sabato 5 marzo 2022

Beato Tito Brandsma - Uomo della pace nell’Europa in guerra (1881-1942) – Papa Francesco canonizzerà il 15 maggio il carmelitano Tito Brandsma, martire a Dachau


Un figlio della Chiesa

Anno Sjoerd Brandsma, questo il nome che il Beato Tito ricevette dai suoi genitori, nacque nel 1881 nella Frisia, Olanda, in una zona a maggioranza religiosa protestante, da genitori cattolici: in questa religione viene educato, fino a che nel 1898 entra nell’Ordine dei Carmelitani, prendendo il nome del padre, Tito, appunto, per onorarlo.

Ordinato sacerdote nel 1905, compie gli studi filosofici presso la pontificia università Gregoriana a Roma. Diventa poi docente in Olanda, nell’università di Nimega, divenendone in seguito anche il Magnifico Rettore. Si occupa di giornalismo, pubblicazioni, scuola: non rinuncia alla verità e alla giustizia, parla della necessità di costruire una pace vera, rifiuta il comando dei nazisti e decide di continuare ad ammettere nelle scuole poste sotto la sua responsabilità, i bambini ebrei insieme agli altri.

Il nazionalsocialismo ricevette la sua puntuale denuncia: Tito lo aveva definito una “nera menzogna” che non si limita ad “opprimere la libertà degli uomini, ma anche ne contamina le coscienze”. Questo lo portò a vivere un vero e proprio calvario fatto di umiliazioni e sofferenze come prigioniero dei tedeschi nazisti, prima in Olanda, poi in Germania.

La vita interiore di Padre Tito è ricca e profondamente vissuta: un mistico a tutti gli effetti, Tito esprime la capacità di vedere in se stesso la miseria, vive un intenso dialogo con il Signore che va verso il Calvario, e, lui che ne saprà essere il testimone, denuncia la propria miseria e indifferenza affidando se stesso (e tutti noi) alla misericordia divina. Così si riscatta dalla debolezza della condizione umana, e ci indica la strada per imitare Cristo: è la preghiera umile e fiduciosa di chi non cerca l’eroismo delle proprie gesta, ma il bene dell’umanità intera nella verità di Cristo Gesù.

Nel campo di sterminio, non cede alla paura e continua ad esercitare il suo ministero: visita spesso le camerate degli ammalati per confortarli, pur essendo lui stesso indebolito, percosso, offeso. All’infermiera del campo di sterminio di Dachau, che gli praticò l’iniezione mortale, parlò con amore e confidenza, insegnandole a pregare per invocare l’aiuto della Madonna: “prega per noi peccatori”; le lasciò il suo stesso Santo Rosario. Anche nella peggiore delle situazioni e nella più violenta delle persone, Padre Tito ricerca ostinatamente un raggio di luce, un appiglio per non perdere l’anima, per incoraggiare a tornare a credere in se stessi e nella vita.

Un esempio per i nostri giorni

La figura del beato Tito Brandsma è capace di indicarci la via per un futuro migliore: superare la nostra mancanza di coraggio, di capacità di essere autonomi nei giudizi. Il Signore ci chiama ad essere testimoni della Verità che, per grazia, ci è stata rivelata. L’umiltà di Tito ci richiama dal vizio diffuso di nascondere i propri errori, di puntare il dito contro il prossimo invece che coltivare una vita interiore sana e fiduciosa, che sappia assumersi le responsabilità proprie e anche i pesi altrui, sul modello di Gesù, che non disdegnò di accogliere la nostra natura caduca e mortale pur di renderci simili a lui nella partecipazione alla vita divina.

Lo scandalo della croce

Come scelse di vivere, così lo fecero morire: la fine della esistenza terrena del beato Tito Brandsma non è diversa dalla morte e subita da molti per le sue modalità: perché è malato, sofferente, inabile al lavoro, Tito viene scartato, ucciso, buttato via. È lo scandalo della croce: ma la morte di Tito Brandsma e di molti altri suoi contemporanei, è la stessa proposta e praticata oggi, con l’aborto e l’eutanasia, per i sofferenti e i deboli del nostro tempo (bambini, infermi, anziani, morenti).


