Lc
24, 44 - 48
Poi
disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con
voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella
legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente
per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il
Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome
saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei
peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni.
Non
è così facile comprendere le Scritture
Allora
aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Questa
annotazione ci fa comprendere che se Gesù non fosse intervenuto, i
suoi discepoli avrebbero continuato a non comprendere le Scritture.
Eppure i discepoli erano familiari con le Scritture fin da piccoli:
sia perché istruiti dai genitori, sia perché le sentivano leggere
nella sinagoga. Crescendo, poi, avevano potuto consolidare e
assimilare sempre meglio la loro conoscenza. Inoltre, nei tre anni
trascorsi al seguito di Gesù, le occasioni per ascoltare e
riflettere sulle Scritture non erano certo mancate, e il maestro che
avevano non era inferiore a nessuno in Israele. Eppure quelle
Scritture tante volte ascoltate e meditate, le conoscevano ma non le
comprendevano. Come mai? Evidentemente comprendere le Scritture non è
né così facile né così semplice.
Se
le Scritture non erano comprese da persone di buona volontà, che
vivevano in un ambiente favorevole in cui esse erano venerate e
studiate con costanza e impegno, se non erano comprese da chi aveva
seguito il Signore per tre anni, cosa potranno mai comprendere coloro
a cui non passa nemmeno per l'anticamera del cervello che è
necessario attingere dalle Scritture ciò che è decisivo per la
salvezza della propria vita?
Purtroppo,
molti, ragionano più o meno in questo modo: “Perché sprecare
tempo ed energie per un'attività di cui non si vede l'utilità? Ci
sono molte cose più interessanti da fare nella vita”. Eppure si
possono fare un sacco di cose interessanti nella vita ma, a lungo
andare, se non sappiamo il senso di ciò che facciamo, anche la più
interessante delle attività perde il suo sapore, anche la più
interessante delle attività si trasforma in disgusto e noia.
Ma
l'interrogativo rimane: “Come mai i discepoli del Signore non
comprendevano le Scritture?”. Da notare che questo fatto è messo
in evidenza anche nell'episodio della manifestazione di Gesù risorto
ai discepoli di Emmaus: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla
parola dei profeti!... E spiegò loro in tutte le Scritture ciò che
si riferiva a Lui” (Lc 24, 25-27). Anche i discepoli di Emmaus
avrebbero continuato a non comprendere le Scritture se il Signore non
le avesse spiegate loro, se non avesse “aperto loro la mente”.
Il
centro delle Scritture
“Allora
aprì loro la mente”. Se consideriamo il momento in cui è stato
pronunciato quel’“Allora” possiamo scorgere uno dei motivi per
cui i discepoli non comprendevano le Scritture. I discepoli non
potevano comprendere veramente le Scritture perché il loro
compimento non si era ancora realizzato. Essendo questo compimento la
passione, la morte e la risurrezione del Signore, solo dopo questi
eventi esse potevano essere comprese. Ecco perché solo dopo la sua
risurrezione il Signore ha potuto “aprire la mente” ai suoi
discepoli. E l'ha potuta aprire perché in qualche modo i discepoli
erano stati coinvolti in quegli eventi così profondamente da esserne
sconvolti nella mente e nel cuore. Infatti, quegli eventi avevano
mandato in frantumi tutti i loro schemi mentali, le loro convinzioni,
le loro aspettative, e il loro cuore si ritrovava oppresso da una
desolazione prossima alla disperazione.
Le
parole che Gesù aveva detto ai discepoli prima che si realizzassero
non erano state capite, ma ora che “tutto è compiuto” (Gv 19,
30), con l'aiuto del Signore è possibile comprendere molte cose.
Potremmo a questo punto fare la seguente osservazione: siccome al
centro delle Scritture c'è la morte e risurrezione del Signore, per
comprenderle veramente bisogna passare per una morte e una
risurrezione simili, e per questo è necessario lasciarsi guidare da
chi ben conosce il passaggio. In fondo noi non comprendiamo veramente
se non ciò che viviamo sulla nostra pelle, o, come dice Santa Teresa
d'Avila: “Io non ho mai capito un gran che fino a quando il Signore
non me lo ha fatto comprendere in maniera sperimentale” (Vita cap.
22, 3).
