domenica 14 aprile 2024

San Joseph Vaz


Padre Joseph Vaz, affermava san Giovanni Paolo II il 21 gennaio 1995, era un grande prete missionario, appartenente ad una interminabile fila di ardenti messaggeri del Vangelo, missionari che, in ogni tempo, hanno lasciato la loro terra per portare la luce della fede ad altre genti... Padre Vaz era un vero erede di san Francesco Saverio; egli era anche un vero figlio della sua nativa Goa (India), distintasi per le sue profonde tradizioni cristiane e missionarie. Padre Vaz era un figlio dell'Asia che diventò un missionario in Asia. La Chiesa oggi ha bisogno più che mai di missionari come questi (sia uomini che donne) tra la gente di diversi continenti » (Omelia della Messa di beatificazione).

Terzo di sei figli, Giuseppe nasce il 21 aprile 1651 a Benaulim, nella provincia di Goa in India, allora possedimento portoghese. I suoi genitori sono cattolici ferventi, entrambi di origine braminica, la casta più alta. Il bambino viene battezzato con il nome di José l'ottavo giorno dopo la sua nascita. Durante gli studi, impara il portoghese e poi il latino. Sorprende i suoi famigliari per il suo spirito di mortificazione, in particolare nel cibo. Se sente un povero chiedere l'elemosina all'ora del pasto, si affretta a dargli la sua parte, cercando di nascondere questo gesto ai suoi genitori. Si isola volentieri per pregare e, molto presto, manifesta il desiderio di diventare prete. Felicissimo di questa vocazione precoce, suo padre lo invia al collegio San Paolo dei Gesuiti, a Goa, poi all'Accademia San Tommaso d'Aquino dei Domenicani, per studiare filosofia e teologia come seminarista. Riceve dai suoi esaminatori i migliori apprezzamenti. L'arcivescovo di Goa lo ordina prete nel 1676. Poco dopo, Giuseppe prende l'abitudine di camminare scalzo e di vivere come i poveri. Profondamente penetrato dalla dottrina di san Luigi Maria Grignion de Montfort, si consacra nel 1677 come "schiavo di Maria".

Una luce misteriosa
Padre Vaz desidera andare in missione nell'isola di Ceylon (oggi Sri Lanka), ma i suoi superiori, ritenendo che la situazione nell'isola sia troppo difficile e persino pericolosa, lo mandano a Canara, nel sud-est dell'India, dove imperversa un conflitto tra il "Padroado" (l'amministrazione portoghese) e le autorità ecclesiastiche nominate da Roma. Giuseppe riceve dal Padroado il suo ordine di missione; succede a un sacerdote che non ha accettato la presenza di un vicario apostolico, mons. Thomas de Castro, nominato nel 1675 da papa Clemente X. Ne era risultata una divisione tra seguaci del vescovo e sostenitori delle autorità portoghesi. Ben presto, pero, un nuovo papa, Innocenzo XI, conferma mons. de Castro nel suo incarico. Giuseppe riconosce la sua autorità, evitando nel contempo di entrare in conflitto con il Padroado portoghese. Mons. Castro gli dà le facoltà necessarie per esercitare il suo apostolato. Per quattro anni, padre Vaz si spende per ravvivare la fede, preparare ai sacramenti e ricostruire chiese. Fonda piccole scuole, erige numerose confraternite che riuniscono i cattolici in luoghi dove non esistono né un missionario fisso né una chiesa, e si mette al servizio di coloro che erano considerati gli ultimi della società. Essendo i cristiani molto dispersi, il missionario s'impone lunghi viaggi per far loro visita : ovunque istruisce, mette fine alle discordie, amministra i sacramenti, insegna a battezzare. Le cure che prodiga ai pagani malati provocano molte conversioni. Tuttavia, durante questo fruttuoso lavoro, Giuseppe riceve molte ingiurie. Un giorno, una banda di pagani lo picchia a sangue; ma lui mantiene il silenzio. Gli induisti, dal canto loro, rimangono turbati dall'eccessiva attività del missionario e dall'entità dei suoi risultati. Lo attirano in un luogo deserto con il pretesto di assistere un moribondo. Indovinando la loro intenzione, il Padre s'inginocchia per pregare. Appare allora una luce brillante e tutt'intorno a lui sgorga dell'acqua per proteggerlo. Spaventati, gli aggressori si danno alla fuga. In seguito, in quel luogo, è stato eretto un santuario.

