San
Giovanni Paolo II ha dedicato una parte significativa del suo
ministero di successore di Pietro alle persone che soffrono e in
particolare ai malati. In diverse occasioni, si è rivolto al mondo
medico: «Il personale curante, diceva nel 1986, non ha solo la
tecnica da offrire, ma una calorosa devozione che viene dal Cuore,
un'attenzione alla dignità delle persone. Cercate di non ridurre il
malato a un oggetto di Cure, ma di farne il primo compagno in una
guerra che è la sua guerra. E, di fronte ai gravi problemi etici che
si presentano alla vostra professione, vi incoraggio a trovare le
risposte esigenti che siano conformi alla dignità della vita del
malato, alla sua natura di persona.» Il 25 ottobre 1987, lo stesso
Papa ha canonizzato un medico, Giuseppe Moscati, nel quale ha visto
«un'attuazione concreta dell'ideale del Cristiano laico».
Giuseppe
Moscati nasce a Benevento, in Campania, il 25 luglio 1880, e riceve
il Battesimo il 31. Francesco Moscati, suo padre, brillante
magistrato, diventerà consigliere presso la Corte d'Appello, prima
ad Ancona e poi a Napoli. Egli appartiene, come sua moglie Rosa de
Luca, alla stirpe dei marchesi di Roseto. Giuseppe è il settimo di
nove figli, ma solo tre dei fratelli e delle sorelle che lo
precedono, Gennaro, Alberto e Anna, circondano la sua culla. I
Moscati, infatti, nel corso dell'anno 1875, hanno provato il dolore
di perdere due gemelle in tenera età, Maria e Anna, e poi quello,
ancor maggiore, della morte di un'altra piccola Maria, di quattro
anni. Dopo Giuseppe, nascono Eugenio e Domenico, il quale diventerà
in seguito sindaco di Napoli. Francesco Moscati accompagna ogni anno
la sua famiglia nel paese natale, per delle vacanze a contatto con la
natura. Partecipano tutti insieme alla Messa nella chiesa delle
Clarisse del posto; molto spesso Francesco serve egli stesso
all'altare.
Un
salutare smarrimento
L'atmosfera
familiare favorisce lo sbocciare di una fede profonda e vissuta nel
giovane Giuseppe. Egli fa conoscenza con il beato Bartolo Longo,
fondatore del santuario della Vergine del Rosario a Pompei, di cui
diventerà il medico Curante e che assisterà alla sua morte. I
Moscati lo hanno incontrato in casa di Caterina Volpicelli,
fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore, che verrà canonizzata da
papa Benedetto XVI, il 29 aprile 2009. Francesco e Rosa hanno fatto
amicizia con lei. La famiglia Moscati frequenta abitualmente, a
Napoli, la chiesa delle Ancelle; Giuseppe vi fa la sua prima
Comunione, nella solennità dell'Immacolata Concezione, l'8 dicembre
1888. Due anni dopo, riceverà il sacramento della Cresima. Nel 1889,
entra al liceo classico Vittorio Emanuele, dove si dedica con impegno
agli studi letterari. Ma già prende forma nella sua anima un senso
acuto della precarietà della vita umana: «Guardavo con interesse,
scriverà egli in seguito, all'Ospedale degli Incurabili che mio
padre mi additava lontano dalla terrazza di Casa, ispirandomi
sentimenti di pietà per il dolore senza nome, lenito in quelle mura.
Un salutare smarrimento mi prendeva e cominciavo a pensare alla
caducità di tutte le cose, e le illusioni passavano, come cadevano i
fiori degli aranceti, che mi circondavano.» Era allora ben lungi
dall'immaginare che avrebbe dedicato in seguito la propria vita ai
malati e alla ricerca medica.
Un
evento tragico, che cambierà il corso della sua esistenza, si
verifica nel 1892: in seguito a una caduta da Cavallo durante una
parata militare a Torino, suo fratello Alberto diventa epilettico.
