mercoledì 30 giugno 2021

SA VITTA ET SA MORTE , ET PASSIONE DE SANCTU GAVINU , PROTHU ET JANUARIU di Antonio Cano (fine XIV secolo – Sassari, 1478) è stato un arcivescovo cattolico del Regno di Sardegna spagnolo che ha retto l'arcidiocesi di Sassari nel XV secolo.



Poema religioso che narra le vicende dei tre martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario, riprendendo così il topos letterario detto agiografico diffuso in tutta l’Europa cristiana già dal Medioevo.


O Dio eterno, sempre onnipotente, In mio aiuto ti piaccia volgerti, E dammi la grazia di poter ultimare Il santo martirio, in rima volgare, Dei santi martiri tanto gloriosi E cavalieri di Cristo vittoriosi, Santo Gavino, Proto e Gianuario, Contro il demonio, nostro avversario, Forti difensori e buoni avvocati, I quali nel Paradiso son glorificati Della corona del santo martirio. Quelli sempre siano in nostro aiuto. Amen. 


Nel tempo in cui regnavano gli Imperatori dei cristiani grandi persecutori, cioè Diocleziano e Massimiano, della Incarnazione correva l’anno del Redentore duecentonovanta; la quale persecuzione fu tanto grande e di tutte le altre la maggiore, contando dalla morte del Salvatore, che sino a quel tempo vi fosse stata contro i cristiani; la quale è riportata nelle sante cronache e durò venti anni, quanto vissero e regnarono quei romani Imperatori perfidi ed infedeli, sopra tutti gli altri molto crudeli, giacché decisero in modo totale di fare la guerra a Cristo onnipotente e di togliere dal mondo la memoria di Gesù Cristo volevano la gloria. 

Per questo insieme si furono accordati gli Imperatori crudeli e dannati, ché Massimiano setacciasse l’Occidente e Diocleziano tutto l’Oriente perseguitando ovunque i cristiani con uccisioni e con martirii inumani. 

E interrogò i santi confessori: «Ignorate voi, che gli Imperatori abbiano fatto comandamento generale, divulgato per tutto il mondo, che i cristiani debbano rinunciare alla loro legge e sacrificare ai nostri idoli: e chi non vorrà senza misericordia quello dovrà morire?» Risposero i santi: «Già noi tale editto abbiamo sentito divulgare, da quando questi Imperatori cominciarono a regnare. Ma è più sicuro obbedire e amare solamente Dio che gli uomini mortali, né i vostri idoli dai quali non speriamo grazia né nessun aiuto, perché tutti sono fatti di sasso nudo. E certamente desta meraviglia che la vostra prudenza si lasci ingannare tanto stupidamente, che le pietre e i legni, fatti con le mani di persone indegne, vogliate adorare; le quali chiamate dèi vostri, e in più sacrificate quelli ai dèmoni che vi abitano dentro; non vi rendete conto che sono inganni e vanità?» 

Allora il re Barbaro, tutto infiammato di ira e di malizia contro santo Proto, decise per sentenza che fosse deportato, lasciato solo e senza viveri, nell’isola deserta che la gente dice e ovunque è chiamata, adesso, l’Asinara; che era detta per quelli dell’Italia, anticamente, la Cornicularia. 

A santo Gianuario, perché era un servo, perché si pensava di ingannarlo come un matto, lo tenne a corte e gli mostrava amore per farlo cadere nel grande errore, in molti modi con le sue lusinghe, con promesse e altri favori. Ma il cavaliere di Gesù Cristo, forte come i tormenti e anche la morte, poté reggere tanto volentemente, così le lusinghe ridusse a niente, dando sempre gloria al Redentore di modo che Barbaro non ebbe vittoria. Dopo alcuni giorni, il cane dannato di venire in Sardegna fu consigliato; e così, navigando per il grande mare, arrivò al nostro porto turritano. Giunse in Corsica in un grande porto che allora si chiamava porto Siracusano, lì dove, adesso, è situato Bonifacio, nel quale porto è sbarcato. In quel tempo venne costruita (la quale, adesso, è disabitata a causa delle guerre) una città popolosa e grande nel porto di Torres, chiamata Turritana; nella quale, allora, la fede cristiana cominciava a diffondersi, in pace senza lotta, per la vita santa e le preghiere, santi offici e predicazioni, che santo Proto, degno sacerdote, continuamente di giorno e di notte, faceva col sagrestano santo Gianuario per amore di Dio, senza rendita né denaro, come fedeli e santi confessori, acquistando le anime al Redentore. 

Con grande amore, con grande diligenza, dei confessanti cercavano di suscitare la coscienza, non chiedendo nulla delle loro ricchezze, non altro premio non altro tesoro, se non servire Dio e accrescere la Santa Chiesa, le anime da salvare. O noi beati, se tanta bontà quale regnava nella cristianità, quando iniziava la nostra santa legge, regnasse adesso! Io vi dico qual è la colpa, e la ragione, se prestate attenzione, è perché, ora, è mancata la fede e, insieme con quella, la devozione, la carità, le visite dei poveri e dei prigionieri, di vestire i nudi, accogliere gli stranieri, e le altre misericordiose opere buone gradite a Dio, in luogo delle quali vi sono gli incantesimi, tutti gli inganni e tutti i tradimenti, usure, malizie con le tirannie, litigi, maldicenze con tutte le falsità. Per questo è mancata la grazia divina e siamo caduti tutti in rovina; per questo ci è mancata la libertà e siamo caduti in grande povertà. E contro di noi è venuta quella mala ventura, che annunciò la Santa Scrittura a tutti i Giudei, anticamente, che furono a Dio disobbedienti: «Verranno stranieri da paesi lontani, occuperanno i vostri luoghi, cacciati gli abitanti, e strapperanno il potere dalle vostre mani perché avete infranto l’obbedienza alla legge del Signore». Crediate per certo Dio onnipotente poter tanto adesso, quanto anticamente; e tanto desidera, oggi, la nostra salvezza, quanto il giorno che fu messo in croce; e se furono più ricchi i nostri antichi, è perché furono di Dio più amici; e più lo temevano con più grande amore, e così più ricchezze gli dava il Redentore. Chi cerca Dio, trova quello che vuole; chi Dio trova, trova ogni bene. Se volete vedere la vera testimonianza di questo, leggete il Santo Vangelo: «infatti colui che mi avrà incontrato incontrerà la vita e dal suo Signore deriverà la salvezza». 

