nazione omogenea, e cioè il popolo sovietico. I tedeschi
della zona del fiume Volga, gli ucraini di tutte le province del
paese, ecc. furono trasferiti forzatamente dai loro paesi nativi in
questo luogo deserto dell’Asia, negli anni 30 del XX secolo. Il
soggiorno forzato era reso difficile dalle condizioni climatiche
proibitive e dalla precarietà delle strutture abitative della
baraccopoli (di fatto una trincea gelata coperta da teli). La
mortalità era altissima. Fu fra questa gente, che seppe vivere il
suo martirio con fede, e la sua fede con eroismo (senza preti,
vivendo in preghiera in assemblee clandestine, accettando le Croci in
unione a Cristo) che P. Alessio spese l’ultima parte della sua
straordinaria vocazione sacerdotale. La scarcerazione del Beato Negli
anni 1955-1956 un’amnistia voluta da Krushov liberò anche molti di
coloro che erano stati esiliati nel 1947 dall’Ucraina Occidentale
in Kazakhstan. Il 10 aprile 1956, fu rilasciato anche padre Zaryckyj,
che però preferì rimanere in Kazakhstan per servire quella gente,
celebrando di continuo i Misteri Divini per i suoi fedeli, sia nelle
case private che nelle miniere. “In questo periodo il padre lavorava
come guardiano notturno sulla piazza dove si stava costruendo un
edificio. Mi ricordo come ogni giorno dalle varie parti della città
correvano da lui i bambini di diverse nazionalità per la lezione di
catechismo che egli impartiva loro... Le donne da Mizun’ del
distretto di Dolina (regione di Stanislaviv), abitanti anche loro
della nostra baracca, contribuirono alla ricostruzione del suo
appartamento, facendo da sole una specie di tempietto. Il padre
terminò la ricostruzione e consacrò questa piccola
chiesetta...”(Ivan Kudyba). Questo fu il centro della vita
religiosa della “parrocchia” organizzata dal padre degli ucraini
sulle terre di Kazakhstan. Come era solito fare, il Beato dedicava
molto tempo all’azione pastorale tra la gioventù, la quale
correva il rischio di perdere la propria identità nazionale e la
fede cattolica, distaccata com’era dalle sue radici spirituali.
Ogni qualvolta veniva celebrata la Messa festiva la stanza, che poteva
contenere 60-70 persone, si riempiva totalmente. Questo divenne
possibile soltanto perché nelle campagne e nei sobborghi (meno
controllati dalla polizia) si poteva avere ancora un minimo di
libertà necessaria per riunioni religiose. Padre Zaryckyj sapeva
celebrare anche la Messa in lingua latina e organizzava le feste
liturgiche per le comunità latine composte da tedeschi e polacchi
che si trovavano lontano dalla loro terra d’origine, e di cui il
Beato conosceva benissimo la lingua. Battezzava, confessava, benediva
i matrimoni, presiedeva le preghiere della comunità. Colpiva sempre
la sua carità illimitata verso il prossimo e la sua serena e totale
abnegazione. Spesso P. Alessio era costretto a svolgere la sua
attività di nascosto a causa della continua persecuzione da parte
degli agenti segreti. Una volta fu costretto, perchè ricercato, a
nascondersi. Durante la primavera del 1957 padre Zaryckyj aveva
visitato in Galizia la sua famiglia. Qui si era messo in contatto con
il vescovo clandestino della Chiesa greco cattolica ucraina, il Servo
di Dio Vasyl Veloˇckovskyj, da cui ricevette l’ordine di fare una
visita al Metropolita Slipyj, capo ufficiale della Chiesa
grecocattolica ucraina, che si trovava allora esiliato in Siberia. .
Ecco perché padre Alessio partì immediatamente per la regione di
Krasnojarsk. Dopo l’incontro col Metropolita fu arrestato dalla
polizia e dovette subire una pressante istruttoria di 5 giorni da
parte degli organi di sicurezza dello stato. P. Zaryckyj incontrò
diverse volte il compianto Metropolita Josyp Slipyj, che lo conosceva
molto bene ed era ben informato circa il suo ardente zelo apostolico
e la sua totale fedeltà alla Santa Sede. Proprio questa conoscenza
fu probabilmente il motivo per cui il metropolita lo nominò
Visitatore Apostolico per tutto il territorio di Kazakhstan,
assegnandogli come luogo di residenza permanente la città di
Karaganda. Al rientro in Ucraina, padre Alessio, ospite di una
famiglia amica, amministrava regolarmente i sacramenti, visitava i
conoscenti, chierici e monaci, con i quali era in contatto. La
Superiora delle Suore della Misericordia di San Vincenzo de Paoli lo
avrebbe voluto direttore spirituale del convento, ma P. Alessio non
accettò per tornare a servire il gregge karagandino, gia’ troppo
a lungo lasciato. P. Alessio, come al solito, viaggiava moltissimo, e
questo lo rese anche irreperibile alla polizia che più volte venne
a cercarlo, indagando su di lui. Giunse finalmente il tempo di
partire per Karaganda. Il 21 settembre 1957 lasciò l’Ucraina e
disse a coloro che andarono ad accompagnarlo alla stazione
ferroviaria: “Ci vediamo in cielo!”.