Di ritorno a Goa nel 1684, il Padre si unisce a un gruppo di sacerdoti che hanno decisero di istituire una forma di vita comune. Il 25 settembre 1685, egli li organizza secondo lo spirito dell'Oratorio di San Filippo Neri, costituendo così la prima comunità religiosa indigena della diocesi. L'Oratorio, fondato a Roma da san Filippo Neri nel XVI secolo, è una società di preti secolari che, senza essere vincolati da voti, vivono in comune allo scopo di lavorare alla loro santificazione e a quella del prossimo con la predicazione e l'insegnamento. Padre Vaz viene eletto primo superiore e predica non solo con la sua parola, ma anche con tutto il suo modo di essere. Parla spesso e con grande emozione della Passione e dell'inferno.

«Dio dà il suo Figlio unigenito, spiegherà san Giovanni Paolo II, affinché l'uomo non muoia, e il significato di questo non muoia viene precisato accuratamente dalle parole successive: ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). L'uomo muore, quando perde la vita eterna.» Non si tratta quindi di «una qualsiasi sofferenza», ma della « sofferenza definitiva :... l'essere respinti da Dio, la dannazione. Il Figlio unigenito è stato dato all'umanità per proteggere l'uomo, prima di tutto, contro questo male definitivo» (Enciclica Salvifici doloris, 11 febbraio 1984, n° 14).

Toccati dalla predicazione del Padre, molti pagani si convertono e riformano i loro costumi. Ben presto, però, egli si dimette dalla sua carica di superiore e ottiene il permesso di partire per l'isola di Ceylon, dove i cattolici sono allora completamente abbandonati, in un paese buddista. Nel 1658, gli olandesi, seguaci della Chiesa riformata olandese, che temevano che i cattolici avrebbero sostenuto i portoghesi, avevano iniziato a perseguitarli e vietato la pratica della fede cattolica. Centoventi missionari cattolici avevano dovuto lasciare Ceylon. Nel cuore di padre Vaz arde il desiderio di andare a salvare la Chiesa di Ceylon.

La risposta più esauriente
La Chiesa cattolica «esiste per proclamare che la risposta più esauriente ai quesiti della vita si trova in Gesù Cristo, la Parola di Dio Incarnata. Egli è la Parola Eterna del Padre e il Nuovo Adamo. Attraverso di lui tutte le cose sono state create e in lui tutte le genti hanno trovato quella luce che è la vita del mondo. Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Per questo motivo, la Chiesa non cessa mai di proclamare che Gesù Cristo è la via, la verità e la vita (Gv 14,6), l'Uno in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose. Padre Joseph Vaz è venuto in questa terra [di Ceylon] per proclamare questo stesso messaggio. Egli ha predicato il nome di Cristo per l'obbedienza alla Verità e per un desiderio di dividere con altri il cammino che conduce alla vita eterna» (Giovanni Paolo II, 21 gennaio 1995).

Nel 1687, accompagnato da un cristiano, Giovanni, e travestito da mendicante, Giuseppe arriva a Jaffna. Con un rosario al collo, chiede l'elemosina ed entra in contatto con i cattolici. Questi, temendo che la sua presenza finisca per essere scoperta, decidono di trasferirlo in una borgata vicina, dove i cattolici sono numerosi e coraggiosi. Questo villaggio è sfuggito alla sorveglianza degli olandesi. Il Padre conforta questi cristiani e rimane presso di loro due anni, visitando anche i villaggi vicini, di notte, sotto scorta. Tuttavia, il comandante olandese di Jaffna nota un risveglio della vita cattolica nel suo distretto e scopre la presenza del sacerdote. Trecento cristiani vengono imprigionati, ma Giuseppe Vaz riesce a fuggire e ad arrivare a Puttalam, nel territorio del re di Kandy, nell'interno di Ceylon, dove gli olandesi non sono quasi penetrati. Per un anno, vi svolge il suo lavoro missionario con successo. Egli va a piedi di villaggio in villaggio, predicando, amministrando i sacramenti, ricostruendo le chiese e istituendo catechisti. Dopo diciotto mesi, un commerciante gli ottiene l'autorizzazione del re per recarsi nella capitale, Kandy. Lì, un francese violentemente anticattolico lo denuncia come spia portoghese e il re lo fa imprigionare con Giovanni. Giuseppe, che aveva già studiato il tamil, approfitta della sua prigionia per imparare la lingua locale, il singalese. Ben presto, il comportamento inoffensivo di Giuseppe e di Giovanni induce il re ad ammorbidire la loro sorte; rimangono però sotto sorveglianza. Il Padre allestisce un piccolo oratorio e, la notte di Natale, vi celebra per la prima volta la Messa a Kandy. A poco a poco, i cattolici ottengono dal re il permesso di assistere alla Messa e di chiedere al prete i sacramenti. Quindi il sovrano autorizza il missionario a lasciare il luogo della sua residenza, a condizione di non attraversare mai il fiume che circonda la città. Il Padre, però, sfida il divieto quando viene chiamato per assistere un malato. Gli agenti del governo non lo denunciano, perché lo considerano come un sant'uomo.

