Dona
Nazaré è una donna forte. Molto povera. Vive sola al mondo, accanto
a sua figlia, una ragazzina nata con una grave malattia del sangue.
La
bambina stava male fin da quando era piccola. Poche erano le notti
che dona Nazaré non trascorreva sveglia gran parte del tempo,
cercando di alleviare il dolore della sua creatura.
Oltre
ai tanti dolori che sentiva in tutto il corpo, la ragazza aveva una
debolezza così accentuata che le impediva di fare anche le cose più
semplici. Dovendo prendersi cura di lei ed essendo sola al mondo,
dona Nazaré viveva di una pensione pari alla metà del salario
minimo, ottenuta dopo molta fatica, grazie all'aiuto di un
consigliere regionale.
Il
denaro bastava appena per mangiare, figuriamoci per comprare le
medicine necessarie e ogni giorno più care.
La
ragazza viveva di rimedi casalinghi e delle cure premurose della
madre.
Purtroppo
coll’andare del tempo il problema della ragazza peggiorava.
Quella
mattina, dopo una notte intera accanto alla figlia, dona Nazaré non
ebbe altra scelta che andare a Itajubá, la città più vicina, per
vedere se poteva trovare un po' di aiuto.
Non
avendo i soldi per portare con sé la figlia troppo debole, cercò
aiuto presso gli studenti di medicina che facevano tirocinio nella
clinica universitaria. Purtroppo però l'ospedale non era in
condizioni di fare assistenza domiciliare, tanto più che la paziente
era a 18 km di distanza.
Dona
Nazaré non si arrese. Una madre non si arrende. Andò all’ospedale
della Santa Casa. Forse lì avrebbe potuto trovare un medico disposto
a venire a casa sua a curare sua figlia. Ma di nuovo non ottenne
nulla, se non la promessa che, se avesse portato la ragazza,
avrebbero cercato di ricoverarla. Ma purtroppo non c’era modo di
spostarsi fin là.
Si
mise a pensare.
Andare
a Delfim Moreira a chiedere l’ambulanza comunale era troppo fuori
mano. Quasi impossibile.
Si
trattava di portare la ragazza alla Santa Casa della Misericordia di
Itajubá. Nacque nel cuore di quella madre afflitta un raggio di
speranza, forse qualcuno c’era che poteva portare la bambina.
Decise di tornare a casa e chiedere aiuto ai vicini, pensò
soprattutto a un coltivatore di riso giapponese che aveva una jeep e
ogni tanto passava a lasciarle un sacchetto di riso appena raccolto.
Mentre
tornava verso il mercato, dove avrebbe preso un autobus o chiesto un
passaggio, dona Nazaré passò davanti alla cattedrale. Da buona
mineira (abitante dello stato brasiliano del Minas Gerais)
entrò a pregare un po'. In chiesa c’era un gruppo di giovani
molto gioiosi: pregavano, cantavano, era un gruppo carismatico. Per
qualche momento dona Nazaré si dimenticò della figlia malata. La
musica di quei giovani era troppo bella. E dona Nazaré si unì al
gruppo animato. Dopo alcuni canti molto dolci i giovani
incominciarono a pregare. Ognuno faceva preghiere spontanee, belle e
profonde. Dona Nazaré si sentiva motivata e coinvolta dalla fede di
quei giovani, quasi dell'età di sua figlia, e decise di fare anche
lei una preghiera. Naturalmente i giovani ne furono felici e
l’accolsero con grande cordialità.
Ma
quando incominciò a pregare, molti di loro dovettero trattenersi per
non scoppiare a ridere. Che strana la preghiera che quella donna
stava facendo. “Parla con Gesù come se fosse il fattorino che
consegna la pizza a domicilio” pensava uno dei ragazzi .
“Ma
chi crede che sia Gesù per parlargli in quel modo?” si chiedeva
intimamente una delle coordinatrici del gruppo.
