O
Dio, che vedi i segreti dei cuori
e
conosci i nostri pensieri,
infondi
in noi il tuo Spirito santo,
perché
purificati nell’intimo,
possiamo
amarti con tutta l’anima
e celebrare degnamente la tua lode.
e celebrare degnamente la tua lode.
Amen.
PROLOGO
Nel
nome del Padre
e
del Figlio
e
dello Spirito Santo.
Chiunque
tu sia a essere venuto in possesso di questo libro (forse è di tua
proprietà o semplicemente l’hai in custodia o lo devi consegnare
ad altri oppure lo tieni in prestito), con tutta l’energia e la
forza compatibili con il vincolo della carità ti prego e ti
scongiuro, per quel che sta alla tua volontà e saggezza, di non
leggerlo e di non farne menzione ad alcuno, scrivendone o parlandone,
e di fare in modo che nessuno lo legga, ne scriva o ne
parli, a meno che si tratti di uno che, a tuo giudizio, è veramente
intenzionato a seguire Cristo in
maniera
totale e perfetta. E a seguirlo non solo nella vita
attiva, ma fino al punto massimo della vita contemplativa a cui può
giungere in questa vita, per grazia di Dio, l’anima perfetta ma
ancora legata a questo corpo mortale. Inoltre, dovrebbe essere uno
che, a tuo avviso, già da molto tempo mette in pratica quelle virtù
della vita attiva che lo rendono adatto alla vita contemplativa. In
caso contrario, questo libro non gli si addice in alcun modo.
E
ancora ti prego e ti scongiuro con l’autorità che proviene dalla
carità: se mai uno dovesse leggere, scrivere o parlare di questo
libro oppure sentirlo leggere o sentirne parlare da altri, imponigli,
come io faccio con te, di leggerlo in tutta la sua interezza. Può
darsi, infatti, che ci sia qualche argomento, all’inizio come in
mezzo, lasciato in sospeso e non trattato con la dovuta completezza
in quel particolare contesto: sicuramente lo si farà più avanti,
tutt’al più alla fine del libro. Cosicché, se uno dovesse vedere
un certo brano e non un altro, potrebbe facilmente cadere in errore.
Perciò, per evitare un simile errore, prego sia te che gli altri,
per amore di Dio, di fare quanto ho detto.
Non
era affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori, i
falsi modesti, i criticoni, i pettegoli, i maldicenti, i linguacciuti
e ogni sorta di mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che
ho scritto. Per questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche
tutti quegli uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente
curiosi. Sì, fossero anche buone persone, eccellenti nella vita
attiva, questo libro non fa per loro.
Non
così per quelli che, sebbene «attivi» come forma esteriore di
vita, tuttavia per ispirazione dello Spirito di Dio, i cui giudizi
sono insondabili, si trovano ben pronti per grazia ad avere parte,
non di continuo, come nel caso dei veri contemplativi, ma di quando
in quando, alle profondità della contemplazione. Se fossero uomini
di tal genere a vedere questo libro, ne trarrebbero sicuramente, per
grazia di Dio, un grande conforto.
Questo
libro si divide in 75 capitoli, l’ultimo dei quali indica dei segni
ben sicuri attraverso cui l’anima può verificare se è veramente
chiamata da Dio al lavoro della contemplazione, oppure no.
Amico
spirituale in Dio, ti prego e ti scongiuro di considerare, con la
dovuta attenzione, le modalità e il cammino della tua vocazione. E
ringrazia Dio di tutto cuore, così che tu possa, in forza della sua
grazia, star ben saldo in quello stato, grado e modo di vita che hai
intrapreso generosamente contro tutte le astuzie e gli assalti dei
nemici materiali e spirituali, e possa così ottenere, in premio la
corona della vita eterna.
CAPITOLO
1
I
quattro gradi della vita cristiana, e il cammino della
vocazione di uno per il quale è stato scritto questo libro.
vocazione di uno per il quale è stato scritto questo libro.
Amico
spirituale in Dio, devi sapere che secondo me (ed è una visione
piuttosto semplificata) esistono quattro gradi o forme di vita
cristiana: comune, speciale, solitaria e perfetta. Le prime tre
iniziano e terminano in questa vita; la quarta può si cominciare
qui, per grazia di Dio, ma continuerà per sempre nella beatitudine
celeste. Avrai sicuramente notato che io le ho messe tutt’e quattro
in una certa successione: prima la vita comune, poi quella speciale,
quindi quella solitaria e infine quella perfetta.
Penso
infatti che Dio nella sua grande misericordia segue lo stesso ordine
progressivo nel chiamarti e condurti a sé, attraverso il desiderio
del tuo cuore.
E
tu sai bene che quando eri ancora nello stato comune della vita
cristiana e vivevi in compagnia dei tuoi amici del mondo, Dio, nel
suo amore eterno — grazie al quale Egli ti creò e plasmò quando
non eri niente, e poi ti riscattò a prezzo del suo prezioso sangue
quando eri ormai perso in Adamo —, non poté soffrire che tu fossi
in quel tipo di vita così distante da Lui.
Accese,
allora, il tuo desiderio con la pienezza della sua grazia, lo
rafforzò con la catena del fervore e ti condusse a quello stato di
vita più speciale, qual è quello di servitore tra i suoi speciali
servitori. E questo fece perché tu potessi imparare a servirlo in
maniera più particolare e spirituale di quanto avevi mai potuto fare
prima nel grado comune di vita.
E
c’è di più: tale è l’amore che ha sempre avuto per te, sin da
quando tu non eri niente, che a quanto pare non si accontentò tanto
facilmente che tu rimanessi in questo stadio.
Che
fece dunque? Non vedi con quale forza e con quali favori ti ha
sollevato fino al terzo stadio, quello solitario? È proprio in
questa forma di vita che puoi imparare a elevare più in alto i passi
del tuo amore e incamminarti verso quella forma di vita che è
l’ultima di tutte, quella perfetta.
CAPITOLO
2
Breve
esortazione all’umiltà e al lavoro di cui parla questo libro
Ora
alza gli occhi, miserabile creatura, e guarda la tua situazione. Che
cosa sei tu, e che cosa hai mai fatto per meritare di essere chiamato
a tanto da nostro Signore? Com’è spregevole quel cuore che,
addormentato nella pigrizia, non si desta alle sollecitazioni del suo
amore e alla voce della sua chiamata.
A
questo punto, o miserabile, devi stare ben attento al tuo nemico. Non
devi ritenerti affatto più santo o migliore per la semplice ragione
che sei stato chiamato alla dignità della vita solitaria. Al
contrario, sei ancor più disgraziato e maledetto se non ti impegni
al massimo a vivere in conformità alla tua vocazione, aiutato come
sei dalla grazia e dalla direzione spirituale. E dovresti essere
tanto più umile e affettuoso verso il tuo sposo spirituale, se pensi
che Lui, Dio onnipotente, Re dei re, e Signore dei signori, si è
abbassato umilmente fino al tuo livello e, tra tutte le pecore del
suo gregge, ha scelto per sua grazia proprio te, perché tu fossi uno
dei suoi intimi. Come se non bastasse, ti ha posto in ricchi pascoli
e lì ti nutre con la dolcezza del suo amore, come pegno della tua
eredità nel regno dei cieli.
All’opera
dunque, e senza indugio, te ne prego. Guarda avanti, ora, e lascia
perdere ciò che ti sta dietro. Bada a quel che ancora ti manca, e
non a quel che hai già; è questa la via più breve per acquistare e
mantenere l’umiltà. Tutta la tua vita, d’ora in poi, deve essere
presa da un unico desiderio, se vuoi veramente progredire nella
perfezione. E questo desiderio deve venire dal
profondo della tua volontà ed è opera della mano di Dio
onnipotente, sempre se c’è il tuo consenso.
Ma
c’è una cosa che voglio dirti: egli è un amante geloso e non
sopporta rivali; né accetta di agire sulla tua volontà se non è
lui solo ad avere a che fare con te. Non chiede aiuto, cerca solo te.
Vuole soltanto che tu gli presti attenzione e gli lasci fare a modo
suo. Tocca a te, però, difendere la tua porta e le tue finestre
dagli attacchi delle mosche e dei nemici. Se vuoi veramente far
questo, basta che tu insista umilmente con Dio nella preghiera ed
egli verrà presto in tuo aiuto. Insisti, dunque: fa’ vedere quali
sono le tue disposizioni! Dio è
prontissimo
e ti sta aspettando.
Ma
che cosa devo fare, dirai, e come insistere?
CAPITOLO
3
In
che cosa consiste questo lavoro e la sua superiorità
nei confronti di ogni altro lavoro
nei confronti di ogni altro lavoro
Eleva
il tuo cuore a Dio in uno slancio di umiltà e d’amore: pensa a lui
solo, e non ai suoi benefici. Perciò considera ripugnante qualsiasi
altro pensiero che non riguardi Dio stesso, così che niente operi
nella tua mente o nella tua volontà se non lui solo. Fa’ del tuo
meglio per dimenticare tutte le creature che Dio abbia mai fatto, e
anche le loro opere, così che il tuo pensiero e il tuo desiderio non
si orientino e non tendano verso queste cose, né in generale, né in
particolare. Ma lasciale stare e non prestarvi più attenzione.
Questa
è il lavoro dell’anima che piace di più a Dio. Tutti gli angeli e
i santi provano gioia per questo lavoro e si dànno da fare con tutte
le loro forze per aiutarti. Tutti i demoni, al contrario, sono
furibondi quando tu ti metti all’opera e cercano in tutti i modi di
far naufragare il tuo lavoro. Inoltre tutti gli uomini di questo
mondo, in una maniera meravigliosa e del tutto incomprensibile,
risentono di un benefico influsso per quello che
stai facendo. Certo, anche le anime del purgatorio trovano alleviata
la loro pena. Quanto a te, non c’è nessun altro lavoro meglio di
questo, che ti possa rendere puro e virtuoso. Tuttavia, è il lavoro
più facile e più rapido che ci sia, quando l’anima è aiutata
dalla grazia e vi si sente veramente portata. In caso contrario, il
lavoro si rivela difficile ed è un vero miracolo se riesci a
compierlo lo stesso.
Non
lasciarti andare, dunque, ma continua a lavorare finché non senti
questo desiderio intenso. La prima volta che lo fai non trovi altro
che oscurità, come se ci fosse una nube, la nube della
non-conoscenza. Tu non ne sai niente, ma semplicemente senti dentro
di te un puro anelito verso Dio. Qualunque cosa tu faccia, questa
oscurità e questa nube restano sempre tra te e Dio, e non ti
permettono né di vederlo chiaramente alla luce della comprensione
razionale, né di sentirlo nel tuo cuore con
la
dolcezza del suo amore.
Apprestati,
dunque, a restare in questa oscurità più a lungo che puoi, e non
smettere di sospirare per colui che ami. Infatti, se mai dovrai
sentirlo o vederlo in questa vita, sarà senz’altro in questa nube
e in questa oscurità. E se lavorerai sodo come ti ho raccomandato,
son sicuro che per la sua misericordia giungerai a contemplarlo.
CAPITOLO
4
Brevità
di questo lavoro.
Alla
contemplazione non si giunge né attraverso la speculazione razionale
né attraverso l’immaginazione
né attraverso l’immaginazione
Per
far sì che tu non commetta errori e non fraintenda questa attività,
lascia che te ne parli ancora un poco secondo il mio punto di vista.
Al
contrario di quanto pensano alcuni, non ci vuole molto tempo per
portare a termine questo lavoro. In realtà, è il lavoro più breve
che si possa mai immaginare. Non è né più lungo né più corto di
un atomo. Ora l’atomo, secondo la definizione degli stessi studiosi
di astronomia, è la più piccola frazione di tempo. È così piccolo
che, per via della sua piccolezza, non lo si può dividere
ulteriormente, e quasi quasi non lo si può immaginare. È proprio
questo il tempo di cui è stato scritto: «di tutto il tempo che ti è
dato, ti verrà chiesto come l’hai speso». Ed è giustissimo che
tu debba renderne conto. Questo tempo non è né più lungo né più
corto ma corrisponde esattamente a un semplice impulso della tua
volontà, che è la principale facoltà dell’anima in ordine
all’agire. Infatti, nello spazio di un’ora ci possono essere e ci
sono tanti impulsi o desideri della volontà, quanti sono gli atomi
in quello stesso arco di tempo.
