Il
30 settembre 2017, a Bratislava, alla presenza di tutti i vescovi
slovacchi, di tanti sacerdoti e consacrati, nel giubilo di 25.000
fedeli provenienti da tutto il paese, è stato beatificato il
salesiano don Tito Zeman.
La
gioia per la nostra comunità è stata ancora più grande perché il
nuovo beato è direttamente collegato alla vita di due nostre
sorelle. Come Tito Zeman (1915-1969), anche sr. Sophie e sr. Bertilla
vengono dal bel paese di Vajnory, presso Bratislava. Hanno sentito
entrambe la vocazione durante il tirocinio per diventare infermiere
e, guardando al passato, sr. Sophie afferma: "Sono convinta
che anche noi siamo frutto del martirio del beato Tito".
Poche
settimane prima della beatificazione, all'inizio di settembre,
abbiamo fatto visita a Veronica (87 anni), la sorella di don Tito. In
modo vivace, come se i fatti fossero avvenuti solo il giorno prima,
ci ha raccontato: "Tito era il maggiore di noi dieci figli.
Siamo stati una famiglia con tanto amore, ma molto povera, che viveva
in un'unica stanza. La mattina nessuno usciva di casa senza aver
pregato. Anche la sera pregavamo e cantavamo sempre insieme".
Ogni
anno nel mese di maggio gli abitanti di Vajnory facevano un
pellegrinaggio a piedi al Santuario dell'Addolorata di Sastín.
Quando Tito aveva 10 anni avrebbe voluto parteciparvi, ma si ammalò
gravemente. Chiese quindi allo zio e alle zie di rivolgere a suo nome
una preghiera all'Addolorata. Appena i pellegrini fecero ritorno a
casa, il bambino guarì immediatamente come per miracolo. Poco dopo
confidò alla madre: "Mamma, voglio diventare sacerdote. La
Madonna ha esaudito la preghiera che i pellegrini le hanno portato a
mio nome. Voglio diventare salesiano a Sastín. Questo
ho promesso all'Addolorata: se guarisco, diventerò sacerdote".
A
dodici anni Tito fu accolto presso i Salesiani a Sastín e cominciò
a frequentare la loro scuola. I genitori vendettero un campo e
iniziarono a vivere ancora più modestamente affinché il loro figlio
potesse studiare. Dovettero addirittura prendere dei soldi in
prestito, che riuscirono a restituire totalmente solo dopo la Prima
Messa del loro primogenito.
A
16 anni Tito entrò con gioia nel noviziato dei Salesiani
e dopo gli studi di teologia presso la Pontificia Università
Gregoriana a Roma e a Chieri presso Torino, a 25 anni, fu felicemente
ordinato sacerdote il 23 giugno 1940 a Torino, nella Basilica di
Maria Ausiliatrice.
Il
sacerdote novello elargisce la sua benedizione speciale al vescovo
Michal Buzalka e poi a sua madre e a suo padre. Alcuni mesi prima,
avendo letto in una lettera che la salute della mamma era peggiorata,
don Tito era corso subito nella Basilica di Maria Ausiliatrice e
aveva supplicato: "Mio Dio, gli anni che aumenterai alla vita di
mia madre, li puoi riprendere accorciando la mia". Madre e
figlio sono entrambi morti a 54 anni.
Don
Tito Zeman celebrò la sua solenne Prima Messa in patria il 4 agosto
1940 a Vajnory. Il nonno della nostra sr. Sophie, Matej Pilny, è
legato a questa data per un'esperienza di grazia: aveva allora 15
anni e il giorno prima aveva aiutato nei campi per la mietitura del
grano, nonostante non si sentisse affatto bene di salute. Stremato,
la sera aveva vomitato sangue. L'indomani si sforzò ad alzarsi
perché al pomeriggio desiderava assolutamente ricevere la
benedizione speciale del sacerdote novello. Ricevuta la benedizione
da don Tito, guarì all'istante. Divennero amici e in seguito Matej,
che aveva dieci anni meno di Tito, fu sempre pronto a portare in
motorino il suo amico sacerdote ovunque l'apostolato lo chiamasse,
nonostante i pericoli del regime comunista.
Il
primo campo di lavoro pastorale di don Tito fu l'oratorio dei
Salesiani a Bratislava. Poi divenne insegnante al liceo diocesano di
Trnava dove cominciò a farsi notare per lo zelo di santità e la
vita virtuosa. I suoi modi cordiali e la sua disponibilità ad
aiutare gli fecero acquistare tanti amici tra i salesiani. Sapeva
stimolare e guidare i suoi alunni. Malgrado restasse sempre "solo"
un semplice cappellano, con il suo amore esercitava un grande
influsso sui giovani, dal momento che educava più con la bontà e
con il buon esempio che con la severità. Tutti gli studenti
trovavano in lui un vero padre - lieto, spiritoso e sportivo - che di
tanto in tanto giocava con loro anche a calcio o a ping-pong. Non c'è
da stupirsi se molti seguirono il suo luminoso esempio,
incamminandosi sulla via del sacerdozio!