Questo santo Proto fu un sardo naturale, servo di Dio, cattolico e leale, buon teologo, degno predicatore, uomo benevolo e grande oratore, fu illuminato dallo Spirito Santo. E dentro di sé sempre desiderando di lasciare la vita mondana e diventare un religioso, per meglio servire Cristo glorioso. E così realizzò questo santo desiderio, quella santa volontà e buon consiglio, nella Roma santa, dove ricevette i sacri ordini e consacrato sacerdote. Insieme a lui, fu ordinato diacono del vangelo, santo Gianuario, dal Papa dalmata Cayo, uomo santissimo e amico di Dio, il quale, insieme al fratello e alla sorella, furono martirizzati con morte crudele, da quell’uomo malvagio di Massimiano, nemico di Cristo, crudele pagano. 

Adesso voglio raccontare, se state attenti, la santa vita e i buoni insegnamenti di santo Gianuario, quel giovane aiutante consacrato diacono, virtuoso e bello, di santo Proto figlio spirituale, fratello e compagno nel bene e nel male, che santo Proto crebbe da bambino nella dottrina cristiana e nel timor divino. E per la grazia dello Spirito Santo della legge divina imparò tanto, che al suo maestro tanto sapiente in pochi anni fu somigliante, per la costanza e per la forte fede per servire Cristo sino alla morte. E così, insieme, nella sua città, sempre in modo palese e mai di nascosto, sempre predicando la fede cristiana, convertivano tutta la gente pagana. Essendo il re Barbaro, come abbiamo raccontato, arrivato in Corsica e sbarcato, molti sardi si misero in viaggio subito dopo per andare a visitare quel Preside; fra loro, alcuni denunciarono i santi al re Barbaro, e a lui dissero: «Signore, abbiamo sentito l’editto reale promulgato nella nostra terra, per tenore del quale si comanda a tutti generalmente, da parte degli Imperatori potenti, che i cristiani debbano rinunciare alla loro legge e sacrificare ai nostri idoli; e chi non vorrà senza misericordia quello dovrà morire. Adesso, nella nostra città turritana, vi sono due uomini che la fede cristiana vanno continuamente ovunque predicando, alla legge di Cristo la gente convertendo; quelli abbiamo visto sul monte Agello, un uomo degli ordini maggiori con un giovane servitore. Ordina che quelli ti siano portati a cospetto e come meritano presi e legati; e falli morire con grande supplizio se non vogliono agli idoli fare sacrificio, secondo l’editto che è stato promulgato per spaventare quelli che sono battezzati». Allora il cane mandò i ministri in Sardegna, per catturare i servi di Cristo. Giungono in questo porto con una nave armata, che immediatamente fu preparata; catturarono i santi e li imbarcarono, fecero vela, verso la Corsica navigarono. Santo Proto, navigando per mare, dice officio con santo Gianuario; terminata la funzione gli cominciò a dire: «Figlio mio caro, adesso si mostrerà la tua costanza e la ferma fede che porti in Gesù Cristo, ora si vedrà; non avere paura delle minacce del re Barbaro, né dei suoi supplizi, neanche della morte se fosse necessario; sia di Gesù Cristo buon cavaliere, né dalle lusinghe ti lasci ingannare, tanto che la santa fede debba abbandonare per vestiti robe né denari». Ascolta la risposta di santo Gianuario: «Caro babbo e maestro, non abbiate paura, io già so che è adesso l’ora che al Redentore debba esser leale, il quale, per darci il Regno celeste, volle morire sul legno della croce; anche se sono un servitore di età rude, spero tanto in Cristo di essere forte durante tutti i supplizi sino alla morte; ho messo in conto che per un brutto giorno mi darà adesso il Regno eterno». 

Stando i santi in questo conforto, arrivarono in Corsica nel detto porto, e dopo che furono arrivati, al re Barbaro furono presentati; davanti al quale col loro viso, mostravano la costanza che portavano nel cuore di morire per Cristo figlio di Maria. Il cane, vedendo tanta valentia e tanta allegria nei detti santi, credendo di vincerli con le sue minacce, con viso arrabbiato e crudele voce disse: «Chi sono questi che portate qui, di quale legge sono e di quale terra? Dimostrano nel viso di essere uomini di guerra, con grande audacia e presunzione; in quale Dio portano devozione?»

