sabato 22 giugno 2019

Tito Zeman, martire per le vocazioni - Il cuore dell’uomo non è cambiato… Il crocifisso continua a dar fastidio nelle scuole e non solo...




Il 30 settembre 2017, a Bratislava, alla presenza di tutti i vescovi slovacchi, di tanti sacerdoti e consacrati, nel giubilo di 25.000 fedeli provenienti da tutto il paese, è stato beatificato il salesiano don Tito Zeman.
La gioia per la nostra comunità è stata ancora più grande perché il nuovo beato è direttamente collegato alla vita di due nostre sorelle. Come Tito Zeman (1915-1969), anche sr. Sophie e sr. Bertilla vengono dal bel paese di Vajnory, presso Bratislava. Hanno sentito entrambe la vocazione durante il tirocinio per diventare infermiere e, guardando al passato, sr. Sophie afferma: "Sono convinta che anche noi siamo frutto del martirio del beato Tito".
Poche settimane prima della beatificazione, all'inizio di settembre, abbiamo fatto visita a Veronica (87 anni), la sorella di don Tito. In modo vivace, come se i fatti fossero avvenuti solo il giorno prima, ci ha raccontato: "Tito era il maggiore di noi dieci figli. Siamo stati una famiglia con tanto amore, ma molto povera, che viveva in un'unica stanza. La mattina nessuno usciva di casa senza aver pregato. Anche la sera pregavamo e cantavamo sempre insieme".
Ogni anno nel mese di maggio gli abitanti di Vajnory facevano un pellegrinaggio a piedi al Santuario dell'Addolorata di Sastín. Quando Tito aveva 10 anni avrebbe voluto parteciparvi, ma si ammalò gravemente. Chiese quindi allo zio e alle zie di rivolgere a suo nome una preghiera all'Addolorata. Appena i pellegrini fecero ritorno a casa, il bambino guarì immediatamente come per miracolo. Poco dopo confidò alla madre: "Mamma, voglio diventare sacerdote. La Madonna ha esaudito la preghiera che i pellegrini le hanno portato a mio nome. Voglio diventare salesiano a Sastín. Questo ho promesso all'Addolorata: se guarisco, diventerò sacerdote".

A dodici anni Tito fu accolto presso i Salesiani a Sastín e cominciò a frequentare la loro scuola. I genitori vendettero un campo e iniziarono a vivere ancora più modestamente affinché il loro figlio potesse studiare. Dovettero addirittura prendere dei soldi in prestito, che riuscirono a restituire totalmente solo dopo la Prima Messa del loro primogenito.
A 16 anni Tito entrò con gioia nel noviziato dei Salesiani e dopo gli studi di teologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma e a Chieri presso Torino, a 25 anni, fu felicemente ordinato sacerdote il 23 giugno 1940 a Torino, nella Basilica di Maria Ausiliatrice.

Il sacerdote novello elargisce la sua benedizione speciale al vescovo Michal Buzalka e poi a sua madre e a suo padre. Alcuni mesi prima, avendo letto in una lettera che la salute della mamma era peggiorata, don Tito era corso subito nella Basilica di Maria Ausiliatrice e aveva supplicato: "Mio Dio, gli anni che aumenterai alla vita di mia madre, li puoi riprendere accorciando la mia". Madre e figlio sono entrambi morti a 54 anni.