Orbene,
se la grazia dovesse rendere la tua anima come quella di Adamo prima
del peccato originale, tu saresti padrone, per via della stessa
grazia, di tutti i tuoi impulsi. Allora nessuno di questi andrebbe
per conto suo, ma tutti convergerebbero su Dio, somma di ogni
desiderio e bene supremo. Egli scende al nostro livello, adattando la
sua divinità alla nostra capacità di comprensione. D’altra parte,
la nostra anima presenta qualche affinità con lui, dal momento che
siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. E lui solo, e
nient’altro che lui, basta ad appagare in maniera piena e
sovrabbondante la brama del nostro cuore. E in virtù di questa
grazia risanatrice, l’anima è resa capace di comprenderlo
pienamente attraverso l’amore. Dio resta incomprensibile a ogni
essere razionale, uomo o angelo che sia, almeno per quanto riguarda
la conoscenza intellettuale. Infatti con l’intelletto non lo si può
conoscere, ma con l’amore sì.
Tutti
gli esseri razionali, uomini e angeli, possiedono dentro di sé,
ciascuno per proprio conto, due facoltà operative principali: la
capacità di conoscere e quella di amare. Dio, che le ha fatte
entrambe, resta per sempre incomprensibile alla prima facoltà,
l’intelletto, mentre per la seconda, l’amore, è conoscibile
appieno, anche se in maniera diversa a seconda dei singoli individui.
Capita così che una semplice anima ricca d’amore riesce da sola,
in virtù di questo stesso amore, a comprendere dentro di sé colui
che basta ad appagare in maniera incomprensibile e sovrabbondante
tutte le anime e gli angeli che ci possono essere. Questo è il
meraviglioso miracolo dell’amore, miracolo che non avrà mai fine,
poiché per sempre Dio lo farà e non smetterà mai di farlo. Prendi
in considerazione quanto detto, se la grazia di Dio te lo concede: in
questa conoscenza d’amore consiste la beatitudine eterna; senza
tale conoscenza non c’è che la pena eterna.
Perciò
chiunque fosse rinnovato dalla grazia di Dio così da badare
continuamente a ogni impulso della volontà — dal momento che, per
natura, non gli possono mancare questi impulsi —, costui
pregusterebbe già in questa vita la dolcezza eterna, anche se il
pieno godimento si ha solo nella beatitudine celeste. Non
meravigliarti, dunque, se ti stimolo con insistenza a fare questo
lavoro.
Se
l’uomo non avesse commesso il peccato originale, starebbe facendo
ancor oggi questo stesso lavoro, come dirò più innanzi. Ed è per
questo lavoro che l’uomo fu fatto, e ogni altra cosa ha il compito
di aiutarlo a raggiungere questo scopo. E grazie a questo lavoro,
infine, l’uomo può sperare di tornare allo stato primitivo di
grazia. Ma se vien meno a questo lavoro, l’uomo cade sempre più
giù nel peccato e si allontana sempre più da Dio. Al contrario, se
vi si applica con diligenza e costanza, trascurando il resto, allora
si rialza sempre più dal peccato e si avvicina sempre più a Dio.
Perciò sta’ ben attento a come usi il tempo: infatti non c’è
niente di più prezioso del tempo. Basta un attimo, una minima
frazione di tempo per guadagnare o perdere il paradiso.
A
riprova che il tempo è prezioso, Dio, che ne è il dispensatore, non
dà mai due momenti di tempo in una sola volta, ma sempre in
successione. Diversamente, dovrebbe cambiare tutto l’ordine e il
corso regolare della creazione. Il tempo è fatto per l’uomo, non
l’uomo per il tempo. E Dio, che fissa le leggi di natura, ha voluto
adattare il tempo alla natura dell’anima umana: infatti, gli
impulsi naturali dell’uomo sorgono proprio uno alla volta. Perciò
l’uomo non avrà scuse quando, nel giorno del giudizio, dovrà
rendere conto a Dio di come avrà speso il suo tempo. Non potrà
certo dire: «Tu mi dai due momenti in una volta sola, mentre io non
ho che un solo impulso alla volta».
Ma
ora sei tutto preoccupato e pensi: «Che debbo fare? Se quello che
stai dicendo è vero, come farò a rendere conto di ogni momento
della mia vita? Eccomi qui a ventiquattro anni, senza aver mai dato
peso al tempo. Anche se volessi cambiare rotta d’ora innanzi, sai
perfettamente in base alle giuste parole che hai appena scritto, che
non mi è più concesso alcun momento di tempo, né secondo il corso
naturale, né ricorrendo alla grazia comune, per poter rimediare al
mio passato mal speso. Posso solo contare su quei momenti di tempo
che ho ancora davanti a me. Ma come se non bastasse, so benissimo che
anche per questo tempo futuro, a causa della mia eccessiva fragilità
e della mia pigrizia spirituale, non riuscirei a prestare attenzione
che a un impulso su cento. Eccomi qui completamente disorientato di
fronte a questi ragionamenti. Aiutami
dunque, per amore di Gesù!».
Come
hai fatto bene a dire «per amore di Gesù!». Infatti è proprio
nell’amore di Gesù che puoi trovare aiuto. L’amore è per sua
natura condivisione. Ama Gesù, e tutto ciò che ha sarà tuo.
Essendo Dio, egli ha fatto il tempo e ce l’ha donato. Essendo uomo,
ha attribuito il giusto valore al tempo. Essendo sia Dio che uomo, è
il miglior giudice dell’uso del tempo. Unisciti a lui con fede e
amore: grazie a questa unione entrerai a far parte della comunità di
vita che si stabilisce tra lui e tutti
coloro che come te sono uniti a lui dall’amore. Sarai così in
comunione con Maria santissima, che, piena di grazia, prestò
attenzione a ogni momento della sua vita; con tutti gli angeli del
cielo che non possono mai perdere tempo; con tutti i santi in cielo e
in terra che con il loro amore, e per grazia di Gesù, tengono in
giusto conto ogni momento. Tutto ciò è di grande conforto. Cerca di
capirlo correttamente e di trarne adeguato profitto.
Ma
una cosa mi preme sottolineare: nessuno può rivendicare una vera
comunione con Gesù, con Maria, sua vera madre, con i suoi angeli e
con i suoi santi, se non fa di tutto, con l’aiuto della grazia, per
badare a ogni momento di tempo. Solo così può venire in aiuto alla
comunità, facendo anch’egli, al pari degli altri membri, la sua
parte, per quanto piccola possa essere.
Presta
dunque attenzione a questo meraviglioso lavoro della grazia nella tua
anima. Per chi lo capisce bene, non è altro che un impulso
improvviso che sorge senza alcun preavviso e punta direttamente a Dio
come una scintilla che si sprigiona dal fuoco. È incredibile il
numero degli impulsi che sorgono nel breve spazio di un’ora
nell’anima di chi è disposto a fare questo lavoro. E tuttavia
basta una sola di queste fiammate per dimenticare completamente, e
all’istante, il mondo esterno. Ma subito dopo ogni impulso, l’anima
può ricadere, a causa della
corruzione della carne, nei pensieri precedenti e nel ricordo delle
cose fatte e non fatte. Ma non è finita ancora: in un batter
d’occhio può riaccendersi di nuovo come prima.
Questo
è, in breve, il procedimento del nostro lavoro. Come si vede, è ben
lontano da ogni visione ò falsa immaginazione o stranezza di
pensiero. Tutto ciò non sarebbe certo frutto di un nudo slancio
d’amore umile e devoto, ma di un’intelligenza orgogliosa, avida
di sapere e ricca di immaginativa. E questo spirito d’orgoglio e di
curiosità va sempre soffocato e calpestato senza pietà: a questo
prezzo si può intendere il significato genuino della contemplazione.
Chiunque,
avendone letto o sentito parlare, pensa che il lavoro contemplativo
consista in una attività mentale, e continua
quindi a operare in questa direzione, è completamente fuori strada.
Si
inventa, infatti, un’esperienza che non è né materiale né
spirituale, e corre il rischio di prendere lucciole per lanterne. Chi
cade in questo abbaglio è in così grave pericolo, che se Dio nella
sua grande bontà non interviene con un miracolo di misericordia per
farlo smettere di colpo e indurlo ad ascoltare i consigli di
contemplativi di grande esperienza, diventerà matto o comunque
soffrirà qualche altra terribile forma di male spirituale o qualche
inganno diabolico. In verità, può facilmente perdersi per sempre,
anima e corpo. Quindi, per amore di Dio, fa’ attenzione e non
cercare in alcun modo
di compiere questo lavoro con le facoltà intellettuali, e tanto meno
con l’immaginazione. Te lo dico con tutta sincerità: non
riusciresti a combinare un bel niente! Smettila, dunque, di far uso
delle tue facoltà.
Quando
parlo di «oscurità» o di «nube» non pensare ch’io voglia
intendere quelle
masse di vapori che vagano nel cielo o quell’oscurità che regna
nella tua casa di notte quando la candela è spenta. Questo: tipo di
oscurità e di nube te
li puoi benissimo immaginare con gli occhi della
tua
mente anche nel più radioso meriggio d’estate, così come nella
più buia notte invernale puoi figurarti una luce vivida e
splendente. Non è certamente a questo che io faccio riferimento. Per
«Oscurità» io intendo una mancanza di conoscenza, proprio come una
cosa che non conosci o non ricordi è «oscura» per te, dal momento
che non riesci a vederla con l’occhio del tuo spirito. Per questo
motivo la chiamo «nube della non-conoscenza», e non nube del cielo:
nube della non-conoscenza che si frappone tra te e il tuo Dio.
CAPITOLO
5
Durante
la contemplazione tutte le creature che ci sono
state, ci sono e ci saranno vanno ricacciate sotto la nube d’oblio
state, ci sono e ci saranno vanno ricacciate sotto la nube d’oblio
E
se mai tu dovessi giungere in questa nube e restarvi a lavorare
seguendo il mio consiglio, allora, come questa nube della
non-conoscenza è al di sopra di te, tra te e il tuo Dio, allo stesso
modo devi mettere al di sotto di te una nube d’oblio tra te e tutte
le creature.
Forse
vai pensando di essere troppo lontano da Dio per via di questa nube
della non-conoscenza tra te e il tuo Dio: in realtà è più giusto
pensare che sei più lontano da lui quando non c’è nessuna nube
d’oblio tra te e tutte le creature. Ogni volta che dico: «tutte le
creature», mi riferisco non solo alle singole creature in se stesse,
ma anche a tutte le loro opere e alle loro caratteristiche. Non
faccio eccezione per nessuna creatura, sia materiale che spirituale,
e per nessuna caratteristica o opera di qualsivoglia creatura, sia
essa buona o cattiva. Insomma, ogni cosa va tenuta nascosta sotto
questa nube d’oblio.
Infatti,
sebbene sia sommamente utile pensare talvolta a certe caratteristiche
e azioni di talune creature particolari, in questo lavoro, tuttavia,
è di poca o di nessuna utilità. L’atto di ricordare o pensare a
quel che una cosa è o fa, costituisce una specie di luce spirituale:
l’occhio della tua anima, infatti, vi si concentra come l’occhio
del tiratore è fisso sul bersaglio a cui mira. E una cosa voglio
dirti: tutto ciò a cui pensi, per tutto il tempo che ci pensi, se ne
sta al di sopra di te, tra te e il tuo Dio. E tanto più sei lontano
da Dio, se una cosa qualsiasi diversa da Dio occupa il tuo spirito.
Sì,
se è possibile dirlo senza essere irriverenti, in questo lavoro non
serve a niente o a ben poco pensare alla bontà o alla perfezione di
Dio, o alla Madonna, o ai santi e agli angeli in cielo, o ancora alle
gioie celesti. Ti sbagli se pensi di poter nutrire e accrescere il
tuo proposito
con simili considerazioni: credo proprio che in questo caso non ti
saranno di alcun aiuto. Anche se è bene meditare sulla bontà di
Dio, e amarlo e glorificarlo per questo, tuttavia è molto meglio
pensare al suo essere puro e semplice, e amarlo e glorificarlo per se
stesso.