I santi risposero a quella domanda: «Se vuoi sapere da noi, da quale parte e in quale luogo noi siamo nati, ti diciamo che siamo sardi naturali, nutriti e allevati nella città turritana, la quale, ora, è metropolitana; se della nostra fede tu vuoi sapere, siamo cristiani e di morire per Cristo e per la sua fede noi decidiamo, perché quello è il vero Dio e quello adoriamo, e abbiamo la nostra ferma fiducia nella Trinità e nell’unica sostanza, e adoriamo anche l’Incarnazione di Gesù Cristo con grande devozione, e a quello solo diamo lode e gloria». 

Non piacque al re quella tale storia, in tale modo che, per per amore di Cristo, nelle sante cronache si trova scritto: venti mila cristiani, battezzati, coronati del santo martirio, oltre tanti altri per paura fuggiti, cacciati in luoghi sperduti, esiliati. In quel tempo tre sommi pontefici morirono costanti, fedeli e cattolici; cioè santo Eusebio, Marcello e Marcellino con santo Bonifacio, Vittore e Crispino, Cristoforo, Alessandro, Cosma, Damiano, Adautto, Claudio, san Sebastiano, Gervasio, Protasio con santo Vitale, Felice, Giacomo, Pietro orientale Vito, Modesto, Vittorio, Valerio, Bernardo, Quintino, Candido, Tiburcio, Primo, Feliciano con san Giorgio, Tuffu, Domino, Luciano con Sergio Teodoro, Tiberio, san Saturnino Gianuario episcopo, Panfilo, Sabino, Giovanni, Giuliano, Marco, Marcellino, Estasmo, Genesio con sant’Adriano, con quelli Menna, cavaliere egiziano, e Pietro, cameriere di Diocleziano, Leuterio, Epulio, Maurizio, Vincenzo, san Pantaleo con sant’Innocenzo; insieme con questa bella compagnia fu martirizzata santa Anastasia, santa Olaria, santa Leocadia, Agnese, Eufemia con santa Lucia, santa Basi-lica con santa Caterina, santa Barbara con santa Teodorina, santa Dorotea con santa Giuliana, Giulitta, Crescenzia con santa Susanna. 

Nella nostra Sardegna, in quel periodo, di morire per la fede fu la sorte data ai nostri santi martiri benedetti, mentre governavano il mondo quei maledetti. Nel qual tempo di Diocleziano, un re Barbaro di origine africana, barbaro per natura e così soprannominato, che avevano cacciato dal regno, per avere di che vivere lo fecero Preside quegli Imperatori grandi e potenti in Sardegna e Corsica per alcuni anni, per perseguitare ovunque i cristiani. Il quale, partito dalla grande Roma con questo compito, navigando per mare, fu accolto con grandi onori nella detta città e porto di Torres, portando con sé santo Gianuario. Ma il beato Proto, in questo frattempo, mentre stava in quella isola sterile e deserta con buone guardie che stavano all’erta, le quali Barbaro aveva comandato, mai si è dimenticato di lodare Dio, conducendo vita grama e molto meschina con lentisco, mirto e lumaca marina, in quanto Barbaro, quel crudele cane, non volle che gli dessero né carne né pane acciocché morisse pure di fame, o perché lo uccidessero i grandi dragoni ovvero gli orsi o crudeli leoni o lupi rabbiosi, della quale natura allora nell’Asinara, senza conto né misura, e anche in Sardegna, ve ne fu tanta quantità così che la maggior parte fu disabitata. Il beato Proto, in quella tribolazione, pregava Cristo con la Vergine Maria (ché) levasse quelle grandi persecuzioni dei cristiani, in tutte le nazioni esaltasse la fede cristiana, sterminando la canaglia pagana; (ché) tutte le sinagoghe radesse al suolo, la Santa Chiesa dominasse il mondo, pregando Dio per santo Gianuario (ché) non lo lasciasse deviare dalla vera fede, con il quale desidera, con tanta voglia, del martirio la santa corona conquistare, con trionfante vittoria in lode di Cristo e alla sua gloria. Ed ebbe da Dio una grazia speciale, perché la cattiva natura di quelle bestie da quel momento venne meno, né in quelle isole fu più ritrovata. Passati alcuni giorni che si fu riposato in quella città, il cane dannato ordinò allora ai suoi ministri, che riportassero santo Proto dall’Asinara; lo condussero nel porto di Torres nella detta città, quei servitori, e lo misero in prigione, in un luogo ristretto, come ordinò il cane maledetto. 

Un giorno, mentre sedeva nel tribunale, Barbaro, nemico di Dio eterno, disse a tutti quelli che erano presenti: «Gli Imperatori romani potenti, mi hanno ordinato di perseguitare tutti i cristiani che non abbandoneranno la loro legge, per adorare la nostra. Ma siamo stati sempre occupati, sino al presente, in altri fatti che riguardavano la romana maestà, di maggiore bisogno e necessità; perciò non potemmo fare giustizia di quelli che adesso teniamo in Corsica, né degli altri che si troveranno. Adesso è il tempo di cercarli; pertanto ordiniamo (che) adesso li cerchiate e dinanzi a noi quelli presentiate». Allora i ministri si presentarono insieme a santo Proto con santo Gianuario. Vedendo santo Proto per nulla cambiato dal suo viso, né per nulla affaticato per i dispiaceri e per la vita amara che aveva avuto in prigione e all’Asinara, il re gli disse: «Ora ti insegnerò e a tuo danno ora proverai la grande potenza degli Imperatori, e che sarà meglio abbandonare gli errori della tua legge e voler obbedire, e alla loro volontà consentire; per cui ti voglio consigliare di sacrificare ai nostri dei, e, se questo fai, io ti garantisco che ti farò solenne pontefice dei nostri dei, e con grande onore, e sempre riceverai da me grande favore». 