Un
altro motivo per cui i discepoli non comprendevano le Scritture è
che il loro contenuto non è per niente facile da comprendere. Se
riflettiamo attentamente sul rapporto dei discepoli con le Scritture
e consideriamo il fatto che nonostante il loro costante impegno non
riuscivano a penetrarne il senso profondo, potremmo scoprire che è
molto utile, saggio e indispensabile studiare le Scritture con
costanza e diligenza, ma per giungere un giorno a renderci conto che
non ci capiamo nulla o ben poco. Quanto
sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie... (Rm
11, 33). Anche su questo punto, come su tutti i punti, abbiamo
bisogno di essere salvati, abbiamo bisogno di un Salvatore, abbiamo
bisogno di uno che ci “apra la mente”.
Un
progetto singolare
“Bisogna
che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè,
nei Profeti e nei Salmi”. Questo significa che le Scritture
contengono un progetto, il progetto della realtà che è stata
pensata e voluta dalla Trinità. Un progetto divino non può non
riflettere o non essere l'espressione di alcune caratteristiche
divine. Non può non essere sapiente, intelligente, geniale, buono,
bello, decisamente superiore alla nostra capacità di comprensione,
ma non assolutamente superiore alla nostra capacità di comprensione.
Inoltre, come chiaramente spiega il card. Giacomo Biffi nel libro:
“Approccio al Cristocentrismo”, questo progetto è unico, ossia
non c'è un “piano A” e un “piano B”: un piano A se l'uomo
superava la prova originale e un piano B se non la superava, ma da
sempre c'è un solo progetto che ha al centro Gesù, infatti: “così
sta scritto: il Cristo...”. Inoltre: “Cristo patirà e risorgerà
dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i
popoli la conversione e il perdono dei peccati...”.
Questo
piano è sconvolgente, folle, prevede infatti un “ordine” di cose
che assomiglia molto a un disordine assoluto, è infatti un piano in
cui si prevede in anticipo che la creatura ucciderà il suo Creatore.
Giustamente il Santo Curato d'Ars si meravigliava: “Comprendere che
noi siamo l'opera di Dio è facile; quello che è incomprensibile è
che la crocifissione di Dio sia opera nostra”. Questo è il
peccato: l'uomo che uccide Dio. Non dobbiamo poi stupirci se le
conseguenze di una cosa così orrenda sono orrende. Questo è un
piano in cui è previsto l'orrore: “...Secondo il prestabilito
disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete
inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso” (At 2,
23). E ancora: “In questa città si radunarono insieme contro il
tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio
Pilato con le genti e i popoli d'Israele, per compiere ciò che la
tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse” (At
4, 27-28).
Un
piano di questo genere è assolutamente incomprensibile alle sole
forze umane. Infatti gli Apostoli non comprendono, i discepoli di
Emmaus non comprendono, noi non comprendiamo; soprattutto quando
dobbiamo in un modo o in un altro fare i conti con l'orrore. Eppure è
un fatto evidente nella vita dei martiri e dei santi, che in questo
piano è previsto un rimedio o una vittoria sull'orrore. Nessuno come
i martiri e i santi è sconvolto nel più profondo del cuore per le
tenebre e gli orrori che imperversano sulla faccia della terra,
nessuno come loro è lucidamente consapevole del male che affligge il
mondo, e questo perché nessuno come loro ha un cuore sensibile
all'amore di Dio, e allora vedono ciò che noi non vediamo, vedono
l'orrore del peccato e le sue terribili conseguenze, vedono che
l'Amore non è amato.
Non
è una questione di belle parole
Il
rimedio contro l'orrore è un segreto, un segreto non umano, un
segreto divino. Molti sono i chiamati a scoprire questo segreto, ma
pochi gli eletti a cui il Signore lo può rivelare. Queste non
dovrebbero essere cose per specialisti, per i santi o per i mistici;
ma dovrebbero esser cose per tutti, perché tutti dovremo affrontare
l'orrore della morte; ma come attraverseremo quel momento se non
possediamo questo segreto? Naturalmente colui che vuole e che può
comunicarci questo segreto è il Signore Gesù.