CAPITOLO
6
Breve
considerazione sul lavoro dei libro, a partire da una domanda
Ma
ora mi interroghi e dici: «Come faccio a pensare a Dio in se stesso,
e che cos’è Dio?». In verità non posso risponderti che a questo
modo: «Non ne so niente».
Con
questa domanda tu mi hai proprio buttato in quella stessa oscurità e
in quella stessa nube della non-conoscenza in cui vorrei che ti
trovassi tu. Infatti, di tutte le creature e delle
loro opere — sì, certo, anche delle opere di Dio stesso — un
uomo può benissimo avere una piena conoscenza per mezzo della grazia
e su esse fare delle meditazioni; ma su Dio com’è in sestesso
nessuno può fare delle meditazioni. Per questo lascerò da parte
tutto ciò che posso pensare e sceglierò per il mio amore quella
cosa che non posso pensare. Perché? Perché Dio lo si può amare, ma
non pensare. Solo con l’amore lo si può afferrare e trattenere,
non certo con il pensiero.
Perciò
anche se è bene talvolta pensare in particolare alla bontà e alla
perfezione di Dio, e per quanto questo, possa rivelarsi illuminante e
costituire una parte della contemplazione stessa, tuttavia nel nostro
lavoro tutto ciò deve essere ricacciato in basso e ricoperto da una
nube d’oblio. E tu devi camminarvi sopra con vigore e con zelo,
sotto la spinta di un devoto e gioioso slancio d’amore,
nell’intento di perforare quell’oscurità che ti sovrasta.
Colpisci dunque questa fitta nube della
non-conoscenza con la freccia acuminata del desiderio d’amore e non
muoverti di lì, qualunque cosa capiti.
CAPITOLO
7
Come
ci si deve comportare nei riguardi dei propri pensieri,
specie
quelli che nascono dall’avidità di sapere e dall’intelligenza
naturale
E
se per caso sorge dentro di te qualche pensiero e viene a
intromettersi tra te e questa oscurità, ponendoti continuamente
queste domande: «Cosa cerchi? E che cosa vorresti avere?», allora
devi rispondere che è Dio che vorresti possedere: «È lui che
desidero, lui che cerco, lui e nient’altro che lui».
E
se quel pensiero dovesse chiederti: «Che cos’è questo Dio?»,
rispondigli che è colui che ti ha creato e redento, e che per sua
grazia ti ha chiamato al suo amore. E di lui — continua pure — tu
non sai assolutamente niente.
Digli
dunque: «In basso, vattene giù in basso!», e non esitare a
calpestarlo con uno slancio d’amore, anche se può sembrarti un
pensiero santo e inteso ad aiutarti nella tua ricerca di Dio. Forse
ti richiamerà alla mente aspetti diversissimi della sua meravigliosa
bontà, e riaffermerà che Dio è in sommo grado dolcezza e amore,
grazia e misericordia. Se ti metterai ad ascoltarlo, ricordati che
non chiede di meglio. Infatti, andrà avanti a chiacchierare sempre
più, e per finire ti ricondurrà, giù al pensiero della passione di
Cristo. Lì ti mostrerà la meravigliosa bontà di Dio, e se vi
presterai attenzione, non farai altro che il suo gioco. Subito dopo,
infatti, ti farà vedere la tua misera vita passata, e nel
ripercorrerla può darsi che riesca a fermare la tua attenzione su
qualche posto in cui hai vissuto tanto tempo prima. Cosicché, senza
nemmeno rendertene conto, eccoti ricacciato non si sa dove, nella
dispersione. E quale ne è la causa? Il semplice fatto che dapprima
hai prestato ascolto di buon grado a quel pensiero, poi gli hai
risposto, l’hai accettato, e infine l’hai lasciato fare.
Ciò
nonostante, quel pensiero era buono e santo, sì, così santo che,
paradossalmente, nessun uomo o donna può sperare di giungere alla
contemplazione senza una buona base di dolci meditazioni sulla
propria miseria, sulla passione di nostro Signore, sulla bontà di
Dio, sulla sua magnanimità e perfezione. Tuttavia, quando uno ha
fatto queste meditazioni per molto tempo, deve lasciarla e
ricacciarle lontano sotto la nube d’oblio, se vuol veramente
sperare di perforare un giorno quella nube della non-conoscenza che
sta tra lui e Dio.
Perciò,
quando senti che Dio ti chiama, per sua grazia, a questo lavoro e che
tu sei pronto a rispondervi, eleva il tuo cuore verso di lui con
umile slancio d’amore. E per Dio, intendi colui che ti ha creato e
redento, e che ti ha chiamato per sua grazia a questo stato di vita.
Non ammettere alcun altro pensiero su Dio. Non è che tu debba
pensare a tutto ciò anche se non ne hai voglia: una pura intenzione
diretta a Dio, e a lui solo, è più che sufficiente.
Se
vuoi ripiegare e avvolgere questa intenzione in una sola parola così
da tenerla più saldamente, prendi una parola corta, meglio se di una
sola sillaba: più
è corta, più si intona all’opera dello spirito. Una tale parola
può essere «Dio» o ancora «Amore». Scegli una di queste due o
un’altra di tuo gradimento, purché sia di una sola sillaba. E
questa parola legala stretta al tuo cuore, così che non se ne
stacchi più, qualunque cosa accada. Questa parola sarà il tuo scudo
e la tua lancia, sia in pace che in guerra. Con questa parola
picchierai sulla nube e sull’oscurità che ti sovrasta. Con questa
parola sopprimerai ogni pensiero sotto la nube d’oblio. A tal punto
che se qualche pensiero ti metterà sotto pressione chiedendoti cosa
mai stai cercando, non gli risponderai se non con questa semplice
parola. E se si farà avanti con la sua scienza per spiegarti il
significato di quella stessa parola ed esporne le varie proprietà,
gli dirai che vuoi conservarla intatta nella sua interezza, e non
intendi ridurla in briciole.
Se
ti terrai ben saldo in questo proposito, ti assicuro che quel
pensiero se ne andrà immediatamente. E perché? Perché tu non gli
avrai dato modo di nutrirsi di quelle dolci meditazioni di cui ho
parlato prima.
CAPITOLO
8
Un
chiarimento su alcuni problemi che possono presentarsi nel corso
della contemplazione: il
rifiuto della curiosità intellettuale propria dell’animo umano, e
la
distinzione
dei gradi e delle parti tra la vita attiva e quella contemplativa
Ma
ecco che mi chiedi: «Che cos’è quella cosa che si intromette nel
mio lavoro? È buona o cattiva?». Se, come dici, si trattasse di una
cosa cattiva, allora resto sorpreso dal fatto che viene ad accrescere
così tanto la devozione di un uomo. Infatti, talvolta ho la netta
impressione che si ottenga grande conforto ad ascoltare le sue
ispirazioni. Queste mi fan piangere amaramente, allorché mi muovono
a compassione ora per la passione di Cristo, ora per la mia propria
miseria o per altri motivi che mi sembrano senz’altro santi e di
grande aiuto. Per questo ritengo che quella casa non può
assolutamente essere cattiva. Ma se invece è buona, e per di più mi
fa del gran bene con le sue dolci ispirazioni, allora mi sembra molto
strano che tu mi ordini di ricacciarla, e così lontano poi, sotto la
nube d’oblio».
La
tua mi pare proprio una domanda pertinente: per questo cercherò di
risponderti meglio che posso, anche se in maniera sempre inadeguata.
Innanzitutto,
quando mi chiedi cosa sia quella cosa che vuole intromettersi a tutti
i costi nel tuo lavoro, prestandosi perfino ad aiutarti, rispondo che
si tratta di una visione chiara e penetrante da parte della tua
mente, che è la facoltà razionale dell’anima.
E
quando mi chiedi se è una cosa buona o cattiva, dico che è
fondamentalmente buona per sua natura, poiché la ragione è un
raggio della rassomiglianza con Dio. Ma l’uso che se ne fa può
essere buono o cattivo. Buono, quando la ragione riesce, per grazia,
a farti aprir gli occhi sulla tua stessa miseria, sulla passione di
nostro Signore, sulla bontà e sulle opere meravigliose di Dio nelle
sue creature, sia quelle corporali che quelle spirituali. Allora non
c’è da meravigliarsi se accresce a tal punto la tua devozione,
come tu stesso dici.
Ma
vi è anche un cattivo uso della ragione, che si ha quando questa si
gonfia d’orgoglio e di quella curiosità di sapere e di erudizione
che si può ritrovare in certi uomini
di chiesa. Questi si dan da fare per avere una reputazione non di
umili scolari nelle cose divine e di maestri nell’umile devozione,
ma di orgogliosi scolari del diavolo e di maestri di vanità e
menzogne. Ma anche tutti gli altri uomini e donne, siano essi
religiosi o secolari, fanno cattivo uso della ragione, quando questa
li gonfia d’orgoglio e di curiosità per tutte le vanità terrene e
li rende avidi di lodi, ricchezze, sfarzi inutili e popolarità di
questo mondo.
Se
però mi chiedi il motivo per cui devi ricacciare tutto ciò sotto la
nube d’oblio, dal momento che si tratta di una cosa
fondamentalmente buona e che per di più, una volta usata bene, si
rivela di grande aiuto nell’accrescere la tua devozione, ti
rispondo prontamente in questo modo.
Devi
sapere che esistono due tipi di vita all’interno della santa
chiesa: una è la vita attiva, l’altra è quella contemplativa.
Delle due la prima è inferiore, la seconda è superiore.
La
vita attiva ha due gradi, uno inferiore e uno superiore, così come
la vita contemplativa ha due gradi, uno inferiore e uno superiore.
Ancora,
queste due maniere di vita sono così strettamente legate. pur nella
loro diversità, che non è possibile viverne Una senza una parte
dell’altra. Tant’è vero che la parte superiore della vita attiva
è ancora la stessa parte inferiore della vita contemplativa.
Pertanto nessun uomo può dirsi pienamente attivo se non è, almeno
in parte, contemplativo; allo stesso modo, non ci può essere un vero
contemplativo, almeno in terra, che non sia in parte attivo.
La
vita attiva inizia e termina in questa vita, non così la vita
contemplativa. Essa, infatti, inizia in questa vita, ma dura per
sempre. Quella parte che Maria ha scelto non le sarà tolta mai.
L’attivo si preoccupa e si affanna per molte cose; il contemplativo
invece si accontenta di una sola.
La
parte inferiore della vita attiva consiste in opere di carità e
misericordia corporale, tutte cose buone e oneste. La parte superiore
della vita attiva, che è poi quella inferiore della vita
contemplativa, è fatta di varie cose: efficaci meditazioni
spirituali, una chiara coscienza
della propria miseria, oltre a dolore e contrizione; una pietosa e
compassionevole considerazione della passione di Cristo e dei suoi
servi; un’immensa gratitudine e lode a Dio per i suoi doni
meravigliosi, per la sua bontà e le sue opere in tutte le creature,
materiali e spirituali.
Ma
la parte superiore della contemplazione, così come la si può vivere
su questa terra, è tutta racchiusa in questa oscurità e in questa
nube della non-conoscenza, con un impulso d’amore che spinge a
cercare atastoni nel buio il puro essere di Dio; sì, lui e lui solo.
Nella
parte inferiore della vita attiva l’uomo agisce esteriormente e
sta, per così dire, al di sotto di se stesso o. Nella parte
superiore, che è poi quella inferiore della vita contemplativa,
l’attività dell’uomo riguarda la sua interiorità, per cui egli
si trova al suo stesso livello. Nella parte superiore della vita
contemplativa, invece, l’uomo si innalza al di sopra di se stesso
ed è inferiore, solamente a Dio. Sì, al di sopra di se stesso,
perché è suo fermo proposito ottenere per grazia quello che non può
conseguire per natura, cioè l’unione con Dio in spirito: essere
una sola cosa con lui in conformità d’amore e volontà.