Santo Proto, ispirato dallo Spirito Santo, a Barbaro rispose con amore: «Quanto desideriamo scacciare dal tuo cuore questa tua perfidia e questo grande errore, non lo posso dire né manifestare, mentre prego Dio che ti ispiri e ti illumini dalla vera luce, perché tu possa avere l’eterna salvezza; la quale certamente tu puoi ottenere, se al nostro consiglio vuoi acconsentire. Altrimenti, di sicuro, non potete allontanarci dalla santa fede nostra cristiana, cheè fondata sulla pietra forte, ben ferma, così che, con tutto il tuo minacciare, non la potrai spostare dal suo posto. Né il vero Dio ci potrai fare abbandonare, non potrai nemmeno far sacrificare ai diavoli tuoi e alle pietre lavorate, private del tutto di sentimento e di vita. E per questo canta il santo profeta, con vostra vergogna manifesta: ‘Diventino simili a loro quelli che fanno quelle cose e perciò tutti quelli che confidano in essi’. Ad eterna gloria del Redentore canta il salmista in questo tenore: ‘E lo adoreranno tutti i re; tutte le genti lo serviranno come figlio di Dio’. Di questo volle spiegare la vera ragione, perché liberò dal dragone la povera anima, che non avrebbe avuto nessuno aiuto, se da lui non fosse giunto; il quale, per fare in modo che l’umanità partecipasse della divinità, per gli infiniti secoli dei secoli, volle esaudire la voce dei peccatori, e volle nascere dalla Vergine Maria, Dio e uomo, con grande allegria dell’Eterno Padre e dello Spirito Santo, con tanto potere e né più né manco; e molto volentieri, per la nostra salvezza, volle morire sul legno della croce. Giudicato a morte da Ponzio Pilato solamente a causa dei nostri peccati, e sepolto, quel corpo glorificato, sotto un mucchio di pietre nuovamente edificato, quel re spogliò gli Inferi della gloria dei santi Padri, con grande vittoria. Il terzo giorno, quel nostro Redentore risuscitò dalla morte con grande splendore, mostrando il suo viso luminoso ai discepoli e alla gloriosa Maria madre sua e a santa Maddalena, che lo andava cercando con dolore e pena, mostrando la divina immortalità e la gloria della divinità. Per quaranta giorni, contando dal momento in cui risuscitò, ammaestrò i santi discepoli, in presenza dei quali, e, con loro, testimoni molti Galilei, salì verso i cieli visibilmente e con molti angeli miracolosamente. E siede alla destra del Padre Eterno, con il quale deve regnare in eterno, in una divinità con lo Spirito Santo, tanto glorioso non posso dire quanto. Quello è colui che verrà e quello che giudicherà i vivi e i morti, quanti ne troverà nati e creati nella natura umana, cioè a Giosafat, in quella grande valle, e attribuirà a ciascun uomo la sua giusta paga, tutto in modo palese e niente di nascosto; e darà ai giusti tutta l’allegria del Paradiso, con grande giustizia, le eterne pene a tutti i dannati e dai diavoli sempre tormentati. Guarda, adesso, che cosa ti sembra meglio, o adorare Cristo, che ci salverà, o i demoni tuoi infernali, per stare sempre nelle pene eterne». Allora il re Barbaro perse la pazienza, non potendo rispondere a tanta preveggenza, e, con grande furia, lo fece allontanare dal suo cospetto e fuori cacciare. Santo Gianuario, con viso piacente fece chiamare e lo abbracciò immediatamente. Lo fece sedere ai piedi del tribunale, e, da vicino, gli cominciò a dire con parole dolci e segreto discorso: «Figlio mio caro e giovane bello, vedendo che tu sei di tanta poca età, ho compassione e grande pietà che, adesso, debba perdere questo tuo bel fiore della giovinezza, per il grande errore nel quale ti trovi; pertanto ti consiglio, per quanto io ti tengo in amore di figlio, che adori gli idoli; e se così farai, io ti prometto che tanto mi compiacerai, che sarai uno dei più onorati della mia corte e dei più amati; e se non vorrai acconsentire, entrambi vi farò morire e finire, tu e quel vecchio, con crudeli tormenti; e di questo faccio solenne giuramento». 

Gli rispose santo Gianuario: «Invano fatichi nel volermi spaventare dei tuoi supplizi, neanche della morte, giacché sarò sempre costante e forte verso Gesù Cristo, aspettando la corona che mi ha promesso, prendi pure la persona e fai di me quanto hai deliberato, per quanto vedo bene che sei ostinato, accecato dal diavolo infernale a tal punto che mai nulla puoi fare se non male». Allora il re Barbaro, il cane rinnegato, di questa risposta molto restò adirato, e il martirio fece preparare. Lui stesso fece fortemente legare i santi martiri con buone catene così che gli tagliassero le ossa con le vene, e tutte le carni con pettini di lino gli fece dilaniare fino al sangue vivo, acciocché, con tale grandissimo dolore, gli facesse rinnegare Cristo redentore e agli idoli suoi sacrificare, e per tutta la terra li fece frustare e in molti altri modi tormentare. Ma vedendo quelli rallegrarsi nelle pene e nella santa fede stare fortemente, irremovibili nel cuore