Nel
1946 tutto finì repentinamente. Per ordine dei comunisti, don Tito
fu licenziato in tronco perché rifiutatosi di togliere le croci
dalle classi. E non solo per questo! Nella notte aveva aiutato a
riappendere tutte quelle che erano state già tolte, dicendo a sua
madre: "Sono il servitore di Cristo e non Lo dovrei avere sul
mio posto di lavoro? Altrimenti anch'io lì non c'entro più niente".
Nella
"Notte dei barbari", dell'aprile del 1950, tutti i
monasteri maschili della Cecoslovacchia furono occupati, gli ordini
sciolti e i quasi 3.000 consacrati che vi vivevano tutti deportati in
conventi comuni, prigioni e campi. La stessa cosa si ripeté
nell'autunno con 670 conventi femminili. Di 11.900 suore, 10.000 (!)
furono portate in conventi di concentramento. In questa terribile
notte don Tito si trovava nella parrocchia di Senkvice e solo per
questo riuscì a sfuggire alla deportazione. Scampato in modo
straordinario, grazie alla Provvidenza di Dio, sentì in sé di dover
ora essere lui a salvare le vocazioni salesiane rimaste e aiutare i
giovani seminaristi a fuggire per poter continuare i loro studi.
Cercò dei complici affidabili ed esperti, con l'aiuto dei quali far
portare illegalmente in Italia i confratelli ancora liberi.
Un'impresa pericolosa!
Nell'
estate del 1950 riuscì a far varcare clandestinamente i confini con
l'Austria, e poi il Brennero fino a Torino, ad un gruppo di sei
seminaristi salesiani e un sacerdote diocesano. E sempre nello stesso
anno, nel tardo autunno, con la benedizione del padre generale,
condusse su vie avventurose altri 28 chierici. Fin dall'inizio questo
secondo viaggio presentò notevoli difficoltà! La corda tesa per
oltrepassare un fiume si strappò. Il canotto gonfiabile si bucò e
solo dopo quattro ore, tutti i seminaristi si salvarono sulla parte
austriaca, bagnati fradici, esauriti, e avendo perso le loro poche
cose. Don Tito svenne per la stanchezza e il gelo. I confratelli
riuscirono a riscaldarlo solo con il loro fiato. Quando il sacerdote
trentacinquenne riaprì finalmente gli occhi, la sua prima domanda
fu: "Sono tutti salvi?". Alla festa di Tutti i
Santi, il gruppo slovacco raggiunse un passo montano presso San
Candido (2500 metri di altezza) e fu costretto a farsi strada tra
metri di neve. Si aiutarono tenendosi per mano e aggrappandosi alle
rocce. Arrivati a Torino sani e salvi, senza indugio, il più
velocemente possibile tutti andarono nella Basilica di Maria
Ausiliatrice per ringraziare. Con le lacrime agli occhi don Tito
testimoniò: "Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle ciò
che Don Bosco disse: Se avrete fiducia nella Madonna, Aiuto dei
Cristiani, vedrete miracoli' ."
Le
difficoltà e i pericoli non poterono distogliere don Tito, zelante
pastore di anime, dall'organizzare nuovi piani di fuga, con la
speranza che i seminaristi, una volta raggiunta Torino, dopo gli
studi, sarebbero potuti tornare in Slovacchia da sacerdoti oppure
come missionari avrebbero potuto portare la Buona Novella in diverse
altre parti del mondo. Niente era troppo per questo scopo! "Anche
se dovessi perdere la mia vita, non sarebbe stato invano, se almeno
uno di questi che ho aiutato potrà diventare sacerdote al posto
mio". Nonostante la fiducia in Dio, Tito sperimentò la
paura. Per questo attingeva forza e coraggio dalla Santa Messa: "È
nostro obbligo essere pronti a dare la vita per i fratelli. Che
dobbiamo temere? Uno lo chiamerà falso eroismo, forse follia,
insensatezza. Io lo chiamo un obbligo che i miei superiori mi hanno
conferito. Ne sono responsabile davanti a Dio. Mi sono consigliato
con i miei superiori e mi hanno dato la loro benedizione che ritengo
la benedizione di Don Bosco stesso".
Inizia
la via della croce
Come
per le altre due volte, prima della terza fuga clandestina,
organizzata per l'aprile del 1951, don Tito fece dei giorni di ritiro
spirituale con i 22 seminaristi prescelti, preparandoli, attraverso
la confessione, ad una buona morte, se così fosse accaduto. Il piano
fallì!
Sedici
salesiani, tra i quali don Tito, furono arrestati. Il sacerdote
(aveva allora 36 anni) fu costretto alla detenzione preventiva per un
lungo periodo, durante il quale fu maltrattato e brutalmente
torturato. Dopo il suo rilascio, al suo ex alunno e amico per tanti
anni, Augustín Krivosudsky, don Tito confidò: "Cominciò
per me il cammino della croce. I momenti più terribili, psichici e
fisici, li ho vissuti per praticamente due anni nella detenzione
preventiva. Sotto la mia finestra si trovava il luogo delle
esecuzioni e quotidianamente vi venivano uccisi dei condannati.