Il
27 ottobre 1957 padre Alessio Zaryckyj fu completamente riabilitato
da parte delle autorità competenti dello Stato, perché il reato
non sussisteva. Cominciò così l’ultimo periodo della sua
attività missionaria sul territorio di Samara, Orenburg, nelle zone
di Ural e nel Kazakhstan. “Egli si spostava continuamente. Nel 1960
era residente a Orsk, una città della regione di Orenburg. Tornato
a casa dal suo solito breve viaggio missionario, lo attendeva una
cattiva notizia: il reparto dei passaporti dell’ufficio di polizia
locale, la cui competenza era controllare la residenza dei cittadini,
lo privò del diritto di residenza in questa città. Padre Alessio
non fece alcuna contestazione né protesta, perché preferì
rimanere un volontario “vagabondo per Cristo”. Senza una
residenza fissa, possedendo soltanto il passaporto, continuava a
condurre il suo apostolato missionario, senza preoccuparsi dell’esito
di questo suo operato, che non poteva essere che l’arresto e la
prigionia. Questo eroico vagabondaggio di padre Zaryckyj si è
protratto ancora per due lunghi anni.” (padre W. Bukowinski)
Padre Alessio, specialmente in questi due ultimi anni della sua vita in relativa libertà, fu severamente perseguitato. Ad esempio, a Cheliabinsk la sua foto fu esposta ovunque, affinché chiunque si fosse incontrato con lui informasse gli organi di sicurezza dello Stato. A volte fu fermato davvero, anche se solo per essere interrogato, e poi rilasciato (azioni intimidatorie).
Il Secondo Arresto del Beato
All’inizio dell’anno 1962 padre Alessio fu di nuovo arrestato. Mentre era nella cella gli apparve la Vergine Madre di Dio, alla quale egli chiese il miracolo della liberazione. Il giorno successivo il Beato fu rilasciato. Ricominciò di nuovo il suo eroico servizio quotidiano ai fedeli cattolici – ucraini, tedeschi, polacchi – dispersi per tutto il territorio dello “stato dei lagher”. Nell’aprile del 1962 padre Zaryckyj rientrò nella città di Karaganda. Si sentiva alquanto indebolito: l’antica malattia dello stomaco (gastrite) aggravò la sua salute. Egli però non si preoccupava di questo, desiderando compiere la sua opera pastorale tra gli ucraini di Karaganda. Pensava inoltre di spostarsi in Tadzikistan, perché era consapevole che la polizia lo stava ormai raggiungendo. Non riuscì però a realizzare questo suo progetto. Il 9 maggio dello stesso anno il padre fu arrestato a Karaganda, vicino alla miniera , nei pressi della quale si trovava la vecchia chiesa ucraina, dove lui un tempo prestava il suo servizio. Come raccontano le persone che erano a conoscenza della situazione, era stato qualcuno della comunità karagandina degli ucraini a tradirlo. Il tribunale del 30 giugno 1962 pronunciò il verdetto per vagabondaggio, Art. 2011 del Codice Penale della Repubblica Sovietica Socialista di Kazakhstan: il cittadino sovietico Alessio Vasyl’ Zaryckyj è condannato a due anni di detenzione nei lagher. In verità, il Beato fu condannato per l’attività di sacerdote, alla quale aveva dedicato per intero gli ultimi anni della sua vita. Dopo la condanna, il Beato fu inviato nel campo Dolynka vicino a Karaganda, dove lavorava in una sartoria. Sebbene il lavoro che svolgeva non fosse pesante né pericoloso per la salute, il suo stato fisico cominciò a deteriorarsi rapidamente. Alla gastrite, di cui soffriva sin dall’età infantile, si aggiunse anche l’ipertonia. Vale la pena riportare anche la razione alimentare quotidiana per ogni detenuto del lagher di Dolynka: 10 gr. di farina, 12 gr. di diversi semi, 1 gr. di cipolla, il sale in quantità illimitate e 150-200 gr. di pane. Sopravvivere in queste circostanze era praticamente impossibile. Ogni giorno nel lagher morivano circa 30-40 persone; d’inverno i loro corpi non venivano seppelliti. Finivano semplicemente in una fossa dove, ammucchiati l’uno sull’altro, stavano ad aspettare il tramonto del sole, quando le bestie feroci venivano per divorare quella facile preda.