Beato Tito Brandsma: un uomo di speranza, un carmelitano per il futuro dell’umanità. 

Nel giardino del Carmelo non mancano i fiori profumati di beatitudine: sono le vite dei carmelitani che hanno saputo testimoniare Cristo. Fra questi, testimone veramente luminoso di pace e mansuetudine è il sacerdote e martire carmelitano Tito Brandsma, ucciso con una iniezione letale nel campo di concentramento di Dachau. 

Padre Tito Brandsma (nato il 22 -02 -1881 a Oegek-looster, presso Bolsward in Frisia, Olanda; morto il 26 luglio 1942, Dachau) fu uomo in grado di rendere la propria esistenza terrena una vera testimonianza di Cristo Gesù: testimonianza che lascia un segno nelle persone che incontra, un segno di speranza che apre la strada della conversione in una epoca segnata dal male. Padre Tito seminava il seme della Parola di Dio, la Parola dell’Amore, nei campi delle vite umane che incontrava. Vite ferite da peccati atroci, dall’isolamento delle coscienze, vite consumate dall’odio coltivato fra le atrocità dei lager nazionalsocialisti del secolo scorso. 

Anno Sjoerd Brandsma, questo il nome che il beato Tito ricevette dai suoi genitori, nacque nella Frisia, Olanda, in una zona a maggioranza religiosa protestante, da genitori convintamente cattolici: a questa religione viene educato, fino a che nel 1898 entra nell’Ordine dei Carmelitani, prendendo il nome del padre, Tito, appunto, per onorarlo. 

La vita di p. Tito testimonia uno spirito cristiano e carmelitano: fervente sostenitore delle verità del Vangelo, come per l’ispiratore dei carmelitani, il profeta Elia, anche per Tito la verità non può essere taciuta, deve essere ricercata, deve essere detta. La vita religiosa di Tito è segnata dalla ricerca della verità e dalla volontà, strenuamente difesa e rivendicata, di rivelarla a tutti gli uomini, attraverso diverse attività. Ordinato sacerdote nel 1905, compie gli studi filosofici presso la pontificia università Gregoriana a Roma, diventa poi docente in Olanda, nell’università di Nimega, divenendone in seguito anche il Magnifico Rettore. Si occupa di giornalismo e pubblicazioni, sempre con intenti di predicazione e diffusione della verità; segue una vocazione incontrata nel periodo del noviziato, quando con alcuni compagni aveva fondato una rivista. Pubblica numerosi scritti di mistica, tiene una rubrica di spiritualità su un periodico, fino a che viene nominato assistente dell’unione dei giornalisti cattolici olandesi. Sempre attivo nel settore dell’istruzione, fonda anche l’Unione delle scuole cattoliche, di cui diventa presidente, portando avanti con passione il suo lavoro in favore dell’educazione. Il suo impegno diventa scomodo ai tedeschi, che allora in Olanda attentavano al potere politico per portare avanti azioni violente contro il popolo ebraico e la libertà di tutti i cittadini: il beato Tito non rinuncia alla verità e alla giustizia, rifiutando il comando dei nazisti e decidendo di continuare ad ammettere nelle scuole poste sotto la sua responsabilità, i bambini ebrei insieme agli altri, negando così di assoggettarsi a logiche razziali e inique, nel nome di Gesù Cristo. 

Imitando il coraggio di Cristo e la sua mansuetudine di fronte agli aggressori, p. Tito accettò l’incontro con persone apertamente aggressive e contrarie alla Chiesa, un incontro vissuto nel segno dell’amore e della disponibilità, senza scendere a compromessi con gli errori altrui, senza cadere nell’arroganza e nel conflitto sterile. Il nazionalsocialismo ricevette la sua puntuale denuncia: Tito lo aveva definito una “nera menzogna” che non si limita ad “opprimere la libertà degli uomini, ma anche ne contamina le coscienze”. Questa posizione, lo portò a vivere un vero e proprio calvario, fatto di umiliazioni e sofferenze come prigioniero dei tedeschi nazisti, prima in Olanda e poi in Germania.