A
questo punto qualcuno potrebbe dire: il rimedio contro l'orrore è la
risurrezione di Gesù, il rimedio contro l'orrore sono le parole che
Gesù dice nel vangelo: “Non sia turbato il vostro cuore... nella
casa del Padre mio vi sono molti posti... io vado a prepararvi un
posto” (Gv 14, 1-2), “...voi piangerete e gemerete, ma il mondo
si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si
cambierà in gioia... Ora siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e
il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra
gioia” (Gv 16, 20-23). E ancora in varie parti della Scrittura
leggiamo: “Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili
alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18),
“Quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì né mai
entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo
amano” (1 Cor 2, 9), “Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte, né il lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4), “Sfavillate di
gioia con essa (Gerusalemme) voi tutti che avete partecipato al suo
lutto... succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue
consolazioni... i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle
ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così
io vi consolerò” (Is 66, 10-13).
È
vero che queste parole hanno una relazione con il segreto, ma non
sono il segreto. Se queste parole fossero il segreto, chiunque le
leggesse scoprirebbe il segreto, ma allora che segreto sarebbe...? Un
segreto per sua natura non si può facilmente scoprire. Il segreto
che è “il rimedio” all'orrore non può essere costituito da
parole, neanche dalle parole della Scrittura, neanche dalle parole di
Gesù. Ci vuole qualcosa di più forte, ci vuole qualcosa di più
decisivo. Le parole della Scrittura, le parole di Gesù, ci parlano
di un segreto ma non sono il segreto. Per scoprire questo segreto è
necessario rispondere a una chiamata, è necessario compiere un certo
cammino. Questo cammino è piuttosto angusto e poco frequentato, ma è
l'unico che conduce alla Vita.
Qualcosa
di più forte delle parole
“Stretta
è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi
sono quelli che la trovano” (Mt 7, 14). Questo cammino inizia a
causa di uno sguardo e termina con uno sguardo: la visione faccia a
faccia. Uno sguardo è qualcosa di più forte delle parole, uno
sguardo è un incontro con una persona viva. Ma questo sguardo non
può essere lo sguardo di una persona qualunque, deve avere certe
caratteristiche, deve avere un certo potere, il potere di sedurre il
nostro cuore, e il nostro cuore è sedotto perché in quello sguardo
fa l'esperienza di una bellezza, di una bontà, di una luce, di un
amore capaci di rispondere alle sue attese più profonde e vitali.
Quando
una persona incontra quello sguardo la sua vita cambia, entra in una
fase nuova, in un mondo nuovo, il mondo dell'amore, il mondo della
verità, il mondo di Dio. Gesù guarda un uomo seduto al banco delle
imposte e gli dice: “Seguimi”, questi si alza e lo segue (Mt 9,
9). Matteo non avrebbe potuto così prontamente alzarsi e seguire
Gesù se non avesse visto nel suo sguardo qualcosa che non aveva mai
visto in nessun altro uomo; Matteo non avrebbe potuto cambiare la sua
vita se non avesse trovato in quello sguardo una risposta a ciò che
il suo cuore profondamente e più o meno consapevolmente desiderava.
La
stessa cosa è successa alla Samaritana al pozzo, a Zaccheo
sull'albero, al buon ladrone sulla croce, a Pietro, a Giovanni e
Andrea, a tutti quelli che nel vangelo hanno incontrato lo sguardo di
Gesù e l'hanno seguito. Tutto questo è accaduto, accade e accadrà
fino alla fine del mondo. Anche oggi quello sguardo continua a
incontrare gli uomini, continua a sedurli, continua a salvarli.
La
via angusta
Quando
Matteo, la Samaritana, Zaccheo, Pietro, Andrea, Giovanni...
incontrano lo sguardo di Gesù, la loro vita cambia ed entra in una
fase nuova, ma questo è solo l'inizio del cambiamento, non il suo
compimento. Dopo questo inizio bisognerà seguire Gesù lungo la “via
angusta”. Questa via è stretta, angusta e poco frequentata per
diversi motivi. Chi sarà fedele e persevererà fino alla fine
scoprirà il segreto capace di affrontare e vincere ogni orrore,
troverà la vita. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo d'amore, è uno
sguardo che non lascia indifferenti e sollecita una risposta. L'amore
per sua natura vuole una risposta d'amore, ma vuole anche che questa
risposta sia libera, e noi possiamo dire di sì o dire di no a Gesù
quando in vari modi, e nelle circostanze più imprevedibili, si
presenta e bussa alla porta del nostro cuore.