e nella mente, li fece slegare dal tormento e quello prorogò ad altro tempo, e quelli consegnò ad un cavaliere di nome Gavino, che fu suo suo scudiero, il quale fu cittadino romano e come Barbaro fu anche pagano, perché li tenesse in forte prigionia, con buone guardie di notte e di giorno. Mentre i martiri andavano con quel soldato, cantavano questo salmo che sta nel saltèrio: «Eleviamo i nostri occhi verso i monti, da dove ci verrà il conforto santo, il nostro aiuto da Dio Signore, di tutto il mondo vero creatore». Mentre i santi cantavano così devotamente, tendeva gli orecchi con attenzione, ascoltandoli, il beato Gavino, già predestinato al Regno divino; e già tutto pieno di Spirito Santo, mentre camminava in lacrime, disse frattanto che insieme andavano alla detta prigione: «O santi di Dio, con grande devozione, e se Dio vi salva, vi voglio pregare di mostrarmi questo vostro Dio, che dite esser creatore di tutto il mondo e vostro redentore. Quale premio sperate, quale grande dono di quel Gesù Cristo che è vostro patrono, perché tante pene dobbiate sopportare?» I santi martiri risposero insieme: «O cavaliere, alla vostra domanda non possiamo noi dare vera risposta, giacché non basta alcun uomo al mondo che trovi il fondo della sua gloria; né, quella, può raccontarla l’angelica natura, né, sotto i cieli, altra creatura, per quanto è imperscrutabile e onnipotente e senza lui non si può niente. In suo nome sempre regnano e sempre regneranno quante virtù si possono trovare, né la lingua raccontare, né pensare il cuore, per gli infiniti secoli dei secoli. Per amore di lui vogliamo sopportare tutte le pene e i tormenti che ci potranno dare, perché attendiamo il sempiterno dono della eterna gloria da quel patrono». Sentendo Gavino questo discorso santo, fu illuminato e ispirato tanto dallo Spirito Santo, che credette fermamente in Gesù figlio di Dio onnipotente. E da quell’ora tutto il paganesimo rifiutò per il figlio di Maria. E da quel momento non fu più pagano, anzi divenne un vero e buon cristiano solo per la fede che ebbe in quel momento, credendo fermamente senza altra prova. E così, subito dopo che fu battezzato e nella santa fede ben confermato cresimato, e tolto dal cuore tutto il suo paganesimo, ai santi martiri diede la libertà, supplicandoli che pregassero il Redentore, ché gli desse un posto, con loro, nella eterna gloria, e contro i supplizi gli desse la vittoria, perché già decide, per Gesù suo patrono, di morire come cavaliere buono. Allora i santi, liberati dalla prigione, se ne sono andati in luoghi segreti, fuori della città, dove pregavano la divina Maestà che li indirizzasse all’eterna salvezza e gli desse tanta virtù, da essere sempre costanti e forti verso tutti i supplizi, sino alla morte; pregando Gesù Cristo per Santo Gavino, (ché) lo mantenesse costante verso l’amore divino, il quale, avendo liberato i santi, di quel re Barbaro non si è spaventato per le pene e supplizi che gli potesse dare; anzi, allegramente volle aspettare, qualunque fosse il supplizio sul suo corpo, per ricevere presto la corona eterna. L’altro giorno appresso, il mattino presto, quel re Barbaro, pagano maledetto, seduto che fu nel tribunale, non per fare del bene, bensì ogni male, immediatamente comandò a quei pagani che gli presentassero i santi cristiani. Allora i ministri si misero in cammino, per cercare il beato Gavino, al quale dissero: «Il re vi ordina che gli presentiate, adesso, quel che aveva comandato di Proto e Gianuario, quei cristiani, e chiede di rimetterli nelle sue mani». Il beato Gavino allora si alzò, e, allegramente, senza paura, andò dicendo: «Andiamo, ché per quei santi voglio rispondere». In questo frattempo giunse alla corte e al cospetto del re Barbaro che teneva udienza; il quale gli disse: «Quei seduttori e nemici degli Imperatori, malvagi e perversi, che ti ho affidato, perché, insieme a te, non me li hai portati?» Santo Gavino, con viso molto allegro, rispose al re: «Bada a quel che dici, e, per la salvezza della tua anima, non dire in modo palese, né segreto, che quei santi sono perversi, né malvagi, in quanto sono uomini giusti e servi di Cristo; e se tu li conoscessi, come li conosco io, li chiameresti giusti servi di Dio, in quanto sono servi di Dio onnipotente, che ha fatto la terra e il cielo lucente; perciò non potei tenerli prigionieri. Anzi, come loro sono diventato cristiano e confesso Cristo essere il vero Dio, quello sempre glorifico e adoro e per quello morire, se occorrerà, mi vedrai, come un buon cavaliere, giacché non capisco, per quale ragione vai perseguitando, come un leone, i cristiani; perché debbano adorare i tuoi idoli, che non possono parlare, e Gesù Cristo, della vera salvezza re e signore di tutte le virtù, vuoi impedire che sia adorato; chi sarà tanto matto o tanto dannato, che conoscendo il vero Redentore, voglia adorare il diavolo per Signore e gli idoli sordi, vani e malvagi, dei quali canta il santo salmista: “Hanno orecchi e non odono, narici e non sentono odori: né parlano con la loro bocca”. E di quanti adorano gli idoli vani, canta il salmista queste parole chiare: “Siano confusi tutti quelli che adorano le statue, così anche quelli che si gloriano di simili simulacri”. Così a te insieme a quelli, il sempiterno luogo ti viene preparato nell’eterno fuoco.» 