Don Tito Zeman celebrò la sua solenne Prima Messa in patria il 4 agosto 1940 a Vajnory. Il nonno della nostra sr. Sophie, Matej Pilny, è legato a questa data per un'esperienza di grazia: aveva allora 15 anni e il giorno prima aveva aiutato nei campi per la mietitura del grano, nonostante non si sentisse affatto bene di salute. Stremato, la sera aveva vomitato sangue. L'indomani si sforzò ad alzarsi perché al pomeriggio desiderava assolutamente ricevere la benedizione speciale del sacerdote novello. Ricevuta la benedizione da don Tito, guarì all'istante. Divennero amici e in seguito Matej, che aveva dieci anni meno di Tito, fu sempre pronto a portare in motorino il suo amico sacerdote ovunque l'apostolato lo chiamasse, nonostante i pericoli del regime comunista.
Il primo campo di lavoro pastorale di don Tito fu l'oratorio dei Salesiani a Bratislava. Poi divenne insegnante al liceo diocesano di Trnava dove cominciò a farsi notare per lo zelo di santità e la vita virtuosa. I suoi modi cordiali e la sua disponibilità ad aiutare gli fecero acquistare tanti amici tra i salesiani. Sapeva stimolare e guidare i suoi alunni. Malgrado restasse sempre "solo" un semplice cappellano, con il suo amore esercitava un grande influsso sui giovani, dal momento che educava più con la bontà e con il buon esempio che con la severità. Tutti gli studenti trovavano in lui un vero padre - lieto, spiritoso e sportivo - che di tanto in tanto giocava con loro anche a calcio o a ping-pong. Non c'è da stupirsi se molti seguirono il suo luminoso esempio, incamminandosi sulla via del sacerdozio!
Nel 1946 tutto finì repentinamente. Per ordine dei comunisti, don Tito fu licenziato in tronco perché rifiutatosi di togliere le croci dalle classi. E non solo per questo! Nella notte aveva aiutato a riappendere tutte quelle che erano state già tolte, dicendo a sua madre: "Sono il servitore di Cristo e non Lo dovrei avere sul mio posto di lavoro? Altrimenti anch'io lì non c'entro più niente".
Nella "Notte dei barbari", dell'aprile del 1950, tutti i monasteri maschili della Cecoslovacchia furono occupati, gli ordini sciolti e i quasi 3.000 consacrati che vi vivevano tutti deportati in conventi comuni, prigioni e campi. La stessa cosa si ripeté nell'autunno con 670 conventi femminili. Di 11.900 suore, 10.000 (!) furono portate in conventi di concentramento. In questa terribile notte don Tito si trovava nella parrocchia di Senkvice e solo per questo riuscì a sfuggire alla deportazione. Scampato in modo straordinario, grazie alla Provvidenza di Dio, sentì in sé di dover ora essere lui a salvare le vocazioni salesiane rimaste e aiutare i giovani seminaristi a fuggire per poter continuare i loro studi. Cercò dei complici affidabili ed esperti, con l'aiuto dei quali far portare illegalmente in Italia i confratelli ancora liberi. Un'impresa pericolosa!
Nell' estate del 1950 riuscì a far varcare clandestinamente i confini con l'Austria, e poi il Brennero fino a Torino, ad un gruppo di sei seminaristi salesiani e un sacerdote diocesano. E sempre nello stesso anno, nel tardo autunno, con la benedizione del padre generale, condusse su vie avventurose altri 28 chierici. Fin dall'inizio questo secondo viaggio presentò notevoli difficoltà! La corda tesa per oltrepassare un fiume si strappò. Il canotto gonfiabile si bucò e solo dopo quattro ore, tutti i seminaristi si salvarono sulla parte austriaca, bagnati fradici, esauriti, e avendo perso le loro poche cose. Don Tito svenne per la stanchezza e il gelo. I confratelli riuscirono a riscaldarlo solo con il loro fiato. Quando il sacerdote trentacinquenne riaprì finalmente gli occhi, la sua prima domanda fu: "Sono tutti salvi?". Alla festa di Tutti i Santi, il gruppo slovacco raggiunse un passo montano presso San Candido (2500 metri di altezza) e fu costretto a farsi strada tra metri di neve. Si aiutarono tenendosi per mano e aggrappandosi alle rocce. Arrivati a Torino sani e salvi, senza indugio, il più velocemente possibile tutti andarono nella Basilica di Maria Ausiliatrice per ringraziare. Con le lacrime agli occhi don Tito testimoniò: "Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle ciò che Don Bosco disse: Se avrete fiducia nella Madonna, Aiuto dei Cristiani, vedrete miracoli' ."
Le difficoltà e i pericoli non poterono distogliere don Tito, zelante pastore di anime, dall'organizzare nuovi piani di fuga, con la speranza che i seminaristi, una volta raggiunta Torino, dopo gli studi, sarebbero potuti tornare in Slovacchia da sacerdoti oppure come missionari avrebbero potuto portare la Buona Novella in diverse altre parti del mondo. Niente era troppo per questo scopo! "Anche se dovessi perdere la mia vita, non sarebbe stato invano, se almeno uno di questi che ho aiutato potrà diventare sacerdote al posto mio". Nonostante la fiducia in Dio, Tito sperimentò la paura. Per questo attingeva forza e coraggio dalla Santa Messa: "È nostro obbligo essere pronti a dare la vita per i fratelli. Che dobbiamo temere? Uno lo chiamerà falso eroismo, forse follia, insensatezza. Io lo chiamo un obbligo che i miei superiori mi hanno conferito. Ne sono responsabile davanti a Dio. Mi sono consigliato con i miei superiori e mi hanno dato la loro benedizione che ritengo la benedizione di Don Bosco stesso".