E
qui incontriamo un primo motivo per cui la via stretta e angusta è
poco frequentata. Infatti, rispondere all'amore che Gesù ci propone
significa seguirlo, significa cedere a Lui le leve di comando della
nostra vita, significa non avere più il potere di governarla secondo
i nostri pensieri e i nostri desideri. Il presentimento e il timore
di questa sottomissione all'autorità e alle iniziative di un altro,
induce molti a girare alla larga dai luoghi in cui si corre il
rischio di incontrare Gesù, si preferisce la via più larga e
confortevole percorsa dai più. Naturalmente questa è una soluzione
più comoda e confortevole a breve termine, ma a lungo termine non
mancheranno imprevedibili e dolorose sorprese, perché la verità è
la verità, l'amore è l'amore, il progetto di Dio è il progetto di
Dio e chi decide di non sottomettersi a questo progetto, alle sue
leggi, alla sua bellezza, diventa causa di male per sé e per gli
altri, diventa una sorgente di male sempre più grande che in certi
casi produrrà orrori inimmaginabili, disperazione e morte.
“La
vita dell'uomo è un dramma e quale dramma!”, dice don Divo
Barsotti, e il guaio è che non lo dice solo don Divo Barsotti, ma lo
dicono anche la liturgia, il vangelo, la realtà...
Percorso
piuttosto movimentato
Ma
cosa succede a quanti, avendo incontrato Gesù, si lasciano sedurre
dal suo sguardo e decidono di seguirlo? Succede che sono coinvolti in
una strana avventura in cui non mancano le sorprese. Quanti seguono
il Signore saranno sorpresi e lavorati sia dal mistero del bene sia
da quello del male e questi due misteri, proprio a causa del sì
detto a Gesù, si incontrano e si scontrano nel cuore dei discepoli.
“Sempre l'uomo si incontra e si scontra col mistero” dice ancora
don Divo Barsotti, e la realtà non lo smentisce di certo.
E
qui incontriamo un altro motivo per cui la via angusta è poco
frequentata; tutti noi infatti, desidereremmo un vita tranquilla
senza troppo scossoni, senza troppi imprevisti, senza troppi tormenti
e tribolazioni, ci piacerebbe avere chiaro dove stiamo andando, cosa
desiderare, cosa sperare. Invece, per coloro che seguono Gesù, nel
programma sono previste cose un po' diverse. “Non c'è nessuno che
abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o
campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al
presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e
figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna”
(Mc 10, 29-30), e anche Paolo dice che “è necessario attraversare
molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14, 22).
Quando
un giorno Santa Teresa d'Avila si è lamentata con il Signore perché
alle tribolazioni seguivano tribolazioni, Lui le ha detto: “È così
che tratto i miei amici”, allora lei prontamente e giustamente ha
risposto: “È per questo che ne avete così pochi”.
La
vita al seguito di Gesù è movimentata e scombussolata per diversi
motivi. Uno di questi è che Lui è la Vita, l'Amore, la Luce, la
Perfezione, al massimo grado, mentre un discepolo paragonato al
maestro è la non vita, il non amore, la non luce e l'imperfezione al
massimo grado. Allora, siccome un discepolo è discepolo in quanto ha
subito il fascino del maestro ed è chiamato a diventare simile al
maestro, è da prevedere che il processo o il percorso formativo sia
piuttosto lungo, impegnativo, faticoso, a volte snervante, a volte
consolante, in certi momenti gli sarà dato di pregustare le gioie
del paradiso e in certi altri le pene dell'inferno. Gesù è sempre
in movimento e non ha dove posare il capo (Mt 8, 20). La sua persona,
le sue parole e le sue opere suscitano ammirazione, amore,
discepoli... ma anche timore, invidia, odio, nemici...
Paradossalmente la presenza di Gesù scatena una guerra, guerra fra
la luce e le tenebre, l'amore e l'odio, la verità e la menzogna, la
vita e la morte. “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla
terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di
cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre” (Lc
12, 51-52).
