martedì 8 dicembre 2020

Sul presepe costruito nella chiesa: riflessioni e lezioni di Don Dolindo Ruotolo

 


In questi santi giorni del Natale noi siamo presi da una grande tenerezza per Gesù. Il vederlo piccolo piccolo ci commuove tanto che noi non possiamo fare a meno di stargli vicino, di fargli tante premure e di dargli dimostrazioni pratiche di amore. Voi vedete qui questo piccolo presepe e vi soffermate ad ammirarne la costruzione, i pastori ecc.; ebbene, anche questo presepe, che potrebbe sembrare quasi uno scherzo, è un attestato di amore semplice per Gesù. Voi lo sapete che il primo presepe lo costruì san Francesco d’Assisi in un momento di tenero amore per Gesù; esso, dunque, cominciò ad esistere per l’amore di un cuore tanto infiammato per Gesù Bambino.

Noi pure siamo raccolti intorno al presepe di Gesù e ammiriamo qui l’arte di chi lo ha costruito. Cerchiamo, o cari fedeli, di non considerarlo solo come un divertimento spirituale, perché allora la nostra devozione sarebbe sterile. Anche questo presepe può darci tante lezioni, ed io ve le farò meditare brevemente.


La nostra vita è un “presepe”

Il presepe ci si presenta come una piccola città, anzi, come un piccolo “mondo”. Voi vedete qui la rappresentanza di quanto vi è sulla terra: monti, valli, piccoli fiumicelli, case disperse sulle montagne e tanto altro. Eccovi in figura tutta la realtà di questo mondo, che ci sembra così grande e così importante da attirarci totalmente e da farci credere che è importante ciò che ad esso appartiene. Dinanzi all’universo, in realtà, esso è appena un piccolo punto, e dinanzi alla mente sapiente di chi lo considera nella sua realtà è un piccolo “presepe”, dove niente ha importanza duratura ma tutto è di passaggio. Questi piccoli monti, sui quali l’artista ha con tanta cura elevato queste casette e formato questi piccoli “rioni”, si risolveranno fra pochi giorni nella loro realtà: sono un poco di carta dipinta e nulla più, e tali diventeranno. Eppure quale bambino, tra quelli che sono qui presenti, potrebbe supporre che quella montagna, sulla quale vede quel castello, è un ammasso di vecchi giornali? Ecco l’immagine viva di questo mondo: noi ci viviamo dentro e lo consideriamo da bambini. Il suo movimento, la sua bellezza, la sua luce ci appaiono come l’unico fascino della nostra vita, e molte volte dimentichiamo che qui ci siamo di passaggio e che abbiamo tutti il dovere di perfezionarci, di migliorarci per il Cielo e passare oltre. Verrà anche per il mondo il gran giorno nel quale tutto si sfascerà, e tutto ciò che è stato nel nostro “presepe” apparirà nella sua realtà: un poco di polvere, d’illusione, di fantasmagoria e nulla più.

Gesù è il centro

Che cosa diventano questi pastorelli, ora atteggiati in varie pose e che formano qui come la piccola vita del presepe? Uno ad uno sono tolti dal loro posto e rimessi, quasi sepolti, nelle casse, dove aspetteranno fino all’anno venturo. Voi li vedete qui radunati e ognuno sembra intento alle sue faccende: vi è il cuoco che cucina, la massaia che lava, il pastore che pascola. Eppure tutti hanno un solo scopo reale: adornare la culla di Gesù. Appena Gesù è tolto dal presepe, essi non hanno più nessuno scopo di essere e sono tolti via. Guardiamo nel mondo come nel presepe. Tutti si muovono per la loro via, ognuno si forma, nel suo “presepe”, un ambiente isolato e sogna una vita di grandezze; eppure tutti ci siamo per un unico scopo: conoscere Dio, perfezionarci, raggiungere Lui. Se togliete dalla nostra vita questa grande realtà, questa realtà oggettiva che tutte le illusioni del mondo e le chiacchiere degli increduli non possono annullare, esso si risolve in nulla. Appena togliete Dio dal nostro “presepe”, i pastori non hanno più scopo, e quelli che non si sono situati qui sulla terra con questo ideale realissimo stanno da anni nelle “casse” della chiesa, hanno i loro atteggiamenti particolari, compiono le azioni della loro vita, ma non significano niente e non hanno nessun ufficio. Miei cari fedeli, se è vero, come lo è, che la nostra vita passa velocemente e che noi siamo destinati all’eternità , ogni più piccola azione della vita può diventare reale se è indirizzata a Dio, almeno remotamente nel sentimento del proprio dovere, e se non è indirizzata alla sua gloria e alla nostra vita futura rimane un gesto privo di senso, che può essere più o meno eloquente, ma che non dice mai niente.