Icona vivente
San Giuseppe Vaz «innanzitutto, fu un sacerdote esemplare, affermava papa Francesco... Egli ci insegna ad uscire verso le periferie, per far sì che Gesù Cristo sia conosciuto e amato ovunque. Egli è anche esempio di paziente sofferenza per la causa del Vangelo, di obbedienza ai superiori, di amorevole cura per la Chiesa di Dio. Come noi, egli è vissuto in un periodo di rapida e profonda trasformazione; i cattolici erano una minoranza e spesso divisa all'interno ; si verificavano ostilità, perfino persecuzioni, all'esterno. Ciò nonostante, poiché egli fu costantemente unito nella preghiera al Signore crocifisso, fu in grado di diventare per tutta la popolazione un'icona vivente dell'amore misericordioso e riconciliante di Dio» (Omelia della canonizzazione, 14 gennaio 2015).

Nel 1696, una siccità prolungata dilaga a Kandy. Il re chiede ai capi buddisti di celebrare le loro cerimonie per ottenere la pioggia, ma invano. Manda allora alcuni cortigiani cattolici a chiedere al Padre di pregare per la stessa intenzione. Questi installa un altare nella pubblica piazza, vi pone una croce, s'inginocchia e prega Dio di glorificare il suo Nome inviando la pioggia. Prima che egli si rialzi, la pioggia comincia a cadere abbondante. Riconoscente, il re concede al missionario una grande libertà e privilegi che nessun altro aveva ottenuti. Seguono molte conversioni. Giuseppe invia allora il suo fedele Giovanni a Goa per esporre l'urgente necessità di un rinforzo di sacerdoti, quindi visita i villaggi cattolici dei regni vicini dipendenti da Kandy. Ma il suo zelo lo spinge a penetrare nella parte dell'isola che è sotto la dominazione olandese; discretamente, si reca a Colombo, capitale degli olandesi. Lì, riporta alla vera fede diversi protestanti e riconcilia nemici giurati. Informato della sua presenza, il governatore della città ordina il suo arresto immediato, ma il Padre riesce a partire e si reca in diversi villaggi dove si trovano dei cattolici; si sforza, non senza difficoltà, di ristabilire tra loro i buoni costumi, poi torna a Kandy. Tre missionari dell'Oratorio di Goa venuti a raggiungerlo lo informano che il vescovo lo ha nominato vicario generale per Ceylon. Egli accetta l'incarico e si dispone a organizzare meglio la missione.

Dedizione disinteressata
A Kendy imperversa allora una violenta epidemia di vaiolo. I primi malati sono stati portati fuori dalla città e abbandonati. Giuseppe e i suoi vanno a cercarli, li installano in capanne e si prendono cura di loro diligentemente. Il numero crescente dei malati spinge il re e la sua corte a lasciare la città; segue un esodo generale. Padre Vaz va di casa in casa per occuparsi degli abbandonati o per trasportarli negli edifici che affitta vicino alla chiesa. Alla notizia di tanta generosità; accorrono molti malati, sapendo che i missionari si prendono cura di tutti, senza distinzione di razza e religione. Questo esempio incoraggia fortemente i cristiani a praticare la loro fede apertamente. Si verificano molte conversioni. Al culmine dell'epidemia, a Jaffna si contano da dieci a dodici morti al giorno. I sacerdoti scavano essi stessi le fosse. Il flagello dura dodici mesi, ma i Padri non soccombono a tante fatiche. Alcuni pagani e cristiani apostati cercano nonostante tutto di calunniarli davanti al re, con il pretesto che agiscono per ambizione umana ; ma il sovrano, molto ben informato sulla loro dedizione disinteressata, dichiara pubblicamente che senza di loro le strade della città sarebbero state ostruite dai cadaveri.