Questa
divisione e questa guerra si svolgono sia all'esterno sia all'interno
del cuore di un discepolo, perché sia all'esterno sia all'interno
del nostro cuore, ci sono cose che si oppongono, che ostacolano, che
ripugnano alla bellezza e alla purezza dell'amore e della vita che
Gesù vuole per noi. Inoltre, essendo Gesù la Luce, la Verità,
l'Amore, la Vita, chi lo segue avrà una sensibilità e una luce
sempre maggiori per cogliere in sé e fuori di sé ciò che è luce e
ciò che è tenebra, ciò che è amore e ciò che non è amore, in
una parola: ciò che è secondo Dio e ciò che appartiene al peccato.
Questa sensibilità sarà allora fonte di scrupoli e di tormento
quando la luce del Signore ci fa vedere ciò che non va in noi e
attorno a noi, ma sarà anche fonte di gioia quando ci fa cogliere
aspetti nuovi della verità e godere per ogni delicatezza e gesto di
amore che Lui semina sul nostro cammino.
Questa
guerra poi non potrà terminare con un pareggio, infatti le forze in
campo sono tre contro due e due contro tre, quindi: o vincerà una
parte oppure l'altra, o vincerà la luce oppure le tenebre, la vita o
la morte. In una guerra poi succede di tutto: eroismi e
vigliaccherie, fedeltà e tradimenti, atti di nobiltà e bassezze,
orrori e splendori; stanchezza, timore, sconforto, paura,
disperazione, ma anche risalite dalla disperazione verso la speranza
della vittoria del bene sul male. L'esito di una guerra poi è sempre
piuttosto incerto, non si sa mai quale parte prenderà il
sopravvento, la divisione delle forze infatti è tre contro due e due
contro tre, non quattro contro uno o uno contro quattro; questo per
dirci che occorre essere molto prudenti e vigilanti, non dobbiamo mai
ritenerci sicuri delle posizioni acquisite o dei successi ottenuti.
“Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore” dice San
Paolo (Fil 2, 12).
Non
dovremmo mai dimenticarci la disavventura di Pietro il quale,
sorpreso dagli eventi che non aveva mai voluto prendere in
considerazione nonostante le previsioni di Gesù, lo ha tradito
quando il mistero del male si è manifestato in tutto il suo orrore.
Purtroppo la disavventura di Pietro non è un'eccezione, infatti:
“Tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono” (Mt 26, 56). E il
cuore di Gesù, oltre all'ingratitudine e alla persecuzione dei
nemici, deve bere anche l'amaro calice dell'abbandono degli amici.
“Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato; se fosse
insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma tu,
mio compagno, mio intimo amico, legato a me da dolce confidenza!
Camminavamo concordi verso la casa di Dio” (Sal 54, 13).
Il
segreto
Ora,
mentre Gesù attraversa il mistero del male come vittima immacolata,
Pietro, i discepoli e noi, attraversiamo questo mistero in parte come
vittime e in parte come carnefici, in parte come innocenti e in parte
come colpevoli; noi infatti, in parte subiamo come vittime gli orrori
del male e in parte, con i nostri comportamenti, le nostre scelte, i
nostri peccati, contribuiamo a produrre questo mistero. Quando poi il
mistero del male ci sorprende, ci sconvolge, ci atterra, ci svela
tutto il suo orrore e la sua mostruosità, è normale che rimaniamo
disorientati e ci lasciamo prendere dal panico, ma se non ci
irrigidiamo, se non ci ribelliamo troppo, se il nostro cuore rimane
aperto e più o meno consapevolmente chiede aiuto, se la mente
dispera ma il cuore segretamente ancora spera perché gli dispiace
che le tenebre e la morte abbiano il sopravvento, allora anche il
mistero del bene verrà in nostro aiuto e ci rivelerà il suo
segreto.
La
vita dell'uomo in generale e la vita di un discepolo in particolare è
chiamata a più riprese a confrontarsi con il mistero del male e a
scoprire ogni volta un po' di più il segreto che abita Gesù e
consente ai suoi amici di vincere il male con il bene. Questo segreto
è sempre l'esperienza dello sguardo di Gesù, sguardo che trasmette
una dolcezza, una luce, un amore, una pace... che non sono di questo
mondo; questo sguardo non è una teoria o un discorso sapiente, ma un
fatto, un fatto che si oppone a un altro fatto, è la forza
dell'amore che sconfigge la forza dell'orrore.