Giuseppe prende l'abitudine di trascorrere lunghe ore al suo
capezzale per curarlo. Matura allora in lui la decisione di diventare
medico. Il caso, unico nella famiglia, non manca di suscitare
discussioni, ma egli mantiene la sua risoluzione. Nel 1897, suo
padre, di 61 anni, muore per i postumi di un'emorragia cerebrale, non
senza aver ricevuto gli ultimi sacramenti. Giuseppe, che ha appena
Conseguito la maturità, si scrive risolutamente alla facoltà di
medicina. Le ragioni della scelta verranno manifestate in seguito
nelle parole rivolte a un suo studente: «Ricordatevi che, seguendo
la medicina, vi siete assunto la responsabilità di una sublime
missione. Perseverate, con Dio nel cuore, con gli insegnamenti di
vostro padre e di vostra mamma sempre nella memoria, con amore e
pietà per i derelitti, con fede e con entusiasmo, sordo alle lodi e
alle Critiche, ... disposto solo al bene.»
La
competenza e la fede
Tuttavia
un vento di rivoluzione e di ateismo soffia sulla gioventù
studentesca, e le facoltà di filosofia e medicina ne sono a Napoli i
principali focolai. Ma, mentre i suoi Compagni manifestano nelle
strade, Giuseppe, convinto che uno studio serio e approfondito
richieda tranquillità e serenità di spirito, rifiuta di lasciarsi
distrarre dal suo lavoro. In realtà, eccellerà nella sua
professione, e non cederà in nulla sul piano delle sue convinzioni
religiose, nonostante il positivismo ateo dominante. Il 4 agosto
1903, all'età di soli ventitré anni, Consegue la sua laurea in
medicina con il massimo dei voti e la lode. Nello stesso anno, vince
il concorso di coadiutore straordinario presso l'Ospedale degli
Incurabili – a quell'epoca uno degli Ospedali più rinomati
d'Europa – e poi, nel 1908, il concorso di assistente presso
l'Istituto di chimica fisiologica. Le sue competenze scientifiche
suscitano l'ammirazione: potrebbe ambire a una brillante carriera
accademica, ma il servizio ai malati gli sembra preferibile. In
aggiunta ai suoi impegni in laboratorio, continua quindi a esaminarli
e acquisisce molto presto la straordinaria capacità di una diagnosi
rapida e sicura. La sua esperienza non è sufficiente a spiegare
questo dono particolare. Ha intuizioni più profonde e la sua
compassione va oltre il male fisico: «Ricordatevi, scriverà a un
giovane medico, che vivere è missione, è dovere, è dolore! Ognuno
di noi deve avere il suo posto di combattimento... Ricordatevi che
non solo del corpo vi dovete occupare, ma delle anime afflitte che
ricorrono a voi.»
San
Giovanni Paolo II dirà, nella stessa direzione, al personale
Curante: «I vostri malati hanno bisogno di un'assistenza più umana
possibile. Hanno bisogno di un'assistenza spirituale: voi vi sentite
sulla soglia di un mistero che è il loro» (5 ottobre 1986).
Giuseppe
mette in pratica le parole di Gesù sull'amore del prossimo che si
concretizza nel servizio, fino a dare la propria vita. Dopo aver
lavato i piedi dei suoi discepoli, Gesù dice loro, in effetti:
«Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il
Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il
Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli
uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi
facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico:
un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più
grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le
mettete in pratica (Gv 13,12-17). «L'amore si sacrifica per gli
altri, diceva papa Francesco a dei giovani, il 21 giugno 2015.
Guardate l'amore dei genitori, di tante mamme, di tanti papà che al
mattino arrivano al lavoro stanchi perché non hanno dormito bene per
curare il proprio figlio ammalato, questo è amore! Questo è
rispetto. Questo non è passarsela bene... Questo è “servizio”.
L'amore è servizio. È servire gli altri. Quando Gesù dopo la
lavanda dei piedi ha spiegato il gesto agli apostoli, ha insegnato
che noi siamo fatti per servirci l'uno all'altro, e se io dico che
amo e non servo l'altro, non aiuto l'altro, non lo faccio andare
avanti, non mi sacrifico per l'altro, questo non è amore. Avete
portato la Croce la Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù: lì
è il segno dell'amore. Quella storia di amore di Dio coinvolto con
le opere e con il dialogo, Con il rispetto, Col perdono, Con la
pazienza durante tanti secoli di storia Col suo popolo, finisce lì:
suo Figlio sulla Croce, il servizio più grande, che è dare la vita,
sacrificarsi, aiutare gli altri.»
