lunedì 30 novembre 2020

NON LASCIARSI COGLIERE IMPREPARATI DALLE PROVE – di Don Dolindo Ruotolo

Non lasciarsi sorprendere dai dolori della vita

Nessuno può negare che noi tutti passeremo all'eternità e quindi che moriremo. Per passare all'eternità abbiamo bisogno, direi quasi, di un biglietto di viaggio e questo biglietto è il malanno che ci conduce alla tomba. A meno che non si muoia subitamente o violentemente, cosa che potremmo auspicare solo se morissimo per la Fede, tutti noi avremo un malanno finale. Abbiamo anche tanti malanni più o meno gravi che ci tormentano a tratti nella vita. Sono periodi tormentosi assai per noi e per quanti ci circondano e perciò bisogna che ci premuniamo perché non ci sorprendano impreparati. Bisogna, dunque, fare una grande provvista di soda spiritualità, perché in quei momenti tutti gli ideali terreni svaniscono e, se non si vive di Dio fortemente, ci si trova in un vuoto vertiginoso e disperante. Dolorosamente gli uomini fanno provvista proprio di quello che meno serve loro nei malanni o, peggio, di ciò che loro nuoce. Gli studiosi, per esempio, non fanno che sprofondarsi nei loro libri e stimano una felicità l'avere magari qualche... Pappagone antico, qualche scartafaccio ingiallito che ad essi sembrano tesori. Così Benedetto Croce, che pur ha avuto da Dio un buon ingegno e in cambio ha detto un mondo di spropositi, giorni fa sui giornali raccontava con grande soddisfazione l'acquisto fatto da lui di un libretto antico del Serra sul modo col quale un regno che non ha miniere, come Napoli, può procurarsi oro e argento. Or quando un malanno grave sorprende uno di questi studiosi che non hanno avuta alcuna familiarità con Dio, quando il loro retaggio e il loro corredo sarà una sputacchiera, un fazzolettone o qualche altro recipiente di contumelia, quando saranno soli col loro dolore, che inferno diventerà il loro spirito e il loro cuore? E se un uomo non s'è occupato che di affari, di commercio, di compere, di vendite e di... appendici di giuochi, bettole, ritrovi, cinema, se non peggio, che cosa troverà per sollievo nei giorni oscuri del dolore? Una donna che non ha pensato che a mode, balli, lussi, cosmetici, romanzi, amicizie, se non peccati, avventure e obbrobri a chi aprirà il suo cuore nei giorni del malanno e chi la consolerà? È una cosa alla quale bisogna seriamente pensare, almeno come si pensa a farsi un gruzzolo di denaro per il tempo della vecchiaia o come ci si preoccupa dell'avvenire di un fanciullo o di una fanciulla.

Come deve comportarsi chi è infermo e chi circonda l'infermo

Procurandoci prima di tutto una riserva di intime consolazioni nel tempo del malanno, quale dev'essere il nostro atteggiamento e quello di coloro che circondano l'infermo? Il nostro atteggiamento dev'essere la pazienza e l'offerta a Dio di noi stessi e dei nostri dolori; dobbiamo guardare Maria Santissima Addolorata e, come Lei, stare immobili nella pace dell'unione alla divina Volontà: «Stabat» . E in quelli che circondano l'infermo l'atteggiamento dev'essere questo: compassione e carità. Anch'essi devono rimanere immobili nella carità, senza agitarsi o provocare agitazioni: «Stabat». Nell'infermo ci sono tanti desideri contrastanti che possono urtarci: "Aprite la finestra". Un momento dopo cambia: "Chiudetela. No, aprite una fessura a destra. No, apritela a sinistra. Questo è duro. Questo è insipido. Questo è salato, ecc...". Diceva una signora al marito, e l'ho sentito io: "Quando morirai e ti seppelliranno, dirai che il terreno non è buono, la fossa è stretta, la bara è troppo larga, ecc.". Era un povero uomo che si lamentava sempre. Occorre molta pazienza e molta carità. Maria stava ai piedi della croce; non potendo aiutare Gesù, gli dava il Cuore; e noi, non potendo aiutare l'infermo che è immagine di Gesù crocifisso, diamogli il cuore, dandolo a Gesù sofferente. Allora non avremo bisogno di simpatizzare o intenerirci per l'infermo, perché sarà Gesù sofferente ad attrarci e sarà il Cuore Addolorato di Maria a comunicarci la sua tenerezza.