Quando
Pietro, sorpreso e sconvolto dalla potenza delle tenebre, sorpreso e
sconvolto dall'orrore del suo peccato, pensa che tutto sia perduto e
sia inevitabile il naufragio, ecco che gli viene offerta un'ancora di
salvezza altrettanto inattesa, altrettanto sconvolgente: “Il
Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro...” (Lc 22, 61). E
quello sguardo trasmetteva una dolcezza, un amore, un perdono, una
pace... che non sono di questo mondo. Pietro accoglie questa
dolcezza e scoppia in lacrime, il suo cuore guarisce e diventa
esperto del segreto divino che è più forte di ogni orrore.
Quando
giunge l'ora delle tenebre, Maria può reggere sotto la Croce perché
lo sguardo di Gesù le trasmette una dolcezza, una luce e una pace,
che non sono di questo mondo.
Anche
per il buon ladrone, nell'ora in cui non può più sfuggire alle
tragiche e dolorose conseguenze delle sue scelleratezze, è decisivo
l'incontro con lo sguardo di Gesù. Quando tutto sembra perduto è
raggiunto e sconvolto da una luce e da una dolcezza che lo invitano a
sperare contro ogni speranza, lo sguardo di Gesù proprio a lui offre
amore e perdono; il buon ladrone si lascia sconvolgere da una
dolcezza che non ha mai sperimentato prima, allora il suo cuore
guarisce e diventa esperto del segreto divino che è più forte di
ogni orrore, anche dell'orrore della morte e della morte di croce. Lo
sguardo di Gesù crocifisso gli ha detto che oltre l'orrore del
peccato e della morte c'è un regno, il regno della Vita e
dell'Amore, e proprio Colui che muore accanto a lui è il Re che lo
governa.
Lungo
i secoli, e fino alla fine dei secoli, il mistero del male continua a
esercitare il suo potere, ma anche il mistero del bene continua a
esercitare il suo potere e a suscitare testimoni del segreto divino
che è più forte di ogni orrore.
La
testimonianza di Stefano
Il
segreto che anima la vita di Stefano attira gli uni e dà fastidio ad
altri, talmente fastidio che, come Gesù, è chiamato in giudizio
“davanti al sinedrio” e accusato da falsi testimoni. Allora il
segreto che lo abita si rende in qualche modo visibile e tutti vedono
il suo volto “simile a quello di un angelo” (At 6, 14). Ma questo
segreto non può essere tollerato perché, per chi non lo accoglie, è
un atto di accusa. Stefano infatti termina il suo discorso dicendo:
“voi ora siete diventati traditori e uccisori”. Traditori e
uccisori di chi? Traditori e uccisori dell'Amore, traditori e
uccisori di Gesù. Quest'accusa è intollerabile, insopportabile,
Stefano deve morire, ma c'è in lui qualcosa che è più forte della
morte: “Io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta
alla destra di Dio” (At 7, 56). Il suo segreto contiene tanta
dolcezza e tanto amore che morendo può dire: “Signore, non imputar
loro questo peccato” (At 7, 60).
La
testimonianza di padre Kolbe
Dal
1939 al 1945 per il mondo è di nuovo l'ora delle tenebre. Il 28
maggio 1941 padre Massimiliano Kolbe, francescano polacco, giunge nel
campo di concentramento di Auschwictz. Quest'uomo è abitato da
qualcosa che desta l'ammirazione di molti, ma dà anche fastidio ad
altri. Un testimone ha detto: “Kolbe era un principe in mezzo a
noi”. Verso la fine di luglio viene trasferito nel blocco 14; da
qui un prigioniero fugge e i nazisti condannano altri dieci
prigionieri a morire di fame e di sete. Tra questi un padre di
famiglia si dispera pensando alla moglie e ai figli. Padre Kolbe esce
dalle file e si presenta al comandante del campo, si toglie il
berretto e si mette sull'attenti. Il comandante lo insulta e gli
chiede cosa vuole. Lui, indicando l'uomo disperato dice: “Sono un
sacerdote cattolico polacco, sono anziano, voglio morire al suo posto
perché egli ha moglie e figli” (dott. Wlodarski). Il comandante,
stupefatto, rimane per un momento in silenzio, poi accetta lo
scambio. Il padre di famiglia è salvo e padre Kolbe si avvia a
condividere il suo segreto con i suoi nove compagni, come Gesù con
il buon ladrone.