A
rischio della sua vita
Nel
mese di aprile del 1906, l'eruzione del Vesuvio terrorizza le
popolazioni circostanti. A Torre del Greco, una cittadina situata a
sei chilometri dal Cratere, risiedono numerosi malati paralitici o
anziani. Il dottor Moscati li salva facendo evacuare il loro ospedale
a rischio della sua vita, poco prima del crollo del tetto. Due giorni
dopo, invia una lettera al direttore generale degli Ospedali di
Napoli, proponendo di ricompensare le persone che lo hanno aiutato,
ma insiste che non sia fatta alcuna menzione di lui: «Vi prego, non
citate il mio nome, per evitare di destare... ceneri!» Cinque anni
dopo, nel 1911, un'epidemia di Colera funesta Napoli. Le navi che
arrivano in questa città portuale da tutto il mondo portano germi di
malattie, e la miseria che regna in quartieri dai vicoli sudici
favorisce il contagio. Certo, i progressi della medicina limitano già
il numero delle vittime, ma la situazione rimane preoccupante. Il
Ministero della Sanità pubblica incarica il dottor Moscati di
effettuare ricerche sui mezzi per vincere il flagello: molte delle
sue proposte per il risanamento della città vengono adottate.
Tuttavia,
Giuseppe non abbandona la ricerca scientifica: sarà l'autore di
trentadue "saggi" pubblicati nel mondo universitario. A 31
anni, vince il Concorso di coadiutore ordinario degli Ospedali
Riuniti. Uno dei membri della Commissione, il professor Cardarelli,
sbalordito dalla sua prestazione, Confessa che in sessant'anni
d'insegnamento non ha mai visto un giovane medico così ben preparato
e, dietro sua iniziativa, la reale Accademia di medicina chirurgica
lo nomina socio aggregato. Sempre nel 1911, il Ministero della
Pubblica Istruzione gli conferisce il dottorato in chimica
fisiologica e la libera docenza in questa disciplina.
Il
dottor Moscati si è interamente consacrato a Cristo nell'esercizio
della sua professione. Per essere tutto a tutti, ha risolutamente
scelto il Celibato. La sua devozione per la Vergine MARIA - ha sempre
con sé il rosario e non manca mai la preghiera dell'Angelus – gli
dà la forza per offrire a Dio la sua castità e conservarla come un
tesoro. Tuttavia, sa anche consigliare il matrimonio ai suoi
studenti, secondo ciò che scriveva San Paolo: Vorrei che tutti
fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un
modo, chi in un altro (1Cor7,7-9). Rivolgendo però uno sguardo
lucido e compassionevole sulla fragilità umana, invita alla
purificazione del cuore: «Oh se i giovani, nella loro esuberanza,
sapessero che le illusioni d'amore, per lo più frutto di una viva
esaltazione dei sensi, sono passeggere! E se un angelo avvertisse
loro, che giurano Così facilmente eterna fedeltà a illegittimi
affetti, nel delirio di cui sono presi, che tutto quello che è
impuro amore deve morire, perché è un male, soffrirebbero meno e
sarebbero più buoni.»
Alla
domanda: «Come possiamo sperimentare l'amore di Gesù ?», papa
Francesco rispondeva, il 21 giugno 2015: «So che... mi permetterete
di parlare con sincerità. Io non vorrei fare il moralista ma vorrei
dire una parola che non piace, una parola impopolare... L'amore è
nelle opere, nel comunicare, ma l'amore è molto rispettoso delle
persone, non usa le persone e cioè l'amore è casto. E a voi giovani
in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove
soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella
vita, io vi dico: siate casti, siate casti. Tutti noi nella vita
siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma
è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la
vita, che non cerca di usare l'altro per il proprio piacere. È un
amore che considera sacra la vita dell'altra persona: io ti rispetto,
io non voglio usarti... Non è facile... Perdonatemi se dico una cosa
che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di Vivere
l'amore Castamente !»
Il
male più grande
Nel
novembre 1914, la signora Moscati muore di diabete, incurabile a
quell'epoca. Riceve con grande devozione gli ultimi sacramenti ed
esorta i suoi: «Figli miei, muoio contenta. Fuggite sempre il
peccato, che è il più gran male della vita.» Il professor Moscati
scriverà qualche anno dopo: «So che mio padre e mia mamma mi sono
sempre a fianco; ne sento la dolce compagnia.» Il diabete rimarrà
una delle sue preoccupazioni; sarà il primo medico a sperimentare
l'insulina a Napoli e insegnerà a un gruppo di Colleghi le modalità
di cura di questa malattia.