Sentivo le loro grida e i pianti inumani. Anche lì li torturavano
ancora! Ho vissuto continuamente nella paura pensando, ogni volta che
aprivano la mia cella, che stavano per portarmi fuori per
l'esecuzione. In questo periodo i miei capelli sono
diventati completamente bianchi".
Sulle
orribili torture don Tito raccontò poco e solo a frammenti. Il
nipote Michal Radosinsky, però, per dieci anni ha interrogato sulla
vita dello zio numerosi testimoni. Ha scritto tutto in modo
dettagliato e lo ha archiviato.
Nel
settembre del 2017 è stato Michal a raccontarci che durante gli
interrogatori tentarono di soffocare il suo santo zio nei suoi stessi
escrementi. Gli cavarono i denti e gli ruppero sia la clavicola che
l'osso nasale. A causa dei colpi brutali sulle orecchie, mancò poco
che diventasse sordo. Spesso i suoi tormentatori lasciarono il
sacerdote, profondamente umiliato, nudo nel freddo. Durante tutte
queste vessazioni, don Tito, che ancora non aveva compiuto 40 anni,
supplicava sempre la Madonna di aiutarlo. Si era fatto un rosario di
58 palline di pane, del quale ogni "perla" simboleggiava un
interrogatorio e una tortura. Lo pregava in continuazione, operando
ancora da pastore, imperturbabilmente, spiegando ai compagni di
prigionia le verità divine e battezzando quelli che si aprivano alla
fede. Li confessava e la notte celebrava addirittura clandestinamente
la Santa Messa per poi distribuire la Santa Comunione nascosta in
carta di giornali.
Nel
febbraio del 1952 Tito Zeman fu condannato a "soli" 25 anni
di prigione, nonostante fosse stata richiesta per lui la pena di
morte. La beata sr. Zdenka all'epoca fece di tutto per liberare lui
ed altri condannati. Ma nello stesso mese fu arrestata anche lei. Nel
1964, dopo 13 anni di prigionia nelle più terribili condizioni, don
Tito, con una salute del tutto indebolita, fu rilasciato sotto
condizione per un periodo di prova di 7 anni. Due anni più tardi,
quando la situazione politica si era un po' distesa, poté di nuovo
celebrare la Santa Messa, tuttavia da solo, all'altare laterale e in
borghese!
Qualche
mese dopo ricevette il permesso di confessare e con una santa
impazienza, spesso la mattina presto senza fare colazione, felice
correva in chiesa al confessionale, dicendo: "Io devo
aspettare il peccatore, non il peccatore me".
Nella
Primavera di Praga nel 1968 poté di nuovo operare come pastore delle
anime e se ne rallegrò immensamente. Fino alla morte, però, i
comunisti lo costrinsero a lavorare di giorno come capo magazziniere
in una fabbrica tessile. L' 8 gennaio del 1969, il sacerdote, che
aveva promosso tante vocazioni e che tante ne aveva salvate, morì a
54 anni per un infarto cardiaco.
Don
Anton Dermek, collega di studi e fedele compagno, sia di prigionia
che nella riacquistata libertà, durante i funerali, disse di don
Tito: "Non preoccuparti, caro Tito, il tuo sacerdozio non
finisce oggi, continua a vivere nel sacerdozio di coloro ai quali tu
hai reso possibile diventare sacerdoti. L'albero deve morire affinché
nuovi polloni possano crescere. E quest'albero sei stato tu, Tito!
Sulla tua pietra tombale non deve essere scritto: 'Riposi in pace'.
No, non riposare! Tu sei sacerdote, aiuta le anime! Sei un figlio di
Don Bosco, aiuta le anime giovani e prepara il posto per noi e per
loro!".
I
salesiani e i loro collaboratori hanno preparato per mesi a
Bratislava la beatificazione di don Tito. Il nuovo beato è stato
fatto conoscere in tutto il paese attraverso materiale catechetico e
conferenze, testimonianze di persone a lui contemporanee e interviste
dei parenti, con trasmissioni televisive, film, libri, dépliant e
internet. In più i fedeli di tutte le diocesi si sono preparati
interiormente, in modo esemplare, con una novena e diverse
celebrazioni, a questo grande evento, che è diventato una
testimonianza solenne, dai colori vivaci e veramente di fede,
dell'odierno popolo di Dio della Slovacchia. Nella capitale la
solenne celebrazione di beatificazione è stata presieduta dal
Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei
Santi, anch'egli salesiano.
Tratto
dalla rivista “Trionfo del Cuore” - Gennaio/Febbraio
2018 Opera
di Gesù Sommo Sacerdote - Famiglia di Maria
-
https://www.familiemariens.org/html/it/gemeinschaft.html
Nessun commento:
Posta un commento