Allora il re Barbaro, tutto furioso, stringeva i denti come un lupo rabbioso; chiamò i carnefici, gridando con furia: «Toglietemi immediatamente costui da davanti, prendetelo, presto, conducetelo alla morte! Dopo che ha voluto quella tale sorte, a questo nemico degli Imperatori legategli le mani come un traditore; a questo grande matto, fuori di ragione, non dategli tempo, né più dilazione; non voglio che abbia più tempo, né vita, se non che gli tagliate, adesso, la testa; e che vada subito, come un disgraziato, a fare compagnia a quel Cristo, che i Giudei hanno crocifisso e condannato a una morte disonorevole; e che sia ucciso con pena capitale, corpo e testa, tutto gettate in mare, di modo che più non se ne trovi pezzo, perché i Cristiani non lo adorino come santo.» Allora le guardie e il boia presero e legarono il beato Gavino, e con grande furia, subito lo portarono per decapitarlo alla rocca di Balay. E così mentre conducevano il beato Gavino, una santa donna lo vide durante il percorso, del quale fu vicina di casa e segretamente fu una buona cristiana, e insieme solevano, col beato Gavino, scambiarsi favori come vicini. E per la familiarità che esisteva tra loro, provò dispiacere vedendolo portare dal boia, legato con le funi; e soprattutto allorché le dissero che fu condannato a quella morte, perché era cristiano, cominciò a piangere, con grande dolore; gli disse: «O Gavino, vicino mio bello, per amore mio prendi questo velo, giacché altro non ti posso dare e dalla morte non ti posso aiutare, e, con quello, ti potrai bendare gli occhi, quando ti uccideranno questi manigoldi.» Santo Gavino lo accettò di buon animo, ringraziando di un tale dono. Allora i ministri si misero a ridere, e dissero alla donna: «Domani potrai ricevere la paga del velo che gli hai prestato, puoi far conto che sia perso o regalato». Giunto che fu al luogo prescelto, dove doveva essere decapitato, allora il beato Gavino si inginocchiò, per niente intimorito, neanche triste, anzi, allegro fece un’orazione, cioè la seguente, con devozione: «O Dio eterno, benigno Signore, Creatore mio e vero Redentore, grazie infinite ti rendo, perché mi hai ricevuto nel numero santo dei tuoi martiri santi e beati. Non per meriti, né per buone opere da me fatte, ma solo per la tua grazia divina, hai voluto salvare questa anima meschina, e sparso il sangue sul legno della croce per dare alle anime la vera salvezza. Io ti glorifico, benedico e adoro, con mente pura e con integro cuore, perché ero un morto e un dannato pagano, mi hai dato la vita e reso cristiano, mi hai fatto convertire e fatto salvare da santo Proto e santo Gianuario; da peccatore condannato all’Inferno, mi hai reso cavaliere del Regno eterno. O Dio vivo, misericordioso, onnipotente e sempre glorioso, la Santa Chiesa voglia prosperare, in tutto il mondo falla trionfare, a tutti i popoli di questa città e di questo regno, per la tua pietà, dona tanta della divina luce, così che possano conoscere la vera salvezza; dà loro la grazia di conoscere e vedere la tua santa legge e la vera fede, e fagli la grazia che in pochi anni diventino tutti buoni cristiani!» Conclusa l’orazione, allora si alzò, e col detto velo gli occhi si bendò, e dipoi disse: «O Signore Dio, nelle tue mani affido il mio spirito!» Alzò la spada, allora il boia, e tagliò la testa a santo Gavino, e del martirio ebbe la vittoria, a lode di Dio e per la sua gloria. E non appena fu spirato, gettarono il corpo suo santificato dall’alta rocca in fondo al mare, secondo l’ordine che avevano ricevuto dal Preside, le dette guardie. Ma quell’anima santa e serva di Cristo, di persona andò a visitare santo Proto e santo Gianuario. Vide, lungo il cammino, Calpurnio suo vicino, che salutò e che trovò stanco, perché gli era caduto in terra il sacco ed il cavallo, insieme con la soma, mentre era in cammino per rientrare a casa. Lo aiutò a rialzare quella puledra, che riacquistò le forze per grazia divina, e gli restituì il velo che la moglie gli aveva prestato, e gli disse: «Riferisci grazie infinite della cortesia a tua moglie, da parte mia.» Allora Calpurnio intraprese il cammino grazie all’aiuto di santo Gavino. In casa trovò la moglie che piangeva; alla quale domandò: «Perché piangi, adesso?» E lei gli rispose: «Quel beato del nostro Gavino, oggi lo hanno decapitato, perché volle essere buon cristiano lo ha condannato a morte quel re pagano.» Il marito le disse: «Perché parli così, giacché l’ho visto adesso, in questo giorno, e con le sue mani, egli mi ha sollevato la soma che era caduta, e anche il cavallo, e, per il Dio che ha fatto il cielo, con le sue mani mi ha dato questo velo e mi ha detto, per la fede mia, di ringraziarti della cortesia». Allora la moglie svolse il velo e lo trovò all’interno insanguinato del sangue proprio del martire santo, e al marito raccontò tutto il fatto, così come accadde. Allora il marito credette fermamente, il quale era stato sino ad allora pagano; si fece battezzare e divenne cristiano. Quell’anima santa a questo fu giunta, a quella corona ovvero spelonca, dove santo Proto con santo Gianuario furono nascosti vicino al mare; ai quali apparve molto risplendente e quelli chiamò molto allegramente: «O santi di Dio, vi racconto una buona nuova, io son già uscito da questo mondo malvagio, e ho conquistato, per mia buona sorte, la santa corona del martirio. Il re Barbaro mi ha fatto decapitare nella rocca di Balay, vicino al mare, e, perché sono stato sempre costante e forte nella vera fede, fino alla morte, mi ha dato la gloria del Paradiso con i santi martiri, Cristo crocifisso; e faremo, voi ed io, questo percorso in questo giorno, tutti e tre in compagnia. Io sono Gavino, vostro compagno e fratello, credete a questo e state sicuri, e perché credete al mio racconto, vi dico che da voi vengo mandato da Dio.

