venerdì 3 settembre 2021

Pietro Claver - 300.000 battezzati!



Pietro Claver nacque nel 1580 a Verdù, una piccola città del nord-est della Spagna, figlio di onesti contadini. All'età di 22 anni entrò nella Compagnia di Gesù. Dopo il noviziato, i superiori mandarono il giovane gesuita a Palma di Maiorca per studiare filosofia, attestando che aveva poca intelligenza, talento mediocre, ma una pietà e una carità straordinarie come anche eccezionali doni spirituali. Lì, nel collegio di Montesión, il venticinquenne Pietro incontrò il frate portinaio Alfonso Rodríguez, che aveva 73 anni e fama di santità, la cui bontà e profonda unione con Cristo attirarono lo studente. Ben presto l'anziano fratello laico divenne suo amico, padre e maestro e durante brevi conversazioni spirituali quotidiane, fr. Alfonso indicò al suo figlio spirituale la via della santità eroica. "Furono i giorni più belli della mia vita" , dirà in seguito p. Claver. Spesso e con insistenza fr. Alfonso lo incoraggiava ad andare in missione in Sud America. 

Due anni dopo, Pietro Claver fu effettivamente assegnato alla neonata provincia spagnola di Nuova Granada, nel nord del Sud America e dopo una traversata di due mesi, nel giugno del 1610, il giovane studente di teologia, con tre confratelli, raggiunse la città fortificata di Cartagena, sulla costa caraibica di quella che è oggi la Colombia. La ricca città, piena di vita e di vizi, era una delle più importanti città portuali dove ogni anno arrivavano dalle dodici alle quattordici navi che importavano "l'avorio nero" dall'Africa occidentale : dai 300 ai 600 schiavi (uomini, donne e perfino bambini) per nave, presi da vari paesi africani e incatenati come animali, costretti a trascorrere il viaggio in carene sovraffollate, buie e soffocanti. Uno su cinque non sopravviveva alle inimmaginabili torture! Poiché gli indios nativi si erano dimostrati meno adatti ai lavori duri, nel XVI secolo uomini d'affari europei, senza scrupoli, avevano iniziato a commerciare con gli africani, vendendoli sul mercato degli schiavi di Cartagena. Lì Pietro venne a conoscenza di questa tragedia subita da migliaia di persone. 

Nel collegio dei Gesuiti, il trentenne incontrò il suo confratello p. Alfonso de Sandoval (1576-1652), maggiore di lui, di soli quattro anni, che fu uno  dei primi europei a combattere apertamente la scandalosa ingiustizia nei confronti dei neri ridotti in schiavitù. Su suo consiglio, Pietro Claver si fece ordinare sacerdote il 16 marzo 1616 a Cartagena, cosa che il 35enne aveva fino ad allora rifiutato pensando al suo modello, l'umile fratello portinaio Alfonso Rodríguez. Dal primo giorno del suo sacerdozio, Pietro, al fianco di p. Sandoval, si dedicò senza riserve e amorevolmente all'apostolato tra gli schiavi, tanto che questi infelici dicevano tra di loro: "P. Claver dovrebbe essere nero, perché un bianco non ci amerebbe mai così". Pietro soccorreva tutti nelle loro necessità come un padre, ma specialmente gli africani, e non si vergognava di mendicare per loro: zucchero, frutta, datteri, biscotti e altre cose che amavano. Appena si avvicinava una delle veloci navi oceaniche, i "patronos" si affrettavano per "ispezionare le merci" in arrivo, preannunciate da lamenti, urla e gemiti soffocati. Ma anche p. Claver e p. Sandoval correvano velocemente al porto e probabilmente erano gli unici a pensare che quei neri stipati, picchiati a sangue, resi quasi pazzi dalla paura, fossero amati figli di Dio. "Ieri", scrisse Pietro Claver, "siamo stati subito sul posto, carichi di due cesti pieni di arance, limoni e tabacco. Ancora prima che la nave attraccasse, eravamo dai malati. Erano completamente nudi, senza uno straccio di vestito". 

Mentre gli interpreti dei gesuiti indietreggiavano per lo spaventoso fetore, Pietro Claver si faceva strada con la croce in mano. Baciava le catene degli schiavi, portava a terra i più deboli con le proprie mani, battezzava i moribondi, forniva cure di fortuna ai malati, prima che il "carico venisse smistato" e portato provvisoriamente nei magazzini. Nel 1662, sei anni dopo, p. Sandoval affidò tutta la missione al suo confratello e p. Claver fece allora il voto di essere "per sempre schiavo degli schiavi". Per questo li chiamava "i miei signori" e li servì per 38 anni, fino alla morte. 