E
come è impossibile, dal nostro punto di vista terreno, giungere alla
parte superiore della vita attiva senza aver lasciato per un poco di
tempo quella inferiore, così non si può passare alla, parte
superiore della vita contemplativa senza aver lasciato per un poco di
tempo quella inferiore. Allo stesso modo, com’è sconveniente e
dannoso per chi è impegnato nella meditazione fissare l’attenzione
sulle proprie azioni esteriori — già fatte o da fare, per quanto
possano essere sante in se stesse —, così è senz’altro
sconveniente e dannoso, per chi lavora in questa oscurità e in
questa nube della non-conoscenza con un affettuoso slancio d’amore
verso Dio in se stesso, lasciare che si frapponga tra sé e il suo
Dio qualche pensiero o meditazione sui doni meravigliosi di Dio,
sulla sua bontà e sulle sue opere in tutte le creature, materiali e
spirituali, per quanto questi pensieri possano essere santi,
piacevoli, o comunque di grande conforto.
Ed
è per questo motivo che ti dico di sopprimere questi pensieri così
sottili e insidiosi, e di ricoprirli con
una fitta nube d’oblio, anche se sono santi e promettono fermamente
di aiutarti a raggiungere la meta. È l’amore, infatti, che può
portare a Dio già in questa vita, e non il sapere. E per tutto il
tempo in cui l’anima dimora in questo corpo mortale, la nostra
acuta comprensione nei riguardi delle cose spirituali, e in
particolar modo di Dio, è contaminata da ogni sorta d’immaginazioni
che rendono impuro il nostro lavoro u. Di conseguenza, ci sarebbe
veramente da meravigliarsi se tutto questo non dovesse farci cadere
in grave errore.
CAPITOLO
9
Durante
la contemplazione, ogni ricordo,
anche
se si tratta delle cose più sante, è più di ostacolo che di aiuto
Perciò
devi sempre sopprimere l’intensa attività della tua immaginazione
che vien sempre a disturbarti allorché ti disponi a questa cieca
contemplazione. Che se tu non la sopprimi, sarà lei a farlo con te.
Così che quando sei convinto di trovarti in questa oscurità e di
non aver altro pensiero all’infuori di Dio, se vi fai ben
attenzione noterai che la tua mente non è affatto occupata da questa
oscurità, ma dalla chiara considerazione di qualcosa al di sotto di
Dio. In tal caso, questo qualcosa se ne sta per il momento al di
sopra di te, in mezzo tra te e il tuo Dio. Fa’
dunque il serio proposito di rigettare simili considerazioni, per
quanto possano essere sante e attraenti.
Una
cosa ti voglio dire: giova di più alla salvezza della tua anima, ha
più valore, in se stesso e piace di più a Dio e a tutti gli angeli
e i santi in cielo — sì, è di maggiore aiuto a tutti i tuoi amici
nel corpo e nello spirito, vivi o morti — questo cieco slancio
d’amore verso Dio in se stesso e questa continua e segreta
pressione d’amore verso la nube della non-conoscenza. Meglio dunque
sarebbe avere un simile atteggiamento e provarlo come fosse un
sentimento spirituale, piuttosto che contemplare o fissare
l’attenzione sugli angeli o i santi in cielo, o ancora ascoltare la
gioiosa melodia che circonda beati.
Non
meravigliarti di quanto ti dico. Se tu potessi anche una sola volta
percepire chiaramente questo slancio d’amore e questa segreta
pressione, così da giungere per grazia a impossessartene e a
sperimentarli in questa vita, la penseresti anche tu come
me. Stai pur certo, però, che non potrai mai avere la chiara visione
di Dio qui in questa vita. Puoi comunque aver coscienza di lui, se
Dio stesso te lo concede per sua grazia. Eleva dunque il tuo amore
fino a quella nube. O, per meglio dire, lascia che Ilio attiri il tuo
amore su su fino a quella nube. E sforzati, con l’aiuto della sua
grazia, di dimenticare tutto il resto.
Se
il semplice pensiero di qualcosa al di sotto di Dio, pensiero
spontaneo e nient’affatto ricercato, ti allontana di più da Dio
che se non ci fosse stato nemmeno, e ti danneggia a tal punto da
renderti meno capace di sperimentare il frutto del suo amore, quanto
più dannoso si rivelerà un pensiero deliberatamente preso in
considerazione e assecondato. E se il ricordo di qualche santo in
particolare o di qualche oggetto puramente spirituale ti ostacola
così tanto nel tuo lavoro, che ne sarà del ricordo di qualcuno che
ancora vive in questa vita miserabile, o di qualsiasi altra cosa
materiale o mondana?
Io
non dico che quel pensiero improvviso e spontaneo, assolutamente
involontario, pensiero riguardante una cosa buona e puramente
spirituale che si trova al di sotto di Dio, o quell’altro pensiero
suscitato appositamente per accrescere la propria devozione, siano di
per se stessi un male, anche se sono di ostacolo in questo lavoro.
Dio
non voglia che tu mi fraintenda. Quello che voglio dire è che, per
quanto possa essere buono e santo, quel pensiero è più di ostacolo
che di aiuto, almeno per il momento.
Infatti, chi cerca Dio nella perfezione non troverà mai il proprio
riposo nel ricordo di qualche angelo o santo del cielo.
CAPITOLO
10
Come
si fa a sapere se un pensiero è da considerare peccato o meno;
e se è peccato, quando è mortale e quando è veniale
e se è peccato, quando è mortale e quando è veniale
Ma
questo non vale per qualsiasi ricordo di una persona vivente o, di
qualunque altra cosa materiale o mondana. Quel pensiero spontaneo e
improvviso che nasce dentro di te senza che tu lo abbia cercato o
voluto, non ti può certo essere imputato a peccato. Lo si può sì
considerare peccato, in un certo senso, in quanto è la conseguenza
del peccato originale, che ti ha privato del dominio sui tuoi
pensieri. Dal peccato originale però sei stato purificato nel
battesimo.
Diventa,
invece, un vero e proprio peccato se questo impulso improvviso non lo
metti subito a tacere. Il tuo cuore di carne è così fragile che ne
sarebbe facilmente attratto o per una specie di compiacimento, se si
tratta di qualcosa che ti piace o ti è piaciuto in passato, o per
una specie di risentimento, se si tratta di qualcosa che ti fa
soffrire o ti ha fatto soffrire in passato.
Per
coloro che già vivono in peccato mortale, l’attaccamento a questo
impulso non è altro che un ulteriore peccato mortale; ma per te e
per tutti coloro che hanno volontariamente lasciato il mondo per
vivere devotamente, in un modo o nell’altro, in obbedienza alla
santa chiesa (non importa se con voti pubblici o privati), intendendo
così essere governati non dalla vostra volontà o opinione
personale, ma dalla volontà e dai consigli dei vostri superiori,
religiosi o secolari; per voi, dunque, un tale attaccamento del
vostro cuore carnale, o per compiacimento, o per risentimento, non va
certo al di là di un peccato veniale.
La
ragione di tutto questo è che la tua intenzione era già basata e
radicata in Dio quando ancora eri all’inizio dello stato di vita in
cui ora ti trovi, grazie anche all’assistenza e ai consigli di
qualche buon padre spirituale. Ma se tu concedi ampio spazio a questo
compiacimento o risentimento legato al tuo cuore carnale, senza far
niente per reprimerlo, allora finisce per piantar radici
nel tuo cuore spirituale, cioè nella tua volontà, e tutto questo
con il tuo pieno consenso. In tal caso è peccato mortale.
E
questo accade ogni qualvolta tu, o uno di quelli di cui ho appena
parlato, rievochi deliberatamente alla memoria qualche persona
vivente o qualche oggetto materiale o mondano. Se si tratta di
qualcosa o di qualcuno che ti fa soffrire o ti ha fatto soffrire in
passato, allora nasce in te una passione furiosa e una sete di
vendetta: ecco l’ira.
Oppure
ti mostri sdegnato e provi un certo disgusto nei confronti di quella
persona, e fai dei giudizi severi e malevoli
sul suo conto: ecco l’invidia.
O
ancora, si fa strada dentro di te una certa stanchezza e indifferenza
di fronte a qualsiasi buona occupazione, sia materiale che
spirituale: ecco l’accidia.
Se
invece si tratta di qualcosa che ti piace o ti è piaciuto in
passato, allora provi uno smodato piacere ogni qualvolta ci pensi
sopra, qualunque cosa sia, così che ti riposi all’ombra di questo
pensiero, e finisci per legarvi il tuo cuore e la tua volontà, e per
nutrire di questo solo pensiero il tuo cuore carnale. A questo punto
non pensi di poter desiderare nient’altro di meglio se non di
vivere e riposare in pace, in compagnia di questo piacevole pensiero.
Ora, se questo pensiero che tu rievochi deliberatamente o a cui fai
spazio quando viene o su cui ti soffermi con piacere, riguarda
l’eccellenza della natura o del sapere, il fascino o la posizione
sociale, i privilegi o la bellezza, allora ecco la superbia.
Se
invece si tratta di beni terreni, ricchezze o proprietà, o qualsiasi
altra cosa si può possedere o di cui si può essere padroni, ecco la
cupidigia.
Se
poi si tratta di cibi e bevande raffinati, o di qualsiasi altra forma
di delizie del palato, ecco la golosità.
Infine,
se c’entra l’amore o il piacere, o una forma qualsiasi di
impurità, di allettamento o di lusinga, verso gli altri o verso se
stessi, allora ecco la lussuria.
CAPITOLO
11
Occorre
dare la giusta importanza a ogni pensiero e a ogni impulso,
e
stare attenti a non trascurare il peccato veniale
Se
dico questo non è perché ritengo che tu e tutti gli altri di cui ho
fatto menzione siate colpevoli e gravati di tali peccati. Quel che io
voglio è che tu dia la giusta importanza a ogni pensiero e a ogni
impulso, e lavori alacremente per distruggerli alla radice, non
appena fanno la loro comparsa, e ti dànno perciò l’occasione di
peccare.
Ho
una cosa da dirti: chiunque non valuta attentamente o non dà troppo
peso ai primi pensieri, e questo anche se non vi trova alcun motivo
di peccato, si macchia sicuramente di trascuratezza nei confronti del
peccato veniale. Nessun uomo riesce a sfuggire completamente al
peccato veniale in questa vita mortale. Però, tutti i veri discepoli
della perfezione devono evitare la trascuratezza nei confronti del
peccato veniale. In caso contrario, non c’è da meravigliarsi se
prima o poi questi cadono in peccato mortale.
CAPITOLO
12
Con
questo lavoro non solo si distrugge il peccato,
ma
si acquistano anche le virtù
Perciò,
se vuoi tenerti in piedi e non cadere, non recedere mai dal tuo fermo
proposito: colpisci a più riprese la nube della non-conoscenza che
si trova tra te e il tuo Dio, con la freccia acuminata del desiderio
d’amore. Non aver l’ardire di pensare a qualsiasi cosa inferiore
a Dio, e non venir via di lì qualunque cosa capiti. È solo grazie a
questo lavoro che puoi sperare di distruggere il fondamento e la
radice del peccato so
Se
anche dovessi digiunare oltre misura o vegliare fino a tarda notte o
alzarti alle prime luci dell’alba o dormire su un tavolaccio e
portare il cilicio — sì, se anche ti fosse permesso, ma non lo è!,
di cavarti gli occhi o di tagliarti la lingua o di tapparti le
orecchie o le narici o di amputarti le membra, insomma, di torturarti
il corpo in maniera inverosimile —, tutto questo non ti servirebbe
assolutamente a niente. Sentiresti ancora dentro di te gli stimoli e
gli impulsi del peccato.
E
c’è di più: se anche dovessi piangere lacrime di dolore per
tuoi peccati o per le sofferenze di Cristo, o pregustare le gioie del
cielo, a che servirebbe? Certamente ricaveresti molto bene, un grande
aiuto e giovamento e, in definitiva, molta grazia. Ma in confronto a
questo cieco slancio d’amore è veramente ben poca cosa quel che
può farti tutto ciò, se manca l’amore. Proprio in questo, e non
in altro, consiste «l’ottima parte» che Maria ha scelto. Tutto il
resto, senza di essa, è praticamente inutile. E questo amore non
solo distrugge il fondamento e la radice del peccato, per quel che è
possibile nella vita presente, ma in più suscita le virtù. Infatti,
se c’è l’amore, tutte le altre virtù vi sono comprese in
maniera vera, perfetta e sensibile, senza che nulla renda meno retta
la nostra intenzione. Se manca l’amore, invece, si possono avere
tante virtù quante se ne vogliono: saranno tutte in qualche modo
viziate da un’intenzione non retta, e quindi imperfette.