Pertanto andate, adesso, con gioia a morire per la fede di Cristo onnipotente, andando presto e alla buon’ora a conquistare la santa corona, la quale Cristo vi ha preparato, insieme a me, nel Regno beato. Non abbiate paura, ché vi accompagnerò, ché sino alla gloria andiamo insieme!» Ora pensate, adesso, voi altri tutti, se santo Gianuario e santo Proto provarono gioia di tale notizia che gli fu data da santo Gavino, giacché erano invitati al Paradiso, all’eterna gloria del crocifisso, da parte di Dio, per il compagno che stavano seguendo, e non per uno sconosciuto. Allora si alzarono e si misero in cammino, con grande gioia e grande allegria, poiché ritornavano in città per conquistare presto l’eterna gloria, che mai può venir meno, dicendo l’uno all’altro: «Andiamo, andiamo che siamo invitati al Paradiso!» 

Mai con tanta gioia, né con tanto piacere, nessuna moglie andò dal marito, come i santi andavano, prestamente, per presentarsi al Preside, che gli sembrava ogni ora un anno ad essere dinanzi al re pagano, cantando i salmi e le orazioni per tutta la via con devozione. E come furono dentro la città, andavano dal re di propria volontà; vedendoli, gli altri pagani corrono dal re dicendo: «I cristiani che aveva lasciato fuggire Gavino, adesso sono arrivati: eccoli in cammino!» Allora il re Barbaro, il cane rinnegato, di quella notizia si è molto rallegrato, e subito dopo che si sedette nel tribunale come era suo costume, si fece portare dinanzi santo Proto con santo Gianuario, e chiese loro dove erano stati e in quale luogo si erano nascosti. I santi risposero al Preside: «Fai che Gavino venga immediatamente, a lui tu ci hai affidato, e lui ti dirà dove siamo stati; a lui devi rivolgere una tale domanda, perché lui di noi è obbligato a render conto». Rispose allora il cane rinnegato: «Gavino è morto, e io l’ho mandato come un pazzo e come un tristo, per essere cavaliere di quel vostro Cristo il quale totalmente ha voluto adorare; e così voi, tutti e due insieme, farete oggi, lo stesso percorso, giacché siete dentro quella follia». 

Santo Proto rispose a quel discorso: «O pover’uomo, tristo e meschinello, fuori d’ogni senno e d’ogni ragione, poiché non conosci la tua salvazione, bene sei perduto e matto davvero davvero, poiché non conosci il Re del cielo, che è Gesù Cristo nostro salvatore, figlio di Dio vivo, del mondo creatore; tu dici che noi due, insieme con Gavino, siamo matti, tristi e meschini, perché adoriamo Cristo, figlio di Maria, che per il Paradiso è la sicura via; e dici che hanno una buona sorte, quelli che adorano gli idoli fatti di pietra dura, o di bronzo, o di legni colorati, dedicati a Giove e al dio dell’amore, Marte, Mercurio, Febo o Diana; e tu quella la chiami grande virtù, e quelli dici essere salvi e beati, savi, prudenti e ben consigliati. Non sai tu, che la Santa Scrittura altro non dice, né altro canta in tutta la Bibbia e nei libri dei Profeti, come al mondo sia cosa manifesta? E anche le Sibille, che furono pagane, tutte confermano la fede cristiana. Tutti quelli dicono e concordano insieme, che dall’alto cielo doveva scendere nel corpo sacro della vergine Maria, il figlio di Dio vivo, il quale doveva dallo Spirito Santo esser concepito, nascere, morire e per noi sepolto; e fu ucciso sul legno della croce, per dare a tutti l’eterna salvezza. Quel Re spogliò gli Inferi di gloria, con grande trionfo e grande vittoria, e il terzo giorno è resuscitato dalla morte alla vita, come è profetizzato. Ascese i cieli visibilmente, presenti i discepoli e altra gente, e, adesso, egli siede pieno di gloria alla destra di Dio Padre, nel Regno beato. Quello è colui che verrà con grande potenza per giudicare tutti; e in sua presenza, vivi e morti, ci saremo tutti. E così tu allora, renderai conto del bene e del male che avrai fatto; allora conoscerai se sono savio o matto; allora non ti varrà più la penitenza, né potrai sfuggire l’eterna sentenza. Quello è colui che noi vogliamo adorare e sopra ogni cosa servire e lodare, e per quello morire, perché tale morte per noi è vita e miglior sorte». 

Allora il re Barbaro, come indiavolato, fu di pura rabbia tanto infiammato che risponder, né parlar, nulla sapeva; e pensando fra sé cosa doveva fare, ordina di dare la morte ai santi martiri; e quella più forte, e quella più dura si potesse trovare, mentre pensava, nel cuore e nella mente, con quali pene e più pesanti supplizi, facesse morire i martiri santi. Se non che, vedendo i tanti popoli che già si convertivano a Gesù salvatore e già volevano sollevare la ribellione, e ricordandosi altresì delle pene crudeli che già aveva dato ai santi fedeli, le quali non avevano per niente temuto, dubitò che così miracolosamente da quelle pene Cristo li liberasse e che la gente contro di lui si levasse. Per questo, mentre sedeva nel tribunale, condannò i martiri alla pena capitale, nello stesso luogo in cui fu decapitato santo Gavino martire consacrato; e, quel cane moro, ordinò inoltre che gettassero in mare i loro corpi. Data la sentenza, subito si è alzato dal tribunale come uno spiritato. Allora i boia legarono insieme santo Proto con santo Gianuario, portando quelli al luogo ordinato dove dovevano essere decapitati. Quella anima santa di santo Gavino li accompagnò per tutto il cammino, e quella anima i pagani non potevano vedere, se non coloro i quali erano stati buoni cristiani. 