La vita interiore di Padre Tito è ricca e profondamente vissuta: considerato un mistico a tutti gli effetti, egli esprime la capacità di vedere in se stesso la propria miseria, vive un intenso dialogo con il Signore che percorre la via verso il Calvario, e lui che ne saprà diventare testimone, denuncia la propria miseria e indifferenza affidando se stesso (e tutti noi) alla misericordia divina, e così si riscatta dalla debolezza della condizione umana. Indica la strada per imitare Cristo: la preghiera umile e fiduciosa di chi non cerca l’eroismo delle proprie gesta, ma il bene dell’umanità intera nella verità di Cristo Gesù. Nella sua meditazione della Via Crucis, invoca l’aiuto della Madre del Salvatore, Maria, di cui era fervente devoto: “O Maria, insegnami a guardare alle sofferenze di Gesù, all’annientamento del figlio che tu hai offerto per me. Fa’ in modo che questo sacrificio non venga compiuto invano per me, che io non incroci con indifferenza questo dolore indicibile” . E supplica il Suo Redentore: “Ti lascio giacere sotto la croce e non muovo un passo per far vedere che non voglio che tu, tradito a morte, la porti fino a cadervi sotto. O Gesù, non voglio che sia così. Non permettere che le mie azioni contraddicano questa volontà” . 

Attraverso l’atteggiamento che il nostro beato carmelitano ebbe nei confronti della vita, insieme a quello di tanti altri uomini e donne giusti, brillò la luce di Cristo nel buio della storia del XX secolo: lo stesso amore divenne offerta non più esclusiva, ma universale. Padre Tito infatti, imparò da Cristo, ad offrire a tutte le persone lo stesso amore e ad avere gli stessi sentimenti. A tutti offrì la Parola della riconciliazione, agli aguzzini ed agli amici, ai giusti come ai peccatori, agli oppressi come ai violenti; in ciò possiamo vedere realizzato il programma di obbedienza al Padre che fu la trama della vita di Gesù. Troviamo così formulato l’invito alla conversione, l’annuncio del Vangelo di Cristo. All’infermiera del campo di sterminio di Dachau, che gli praticherà l’iniezione mortale, parlò con amore e confidenza, insegnandole a pregare invocando l’aiuto della Madonna: “prega per noi peccatori” e le lasciò il suo stesso rosario. Anche nella peggiore delle situazioni e nella più violenta delle persone, p. Tito ricercò ostinatamente un raggio di luce, un appiglio per non perdere l’anima che aveva di fronte, per incoraggiarla a tornare a credere in se stessa e nella vita. 

La mitezza di p. Tito, vissuta alla scuola di Gesù, lo portò a mantenere un rapporto di amicizia anche con coloro che lo facevano soffrire e che lo avrebbero ucciso. Portare il Signore a tutti e portare tutti al Signore era ciò che per lui contava veramente, soprattutto per i sofferenti nel corpo e nello spirito, per coloro che cercano nella giustizia la propria libertà, per gli autori stessi del male, rinchiusi nel gelido inverno della propria inumanità. Dimentico di sé, p. Tito incarnò Gesù, medico dell’uomo, che viene a cercare coloro che più hanno bisogno della sua opera di salvezza. Nel campo di concentramento, non cedette alla paura continuando ad esercitare il suo ministero di predicatore, visitando spesso le camerate degli ammalati per confortarli, pur essendo lui stesso indebolito, percosso, offeso. Scrive di lui Josse Alzin: “Sarebbero tanto penetranti i suoi consigli agli infermi se non sanguinasse egli stesso con le sue proprie sofferenze?”