L'Italia
entra in guerra nel maggio 1915. Giuseppe Moscati si offre volontario
per andare al fronte, ma la sua domanda viene respinta. L'Ospedale
per Incurabili viene requisito dall'esercito, e le autorità militari
affidano al Professor la cura dei feriti; egli diventa per loro non
solo il medico, ma anche il Consolatore premuroso e affettuoso. Si
dedica inoltre alla formazione dei giovani medici, perché ritiene di
dover trasmettere loro la propria esperienza professionale e
spirituale. Uno dei suoi allievi testimonierà: «Egli ci prodigava
il suo sapere e, giorno dopo giorno, plasmava non solamente la nostra
mente, ma anche il nostro spirito. A noi tutti parlava di Dio, della
divina Provvidenza, della religione Cristiana e il suo volto si
irradiava di gioia quando noi lo seguivamo nelle chiese di Napoli ad
ascoltare la Santa Messa.» La testimonianza leale della sua fede
Cristiana suscita intorno a Giuseppe il rispetto, nonostante l'a-
teismo dichiarato che prevale nell'ambiente scientifico. Egli fa
anche installare nella nuova sala di autopsia dell'Istituto di
anatomopatologia, da lui diretto, un Crocifisso accompagnato da una
scritta tratta dal profeta Osea (13, 14): Ero mors tua, o mors (O
Morte, sarò la tua morte). Durante l'inaugurazione, invita i suoi
colleghi a « rendere Omaggio a Cristo, che è la Vita, tornato dopo
una troppo lunga assenza in questo luogo di morte.» Attinge nella
partecipazione frequente ai sacramenti, e specialmente in quella
quotidiana alla Messa, l'audacia di testimoniare pubblicamente la
fede in GESU’ CRISTO.
Vittima
del successo
Ι
professor Moscati è del resto vittima del suo successo tra gli
studenti, perché molti di loro preferiscono seguire le sue
conferenze piuttosto che frequentare le lezioni ufficiali. Colleghi
gelosi tramano per impedire il suo avanzamento nella carriera
d'insegnamento. Egli, però, non si lascia inebriare dai suoi
brillanti successi; sperimenta anzi frequenti lotte interiori,
specialmente Contro la tentazione dello scoraggiamento: «Leggevo
nell'autobiografia della beata Teresa del Bambino Gesù una frase
fatta per me, scrive: "Anche lo scoraggiamento, mio Dio, è
peccato". Sì, è un peccato di superbia, perché mi fa credere
che possa aver accettato un'auto-opinione di aver fatto grandi cose!
Quando invece si è stati sempre servi inutili (cfr. Lc 17,10).»
Benché estraneo a qualunque prospettiva di Carriera e di gloria
umana, ma desideroso di continuare a insegnare, cerca nel 1922 di
conseguire una nuova libera docenza. Pensando per un momento di aver
fallito, e non sapendo più dove sia il suo dovere, prova un profondo
smarrimento che confida a uno dei suoi vecchi maestri: «È che
attraverso un periodo di estremo esaurimento, e una stanchezza
mortale, perché dagli anni della guerra ad oggi è un Continuo
lavoro e una serie di emozioni per me!... Passo le notti insonni; ho
lasciato trascorrere l'opportunità della ratifica della docenza che
pensa di aver fallito.»
«Di
fronte alla realtà del fallimento, diceva ad alcuni giovani papa
Francesco, giustamente voi vi chiedete: che cosa possiamo fare?
Certamente una cosa da non fare è quella di lasciarsi vincere dal
pessimismo e dalla sfiducia... Fidatevi di Gesù... Il Signore è
sempre con noi. Viene sulla riva del mare della nostra vita, si fa
vicino ai nostri fallimenti, alla nostra fragilità, ai nostri
peccati, per trasformarli... Le difficoltà non devono spaventarvi,
ma spingervi ad andare oltre. Sentite rivolte a voi le parole di
Gesù: Prendete il largo e Calate le reti (Lc 5,4)» (22 settembre
2013).