Consolare Maria cooperando alla salvezza delle anime. Prendersi cura amorevole degli infermi

Maria vuole che compassioniamo i suoi dolori perché compassioniamo Gesù Cristo; Essa ci vuole attrarre con una compassione più facile, perché è più facile intenerirsi per una Mamma che soffre vedendo il Figlio suo crocifisso. È nel dolore di Lei che si misurano i dolori di Gesù, considerando lo strazio suo nell'essere confitto con chiodi spietati alla croce. Consoliamo perciò Maria offrendoci con Gesù nei nostri malanni, perché con la nostra offerta coopereremo alla salvezza delle anime per le quali si è offerto Gesù. Consoliamola consolando Gesù sofferente negli infermi che partecipano alle pene di Lui. Procuriamo poi agli infermi i conforti della Chiesa, i Sacramenti, in particolare l'Estrema Unzione, che opera mirabili effetti di pace per la loro anima e che può risanarli anche nel corpo, come ho constatato tante volte io stesso nella mia esperienza sacerdotale. I medici, sopra tutto i medici, abbiano cura di insinuare essi stessi agli infermi la persuasione di ricevere i Sacramenti come un beneficio non solo per l'anima ma anche per il corpo, e siano per essi pieni di carità e di dolcezza.

La corrispondenza alla grazia

Oggi, Domenica XVI dopo la Pentecoste, invece del solito racconto, voglio raccogliervi per un momento sul Vangelo del giorno, perché è l'insegnamento che ci dà la Chiesa e non bisogna trascurarlo. Tutto quello che ci viene dalla Chiesa è vivificante e costituisce per noi un mezzo per rinnovarci e salvarci. La Chiesa premette a questo Vangelo questa preghiera che è l'orazione del giorno: «Ti supplichiamo, o Signore, che la tua grazia ci prevenga e ci accompagni, e ci conceda di essere sempre intenti alle opere buone». La grazia di Dio ci previene eccitandoci al bene e ci accompagna aiutandoci a compierlo. Noi corrispondiamo a questa grazia ascoltando il suo invito, andando verso Dio e abbandonandoci docili alle sue amorose mozioni. Un piccolo non può vestirsi senza la mamma, non ne ha né la capacità né la forza per farlo. La mamma lo chiama per mettergli le scarpette ed egli va e docilmente stende il piedino. Se lo agita e lo dimena, la mamma non può mettergli la scarpa. Se ammonito a star fermo non obbedisce, la mamma piglia a scarpa e c'a sone ncape (prende la scarpa e gliela suona in testa) Dio ci castiga per indurre la nostra volontà a farsi condurre al bene con la sua grazia. La mamma allatta il figliuoletto; gli dona il petto e il latte, gli dona tutto, ma il piccolino deve succhiare; se non succhia, il petto ripieno di vita non gli dona nulla. Se noi non ci attacchiamo a Dio col nostro tenero amore, la sua grazia non può sostenerci. La Chiesa è come il petto materno che ci allatta. Che cosa si oppone alla corrispondenza alla grazia? La nostra miseria. Un bimbo che ha la tabe viscerale non succhia, un altro che ha le labbra gonfie non sa attaccarsi alla mamma. Noi siamo deformati dal peccato e per questo non sappiamo farci vivificare dalla grazia. Solo Gesù può guarirci dall'idropisia spirituale e ci guarisce in giorno di festa, perché allora ci vivifica attraverso la Chiesa con la santa Liturgia e i suoi insegnamenti. Il Vangelo ci dice che Gesù andò a casa di un fariseo per mangiare il pane ed essi l'osservavano per trovare di che accusarlo. Essi: dunque al fariseo si erano aggiunti altri, che proprio perché era sabato, cioè giorno festivo, l'osservavano per vedere se lo violasse facendo guarigioni. Gesù domandò loro: «È lecito far del bene in giorno di sabato?» (Lc 14,3). Se avessero risposto no si sarebbero condannati e se avessero risposto sì avrebbero tolto ogni consistenza all'accusa che volevano fargli. Perciò tacquero. Gesù fece questa domanda perché un idropico gli si era presentato domandandogli, col semplice presentarsi, di essere guarito. Non avendo i farisei risposto nulla, Gesù guarì l'infermo e lo rimandò. Non lo fece rimanere per sottrarlo alle insidie, e forse ad un possibile processo che gli avrebbero fatto i farisei, essendosi egli presentato in giorno di sabato. Poi, rivolto al fariseo e ai circostanti, disse: « Chi di voi non estrae dal pozzo, nel quale è caduto, il suo asino o il suo bue in giorno di sabato?» (Lc 14,5). Essi infatti così facevano. Ora, non stimavano violazione del sabato tirare un animale fuori dall'acqua innocua di un pozzo e, invece, credevano violazione liberare un infermo dall'acqua nociva dell'idropisia? Gesù col suo parlare ci vuole anzi indirettamente ammonire a far del bene nel giorno della festa, perché in questo giorno non solo è lecito ma è doveroso il farlo. Gesù poi con una raccomandazione e una parabola manifestò l'occulta ragione delle persecuzioni che gli facevano i farisei, mossi dall'invidia e dall'orgoglio, e con un motivo umano cercò di indurli, almeno per interesse di quella gloria che ricercavano, a fare qualche atto di virtù. Egli vide infatti che, nel banchetto al quale lo avevano invitato, si erano scelti i posti di onore. Vedete? Gesù ci richiama al dovere dell'umiltà anche col motivo di poter fare una bella figura. È il motivo più facile, poiché noi viviamo quasi per la figura e diciamo sempre: "Che figura fo io col viso sporco, con l'abito lacero, con la vergogna di un'umiliazione, ecc.".