Infatti,
la virtù non è altro che una tendenza dell’animo ben ordinata e
misurata, rivolta direttamente a Dio per amor suo.
Perché?
Ma è lui, in se stesso, la pura causa di tutte le virtù! Tanto è
vero che se qualcuno fosse spinto a
ricercare
una particolare virtù per motivi diversi, anche se Dio fosse il
motivo principale, una virtù del genere sarebbe imperfetta. E questo
lo si vedrà meglio prendendo come esempi una o due virtù, quali
l’umiltà e la carità. Chiunque possiede veramente queste due
virtù non ha bisogno d’altro: ha già tutto.
CAPITOLO
13
In
che cosa consiste l’umiltà;
quando
è perfetta e quando è imperfetta
Esaminiamo
innanzitutto la virtù dell’umiltà.
Vedremo
che questa è imperfetta quando è originata da motivi diversi da
Dio, anche se Dio è quello principale;
è invece perfetta quando trae origine da Dio, e da lui solo.
Iri
primo luogo dobbiamo sapere che cos’è l’umiltà, se vogliamo
intenderla adeguatamente: solo allora saremo in grado di stabilire
con maggior verità da dove trae origine. In se stessa, l’umiltà
non è nient’altro che la vera conoscenza e la piena coscienza del
proprio io, così com’è. Poiché, senz’altro, chiunque riesce a
vedere e sentire se stesso così com’è, in verità di spirito,
costui è veramente umile.
Due
sono le cause dell’umiltà.
La
prima è la degradazione, la miseria e la fragilità dell’uomo,
conseguenze dirette del peccato d’origine: di queste cose dobbiamo
aver coscienza per tutto il tempo della nostra vita mortale,
quand’anche fossimo dei santi.
La
seconda è l’amore sovrabbondante e la perfezione di Dio in se
stesso: nel contemplarlo tutta la natura trema, tutti i dotti
diventano stolti, tutti gli angeli e i santi, ciechi. Che se egli,
nella sua saggezza divina, non avesse ben dosato la loro
contemplazione a seconda della capacità naturale e del progresso
nella grazia, non ci sarebbero parole per dire quello che potrebbe
capitare a essi.
La
seconda delle cause che stiamo considerando è perfetta: durerà per
sempre. La prima, invece, è imperfetta. Infatti non solo vien meno
alla fine della nostra esistenza, ma ancora può capitare che
un’anima, non importa se è santa o miserabile, mentre vive in un
corpo mortale, perda completamente e improvvisamente ogni conoscenza
e coscienza del proprio essere; e tutto questo avviene allorché la
grazia di Dio accresce a dismisura il suo desiderio, con una
frequenza e una durata che dipendono solo
da Dio.
Sia
che capiti spesso o raramente a un’anima che vi è ben preparata,
non penso che quest’esperienza duri più di un brevissimo istante.
Ma
in quell’istante l’anima è perfettamente umile, poiché non
conosce e non sente nessun’altra causa se non quella principale che
è Dio stesso. Ma ogniqualvolta sa e sente che vi è qualche altra
causa oltre a Dio, anche se questi è la ragione principale, allora
la sua umiltà è ancora imperfetta. Nonostante tutto anche questa è
buona, ed è sempre necessario averla. Dio non voglia che tu mi abbia
a fraintendere.
CAPITOLO
14
È
impossibile
che un peccatore giunga all’umiltà perfetta
in questa vita senza passare prima per quella imperfetta
in questa vita senza passare prima per quella imperfetta
Anche
se la chiamo umiltà imperfetta, tuttavia è solo attraverso questa
vera conoscenza e coscienza di me stesso, così come sono, che posso
giungere alla causa perfetta e alla virtù stessa dell’umiltà. E
penso proprio che si faccia più presto in questo modo, che non se
tutti gli angeli e i santi in cielo, in unità con tutti gli uomini e
le donne della santa chiesa in terra, sia religiosi che secolari, di
ogni ordine e grado, si mettessero tutti
insieme per quest’unico scopo: pregare Dio perché mi dia la
perfetta umiltà. Sì, è veramente impossibile che un peccatore
riesca a ottenere, o a conservare quando già ce l’ha, la virtù
perfetta dell’umiltà senza quella imperfetta.
Perciò
sgobba e suda più che puoi per conoscerti a fondo e costatane la tua
miseria. Penso proprio che in tal caso non passerà troppo tempo che
tu potrai avere una vera conoscenza ed esperienza di Dio, così
com’è. Naturalmente
non così com’è in se stesso, poiché nessuno può giungere a
tanto, se non Dio solo; e nemmeno così come lo conoscerai in cielo,
anima e corpo. Ma nella misura in cui può conoscerlo e farne
esperienza un’anima umile che ancora vive in un corpo mortale,
sempre se Dio stesso lo concede.
E
adesso non pensare che per il semplice fatto che ho individuato due
cause dell’umiltà, una perfetta e l’altra imperfetta, io voglio
che tu smetta di lavorar dietro all’umiltà imperfetta per
concentrarti interamente su quella perfetta. No di certo, in questo
modo non riusciresti mai ad acquistarla. Ma se ti ho dato queste
indicazioni è perché voglio che tu ti renda conto della preminenza
di quest’esercizio spirituale nei confronti di qualsiasi altro
esercizio, fisico o spirituale, anche se vien fatto per ispirazione
della grazia. Voglio anche che tu sappia che quest’amore segreto
che preme continuamente sulla nube della non-conoscenza frapposta tra
te e il tuo Dio, se nasce da uno spirito puro contiene veramente e
perfettamente dentro di sé la virtù perfetta dell’umiltà, dal
momento che non va alla ricerca di niente altro in particolare
all’infuori di Dio. Voglio insomma che tu sappia in che cosa
consiste l’umiltà perfetta, perché una volta capìta, tu la possa
amare, a vantaggio sia mio che tuo; e attraverso questa conoscenza tu
possa diventare più umile.
Spesso,
infatti, accade che l’ignoranza è causa di molto orgoglio; almeno,
questo è il mio parere. Con ogni probabilità, se tu non sapessi
qual è l’umiltà perfetta, ti basterebbe avere un po’ di
conoscenza e di esperienza di quella che io chiamo umiltà
imperfetta, per credere di aver quasi acquisito l’umiltà perfetta.
E così inganneresti te stesso, credendo di essere totalmente umile,
quando invece sei divorato da un orgoglio ripugnante e puzzolente.
Cerca dunque di lavorare a più non posso per acquistare l’umiltà
perfetta. Chi l’ha, infatti — e per tutto il tempo che l’ha —,
non commette alcun peccato. E anche quando non l’avrà più, non
commetterà molti peccati.
CAPITOLO
15
Breve
argomentazione contro l’errore di coloro che sostengono
che
l’umiltà perfetta deriva dalla coscienza della propria miseria
Devi
credere fermamente a questo: che esiste un’umiltà perfetta così
come io te l’ho spiegata, e che la si può conseguire, per grazia
di Dio, già su questa terra. Questo discorso io lo faccio per
confutare l’errore di chi sostiene che non vi è causa più
perfetta di umiltà, se non quella che nasce dal ricordo della nostra
miseria e dei peccati commessi.
Sono
pienamente d’accordo sul fatto che per i peccatori incalliti come
me, il modo più necessario ed efficace per ottenere l’umiltà sta
nel ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi, almeno fin
quando non sia stata in gran parte raschiata la spessa ruggine del
peccato, testimoni la nostra coscienza e il nostro direttore
spirituale. Ma per quelli che potremmo definire giusti, che non hanno
cioè mai commesso un peccato mortale con piena avvertenza e
deliberato proposito, ma solo per debolezza e ignoranza, e che ora si
fanno contemplativi — e anche per noi due, se la nostra coscienza e
il nostro direttore spirituale attestano che abbiam fatto debita
ammenda dei nostri peccati attraverso la contrizione, la confessione
e la penitenza secondo la procedura stabilita dalla santa chiesa,
sempre se ci sentiamo chiamati grazia a diventare contemplativi —;
per tutti costoro, dunque, c’è un’altra causa che li renderà
umili.
Questa
causa è a tal punto superiore a quella imperfetta, come la vita
della Madonna è superiore a quella del più accanito peccatore che
conduce vita penitente nella santa chiesa, o come
la
vita di Cristo è superiore a quella di ogni altro uomo al mondo, o
come la vita di un angelo in cielo, il quale non ha mai conosciuto né
mai conoscerà la fragilità umana, è superiore a quella dell’uomo
più fragile qui su questa terra.
Che
se non ci fosse una causa più perfetta di umiltà se non quella di
vedere e sentire la nostra miseria e debolezza, allora vorrei proprio
sapere da coloro che la pensano a questo modo, che cos’è che rende
umili quelli che non hanno mai conosciuto né mai conosceranno
l’assalto del peccato o la miseria umana. Mi riferisco a nostro
Signore Gesù Cristo, alla Madonna e a tutti gli angeli e i santi in
cielo. Che noi dobbiamo essere perfetti, in questo come in tutte le
cose, è nostro Signore Gesù Cristo che ce lo ricorda nel vangelo,
quando ci ordina di essere perfetti per grazia cosa come lui lo è
per natura.
CAPITOLO
16
Grazie
a questo lavoro, un peccatore veramente convertito
e
chiamato alla contemplazione giunge prima alla perfezione
che
non facendo qualsiasi altro lavoro;
e
perdi più in brevissimo tempo può ottenere da Dio il
perdono dei peccati
Che
nessuno accusi di presunzione chi, fosse anche il più miserabile
peccatore di questo mondo, dopo aver fatto debita ammenda dei propri
peccati e aver sentito dentro di sé la vocazione alla vita
contemplativa, con pieno consenso del suo direttore spirituale e
della propria coscienza, osa offrire a Dio il suo umile slancio
d’amore e premere in segreto quella nube della non-conoscenza che
sta tra lui e il suo Dio.
Quando
nostro Signore disse a Maria, tipica rappresentante di tutti i
peccatori chiamati alla vita contemplativa: «Ti sono rimessi i tuoi
peccati», ella non fu perdonata né per il semplice ricordo dei suoi
peccati, né per il grande dolore che ne aveva, e neppure per
L’umiltà che aveva acquistato nel considerare la propria miseria.
Perché allora? Fu senz’altro perché amava tanto.
Ecco!
Qui si può vedere quel che riesce a ottenere da nostro Signore una
segreta pressione d’amore; ed è ben al di là di ogni altra cosa
che possiamo fare o immaginare. Tuttavia devo riconoscere che grande
era il suo dolore e versava lacrime amare per i suoi peccati ed era
veramente ricolma d’umiltà al pensiero della sua miseria. Allo
stesso modo anche noi, che siamo dei miserabili e dei peccatori
incalliti per tutto il tempo della nostra vita, dovremmo provare un
immenso dolore per
i nostri peccati e diventare veramente umili al pensiero della nostra
miseria.
Ma
come? Certamente come ha fatto Maria. Ella non poteva non sentire un
sincero e profondo dolore per i suoi peccati, poiché in tutta la sua
vita li portava con sé dovunque andasse, legati assieme come in un
fardello riposto nell’intimo del suo cuore, così da non scordarli
mai. Ciò nonostante, secondo quanto afferma la bibbia, Maria aveva
un dolore ancora più vivo, una brama più penosa, un sospiro più
profondo, e ancor più si struggeva quasi a morte, perché voleva
amare Dio in misura maggiore: era questo ad angosciarla più che non
il ricordo dei suoi peccati. E tutto ciò, quando già grande era il
suo amore per Dio. Non devi però meravigliarti, poiché a chi ama
sui serio capita veramente così: più ama e più vorrebbe amare.