Il cammino del beato Tito Brandsma può illuminare le nostre coscienze 

La figura del beato carmelitano Tito Brandsma è capace di indicarci la via per un futuro migliore: superare la nostra mancanza di coraggio, di capacità di essere autonomi nei giudizi. La nostra società massificante ha insegnato alla giovani generazioni a nascondere se stessi e la propria coscienza dietro le maschere dei gruppi e delle masse: celarsi nella folla è sempre più facile che non uscire allo scoperto e confrontarsi con ciò che si è, impegnarsi a riconoscere ciò che è vero e non ciò che ci piacerebbe lo fosse. Su molta materia grave (la difesa della vita umana e della sua dignità, il riconoscimento dei valori che reggono la società o della natura stessa dell’uomo e della donna) l’atteggiamento rischia di essere quello del “si dice”, “tutti gli altri lo fanno”, dove il Signore invece ci chiama ad essere testimoni della Verità che, per grazia, ci è stata rivelata. 

L’ umiltà di Tito ci richiama dai cedimenti diffusi di nascondere i propri errori e di puntare il dito contro il prossimo, per impegnarci invece, a coltivare una vita interiore sana e fiduciosa, che sappia assumersi le responsabilità proprie e anche i pesi altrui, sul modello di Gesù, che non disdegnò di accogliere la nostra natura mortale pur di renderci simili a lui nella partecipazione alla vita divina. 

Il clima politico dei nostri giorni, con i suoi toni alti e la sua incapacità di risolvere le questioni davvero gravi, sta insegnando a tutti, ma soprattutto ai più giovani, una cultura dell’esteriorità e della volontà di prevalere che tolgono il terreno al vivere nell’ascolto dello Spirito e non soltanto nell’ascolto di se stessi, le vicissitudini di ogni giorno. 

Incontrare Tito significa in questo, incontrare un modello di umiltà, che insegna a sconfiggere l’indifferenza ai mali che si vedono e che si causano, il timore e la paura di accogliere e praticare la Parola di Gesù, di vivere come Lui ha vissuto. Possiamo ancora imparare da lui, a pregare il Signore perché ci liberi dalla paura di avvicinare la sofferenza, non solo quella fisica, che abbruttisce le nostre membra, ma anche quella morale e spirituale, che consuma le vite di molti; la paura o la mancanza di entusiasmo nell’andare ad incontrare chi vive lontano dalle nostre certezze di fede, che così rischiano di diventare dei vuoti, ma comodi doveri sociali, delle abitudini senza un senso reale. Lo Spirito che animò Tito Brandsma nel suo cammino terreno lo portò a cercare di valorizzare quanto di buono o di possibile vedeva nel prossimo, con grande generosità e fiducia nei progetti di Dio. 

Come scelse di vivere, così lo fecero morire: la fine della esistenza terrena del beato Tito non è diversa dalla morte subita da molti per le sue modalità: perché è malato, sofferente, inabile al lavoro, Tito viene scartato, ucciso, buttato via. È lo scandalo della croce, che la cultura odierna ci invita a ignorare, a non considerare, per rifugiarci in una accidia vuota e sterile, che ci impedisce di vedere: ma la morte di Tito Brandsma e di molti altri suoi contemporanei, non è forse la stessa che alcuni vorrebbero (e talvolta riescono a praticare) per i sofferenti del nostro tempo (malati, anziani, morenti)? Non è forse l’eutanasia, insieme alle altre pratiche di soppressione della vita umana, in fondo una falsa pietà che arriva a violare il valore della vita che resta sempre inviolabile? E le leggi che consentono la soppressione della vita, non si ergono forse ad arbitri della stessa, come avvenne ed avviene nei campi di sterminio? 

Le vite profumate dei nostri amici del paradiso possono portare la luce di Cristo anche ora che la morte corporale le ha sottratte alla visibilità del nostro mondo: interrogandoci su ciò che è stato, possiamo leggere attraverso la loro vicenda, quali sono i nostri mali, e con loro, lasciarci guarire da Gesù.


Questi appunti sono liberamente tratti da un discorso pronunciato dal Beato Tito Brandsma nel 1931, fra le due grandi guerre mondiali; possono essere uno spunto di riflessione per arricchire e rendere più vera la preghiera per la pace, per lasciare che lo Spirito si serva di noi per costruire la pace. Seguiamo il consiglio del Beato Tito e impariamo a pregare sempre, con le parole come con le azioni e i sentimenti, per essere apostoli di pace,lì dove il nostro quotidiano ci porta, sull’esempio di Gesù.