Accompagnato da altri sacerdoti, padre Vaz annuncia in seguito il Vangelo sull'isola. Egli ritorna a Kandy nel 1699 in compagnia di padre José de Carvalho, espulso da un'altra regione dai monaci buddisti. Egli completa la costruzione di una nuova chiesa e si mette al servizio del re per tradurre alcuni scritti dal portoghese al singalese. Nel 1705, essendosi uniti a lui altri sacerdoti, organizza la missione in otto distretti. Pubblica opere di devozione nella lingua del paese e difende i diritti dei cattolici là dove dominano i protestanti o i buddisti. Nel 1703, papa Clemente XI pensa di nominarlo vescovo e vicario apostolico di Ceylon: preferendo rimanere semplice missionario, il Padre declina l'offerta. Riparte allora in missione itinerante cominciando dalla cittadina olandese di Hanwella, dove si trova una solida comunità cristiana costituita da portoghesi e da convertiti locali. Passa a Colombo, poi si reca a Gurubevel/ Gurubeula. La polizia locale lo scopre e cerca di arrestarlo nella casa in cui si trova: i poliziotti squadrano tutte le persone presenti senza riconoscerlo. Egli visita ancora altre comunità cristiane prima di tornare a Kandy, dove lo attende un giovane nobile del regno, desideroso di essere istruito nella fede. Grazie al suo duro lavoro, la costa occidentale di Ceylon, nonostante vi sia una forte presenza di protestanti olandesi, diventa la parte più cattolica dell'isola.

“Parlare di Cristo”
San Giuseppe Vaz ci offre un esempio di zelo missionario. Nonostante fosse giunto a Ceylon per soccorrere e sostenere la comunità cattolica, nella sua carità evangelica egli arrivò a tutti. Lasciandosi dietro la sua casa, la sua famiglia, il conforto dei suoi luoghi familiari, egli rispose alla chiamata di partire, di parlare di Cristo dovunque si recasse. San Giuseppe sapeva come offrire la verità e la bellezza del Vangelo in un contesto multi-religioso, con rispetto, dedizione, perseveranza e umiltà. Questa è la strada anche per i seguaci di Gesù oggi. Siamo chiamati ad "uscire" con lo stesso zelo, con lo stesso coraggio di san Giuseppe, ma anche con la sua sensibilità, con il suo rispetto per gli altri, con il suo desiderio di condividere con loro quella parola di grazia che ha il potere di edificarli. Siamo chiamati ad essere discepoli missionari» (papa Francesco, ibid.).

Tuttavia, in assenza del Padre, si forma a Kandy una potente congiura contro di lui. L'ospedale da lui costruito durante l'epidemia viene distrutto. I sacerdoti degli idoli si lamentano del danno causato loro dalla crescita costante della Chiesa. Viene insinuato al re che il declino del culto di Buddha mette in pericolo la sua sovranità. Troppo attaccato alla sua tranquillità personale, il re fa espellere padre Carvalho. Immediatamente, i nemici della fede iniziano a perseguitare i cristiani. Alla notizia di questi eventi, padre Vaz parte subito per la capitale, nonostante le opinioni contrarie di molti. Prima di recarsi dal re, celebra la Messa e mette i cristiani in preghiera. Il medico del re, un pagano di grande rettitudine, molto influente sul sovrano, gli propone allora i suoi servizi come intermediario. In meno di un'ora, questo dottore convince il re dell'innocenza dei missionari e ottiene per loro permessi ancora più estesi che in precedenza.

Nel primo anno della sua presenza a Kandy, il Padre aveva convertito il figlio dell'economo generale del regno e gli aveva consigliato di non rendere pubblica la sua conversione per un certo periodo di tempo, per paura di provocare disordini sociali. Il giovane signore, che non aveva ancora ricevuto il Battesimo, era andato a vivere in una città lontana e, non trovandovi alcun sostegno, era sprofondato nel libertinaggio. Si era legato a una donna idolatra da cui aveva avuto dei figli. Ma Dio parla a quest'uomo in un sogno ed egli torna senza riserve alla fede. Rientrato a Kandy, si presenta come catecumeno a un prete che non lo conosceva. Questo sacerdote lo avverte che è necessario separarsi dalla sua compagna. Egli accetta ; tuttavia, prima di mandarla via, vuole catechizzare lei ei suoi genitori. Ottiene così la conversione di quaranta persone, che il Padre battezza. Poi il giovane e la donna si sposano. Furiosi, i pagani sostengono che i battesimi sono stati fatti con sangue di vacca, l'animale sacro degli induisti, mescolato con acqua. Tratto in inganno, il re adotta gravi sanzioni ; ma, quando riconosce che si tratta di una nuova calunnia, tutte le pene vengono revocate.