Tuttavia,
ella era pienamente cosciente di essere la più infame tra tutti i
peccatori e sentiva dentro di sé con rigorosa verità l’abisso che
i suoi peccati avevano creato tra lei e quel Dio che tanto amava. Ed
erano proprio i suoi peccati la causa principale per cui era debole e
non riusciva ad amare Dio come avrebbe voluto.
E
allora? Forse che discese dall’alto del suo desiderio nell’abisso
della
sua
vita peccaminosa, per frugare nel letamaio e nelle acque luride e
stagnanti dei suoi peccati? E si mise forse a tirarli fuori
accuratamente uno alla volta, così da rimuginare, dolersi e piangere
sopra ciascuno di essi? No di certo! Perché? Perché Dio, per sua
grazia, le aveva dato di comprendere nell’intimo del proprio cuore
che non ne sarebbe mai venuta a capo in questo modo. Se avesse agito
così, avrebbe ripreso con ogni probabilità a peccare prima ancora
di ottenere con ciò il perdono di tutti i suoi peccati. Ecco perché
appese il suo amore e il suo ardente desiderio a questa nube della
non-conoscenza e imparò ad amare quel che non sarebbe mai riuscita a
vedere chiaramente in questa vita alla luce della ragione, né a
gustare pienamente nell’intimo con la dolcezza del suo affetto.
E
amava a tal punto, che spesso non si ricordava nemmeno più di essere
stata una peccatrice. Per la maggior parte del tempo era così presa
dall’amore per Dio che, penso, non faceva più caso alla bellezza e
alla grazia del corpo fisico di Cristo, per quanto fosse santo e
prezioso, quando egli sedeva a parlare con lei; e non badava a
nessun’altra cosa, né materiale né spirituale. Questo sembra
essere l’insegnamento del vangelo su questo punto.
CAPITOLO
17
Il
vero contemplativo non ama interessarsi della vita attiva,
né
di
quanto si dice o si fa nei suoi confronti, e non sta a confutare i
suoi detrattori
Nel
vangelo secondo s. Luca sta scritto che mentre nostro Signore si
trovava nella casa di Marta, sorella di Maria, per tutto il tempo in
cui Marta si affaccendava a
preparargli da mangiare, Maria se ne stava seduta ai suoi piedi. E
mentre ascoltava la sua parola, non si curava né dell’affanno
della sorella (anche se era un affanno del tutto buono e santo: non
è, infatti, la prima parte della vita attiva?), né della preziosità
del sacro corpo di Cristo, né della dolcezza umana della sua voce e
delle sue parole (anche se tutto ciò sta a indicare un progresso,
poiché si tratta della seconda parte della vita attiva, ovvero della
prima parte di quella contemplativa).
Ma
quel che le interessava era la suprema saggezza della divinità del
Signore velata dalle parole della sua umanità: a questo mirava con
tutto l’amore del suo cuore. Con tutto quello che vedeva intorno a
sé o si diceva o si faceva nei suoi confronti, non voleva
assolutamente staccarsi di lì: se ne stava seduta senza batter
ciglio e indirizzava un segreto anelito e molti, dolcissimi slanci
d’amore verso quell’alta nube della non-conoscenza che si
frapponeva tra lei e Dio. Voglio dirti questo: non c’è mai stata e
non ci sarà mai in questa vita una creatura, per quanta pura ed
estasiata nel contemplare e amare Dio, che non abbia sempre tra sé e
Dio questa nube della non-conoscenza così alta e misteriosa. Proprio
in questa nube Maria era tutta presa dai molti slanci segreti del suo
amore. Perché? Perché è la parte migliore della contemplazione, e
la più santa che ci possa essere su questa terra. Per niente al
mondo ella avrebbe la sciato questa sua occupazione. Tant’è vero
che quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore e
lo pregò di dirle di alzarsi ad aiutarla e di non lasciarla sola a
servire, ella se ne restò seduta senza dire una parola e non mostrò
alcun segno di risentimento, né protestò nei confronti della
sorella, come invece avrebbe potuto fare. Niente di strano: ella era
intenta a fare un altro lavoro, di cui Marta non si rendeva conto.
Per questo non si curò di ascoltarla, né di rispondere alle sue
lamentele.
Vedi,
amico mio: tutto quel che avvenne tra nostro Signore e queste due
sorelle, in opere, parole e gesti, vale come esempio per tutti gli
attivi e i contemplativi che da allora sono sorti nella santa chiesa
e che ancora vi saranno fino al giorno del giudizio.
Maria
impersona tutti i contemplativi, perché questi devono modellare la
loro vita sulla sua; allo stesso modo e per le stesse ragioni Marta
raffigura tutti gli attivi.
CAPITOLO
18
Anche
ai nostri giorni gli attivi si lamentano dei contemplativi,
così
come Marta fece con Maria.
Causa
di tutte queste lamentele è l’ignoranza
Proprio
come allora Marta si lamentò di sua sorella Maria, così ancor oggi
gli attivi si lamentano dei contemplativi. Infatti, ammettiamo che ci
sia uno — non importa se uomo o donna, secolare o religioso: non
faccio eccezioni — che si sente portato dalla grazia di Dio e da
una buona direzione spirituale ad abbandonare ogni attività
esteriore per dedicarsi completamente alla vita contemplativa,
secondo le sue attitudini e la sua coscienza, non senza il permesso
del suo direttore spirituale: in men che non si dica ecco i suoi
fratelli e le sue sorelle, i suoi migliori amici e molti altri ancora
che non sanno niente del suo forte desiderio interiore o del tipo di
vita a cui si consacra, levare contro. di lui ogni genere di
lamentele, rimproverarlo aspramente e dirgli a chiare lettere che sta
perdendo tempo. Ed eccoli poi raccontare un mucchio di storie, alcune
vere, altre false, sulla caduta di uomini o donne, che si eran votati
anch’essi a tal genere di vita in passato. Mai una volta, però,
che parlino di chi è riuscito a perseverare.
Sì,
lo riconosco: molti di quelli che hanno abbandonato il mondo solo in
apparenza, sono poi caduti, e questo càpita ancor oggi. Siccome non
hanno voluto lasciarsi guidare da un vero direttore spirituale,
invece di diventare servi di Dio e suoi contemplativi, sono divenuti
servi e contemplativi del diavolo, si sono rivolti all’ipocrisia e
all’eresia, oppure sono caduti nella follia e in molti altri mali,
a scandalo di tutta la santa chiesa.
Ma
non è di questo che voglio continuare a parlare, altrimenti, ci
allontaneremmo troppo dal nostro argomento. Semmai più in là, se
Dio vuole ed e necessario, potremo: osservare qualche aspetto della
loro condizione e trovare la ragione della loro caduta. Ma ora basta:
dobbiamo andare avanti nel nostro argomento.
CAPITOLO
19
Una
breve giustificazione dell’autore del libro sul fatto
che tutti i contemplativi dovrebbero scusare pienamente
gli attivi che parlano o agiscono contro di loro
che tutti i contemplativi dovrebbero scusare pienamente
gli attivi che parlano o agiscono contro di loro
Qualcuno
potrebbe pensare che io porto poco rispetto a Marta, questa santa del
tutto particolare, paragonando le sue parole di rimprovero nei
confronti della sorella a quelle degli uomini del mondo o viceversa.
Sia ben chiaro che io non intendo affatto mancare di rispetto né a
lei né a essi. Dio non voglia che io dica in questo libro qualcosa
che possa gettar discredito su qualcuno dei servi del Signore, a
qualunque grado appartenga, e in special modo su questa sua santa del
tutto particolare.
Penso,
infatti, che si debba comprendere e scusare appieno la sua lamentela
se si considera il momento e il modo in cui la fece. La causa prima
di tutto quel che disse, era la sua ignoranza. Non c’è da stupirsi
se in quel momento. Marta non sapeva in qual modo
Maria era occupata: credo proprio che non avesse sentito parlar molto
in precedenza di una simile perfezione. Inoltre, quel che disse, lo
disse in maniera cortese e succinta. Perciò la si deve considerare
pienamente scusata.
Allo
stesso modo, penso che questi uomini e queste donne del mondo che
vivono nella vita attiva, hanno tutte le buone ragioni per essere
scusati delle loro parole di rimprovero, cui si è accennato poco
sopra. E non importa se si esprimono in maniera rude: bisogna tener
conto della loro ignoranza. Come Marta sapeva ben poco di quel che
sua sorella Maria stava facendo, quando
lei si lamentava con nostro Signore, così le persone del nostro
tempo sanno anch’esse ben poco o niente di quel che si propongono i
giovani discepoli di Dio quando lascian da parte gli affari di questo
mondo e si sforzano di diventare servi speciali di Dio in spirito di
santità e giustizia. Che se invece lo sapessero, son proprio sicuro
che non parlerebbero e non agirebbero a quel modo. Perciò penso che
dobbiamo ritenerli scusati in qualsiasi caso: non conoscono alcun
genere di vita migliore di quel che essi stessi vivono.
Inoltre,
quando penso alle innumerevoli colpe che io ho commesso in passato,
sia in parole che in opere, a causa della mia ignoranza, allora mi
viene in mente che se voglio essere scusato da Dio per questi miei
peccati d’ignoranza, anch’io devo aver pietà e misericordia per
gli altri, scusando sempre quelle parole e azioni che derivano dalla
loro ignoranza. Altrimenti, non farei certo agli altri quel che
vorrei che essi facessero a me.
CAPITOLO
20
La
bontà di Dio onnipotente che risponde per conto di tutti quelli che,
piuttosto che difendersi dalle accuse, non smettono di amarlo
Penso,
dunque, che quanti intendono diventare contemplativi non solo
dovrebbero scusare gli altri per le loro parole di rimprovero, ma
dovrebbero altresì essere così occupati spiritualmente da prestare
poca o addirittura nessuna attenzione a ciò che si va dicendo o
facendo nei loro confronti. È quel che fece Maria, nostro esempio in
tutto questo, quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro
Signore. E se noi faremo altrettanto, nostro Signore non mancherà di
fare per noi oggi quel che fece allora per Maria.
Ecco
quanto fece, nella sua bontà, nostro Signore Gesù Cristo, a cui non
può sfuggire nessun segreto. Quando Marta gli chiese di far da
giudice e di dire a Maria di alzarsi per aiutarla a servire, siccome
vedeva che Maria era tutta spiritualmente intenta ad amare la sua
divinità, con grande cortesia e correttezza rispose lui al suo
posto. Ella, infatti, non se la sentiva di lasciar da parte il suo
amore per lui, per poter così discolparsi. E come rispose nostro
Signore? Certo non come, giudice, secondo quanto aveva invocato
Marta; ma come avvocato prese legittimamente le difese di colei che
lo amava e disse: «Marta, Marta!». Per ben due volte pronunciò il
suo nome, e questo fece per il suo bene, perché voleva che ella lo
sentisse e prestasse attenzione alle sue parole. «Tu ti preoccupi —
le disse — e ti affanni per molte cose». Gli attivi, infatti,
devono sempre occuparsi e interessarsi di una gran varietà di cose,
dapprima per provvedere ai loro bisogni, e poi per fare delle opere
di misericordia verso il prossimo, come richiede la carità
cristiana. Così disse a Marta perché voleva farle comprendere che
il suo affanno era cosa buona e utile alla salute dell’anima. Ma
perché non pensasse che il suo lavoro fosse il migliore che si
potesse fare, aggiunse: «Ma una sola è la cosa di cui c’è
bisogno».
Qual
è dunque questa cosa? Certamente che si ami e lodi Dio per se
stesso, al di sopra di ogni altra attività, materiale o spirituale,
che l’uomo possa fare. E affinché Marta non pensasse di poter
amare e lodare Dio al di sopra di ogni altra attività materiale o
spirituale, e contemporaneamente occuparsi delle necessità di questa
vita, per liberarla dunque dal dubbio di poter servire Dio in maniera
perfetta attraverso le attività materiali e spirituali nello stesso
tempo — poteva sì farlo, ma in maniera imperfetta aggiunse che
Maria aveva scelto «l’ottima parte» che non le sarebbe mai stata
tolta.
Infatti,
quel perfetto slancio d’amore che inizia qui sulla terra è ancora
lo stesso che durerà per sempre nella
beatitudine del cielo: l’uno e l’altro sono una sola cosa.