Dal
blocco della morte non si sentono, come di solito, grida di
disperazione, ma canti e preghiere. Quando le SS aprono la porta del
bunker non possono fare a meno di incrociare lo sguardo di padre
Kolbe, ma non lo possono sostenere, i suoi occhi, “incredibilmente
penetranti”, destabilizzano, inquietano, una luce misteriosa li
mette in presenza della verità, allora sbraitano: “Guarda il
pavimento, non noi” (Bruno Borgowiec, interprete).
Dopo
14 giorni padre Kolbe è ancora vivo e lucido, perciò le SS decidono
di uccidere lui e i pochi sopravvissuti con un'iniezione di acido
fenico. Padre Kolbe tende il braccio all'ufficiale medico e gli dice:
“Lei non ha capito nulla della vita... l'odio non serve a niente...
solo l'amore crea!”. Le sue ultime parole sono: “Ave Maria”,
era il 14 Agosto.
Lo
sguardo di padre Kolbe era un atto di accusa per i nazisti, quello
sguardo diceva loro: “Voi siete dei mostri...!!!”, ma non diceva
solo quello, diceva anche che se avessero riconosciuto di essere
tali, un amore più grande del loro peccato avrebbe potuto salvarli.
I nazisti in presenza di quello sguardo, che li inquietava e li
inchiodava alle loro responsabilità, dovevano decidere chi aveva
ragione: la loro durezza o la dolcezza di padre Kolbe. Il momento era
critico e grave perché la loro scelta avrebbe avuto conseguenze
eterne. E non potevano non scegliere, lo prova il disagio che
sentivano in presenza di uno sguardo che anche a loro chiedeva di
lasciarsi vincere dall'amore.
La
testimonianza di Claire Ly
L'ora
delle tenebre per la Cambogia scocca dal 1975 al 1979, i cambogiani
sono 7,9 milioni e il regime comunista di Pol Pot riesce a produrre 2
milioni di morti. Il 24 Aprile 1975 i Kmer Rossi fucilano il padre,
il marito e due fratelli di Claire Ly, e lei, con la madre, un figlio
di 3 anni e incinta di 2 mesi viene inviata in un campo di
purificazione, ossia ai lavori forzati in una risaia. Claire Ly era
buddista e professore di filosofia, ma di fronte all'orrore del male
non reggono né la filosofia né la religione buddista, rimane solo
l'odio e il desiderio di vendetta. Claire Ly si costruisce un
“oggetto mentale”, un “capro espiatorio” su cui scaricare
tutta la responsabilità di quello che le sta succedendo, lo chiama:
“il dio degli occidentali”; passa le giornate a insultarlo e
questo l'aiuta a vivere, questo “dio” le tiene in qualche modo
compagnia.
Claire
Ly è una donna forte, riesce a dare alla luce una figlia, provvede a
suo figlio e a sua madre, non si ammala mai; è fiera di questi
risultati e pensa che anche il “dio degli occidentali”, se
esiste, dovrebbe essere fiero di lei e dovrebbe applaudirla. Fissa un
appuntamento, lei si metterà in silenzio e aspetterà gli applausi.
All'appuntamento Dio si presenta, naturalmente con qualcosa di meglio
degli applausi. Una pace e una dolcezza mai sperimentati prima la
invadono, ha la netta sensazione che quel silenzio è abitato da
qualcuno che guarda proprio lei... La sofferenza e le tribolazioni
non sono eliminati, ma qualcosa è cambiato: intanto si rende conto
che non è la sola a vivere un dramma, ma un intero popolo soffre e
muore schiacciato dall'assurdità del male; e poi è riconciliata con
lo splendore della natura: dopo quanto le era successo non poteva
sopportare che la natura continuasse a splendere mentre lei
sprofondava nelle tenebre. Ora la bellezza della natura diventa per
lei un segno di speranza.