La morte del Beato
La missione del Beato Alessio Zaryckyj, Apostolo della Siberia, giunse al compimento nel giorno 30 ottobre 1963 nell’ospedale del campo Dolynka, dove morì a causa di una pancreatite necrotica. Il Beato spirò mentre giaceva sulla tavola della sala operatoria durante l’intervento chirurgico al pancreas. Fu seppellito nel cimitero del campo Dolynka. Uno dei prigionieri, un vecchio tedesco che aveva il compito di trasportare i cadaveri verso il luogo dell’eterno riposo, raccontò poi agli altri che, mentre il corpo del defunto Beato era condotto su un carro trainato da un cavallo verso il luogo della sepoltura, vide una donna avvolta in vesti bianche che accompagnava questa solitaria e triste processione funebre. Con una voce bellissima lei cantava la “Salve, Regina”, che si concluse appena la processione arrivò al camposanto. La donna finì di cantare e sparì. La notizia di questo evento si sparse subito tra i fedeli della città. Nell’ aprile del 1964 il fratello di padre Alessio, Ivan Zaryckyj, giunse a Dolynka e con molta difficoltà riuscì a identificare la tomba del Beato. Dopo aver scavato un po’, trovò una specie di scatola rozza, in cui erano state messe le spoglie del fratello defunto, che lui riconobbe subito dal volto, ancora riconoscibile. Il signor Ivan mise sul petto del Beato lo stikharion sacerdotale e la piccola croce pettorale che aveva portato con sé; quindi pose sulla tomba una croce di ferro con un’iscrizione identificativa. Quando i fedeli cattolici della città sentirono che la tomba del Beato era stata ritrovata, cominciarono a recarsi sul luogo per pregare, e appena vennero a sapere che sul territorio del cimitero del campo Dolynka stava per essere costruita una miniera, ne informarono subito il fratello Ivan. Lui ritornò di nuovo e, insieme agli ucraini cattolici parrocchiani del padre Alessio, fece traslare il corpo nel cimitero del sobborgo karagandino di Pryshakhtynsk. Nell’anno 1990 gli abitanti del villaggio Rjasna Ruska, exparrocchiani del Beato, fecero richiesta presso le autorità competenti per il trasporto della salma del loro parroco da Karaganda alla sua terra nativa, e il permesso fu accordato. La sua venerazione cresce di giorno in giorno. I fedeli cattolici in Ucraina, Germania, Kazakhstan e in altri paesi del mondo si rivolgono a lui per chiedere la sua intercessione. Oggi stesso noi tutti possiamo constatare che padre Alessio Zaryckyj, con il proprio sacrificio, ha confermato l’insegnamento che spesso ripeteva ai suoi fedeli: “Miei cari! Vi supplico di non tradire la fede dei vostri padri!”.
Padre Alessio, specialmente in questi due ultimi anni della sua vita in relativa libertà, fu severamente perseguitato. Ad esempio, a Cheliabinsk la sua foto fu esposta ovunque, affinché chiunque si fosse incontrato con lui informasse gli organi di sicurezza dello Stato. A volte fu fermato davvero, anche se solo per essere interrogato, e poi rilasciato (azioni intimidatorie).