In
effetti, il professor Moscati è al limite delle forze, ma non si
arrende, come gli Apostoli, che erano in tutto tribolati, ma non
schiacciati; sconvolti, ma non disperati (2Cor 4,8). Contro ogni
previsione, consegue alla fine la libera docenza desiderata che gli
permette di insegnare la medicina clinica a titolo privato nelle
università e in altri istituti universitari. Qualche giorno dopo,
egli manifesta lo spirito che lo anima: «Ama la Verità, scrive nei
suoi appunti personali, mostrati qual sei, e senza infingimenti e
senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la
persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se
per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii
forte nel sacrificio.» La Sua pazienza nelle avversità si rivela
feconda. Avendo egli stesso attraversato momenti difficili di aridità
e di desolazione, può incoraggiare in verità Coloro che
attraversano angosce simili: «Quali che siano gli eventi,
ricordatevi che Dio non abbandona nessuno. Quanto più vi sentite
solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete
presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la
sensazione di un'infinita forza arcana, che vi sorregge, che vi rende
capace di propositi buoni e virili, della cui possanza vi
meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio!»
Grazie a questa forza di Dio che si manifesta nella debolezza e
nell'umiltà (cfr. 2Cor 12,9), Giuseppe Moscati non risparmia per i
poveri né il proprio tempo, né il proprio denaro.
Hanno
perso tutto
Egli
ha il dono di offrire il suo aiuto ai poveri senza ferire la loro
sensibilità. Un giorno, una donna ammalata di tubercolosi e priva di
mezzi si accorge che con la prescrizione medica Giuseppe ha infilato
nella busta una banconota da cinquanta lire. Vuole ringraziarlo della
sua bontà, ma lui protesta: « Per l'amor di Dio, non dite niente a
nessuno!» Chiamato al capezzale di un ferroviere malato, trova molte
persone.
Questi
ferrovieri, tutti poveri come il paziente, fanno una colletta tra di
loro per pagare la visita. Il sacerdote che accompagna il medico si
appresta a dissuaderli, ben sapendo che è inutile. Ma il professore
interviene: «Poiché voi, sottraendo parte del vostro duro lavoro,
siete venuti in aiuto del vostro amico infermo, io contribuisco alla
vostra sottoscrizione con la mia quota, onde l'infermo possa avere,
con la somma raccolta, i mezzi necessari per Curare la malattia.» E
Consegna loro tre biglietti da dieci lire. Viene chiamato in verità
"il medico dei poveri" perché egli stesso vive poveramente
per poter aiutare meglio i propri pazienti più bisognosi. Non ha né
automobile né cavallo, ma si sposta sempre a piedi. Quando gli
rivolgono domande a questo proposito, risponde Con vivacità: «Io
sono povero; non ho i mezzi, a causa dei miei obblighi professionali,
di affrontare simili spese! Vi prego di Credermi!» Alla sua morte,
si potrà leggere nel registro delle Condoglianze questa frase che la
dice lunga: «Non hai voluto fiori né lacrime, ma noi, noi piangiamo
comunque, perché il mondo ha perso un santo, Napoli un esempio di
virtù; ma i malati poveri, hanno perso tutto!»
Il
martedì santo, 12 aprile 1927, di buon mattino, il professor Moscati
va a Messa, e vi riceve la Comunione. Prima di recarsi all'Ospedale
degli Incurabili, dice alla sorella:
«È stato ricoverato nella clinica del professor Stanziale il
professor Verdinois: pensa ai sacramenti...» In tarda mattinata,
torna a casa, dove lo attendono molti malati. Alle 15, si sente
sofferente, congeda i presenti e si ritira nella sua stanza. Dice
alla donna di servizio: «Mi Sento male...» Pochi istanti dopo,
steso sulla poltrona, con
le braccia incrociate
Sul petto, china la testa e rende tranquillamente il suo ultimo
respiro. Ha quarantasette .
Fino
alla fine, ha donato la sua vita ai suoi pazienti e si è speso
instancabilmente per amore di Cristo. Luce per il nostro tempo,
rimane un testimone di quella “sapienza del Cuore" di cui
parlava papa Francesco nel messaggio del 3 dicembre 2014: «Sapienza
del Cuore è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al
malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all'immagine
di suo Figlio, il quale non è venuto per farsi servire, ma per
servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20,28). Gesù
stesso ha detto (Lc 22,27): Io sto in mezzo a voi come colui che
serve».
Dom
Antoine Marie osb
Per
ricevere (gratuitamente) la Lettera dell'Abbazia Saint-Joseph di
Clairval, rivolgersi all'Abbazia : Site:
http://www.clairval.com/
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