Ora, voi pensate che i martiri santi fossero svenuti, per le tante intimidazioni del re Barbaro, o per i crudeli supplizi che avevano subito, o altresì per la morte verso la quale si dirigevano prigionieri e legati, e non invece fossero come quelli che sono invitati alle nozze, e ad altri onori, e ai benefici con grandi favori? Così procedevano i martiri, cantando i salmi santi, lodando sempre Dio, perché aspettavano, in quella giornata, la bella corona che gli veniva preparata in Paradiso, nel Regno divino, e in compagnia di santo Gavino; e trascorsero almeno due ore del giorno, quando finirono contemporaneamente i salmi con la via. Giunti che furono nel detto luogo, il glorioso Proto disse ai carnefici: «O cari fratelli, vi voglio pregare, di mostrarci il luogo dove Gavino è stato decapitato, perché quel luogo a noi è stato assegnato». E così gli mostrarono quel luogo santo, che allora fu tutto insanguinato. 

I santi si inginocchiarono in quel luogo devotamente, l’uno davanti all’altro, senza alcuna paura. Allora santo Proto fece un’orazione, cioè la seguente, con devozione: «O Dio eterno, creatore del mondo, di misericordia mare senza fondo. O Santa Trinità, tanto gloriosa, dell’Eterno Padre, Figlio e Spirito Santo, costituiti in una divinità, in una potenza e in una volontà, infinite grazie sempre ti rendiamo, perché certamente noi adesso vediamo, che ti è piaciuto e ti sei degnato di accoglierci nel Regno beato e nella gloria dell’eternità, solo per la tua grazia e per la tua bontà; e ci hai dato forza d’animo per resistere a tutti i supplizi, e ci hai fatto forti e costanti contro il re Barbaro e le sue intimidazioni. Tu ci hai creato, redento e salvato, tu ci hai difeso e liberato da tutti i pericoli e le tentazioni; a te offriamo gloria ed esaltazione a te sopra ogni cosa sempre adoriamo, benediciamo e glorifichiamo, perché da te solo giunge ogni bene e senza te nulla si mantiene. Tu sei la via, la verità e la luce e il porto sicuro della vera salvezza. Per tanto ti preghiamo, con devozione, tu voglia esaudire la nostra orazione e togliere dal potere di tutti i pagani la Santa Chiesa e i cristiani; e tu voglia mettere il Santo Papato della Santa Chiesa in un pacifico stato, e in questo Regno e nella città turritana fai prosperare la fede cristiana; e inoltre ti preghiamo, per la tua grazia infinita, adesso che lasciamo la mondana vita, le nostre anime tu voglia portar via». Rispose «Amen» santo Gianuario, e conclusa l’orazione i santi si abbracciarono, e, come babbo e figlio, si baciarono a vicenda. A quel punto i boia, con le spade affilate, afferrarono le teste ai martiri beati, a ventitre giorni da ottobre, giorno nel quale, a santo Gavino fu fatto lo stesso. Per questo, tutto quanto il nostro Regno, a lode e onore del detto santo, ha intitolato il detto mese (in onore) di santo Gavino martire consacrato. Di lì a poco, le teste insieme con i corpi di santo Proto e santo Gianuario, così come fecero a santo Gavino, i boia gettarono in mare. Le loro anime con grande splendore, gli angeli portarono al Redentore. E come arrivò la notte, certi religiosi vennero a cercare quei corpi gloriosi; e li ritrovarono nella spiaggia, corpi e teste di tutti e tre insieme, così che non facessero fatica ad andarli a cercare. «O grande miracolo!» dissero allora quelli. Di lì a poco li portarono un po’ più nell’entroterra, in un luogo particolare, scelto per loro, in cui fecero la sepoltura, la quale fu fatta nella roccia dura. E per quarant’anni stettero lì sepolti, i santi poco riveriti, facendo miracoli e grazie grandi, guarendo la gente da tutte le malattie, sino al tempo del giudice Comida, uomo giusto e di vita integerrima, il quale dedicò ai martiri santi questa bella Chiesa, con tante indulgenze. In quella (Chiesa) gli fece degna sepoltura, come quest’altro con daghe riporta; nella quale i santi furono traslati e, come meritarono, meglio riveriti.  Per tanto, conclusa in lode di Dio, questa storia e questo mio racconto, pregando sempre la divina Maestà, che tutto questo regno e la città nostra di Sassari ha fatto prosperare e quella sempre servire ed amare, e da questa Chiesa ci conceda il perdono per intercessione di questi patroni; e alla fine di questa vita, voglia quella clemenza infinita condurci al Paradiso nelle sante braccia di Cristo crocifisso. Amen. 


S’ anu de sa Incarnatione  MDLVII  

L’anno dell’Incarnazione 1557




Per leggerlo anche in lingua sarda http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_59_20080605151149.pdf


Tratto dal sito http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=114625




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