♥ Siamo troppo influenzati da una mentalità che afferma che chi vuole la pace deve armarsi per vincere la guerra: così si preparano sempre nuove guerre e se ne diventa responsabili. Pregare significa anche capire quando la legittima difesa di sé diventa aggressività verso i fratelli. E saper esaminare se stessi alla luce di questa verità anche nelle piccole occasioni di ogni giorno.

♥ Possiamo far tesoro della storia: dimenticato il dolore della guerra, in troppi dimenticano il bisogno di pace che c’è nel prossimo, nel fratello. E si lasciano vincere dal mondo.

♥ “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. La pace che io vi do non è come quella del mondo” Gv 14,27 La pace che Gesù ci dona non è provvisoria, non scade, non ha condizioni: dura per sempre e proviene dal cuore puro, che non calcola il suo interesse.

♥ È nostro dovere di non cedere alla logica del più forte, ma anzi proclamare i principi di pace e di amore con convinzione e perseveranza. Se ognuno si arma contro il suo prossimo, la pace non è più reale e noi ci macchiamo di una grande colpa.

♥ L’egoismo, l'avidità, l’ostinata ricerca dei propri interessi sono le cause dei conflitti. Avere il coraggio di essere apostoli della pace significa amare sinceramente e interessarsi del bene dei fratelli e delle sorelle dell’umanità intera.

♥ La sicurezza si può ottenere solo con spirito di pace fra individui e nazioni. A ciò dobbiamo educarci in ogni occasione (stampa, scuola, riunioni, lavoro, vita sociale, volontariato...).Ma questo possiamo farlo solo impegnandoci a conoscere noi stessi e Dio, l’infinita distanza che sta fra noi e Lui, la nostra pochezza di fronte alla Sua grandezza. Conoscendo questo, sapremo anche quanto poco abbiamo da rivendicare presso i nostri fratelli e sorelle, dei quali non possiamo mai sentirci migliori senza mentire a noi stessi e a Dio.

♥ La pace va ricercata e promossa soprattutto a livello di individui. Nel commercio e nell’industria, come nella politica e in tutti gli ambiti della vita sociale, la pace viene a mancare quando non si presta attenzione alle necessità degli individui, quando pensiamo che ci siano interessi più importanti del bene reale e concreto di tutti i fratelli e le sorelle, anche di coloro che hanno una fede, una cultura, una storia diverse dalle nostre. Una società che nella politica, nell’industria, nel commercio, ma oggi soprattutto nel settore dei divertimenti, del turismo, sappia vivere i principi dell’altruismo, dell’attenzione ai più deboli fra noi, dell’onestà verso tutti, questa è una società costruttrice di pace.

♥ Mancanza di amore e di perdono sono alla radice di ogni conflitto, distruggono la possibilità della pace. Il messaggio di Cristo Gesù: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” Mt 5,44 ci impegna a far fiorire questi principi di amore e di perdono che, se coltivati con sincere attenzione e cura, permettono di fare la pace e di viverla in pienezza.


Preghiera per la pace 

Signore grande sulla terra, Santo della pace, tu ci chiami a vivere in un’era di fraternità e di mitezza, di prosperità e di giustizia. Signore della Vita e Via verso il Regno, adoriamo il Tuo Cuore offeso dagli oltraggi dei violenti. Purifica i nostri cuori e concedi la pace ai Tuoi miseri.

È stupenda la Tua potenza, Signore delle anime

e Spirito vivificante; morte e oppressione, violenza e sconforto si sono abbattuti sull’inerme. Liberaci dal veleno dell’egoismo, che nasconde ai Tuoi figli la luce del Tuo volto. 

Dona nobis Pacem. 


Monastero Mater Carmeli - Biella

Tratto dal sito: http://www.carmelitanebiella.it/index.php/conosci-i-santi-del-carmelo-mainmenu-74/466-beato-tito-brandsma.html



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