La
donna cominciò a pregare con devozione. E questa fu la sua
preghiera:
“Signore
Gesù, guardami, sono io, la Nazaré. Non so se tu Signore ti
ricordi, sono quella del Biguà. Molte volte ho parlato con te nella
chiesa di San Benedetto, ti ricordi? Perché, Signore Gesù, il
problema della mia bambina è sempre più grave. Questa notte non ha
chiuso gli occhi nemmeno un minuto, e io neppure. Poverina, si è
lamentata tutta la notte. Si rigirava nel letto da una parte
all’altra, sudando come un condannato. Non so come stia adesso.
Sono venuta qui a cercare un medico che venga a visitarla. Ma nessuno
può. Se ci fosse stato ancora il dottor Gaspar so che sarebbe
venuto, pace all'anima sua. Alla Santa Casa mi hanno detto di portare
la ragazza. Come faccio? E’ troppo debole. Noi non abbiamo soldi
per affittare un’ambulanza, avevo anche pensato di chiedere aiuto
al signor Toshio, quello che pianta il riso, chissà, magari la può
portare. Ma ora sono qui Signore, e voglio chiedere a te. Poiché tu
Signore sei ovunque, potresti anche venire a casa mia a guarire mia
figlia. Non ti costa nulla. Tu Signore sai e puoi”.
I
ragazzi erano lì lì per rovinare quella preghiera. Due dei più
giovani non potendo trattenere le risate dovettero uscire dalla
chiesa. "Chi ha mai sentito una persona pregare così? "
"Ma che mancanza di rispetto parlare a Gesù in questo modo"
"Non ha mai lodato il Signore!" "E nemmeno un versetto
della Sacra Scrittura!" "Non sa pregare !"
"Sicuramente non ha mai fatto un’esperienza di preghiera"
"La sua preghiera sta disturbando il gruppo" "Stava
andando tutto così bene" concluse uno di quelli che erano
usciti.
Dona
Nazaré continuava a pregare .
“Davvero,
Signore, potresti andare in un batter d'occhio a casa a curare la
ragazza e subito tornare. Non è difficile arrivare a casa nostra. O
Signore, prendi l’autostrada che va ad Aparecida del Nord. So che
la conosci bene la strada! Al ponte di Sant’Antonio, vai verso
Delfi Moreira, solo che quando arrivi alle acque limpide, davanti
alla fabbrica di formaggio, gira a sinistra, passa il ponte e vai
avanti... Da lì vai verso il Monastero di Santa Chiara, la mia casa
è dall’altro lato. Allora, Signore, passa il ponte e continua
dritto, per non sbagliare. C’è una bella salita dopodiché, giri a
destra. Subito dopo arrivi alla stazione dove anticamente si prendeva
il treno. La mia casa non è là. C’è un cartello con il nome
Biguà ma il Biguà è più in su. Signore, vai avanti e passi la
residenza di quelli dei rami, poi arriva il rettilineo di Zé Gaspar,
arriva la curva della Cridia e lì non girare dalla parte del ponte,
ma passa dritto verso sinistra, sali la salitina della scuola, e
passi proprio davanti alla casa dove viveva il baiano. Poi viene la
casa che era di Venazão. Lí c’è una scorciatoia, ma è meglio,
Signore, se passi per la strada normale. Dopo la curva vedrai la
chiesa di San Benedetto e lì è facile. Basta chiedere del bar di
Lorenzo, che lui sa dov’è casa mia. Vende formaggio, è lui il
politico che ci ha fatto avere un piccolo terreno per noi. Basta che
Tu chieda a lui, che magari ti porta lui stesso a casa mia, io vivo
lì vicino.
A
questo punto i giovani non riuscivano quasi più a trattenere le
risate. Era un’esperienza così nuova e così lunga che secondo
loro non era preghiera.
Ma
Dona Nazaré continuò:
“Signore,
adesso che sei arrivato a casa troverai la porta chiusa ma non c’è
problema, la chiave è nel vaso di fiori appeso sotto il portico.
Puoi entrare, guarire mia figlia e poi, per favore, chiudi di nuovo
la porta, perché se no mi preoccupo per la bambina. Una volta
guarita, basta chiudere la porta, e rimettere la chiave nello stesso
vaso così quando arrivo la trovo e posso entrare”.