Per lo più gli africani rimanevano solo pochi giorni a Cartagena, prima di venire spediti in miniere d'oro o d'argento, in allevamenti di bestiame o piantagioni di canna da zucchero del paese o essere venduti da qualche parte come rematori o schiavi domestici. Così ogni giorno Pietro Claver, "corrompendo" i sorveglianti, si procurava l'accesso alle baracche, dove "i suoi figli" si riprendevano lentamente. Carico di cibo, vestiti e medicinali, portava loro soprattutto una vera "Buona Notizia", la fede cristiana. Radunava grandi e piccoli intorno a sé su delle stuoie, poi iniziava a spiegare le più importanti verità di fede agli analfabeti, con abilità catechetica, con l'aiuto di grandi cartelli pieni di immagini. Preziosi servizi gli furono resi da traduttori affidabili, specialmente un certo Calepino, che incredibilmente parlava undici lingue africane. Pazientemente ripeteva ai suoi ascoltatori le parole che si dicono facendosi il segno della croce sulla fronte, sulla bocca e sul petto e anche le preghiere più importanti. Suscitava insieme a loro il pentimento e il desiderio dell'acqua battesimale. Se la mancanza di tempo permetteva solo una trasmissione molto limitata della fede, il santo, che viveva in modo estremamente modesto, completava tutto il resto con la preghiera, il digiuno e gli esercizi penitenziali notturni. Alla solenne cerimonia del battesimo, a dieci alla volta veniva dato lo stesso nome, per aiutarli a ricordarlo meglio e ogni battezzato riceveva inoltre al collo una medaglia con il nome di Gesù e di Maria, con cui il padre poteva sempre distinguerlo da un non battezzato. 

Padre Claver teneva con cura un registro dei battesimi e secondo le affermazioni di fr. Nikolaus Gonzàles, che lavorò con lui per oltre 20 anni, alla fine furono circa 300.000 gli schiavi ai quali padre Claver amministrò il santo battesimo. 

Per quanto gli fu possibile, il santo non perse di vista i neobattezzati! Quelli che sgobbavano come bestie da soma a Cartagena, andava a trovarli nelle loro capanne per rafforzarli nella fede. Per tutti aveva una parola di incoraggiamento e non di rado una di ammonimento per i padroni, quando trattavano male o percuotevano i loro schiavi. Nei giorni festivi padre Claver stava in confessionale per i suoi africani dalle tre di mattina fino ad esaurimento. Ai nobili diceva: "Voi potete facilmente rivolgervi a confessori migliori. Lasciate venire da me i poveri schiavi!". Andava a prendere personalmente per la Messa della domenica questi rifiutati, verso i quali la gente provava disgusto, accompagnava deboli, vecchi e malati alla mensa del Signore e li riportava al posto. 

Quando Pietro Claver venne canonizzato da Leone XIII, il 15 gennaio 1888, insieme con il suo maestro spirituale fr. Alfons Rodríguez, il papa disse: "Oltre alla vita di Cristo, nessun'altra mi ha commosso così profondamente come quella del grande apostolo Pietro Claver". 

Per i "suoi" schiavi Pietro Claver organizzava annualmente processioni in onore della Madonna, che preferiva chiamare "Madre del bell’ Amore" e con parole semplici teneva prediche quaresimali nelle chiese e sulle piazze. Pietro Claver evangelizzò e battezzò di nascosto anche i cosiddetti "cimarrones", schiavi fuggitivi che vivevano miseramente nelle paludi. Dio gli donò il carisma della visione interiore e più di una volta gli mostrò dove uno schiavo morente aveva bisogno del suo aiuto. Appena passata la Pasqua, l'instancabile Pietro Claver intraprendeva i suoi "viaggi missionari". Durante gli strazianti addii, a ciascuno dei neobattezzati venduti dava la benedizione e una corona del rosario fatta da lui stesso, con la promessa di andare a trovarli all'interno del paese. A piedi attraversava montagne e valli con tutto l'occorrente per la liturgia, per riuscire a trovare i suoi battezzati in capanne sperdute, nelle piantagioni o nelle montagne, per rafforzarli spiritualmente dopo che avevano finito il loro lavoro, per istruirli, per rinnovare con loro le promesse battesimali, per ripetere le preghiere imparate e per impartire loro i sacramenti. Ovunque fioriva nuova vita di grazia e, quando il santo stendeva il suo famoso mantello di gesuita su malati e moribondi, si verificavano molte guarigioni, ben testimoniate, e molti miracoli che portarono alla fede anche schiavi testardi o increduli. Nel 1650, durante un viaggio missionario, il santo, che aveva 70 anni, si ammalò gravemente di malaria. In convento poi sopravvisse anche al contagio della peste, mentre nove sacerdoti e fratelli dei ventidue gesuiti missionari caddero vittime dell'epidemia. Pietro Claver trascorse gli ultimi anni infermo a letto, paralizzato e solo nella sua cella, più tormentato che curato da un giovane nero brontolone. Il benemerito missionario sopportava tutto tacendo e, perfino con gratitudine, offriva tutto per la missione tra le popolazioni di colore. Quando gli venne portata la prima biografia di Alfons Rodríguez, pianse per la commozione e sollevato poté ancora salutare p. Diego Romírez Farina che avrebbe continuato l'opera della sua vita. L'8 settembre 1654, festa della Natività di Maria, il santo spirò, calmo e senza agonia, pronunciando le parole "Gesù, Maria" . Liberi e schiavi, tutti gli abitanti di Cartagena, si misero in cammino per accompagnare il padre all'ultima dimora. 


Tratto dalla rivista “Trionfo del Cuore” – Luglio/Agosto 2021

Sito https://www.familiemariens.org



Articoli correlati per categorie



Nessun commento:

Posta un commento