Il Secondo Arresto del Beato
All’inizio dell’anno 1962 padre Alessio fu di nuovo arrestato. Mentre era nella cella gli apparve la Vergine Madre di Dio, alla quale egli chiese il miracolo della liberazione. Il giorno successivo il Beato fu rilasciato. Ricominciò di nuovo il suo eroico servizio quotidiano ai fedeli cattolici – ucraini, tedeschi, polacchi – dispersi per tutto il territorio dello “stato dei lagher”. Nell’aprile del 1962 padre Zaryckyj rientrò nella città di Karaganda. Si sentiva alquanto indebolito: l’antica malattia dello stomaco (gastrite) aggravò la sua salute. Egli però non si preoccupava di questo, desiderando compiere la sua opera pastorale tra gli ucraini di Karaganda. Pensava inoltre di spostarsi in Tadzikistan, perché era consapevole che la polizia lo stava ormai raggiungendo. Non riuscì però a realizzare questo suo progetto. Il 9 maggio dello stesso anno il padre fu arrestato a Karaganda, vicino alla miniera , nei pressi della quale si trovava la vecchia chiesa ucraina, dove lui un tempo prestava il suo servizio. Come raccontano le persone che erano a conoscenza della situazione, era stato qualcuno della comunità karagandina degli ucraini a tradirlo. Il tribunale del 30 giugno 1962 pronunciò il verdetto per vagabondaggio, Art. 2011 del Codice Penale della Repubblica Sovietica Socialista di Kazakhstan: il cittadino sovietico Alessio Vasyl’ Zaryckyj è condannato a due anni di detenzione nei lagher. In verità, il Beato fu condannato per l’attività di sacerdote, alla quale aveva dedicato per intero gli ultimi anni della sua vita. Dopo la condanna, il Beato fu inviato nel campo Dolynka vicino a Karaganda, dove lavorava in una sartoria. Sebbene il lavoro che svolgeva non fosse pesante né pericoloso per la salute, il suo stato fisico cominciò a deteriorarsi rapidamente. Alla gastrite, di cui soffriva sin dall’età infantile, si aggiunse anche l’ipertonia. Vale la pena riportare anche la razione alimentare quotidiana per ogni detenuto del lagher di Dolynka: 10 gr. di farina, 12 gr. di diversi semi, 1 gr. di cipolla, il sale in quantità illimitate e 150-200 gr. di pane. Sopravvivere in queste circostanze era praticamente impossibile. Ogni giorno nel lagher morivano circa 30-40 persone; d’inverno i loro corpi non venivano seppelliti. Finivano semplicemente in una fossa dove, ammucchiati l’uno sull’altro, stavano ad aspettare il tramonto del sole, quando le bestie feroci venivano per divorare quella facile preda.
La morte del Beato
La missione del Beato Alessio Zaryckyj, Apostolo della Siberia, giunse al compimento nel giorno 30 ottobre 1963 nell’ospedale del campo Dolynka, dove morì a causa di una pancreatite necrotica. Il Beato spirò mentre giaceva sulla tavola della sala operatoria durante l’intervento chirurgico al pancreas. Fu seppellito nel cimitero del campo Dolynka. Uno dei prigionieri, un vecchio tedesco che aveva il compito di trasportare i cadaveri verso il luogo dell’eterno riposo, raccontò poi agli altri che, mentre il corpo del defunto Beato era condotto su un carro trainato da un cavallo verso il luogo della sepoltura, vide una donna avvolta in vesti bianche che accompagnava questa solitaria e triste processione funebre. Con una voce bellissima lei cantava la “Salve, Regina”, che si concluse appena la processione arrivò al camposanto. La donna finì di cantare e sparì. La notizia di questo evento si sparse subito tra i fedeli della città. Nell’ aprile del 1964 il fratello di padre Alessio, Ivan Zaryckyj, giunse a Dolynka e con molta difficoltà riuscì a identificare la tomba del Beato. Dopo aver scavato un po’, trovò una specie di scatola rozza, in cui erano state messe le spoglie del fratello defunto, che lui riconobbe subito dal volto, ancora riconoscibile. Il signor Ivan mise sul petto del Beato lo stikharion sacerdotale e la piccola croce pettorale che aveva portato con sé; quindi pose sulla tomba una croce di ferro con un’iscrizione identificativa. Quando i fedeli cattolici della città sentirono che la tomba del Beato era stata ritrovata, cominciarono a recarsi sul luogo per pregare, e appena vennero a sapere che sul territorio del cimitero del campo Dolynka stava per essere costruita una miniera, ne informarono subito il fratello Ivan. Lui ritornò di nuovo e, insieme agli ucraini cattolici parrocchiani del padre Alessio, fece traslare il corpo nel cimitero del sobborgo karagandino di Pryshakhtynsk. Nell’anno 1990 gli abitanti del villaggio Rjasna Ruska, exparrocchiani del Beato, fecero richiesta presso le autorità competenti per il trasporto della salma del loro parroco da Karaganda alla sua terra nativa, e il permesso fu accordato. La sua venerazione cresce di giorno in giorno. I fedeli cattolici in Ucraina, Germania, Kazakhstan e in altri paesi del mondo si rivolgono a lui per chiedere la sua intercessione. Oggi stesso noi tutti possiamo constatare che padre Alessio Zaryckyj, con il proprio sacrificio, ha confermato l’insegnamento che spesso ripeteva ai suoi fedeli: “Miei cari! Vi supplico di non tradire la fede dei vostri padri!”.
Il
Beato Alessio Zaryckvi fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27
giugno 2001 assieme ad altre 24 vittime del regime sovietico di
nazionalità ucraina e la sua festa liturgica viene celebrata il 30
ottobre.
Tratto
da “LUCE DI VANGELO” Notiziario quadrimestrale
dell'Associazione Amici di don Bernardo Antonini O.N.L.U.S – n° 10
Dicembre 2007
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