Il
giovane con la chitarra cominciò a suonare una canzone e a cantare a
voce alta, dona Nazaré smise di pregare, e lasciò la chiesa un po’
triste, perché non aveva avuto tempo di dire a nostro Signore che
c’era del caffè nel bricco sulla stufa a legna e se voleva poteva
berne un sorso. E nel forno c’era un dolce di farina di mais.
Pazienza. Ma come cantava bene quel ragazzo. Era stato solo un po’
maleducato a interrompere la sua preghiera. Con il pensiero però
continuava a pregare. Scese la scalinata della cattedrale, attraversò
il ponte che una volta era molto più bello quando aveva due archi, e
si diresse verso il mercato. Chissà se un figlio di Dio le avrebbe
dato un passaggio ! Grazie a Dio lo trovò sul camion di Sento Silva.
Dopo poco più di mezz’ora era di ritorno, senza risultati concreti
ma con la speranza di chiedere a Toshio se poteva portare la ragazza
alla Santa Casa. Quale fu la sua sorpresa quando aprendo la porta
trovò la sua amata bambina seduta a mangiare un delizioso piatto di
riso al latte.
La
ragazza balzò di gioia e corse ad abbracciare la mamma. Dona Nazaré
era sbalordita. Aveva persino dimenticato la sua preghiera nella
Chiesa.
“ Figlia
mia, tu in piedi ? hai una faccia così bella, ma cos’è successo?”
E
la ragazza incominciò a spiegare :
“Mamma
guarda, ero coricata, come mi hai lasciata tu, ho pregato la
coroncina della misericordia trasmessa dalla radio. E mi stavo
addormentando ascoltando il diacono Nelsinho Correia che cantava Quem
me segurou foi Deus quando all’improvviso ho sentito un
rumore alla porta e siccome ero mezzo addormentata ho pensato che tu
fossi tornata. Mamma mia, sono quasi morta di paura! Non eri tu, era
un uomo molto bello, alto, sorridente. Indossava un abito insolito,
aveva i capelli lunghi. Mi ha guardato come nessuno mi ha mai
guardato in vita mia. Mi è venuto vicino e a poco a poco la paura mi
è passata. Ho incominciato a sentire qualcosa come una scossa
elettrica, e mi sembrava che il sangue si mettesse a bollire. Non ha
detto nulla. E’ arrivato in silenzio, lentamente. Con un
meraviglioso sorriso sulle labbra. È venuto vicino al mio letto, mi
ha teso la mano e io ho pensato che fosse un medico. Ho provato a
chiedere di te, ma le parole non uscivano. Parlavo, ma non udivo
nulla. Ero come muta, sorda, non lo so. So solo che Lui mi ha tenuto
forte la mano, mi ha fatta alzare pian piano, mi ha messa in piedi e
mi ha dato un grande abbraccio”.
Con
gli occhi pieni di lacrime, dona Nazaré quasi inconsciamente andava
ripetendo i gesti che la ragazza stava descrivendo. E lei, con gli
occhi bagnati di lacrime continuò :
“Dopo
avermi abbracciata a lungo, lentamente si è staccato, mi ha dato un
bel bacio sulla fronte e si è allontanato. Quando ero quasi alla
porta mi ha fatto ciao con la mano e mi ha detto: Di’ a tua
mamma che lascio la chiave nel vaso di fiori. E poi ha aggiunto:
Mi sono piaciuti i fiori. E' la prima volta che vedo le lacrime di
Cristo in un vaso. Che bella idea, mi piace proprio.
Naturalmente
nessuna di loro riusciva a trovare le parole per esprimere la sua
gratitudine a Gesù, e l'unica cosa che fecero fu di prendere il vaso
delle lacrime di Cristo, metterlo sul tavolo vicino alla radio,
baciarlo con un affetto quasi sacro e guardando il piccolo crocifisso
sul muro innalzare al cielo una bellissima preghiera di lode :
“Grazie
tante Signore. Visto? hai trovato bene casa mia. Non ti avevo detto
che era facile? Grazie, davvero. Ero sicura di poter contare su di
Te.”
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