Camminare sulle acque
Padre Vaz si reca a Puttalam per accogliere due nuovi missionari inviati da Goa. Arrivato davanti a un fiume in piena, sulle cui sponde diversi commercianti aspettano che l'acqua si abbassi per attraversare, il Padre si mette a pregare, poi, con il bastone in mano, si addentra nelle acque impetuose, invitando i suoi compagni a seguirlo; i mercanti guardano la scena con scherno. Il prete si ferma in mezzo al fiume senza incidenti e prega i suoi compagni di passare senza paura fino all'altra sponda. Allora tutti attraversano. Nei pressi di Batticaloa, villaggio sotto il dominio olandese che egli visita nel 1710, il Padre viene catturato da alcuni pagani, legato a un albero e picchiato. Questo maltrattamento non gli impedirà di visitare il villaggio una seconda volta. Quando lascia un luogo per un altro, celebra la Messa prima dell'alba, poi recita l'ufficio dei defunti. Se nel villaggio è stata eretta una croce, la venera e poi si mette in cammino. La sua devozione impressiona coloro che ne sono testimoni, cristiani o pagani. Per quanto possibile, si fa accompagnare nei suoi spostamenti, per prudenza, e porta sempre con sé una riserva di riso da donare ai poveri che incontra.

Alla morte del re Vimaldharna Surya II, nel 1707, il suo successore, Vira Narendra Sinha, si dimostra ancor più favorevole alle missioni cattoliche. Nonostante la sua salute cagionevole, il Padre fa un nuovo viaggio missionario nel 1710. Al suo ritorno, è sopraffatto da febbri tropicali; si riprende parzialmente, pur rimanendo molto debole. Vive ormai ritirato, ma visita ancora alcuni malati, appoggiandosi a un bastone; in chiesa, predica seduto su una sedia. Al ritorno dalla visita di un moribondo, la carrozza che lo trasporta si ribalta e il padre, ferito, perde per un momento conoscenza. Prosegue, tuttavia, attingendo il suo coraggio alla contemplazione della Passione di Nostro Signore. Nonostante il suo stato di debolezza e i suoi forti dolori, segue il ritiro di otto giorni prescritto dalle regole dell'Oratorio. Poiché le sue condizioni si aggravano, riceve gli ultimi sacramenti con profonda devozione. Su richiesta dei suoi confratelli, pronuncia in singalese questa frase, come testamento: «Potrete molto difficilmente fare al momento della morte ciò che non avrete fatto durante la vita. » Risponde distintamente alle preghiere degli agonizzanti, poi invoca il Santo Nome di Gesù; una grande gioia si diffonde sul suo volto e spira serenamente il 16 gennaio 1711, all'età di cinquantanove anni. Il Padre lascia in eredità settantamila cattolici, quindici chiese e quattrocento cappelle. Il suo esempio e i suoi metodi di lavoro apostolico hanno fatto di lui una fonte permanente di ispirazione per i sacerdoti dello Sri Lanka.

«Il Beato Joseph dovrebbe ispirarvi ad essere dei testimoni del Vangelo, instancabili e colmi di spirito, sia nelle vostre famiglie che nelle vostre comunità. Nel Battesimo siete stati rinnovati a somiglianza di Cristo e vi è stata affidata una missione per proclamare in modo profetico la sua presenza nel mondo. Nella Confermazione siete stati fortificati dallo Spirito Santo e siete stati mandati a professare la vostra fede con parole e azioni... Come Joseph Vaz, che ha condiviso liberamente una verità che aveva ricevuto, chiunque abbia ricevuto il dono della fede è chiamato a condividere questo dono con gli altri. »

Queste parole di san Giovanni Paolo II ai cristiani dello Sri Lanka esortano tutti noi a testimoniare la verità della fede, con le parole e con le azioni.

Dom Jean-Bernard Marie e i monaci dell’abbazia

Tratto da “Lettera mensile spirituale “ ABBAYE SAINT-JOSEPH DE CLAIRVAL — 6 GRANDE RUE— 21150 FLAVIGNY-SUR-OZERAIN — FRANCE E-mail : abbazia@ clairval. com — Site : https://www.clairval.com






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