Nel
1979 Claire Ly viene liberata e nel 1980 emigra in Francia. Qui
inizia a cercare di conoscere meglio il “dio degli occidentali”,
legge l'enciclica di Giovanni Paolo II “Dives in misericordia” e
il vangelo. Un giorno di dicembre al santuario mariano di “Notre
Dame du Laus” chiede di poter partecipare alla Santa Messa con i
suoi due figli, le viene detto che non può fare la comunione. Non
avendo mai partecipato a una Messa non sa come ci si comporta, allora
guarda quello che fanno gli altri: in piedi, seduti, in piedi, in
ginocchio... Nel momento dell'elevazione dell'ostia consacrata ecco
che le accade qualcosa di simile a quello che le era accaduto nella
risaia di Pol Pot. Di nuovo l'esperienza di una pace, di una
tenerezza come quella di una madre che veglia il suo figlioletto
infermo, e poi la certezza che quel Gesù di Nazaret che aveva
imparato a conoscere e ad ammirare non è solo un uomo, ma il suo
Signore e il suo Dio, che da tanto tempo è con lei ed ora,
incredibilmente, è come se fosse in ginocchio davanti alla sua
libertà e aspettasse una risposta. Questa umiltà di Dio le fa quasi
paura, si sente libera di rispondergli di sì oppure di no.
Dopo
un periodo di riflessione Claire Ly chiede il battesimo: “Non per
cercare un'etica o una morale, ma per trovare il volto di Gesù
Cristo, la cui chiamata e la cui semplicità hanno toccato il mio
cuore” (Tornata dall'inferno. Ediz. Paoline pag. 175). Claire Ly
sarà battezzata il 24 Aprile 1983 esattamente otto anni dopo
l'inizio del suo dramma.
Di
questo voi siete testimoni
I
versetti su cui stiamo meditando terminano con le parole di Gesù:
“...nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione
e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi
siete testimoni”.
Conversione,
perdono dei peccati, risurrezione dai morti, a chi mai possono
interessare queste cose? C'è forse qualcosa che può interessare di
meno gli uomini del nostro tempo? “Peccati...!? Non ci sono
peccati... Conversione...!? Io so dove sto andando, io so cos'è la
vita, non ho bisogno di cambiare niente, al massimo sono gli altri
che dovrebbero cambiare, non io...”.
Quando
incontra l'indifferenza, quando incontra un muro di gomma o la
chiusura del cuore un testimone non può far nulla, ha le mani
legate. Conversione e perdono dei peccati sono realtà che possono
diventare interessanti quando incominciamo a renderci conto dello
stato di confusione e divisione che affligge la vita dei singoli e
della società; è solo quando accettiamo di riconoscere che il
peccato, mio e degli altri, è la fabbrica dell'orrore che possiamo
ascoltare con interesse chi, proponendoci un rimedio al peccato, ci
propone nello stesso tempo un rimedio all'orrore.
Accettare
onestamente di soffrire per il non senso della nostra vita è la
preparazione necessaria per incontrare il Volto di Colui in cui
risiede il senso di ogni cosa. “Di questo voi siete testimoni”,
testimoni di cosa? I discepoli e gli apostoli quando ascoltavano
queste parole erano appena stati testimoni sia dell'orrore prodotto
dal peccato, sia della dolcezza divina con cui Gesù aveva trionfato
su tutto l'orrore che gli uomini e i demoni sono capaci di produrre.
Di
questi testimoni abbiamo bisogno come dell'aria per respirare, perché
più l'umanità si allontana da Dio più sarà afflitta dalle
conseguenze dolorose di questa lontananza e più gli uomini avranno
bisogno di testimoni abitati dalla dolcezza divina per non cadere
nella disperazione. Gesù non ha iscritto i suoi discepoli
all'università di Gerusalemme, ma a Gerusalemme li ha condotti, lì
dove “ha abbondato il peccato” e la “grazia ha sovrabbondato”
(Rm 5, 20), li ha condotti a vedere come Dio ha “rinchiuso tutti
nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia” (Rm 11, 32).
Queste cose non si imparano tanto sui libri quanto lasciandoci
condurre lì dove il Signore vuole condurci, e spesso è proprio il
percorso che vorremmo evitare che sorprendentemente ci riserverà una
manifestazione della dolcezza divina, primizia di ciò che sarà la
nostra beatitudine eterna.
Il
Signore ci conceda la fede e la docilità necessarie per seguirlo
sulla via della Vita, via che termina nella Luce capace di dissipare
ogni tenebra e nell'Amore capace di far risorgere da ogni morte. Il
Signore apra anche a noi l'intelligenza per comprendere queste cose.
A Lui onore e gloria nei secoli. Amen.
Eugenio Pramotton
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