Personificazione dei vizi capitali

Evidentemente Gesù ci richiama non alla figura che facciamo con gli uomini, ma a quella che facciamo davanti a Dio. Il peccato maledetto è un'infermità orribilmente deformante.

Se entrasse qui un uomo gonfio nella pancia e nel capo inverosimilmente, che figura ci farebbe? Andrebbe a nascondersi. Or tu, orgoglioso, sei tutto gonfio dalla superbia, e fai una pessima figura davanti a Dio e agli uomini stessi. Se venisse qui un uomo magro, magro, pelle e ossa, con le mani adunche e con lo sguardo smarrito, tutto teso nell'abbracciare un sacchetto di monete, voi direste: "Dov'è uscito questo infelice?". Or questa e anzi peggiore figura fa un avaro. Potrebbe comparire in società un uomo lercio di sterco? Farebbe una pessima figura. E peggiore figura di questa fa un povero impuro. Se venisse qui un uomo che si dimenasse e gridasse da forsennato, non farebbe la figura del pazzo? E questa figura fa davanti a Dio un iracondo. Così dite degli altri peccati capitali.

Far"bella figura" nel giorno del Giudizio

Banchetto di vita è la grazia di Dio, e se vogliamo in esso ascendere ai posti più alti di unione con Dio e di santità, mettiamoci all'ultimo posto con un profondo senso di umiltà, poiché chi si umilia davanti a Dio sinceramente, sarà esaltato dal suo amore, e chi si esalta vanamente gloriandosi delle sue attività, sarà umiliato, perché cadrà in tanti peccati vergognosi. Non ci formiamo, come facevano i farisei, delle santità di apparenza, che non hanno consistenza alcuna. Ecco, tu stendi una carta su quattro cannucce e la dipingi a piperno. Sembra un saldo pilastro, ma appena uno l'urta o vi si appoggia, esso si sfascia. Quante santità effimere si dileguano come il fumo, perché non sono che fumo di orgoglio. La grazia di Dio ci prevenga e ci accompagni, affinché noi possiamo essere intenti a fare il bene, preparandoci a fare una buona figura nel giorno del Giudizio. È allora che il Signore ci dirà: "Ascendi più su, entra nel gaudio del tuo Signore", e noi, invitati da Lui, saliremo veramente ad un posto più alto, alla gloria del Paradiso, dove è veramente esaltata l'umiltà di chi si fece piccolo di fronte a Dio, e dove è umiliato l'orgoglio di chi si esaltò nella stupida vanità del peccato.

Don Dolindo Ruotolo – Tratto da”Sermoni del 1948” – Casa Mariana Editrice – Apostolato Stampa


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