CAPITOLO
21
L’esatta
interpretazione di questa
frase del
Vangelo:
«Maria ha scelto l’ottima parte»
«Maria ha scelto l’ottima parte»
Cosa
significa questa frase: «Maria ha scelto l’ottima parte»? Ogni
qualvolta si stabilisce o si nomina una cosa come «ottima», si
presume l’esistenza di altre due prima di essa: l’una «buona»,
l’altra «migliore», cosicché vi sia «l’ottima», che è terza
per numero. Ma quali sono queste tre cose buone di cui Maria ha
scelto «l’ottima»? Tre tipi di vita, no di certo, poiché la
santa chiesa ne conosce soltanto due: la vita attiva e quella
contemplativa. E questi due tipi di vita sono allegoricamente
raffigurati nel brano evangelico dove si parla delle due sorelle,
Marta e Maria. Marta rappresenta la vita attiva, Maria quella
contemplativa. Nessun uomo si può salvare senza l’una o l’altra
di queste vite; d’altra parte, è impossibile scegliere quale sia
l’ottima, dal momento che fra due cose soltanto se ne dà
unicamente una migliore dell’altra.
Ma
sebbene ci siano solo due tipi di vita, tuttavia in essi sono
comprese tre parti, ognuna superiore all’altra. Di queste tre parti
si è già parlato prima in questo libro e ciascuna è stata. messa
secondo un certo ordine.
La
prima parte, come si è detto, consiste in opere di carità e di
misericordia corporale, tutte cose buone e oneste. Questo è il primo
stadio della vita attiva.
La
seconda parte di questi due tipi di vita è composta da efficaci
meditazioni spirituali sulla nostra miseria., sulla passione di
Cristo e sulle gioie celesti. Se la prima parte e buona, questa e
ancora migliore, poiché e il secondo stadio della vita attiva e il
primo di quella contemplativa. In questa seconda parte, la vita
attiva e quella contemplativa sono unite insieme in una sorta di
parentela spirituale, e fatte sorelle come Marta e Maria. Fino a
tale altezza di contemplazione può giungere un attivo, e non più in
alto, tranne in rarissime occasioni e per una grazia tutta
particolare. Fino a tale profondità può scendere verso la vita
attiva un contemplativo, e non più in basso, se non in casi
rarissimi e per grave necessita.
La
terza parte di questi due tipi di vita e tutta racchiusa nella nube
della non-conoscenza ed è fatta di innumerevoli slanci d’amore
rivolti a Dio così com’è, nel segreto del proprio cuore.
La
prima parte è buona, la seconda è migliore, la terza è ottima
sotto ogni aspetto. Questa è «l’ottima parte» di Maria. Di qui
si può facilmente comprendere perché nostro Signore non disse che
Maria aveva scelto «l’ottima vita», dal momento che ci son solo
due vite e che tra le
due non si può scegliere l’ottima, ma solo la migliore. Di questi
due generi di vita «Maria ha scelto — disse — l’ottima parte,
quella che non le sarà tolta mai».
La
prima e la seconda parte sono sì buone e sante, ma terminano con
questa vita. Infatti, nell’altra vita non ci sarà bisogno, come
adesso, delle opere di misericordia, né di piangere per la nostra
miseria o per la passione di Cristo. E nessuno soffrirà la fame o la
sete, come invece su questa terra; nessuno morirà di freddo, né
sarà ammalato o senza casa o in prigione; e nessuno avrà
bisogno di essere seppellito, perché nessuno dovrà più morire. Ma
la terza parte che Maria ha scelto, la scelga chi per grazia di Dio
si sente chiamato a seguirla. O meglio, chiunque è scelto da Dio per
quella parte, segua con lena e con gioia la sua inclinazione. Quella
parte non gli sarà tolta mai: infatti, anche se comincia in questa
vita, durerà per sempre.
Lasciate,
dunque, che la voce del Signore si levi contro questi attivi, come se
stesse parlando loro in questo momento in nostro favore, così come
fece allora con Marta per difendere Maria, dicendo: «Marta, Marta!».
«Attivi, attivi!, datevi da fare più che potete nella prima e nella
seconda parte, ora nell’una, ora nell’altra, o se proprio volete
e vi sentite pronti, in tutt’e due contemporaneamente. Ma non
impicciatevi degli affari dei contemplativi. Voi non sapete niente
del loro travaglio interiore. Lasciateli stare, seduti nel loro
riposo a godersi la terza e ottima parte scelta da Maria».
CAPITOLO
22
L’amore
meraviglioso di Cristo per Maria, che rappresenta tutti i peccatori
sinceramente
pentiti e chiamati alla grazia della contemplazione
Davvero
dolce era l’amore tra nostro Signore e Maria. Ella lo amava tanto,
ma ancor più grande era il suo amore per lei. Chiunque si mettesse a
esaminare attentamente il rapporto stabilito tra loro due, non
secondo quanto può riferire un ciarlatano qualsiasi, ma secondo la
testimonianza che deriva dal racconto del vangelo, in cui non vi può
essere niente di falso, troverebbe che l’amore di Maria per Cristo
era così vivo che nessuna cosa al di sotto di Lui riusciva a
soddisfarla o ad allontanare il suo cuore da Lui.
Colei
di cui stiamo parlando, è la stessa Maria che non volle essere
consolata dall’angelo, quando cercava il Signore al sepolcro tutta
piangente. Nonostante le dolci e amorevoli parole degli angeli: «Non
piangere, Maria; colui che cerchi, nostro Signore, è risorto; potrai
averlo e vederlo vivo in tutta la sua bellezza tra i suoi discepoli
in Galilea, così come aveva preannunciato», ella non smise di
piangere. Infatti pensava che chiunque intende veramente cercare il
Re degli angeli, non vuol fermarsi a dei semplici angeli.
Che
c’è ancora? Indubbiamente chi esamina con attenzione i racconti
evangelici riguardanti Maria, vi può trovare molti altri episodi
meravigliosi di amore perfetto, scritti sul suo conto a nostra
edificazione e in così stretta armonia con l’insegnamento di
questo libro, come se fossero stati redatti a tal proposito. E
certamente è così. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
E
se qualcuno vuol vedere scritto nel vangelo quell’amore
meraviglioso e particolare che nostro Signore aveva verso
Maria,
figura di tutti i peccatori abituali sinceramente pentiti e chiamati
alla grazia della contemplazione, costui troverà che nostro Signore
non
permise
a nessuno, uomo o donna che fosse, e nemmeno a Marta, di pronunciare
una sola parola contro la sorella; anzi, si mise a difenderla lui
stesso. Ancora, rimproverò Simone il lebbroso nella sua stessa casa
per aver pensato male di lei. Questo sì che è un grande amore; un
amore davvero impareggiabile.
CAPITOLO
23
Dio
risponde e provvede in modo spirituale
a
favore di coloro che per amor suo dimenticano se stessi
Indubbiamente,
se avremo un vero desiderio e ci
sforzeremo, almeno per quanto sta a noi e con l’aiuto della grazia
e della direzione spirituale, di conformare il nostro amore e il
nostro modo di vivere a quello di Maria, nostro Signore non mancherà
di rispondere in maniera spirituale anche per noi, oggi e sempre,
nell’intimo del cuore di coloro che dicono o, pensano male di noi.
Con
questo non intendo dire che per tutto il tempo che passiamo in questa
vita piena di affanni, non avremo più detrattori o criticoni, come
li ebbe invece Maria. Dico piuttosto che se non presteremo orecchio
alle loro critiche e non lasceremo a metà il nostro interiore lavoro
spirituale a causa delle loro parole e dei loro pensieri — seguendo
così l’esempio di Maria —, allora nostro Signore risponderà a
essi in spirito, se avranno parlato o pensato senza pregiudizi, così
che nel giro di pochi giorni si vergogneranno delle loro parole e dei
loro pensieri.
E
come risponderà per noi in spirito, così indurrà altri in maniera
tutta spirituale a darci il necessario per vivere: cibo, vestiti, e
cosa via, sempre se vedrà che noi non abbiamo alcuna intenzione di
smettere di amarlo per attendere a queste cose. Questo dico per
confutare l’errore di quanti sostengono che non è giusto mettersi
a servire Dio nella vita contemplativa, se prima non ci
si è assicurati il necessario per il proprio sostentamento. Essi
dicono: «Aiutati che Dio ti aiuta». In realtà sparlino di Dio, e
lo sanno bene. Infatti, chiunque tu sia ad aver abbandonato con tutta
sincerità il mondo per volgerti a Dio, sta’ pur certo che egli ti
manderà, indipendentemente dai tuoi sforzi personali, l’una o
l’altra di queste due cose: una gran quantità di beni o la forza
fisica e la pazienza spirituale per sopportare.
Che
importa quale delle due si ottiene? Per il vero contemplativo non c’è
alcuna differenza.
Per
chi ha dei dubbi a questo proposito, si dovrà dire che ha in cuore
il diavolo che gli impedisce di credere, oppure non si è ancora
convertito cosa sinceramente come dovrebbe, per quanto possano essere
ingegnose e pie le scuse da lui addotte. Perciò, tu che ti proponi
di diventare un contemplativo al pari di Maria, accetta di buon grado
di essere umiliato dall’incomparabile grandezza e perfezione di Dio
(questa è l’umiltà perfetta), piuttosto che dalla tua miseria
personale (questa è l’umiltà imperfetta). In altre parole, fissa
in maniera speciale la tua attenzione più sull’eminenza di Dio che
sulla tua pochezza. A quelli che possiedono l’umiltà perfetta non
manca assolutamente niente, né di materiale né di spirituale. Essi,
infatti, hanno Dio, in cui sta tutta la pienezza, e chi possiede lui,
come questo libro va continuamente dicendo, non ha bisogno di
nient’altro in questa vita.
CAPITOLO
24
Che
cos’è la carità, e come è veramente e perfettamente
contenuta nella contemplazione
contenuta nella contemplazione
Abbiamo
parlato dell’umiltà, di come essa è tutta racchiusa, in maniera
vera e perfetta, in quello slancio d’amore così piccolo e cieco
che va a colpire l’oscura nube della non-conoscenza, dopo aver
soppresso e rigettato, nell’oblio ogni altra cosa. Questo vale,
tuttavia, per tutte le virtù, e in particolare per la carità.
La
carità, infatti, consiste unicamente (e tu non dovresti intenderla
in altro modo) nell’amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni
creatura, e nell’amare il prossimo come se stessi, per amore di
Dio.
Ora,
che nella contemplazione si debba amare Dio in se stesso, al di sopra
di ogni creatura, mi sembra abbastanza evidente: come ho già detto
prima, in sostanza questo lavoro non è nient’altro che un puro
anelito diretto a Dio in se stesso, e a lui solo. Sì,
l’ho chiamato puro anelito, perché in quest’opera chi sta
diventando vero contemplativo non pretende né una riduzione della
pena, né un aumento della ricompensa, ma per dirla in breve, non
chiede altro che Dio. Cosicché non gli importa più niente se è
afflitto o contento: la sua unica preoccupazione è che sia fatta la
volontà di colui che egli ama. Ecco come in questo lavoro si arriva
ad amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura e in maniera
perfetta. Chi compie alla perfezione il lavoro, non permetterà mai
che il semplice ricordo di una creatura, fosse anche la più santa
che Dio abbia mai creato, venga ad occupare la sua attenzione.
Nella
contemplazione si realizza in maniera perfetta anche il secondo
aspetto della carità, quello relativo al prossimo. Che ciò sia vero
non ci vuol molto a dimostrarlo. Infatti il perfetto contemplativo
non tiene in particolare considerazione nessun uomo in quanto tale,
parente o estraneo, amico o nemico che sia. Tutti gli uomini sono
suoi fratelli in egual misura e nessuno gli è estraneo; tutti gli
uomini sono suoi amici e nessuno è suo nemico: ecco come la pensa. E
giunge al punto di considerare come suoi amici carissimi proprio
quelli che gli
fan del male o che lo fanno soffrire, e si sente spinto ad augurar
loro lo stesso bene che si augura all’amico più caro.