Le prove della vita ci formano per il Paradiso

Qui vedete i pastorelli in piedi, con le loro belle facce espressive, e dite: “Come mai si sostengono così bene?”. Ne prendete uno, lo sollevate e gli trovate un ferro confitto nel piede. Qualche fanciullo potrebbe dire: “Questo ferro guasta il piede del pastorello!”, e potrebbe strapparglielo. Eppure, appena glielo toglie, invece del ferro rimane il buco e il pupazzetto non si regge più, cade e ricade finché si rompe ed è posto per sempre tra le robe vecchie. Anche noi ci meravigliamo di trovare nella nostra vita qualche cosa che ci sembra un ingombro e un male. Le nostre tribolazioni, le nostre pene, le lotte che subiamo, le contraddizioni che incontriamo nella vita, i dolori ci sembrano tanti “ferri” confitti nel nostro cuore. Vorremmo liberarcene, ma non sappiamo che essi sono la conseguenza logica della nostra instabilità, della nostra miseria. Le prove della vita ci formano, ci mantengono desti, ci fanno stare in piedi e rendono reale la nostra posizione nel mondo, perché noi, in verità, non abbiamo altra realtà feconda di veri beni quanto i dolori. Noi vediamo questi pastorelli così graziosi, eppure se sapeste come l’artista ha “tormentato” il legno in cui li ha scolpiti, per farli così! Per fare quella botte fuori dall’osteria gli è bastato un giro di tornio, ma per formare un pastorello ha dovuto lavorare assai. Quando noi ci vediamo tribolati, è segno che siamo “legno” un poco duro, che opponiamo alla misericordia di Dio la resistenza delle nostre grandi miserie, ed è segno che Dio vuol fare di noi qualche cosa di più bello e di più perfetto.

E stato forse crudele l’artista che ha lavorato il pastorello? No, perché la resistenza che ha trovato è stata il frutto logico dello stato del povero legno. Ogni cosa buona costa lavoro, contraddizione e lotta, perché è perfezionamento. Come il fanciullo che è amato dal padre è tolto dal divertimento e messo a studiare, dove si trova fuori delle sue aspirazioni naturali e soffre; come il mercante che vuole arricchirsi in realtà deve farsi povero e stentare, così noi, quando ci vediamo a disagio nella vita, dobbiamo dire: “Dio mi ama di più e vuole formare di me una creatura più bella e più perfetta”. Noi siamo meschini e l’urto contro le nostre piccole idee ci fa soffrire, ma sarebbe stoltezza il preferire di restare come un legno grezzo sotto il bancone dell’artista e non rappresentare nulla nell’unica Vita che è realtà eterna! Anche per noi viene la fine del nostro “presepe”: tutte le nostre pianure e le nostre valli, la piccola città, il piccolo mondo di aspirazioni, di persuasioni e di fantasie che ci siamo formati nella vita si troveranno dinnanzi alla grande realtà della morte: un pastore fatto bene ed artistico è riposto accuratamente, quando è tolto dal presepe; una tavola o una botte è gettata alla rinfusa nella cesta vecchia.

Cari fedeli, beato chi in punto di morte può trovarsi sereno nella coscienza e perfezionato nel cuore! Il mondo sparisce e solo l’eternità rimane per noi l’unico tutto. Se ci troveremo bene in quel punto e perfezionati dal compimento dei nostri doveri, noi ci vedremo accuratamente riposti nella gloria eterna dalla bontà di Dio. Così sia.

Don Dolindo Ruotolo – Tratto da”Novena di Natale” – Casa Mariana Editrice Apostolato Stampa


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