Inizia la via della croce
Come per le altre due volte, prima della terza fuga clandestina, organizzata per l'aprile del 1951, don Tito fece dei giorni di ritiro spirituale con i 22 seminaristi prescelti, preparandoli, attraverso la confessione, ad una buona morte, se così fosse accaduto. Il piano fallì!
Sedici salesiani, tra i quali don Tito, furono arrestati. Il sacerdote (aveva allora 36 anni) fu costretto alla detenzione preventiva per un lungo periodo, durante il quale fu maltrattato e brutalmente torturato. Dopo il suo rilascio, al suo ex alunno e amico per tanti anni, Augustín Krivosudsky, don Tito confidò: "Cominciò per me il cammino della croce. I momenti più terribili, psichici e fisici, li ho vissuti per praticamente due anni nella detenzione preventiva. Sotto la mia finestra si trovava il luogo delle esecuzioni e quotidianamente vi venivano uccisi dei condannati. Sentivo le loro grida e i pianti inumani. Anche lì li torturavano ancora! Ho vissuto continuamente nella paura pensando, ogni volta che aprivano la mia cella, che stavano per portarmi fuori per l'esecuzione. In questo periodo i miei capelli sono diventati completamente bianchi".
Sulle orribili torture don Tito raccontò poco e solo a frammenti. Il nipote Michal Radosinsky, però, per dieci anni ha interrogato sulla vita dello zio numerosi testimoni. Ha scritto tutto in modo dettagliato e lo ha archiviato.
Nel settembre del 2017 è stato Michal a raccontarci che durante gli interrogatori tentarono di soffocare il suo santo zio nei suoi stessi escrementi. Gli cavarono i denti e gli ruppero sia la clavicola che l'osso nasale. A causa dei colpi brutali sulle orecchie, mancò poco che diventasse sordo. Spesso i suoi tormentatori lasciarono il sacerdote, profondamente umiliato, nudo nel freddo. Durante tutte queste vessazioni, don Tito, che ancora non aveva compiuto 40 anni, supplicava sempre la Madonna di aiutarlo. Si era fatto un rosario di 58 palline di pane, del quale ogni "perla" simboleggiava un interrogatorio e una tortura. Lo pregava in continuazione, operando ancora da pastore, imperturbabilmente, spiegando ai compagni di prigionia le verità divine e battezzando quelli che si aprivano alla fede. Li confessava e la notte celebrava addirittura clandestinamente la Santa Messa per poi distribuire la Santa Comunione nascosta in carta di giornali.
Nel febbraio del 1952 Tito Zeman fu condannato a "soli" 25 anni di prigione, nonostante fosse stata richiesta per lui la pena di morte. La beata sr. Zdenka all'epoca fece di tutto per liberare lui ed altri condannati. Ma nello stesso mese fu arrestata anche lei. Nel 1964, dopo 13 anni di prigionia nelle più terribili condizioni, don Tito, con una salute del tutto indebolita, fu rilasciato sotto condizione per un periodo di prova di 7 anni. Due anni più tardi, quando la situazione politica si era un po' distesa, poté di nuovo celebrare la Santa Messa, tuttavia da solo, all'altare laterale e in borghese!
Qualche mese dopo ricevette il permesso di confessare e con una santa impazienza, spesso la mattina presto senza fare colazione, felice correva in chiesa al confessionale, dicendo: "Io devo aspettare il peccatore, non il peccatore me".
Nella Primavera di Praga nel 1968 poté di nuovo operare come pastore delle anime e se ne rallegrò immensamente. Fino alla morte, però, i comunisti lo costrinsero a lavorare di giorno come capo magazziniere in una fabbrica tessile. L' 8 gennaio del 1969, il sacerdote, che aveva promosso tante vocazioni e che tante ne aveva salvate, morì a 54 anni per un infarto cardiaco.
Don Anton Dermek, collega di studi e fedele compagno, sia di prigionia che nella riacquistata libertà, durante i funerali, disse di don Tito: "Non preoccuparti, caro Tito, il tuo sacerdozio non finisce oggi, continua a vivere nel sacerdozio di coloro ai quali tu hai reso possibile diventare sacerdoti. L'albero deve morire affinché nuovi polloni possano crescere. E quest'albero sei stato tu, Tito! Sulla tua pietra tombale non deve essere scritto: 'Riposi in pace'. No, non riposare! Tu sei sacerdote, aiuta le anime! Sei un figlio di Don Bosco, aiuta le anime giovani e prepara il posto per noi e per loro!".

I salesiani e i loro collaboratori hanno preparato per mesi a Bratislava la beatificazione di don Tito. Il nuovo beato è stato fatto conoscere in tutto il paese attraverso materiale catechetico e conferenze, testimonianze di persone a lui contemporanee e interviste dei parenti, con trasmissioni televisive, film, libri, dépliant e internet. In più i fedeli di tutte le diocesi si sono preparati interiormente, in modo esemplare, con una novena e diverse celebrazioni, a questo grande evento, che è diventato una testimonianza solenne, dai colori vivaci e veramente di fede, dell'odierno popolo di Dio della Slovacchia. Nella capitale la solenne celebrazione di beatificazione è stata presieduta dal Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, anch'egli salesiano.

Tratto dalla rivista “Trionfo del Cuore” - Gennaio/Febbraio 2018 Opera di Gesù Sommo Sacerdote - Famiglia di Maria - https://www.familiemariens.org/html/it/gemeinschaft.html

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