CAPITOLO
25
Durante
la contemplazione l’anima perfetta
non
si interessa di nessuna persona in particolare
Naturalmente
non intendo dire che in questo lavoro il contemplativo debba avere un
particolare riguardo nei confronti di chicchessia su questa terra,
amico o nemico, parente o estraneo. Questo, infatti, non può
assolutamente avvenire nella contemplazione perfetta, quando ogni
cosa, tranne Dio, deve essere rigettata nell’oblio più completo.
Ma
quel che voglio dire è che, grazie a questo lavoro, egli sarà reso
così virtuoso e caritatevole, che anche quando scenderà dalle sue
altezze per conversare o pregare per il suo prossimo, si mostrerà
sollecito in egual misura verso il suo amico come verso il suo
nemico, verso gli estranei come verso i parenti. Sì, e talvolta più
verso i suoi nemici che verso i suoi amici. Non è che per fare
questo egli smetta di contemplare, il che sarebbe peccato grave. Ma
di tanto in tanto è bene che discenda in fretta dalle sue altezze,
per soddisfare le esigenze della carità.
In
questo lavoro d’amore non ha tempo di considerare chi è amico o
nemico, parente o estraneo. Non voglio negare che a volte, e anche
frequentemente, sente un affetto più intenso verso alcuni piuttosto
che verso altri: si tratta di una cosa del tutto legittima, e per
molte ragioni. È la carità stessa che lo richiede. Anche Cristo,
infatti, sentiva un affetto più intenso verso Giovanni e Maria e
Pietro, piuttosto che verso molti altri. Ma quando uno tutto preso da
questo lavoro, allora, qualsiasi persona gli è ugualmente cara,
poiché non trova altro motivo d’amore se non Dio stesso. Così che
egli ama tutti come se stesso, in maniera piena e semplicemente per
amore di Dio.
Tutti
gli uomini sono sulla via della perdizione in Adamo, ma
quelli che testimoniano con le opere il loro desiderio di salvezza
sono salvati in virtù della passione di Cristo, e di nessun altro.
Ora, in maniera non troppo dissimile, un’anima dedita totalmente
alla
contemplazione, e quindi unita a Dio in spirito, fa tutto il
possibile (ne è prova questo stesso lavoro) per rendere gli altri
perfetti come lei. Se un membro del nostro corpo e malato, tutte le
altre membra ne risentono e soffrono con lui; se invece un membro è
sano, gioiscono con lui tutte le altre membra. La
stessa cosa vale
spiritualmente per le membra della santa chiesa. Cristo, infatti, è
il nostro capo, e noi. siamo le
membra, sempre se restiamo nella carità. E chiunque vuol farsi
discepolo
perfetto di nostro Signore, deve compiere ogni sforzo in questo
lavoro spirituale per la salvezza, di tutti coloro che per natura
sono a lui fratelli e sorelle, cosa come nostro Signore diede la sua
vita sulla croce. E non la diede solo per i suoi amici più intimi o
per i suoi parenti più prossimi, per tutta l’umanità in generale,
senza alcuna particolare attenzione nei confronti dell’uno o
dell’altro. Cosicché quanti intendono rinunciare al peccato e
invocare la misericordia di Dio saranno salvati in virtù della
passione di Cristo.
Quanto
è stato detto a proposito dell’umiltà e della carità vale anche
per tutte le altre virtù. Queste, infatti, sono tutte veramente
racchiuse in quel piccolo slancio d’amore a cui si è già fatto
cenno.
CAPITOLO
26
Senza
una grazia del tutto speciale o una lunga pratica nella grazia
comune,
la
contemplazione si rivela un lavoro molto faticoso.
E
in questo lavoro qual è il compito dell’anima,
aiutata
dalla grazia, e quello di Dio
Perciò
lavora sodo, almeno per il momento, e picchia a più non posso su
quest’alta nube della non-conoscenza. Ti riposerai più tardi. È
un lavoro duro, è inutile nasconderlo, per chiunque voglia
intraprendere la strada della contemplazione. Sì, è davvero un
lavoro faticoso, a meno che non sia reso più agevole da una grazia
del tutto speciale o dal fatto che ormai uno vi si è abituato da
lungo tempo.
Ma
in che cosa consiste la fatica che accompagna questo lavoro? Certo,
non
in
quel devoto slancio d’amore che sgorga senza sosta dall’animo del
contemplativo, non per sua propria virtù, ma per mano di Dio
onnipotente. Egli, infatti, è sempre pronto a suscitare questo forte
desiderio in ogni anima volonterosa, che fa tutto il possibile, e già
da molto tempo, per prepararsi adeguatamente a un simile lavoro.
Ma
in che cosa consiste, allora, questa fatica? Senz’altro nel
soffocare il ricordo di tutte le creature che Dio ha creato e nel
ricacciarle sotto quella nube d’oblio di cui abbiamo già parlato.
Qui sta tutta la fatica, poiché essa è opera dell’uomo, anche se
è aiutato dalla grazia di Dio. Quello invece a cui si è fatto cenno
prima, lo slancio d’amore, è opera di Dio, e di lui solo.
Continua, dunque, a fare la tua parte; ti assicuro che egli non
mancherà di fare la sua.
Su,
datti da fare, e in tutta fretta! Vediamo come te la cavi. Non vedi
che è lì ad aspettarti? Vergognati! Basta che tu ti metta a lavorar
sodo per un momento, e ben presto ti accorgerai che il tuo lavoro non
è così immane e difficile. Infatti, anche se all’inizio, quando
la tua devozione è ancora scarsa, risulta difficile e arduo da
compiere, tuttavia in seguito, una volta che la tua devozione sarà
giunta a buon punto, quel che prima era così duro e gravoso
diventerà soave e leggero. Può darsi che in certi momenti tu non
abbia più niente da fare,. o comunque pochissimo, dal momento che
Dio, talvolta compirà egli stesso tutto il lavoro. Non sempre però,
né per lungo tempo, ma quando vuole lui e come vuole lui. In questo
caso, sarai tutto contento di lasciargli fare a modo suo.
A
questo punto può anche darsi che, di tanto in tanto, egli emani un
raggio di luce spirituale cosa da trapassare la nube della
non-conoscenza che sta tra te e lui, e ti sveli parte dei suoi
segreti, dei quali l’uomo non ha né il permesso né la facoltà di
parlare. Allora sentirai ardere in cuore la fiamma del suo amore più
di
quanto io non riesca a dire in questo momento. Non mi arrischio
infatti a parlare, con la mia lingua carnale
così balbuziente, di quel lavoro che spetta a Dio, e a lui solo; e
in definitiva, se anche potessi farlo, non lo farei ugualmente. Ma
del lavoro che spetta all’uomo, quando si sente stimolato e aiutato
dalla grazia, di questo parlo volentieri, poiché è meno rischioso
che parlare del lavoro di Dio.
CAPITOLO
27
Chi
dovrebbe impegnarsi in questo lavoro di grazia
Per
prima cosa ti voglio indicare chi deve darsi al lavoro contemplativo,
e poi quando e come, e infine con quale moderazione.
Se
mi domandi chi deve assumersi questo lavoro, ecco la mia risposta:
tutti coloro che hanno veramente abbandonato il mondo cori decisione
per dedicarsi non alla vita attiva, ma alla vita contemplativa. Sono
proprio costoro che dovrebbero impegnarsi in questo lavoro di grazia,
chiunque essi siano, peccatori incalliti o meno.
CAPITOLO
28
Nessuno
dovrebbe presumere di poter diventare
un contemplativo senza aver prima debitamente purificato
la propria coscienza da tutte le azioni peccaminose
un contemplativo senza aver prima debitamente purificato
la propria coscienza da tutte le azioni peccaminose
Ma
se vuoi sapere quando devono dedicarsi al lavoro contemplativo,
allora ti rispondo a questo modo: non prima di aver purificato la
loro coscienza da tutti i peccati commessi in precedenza, secondo la
comune disciplina della santa chiesa.
In
questo lavoro l’anima fa seccare completamente le radici e le
fondamenta del peccato, che ancor restano anche dopo la confessione,
a dispetto di tutto l’impegno che uno vi può mettere. Perciò
chiunque vuol compiere ogni sforzo per diventare contemplativo, deve
innanzitutto purificare la sua coscienza, e solo in seguito, dopo
aver fatto debita ammenda dei propri peccati, può disporsi alla
contemplazione con coraggio, sì, ma anche con umiltà. E farebbe
bene a ricordarsi di tutto il tempo in cui ha fatto tutt’altro.
Infatti,
è questo il lavoro in cui l’anima dovrebbe impegnarsi per tutta la
vita, anche se non avesse mai commesso un peccato grave. E per tutto
il tempo in cui abiterà in questo corpo mortale, l’anima avvertirà
sempre la presenza ingombrante della nube della non-conoscenza tra sé
e Dio. Inoltre, come conseguenza del peccato originale, vedrà e
sentirà costantemente dentro di sé qualcuna delle creature che Dio
ha fatto, o qualche loro opera, tutte protese a intromettersi tra sé
e Dio.
Anche
questo fa parte della saggezza e della giustizia di Dio: l’uomo,
quand’era signore e padrone di tutte le altre creature, si rese
volontariamente schiavo dei suoi stessi sudditi, disubbidendo al
comando di Dio, suo creatore, cosicché ora, ogniqualvolta vuol
eseguire quel comando, vede e sente ergersi al di sopra di sé e
intromettersi di prepotenza tra sé e Dio, quelle stesse creature che
dovrebbero star sotto di lui.
CAPITOLO
29
Bisogna
impegnarsi continuamente in questo lavoro,
sopportarne pazientemente le sofferenze, e non giudicare nessuno
sopportarne pazientemente le sofferenze, e non giudicare nessuno
Perciò
chi vuol veramente riacquistare la purezza persa con il peccato e
conseguire quello stato salutare in cui non vi è, più dolore, deve
impegnarsi continuamente in questo lavoro, sopportandone
pazientemente le conseguenze: questo vale sia per un peccatore
incallito che per chiunque altro.
Tutti
trovano estremamente, faticoso questo lavoro: sia i peccatori, sia i
giusti che non hanno mai commesso un peccato mortale.
Ma
in definitiva è molto più gravoso per i primi che non per gli
altri, ed è anche giusto che sia così. Tuttavia, capita spesso che
alcuni peccatori incalliti, colpevoli di peccati orribili, giungano
alla contemplazione perfetta prima di altri che non han mai peccato
gravemente. Questo è un miracolo della misericordia di nostro
Signore, il quale dona loro la sua grazia particolare per riempire di
stupore il mondo intero. Ma non ci sarà certo stupore al giorno del
giudizio — almeno, io credo —, quando potremo vedere Dio e tutti
i suoi doni con chiarezza. Alcuni che ora sono disprezzati e che non
godono la minima stima, poiché sono comuni peccatori o forse anche
peccatori incorsi in orribili mancanze, in quel giorno siederanno a
buon diritto al cospetto di Dio in compagnia dei santi. Altri,
invece, che ora sembrano aver raggiunto la perfezione della santità,
che son venerati dagli uomini al pari degli angeli e che forse non
hanno mai commesso un peccato mortale, troveranno posto negli abissi
dell’inferno, là dov’è pianto e stridor di denti.
Di
qui si può vedere come nessun uomo dovrebbe giudicare un altro in
questa vita, né in bene; né in male. Le azioni, quelle sì, possono
essere legittimamente giudicate buone o cattive, ma non gli uomini.
CAPITOLO
30
Chi può biasimare e condannare le colpe degli altri
Chi può biasimare e condannare le colpe degli altri
Ma
chi potrà giudicare le azioni degli uomini?
Senza
alcun dubbio quelli che hanno in cura le loro anime e che sono
investiti della debita autorità: non importa se ufficialmente,
secondo gli ordinamenti della santa chiesa, oppure privatamente e
spiritualmente, per una particolare ispirazione dello Spirito santo,
in carità perfetta. Ciascuno, dunque, stia attento a non arrogarsi
la facoltà di biasimare e condannare le colpe altrui, a meno che non
vi si senta veramente stimolato dentro di sé dallo Spirito santo.
Diversamente; potrebbe incorrere in errore con sorprendente facilità
nel dare dei giudizi. Perciò, fa’ attenzione: giudica te stesso se
vuoi, con
l’aiuto di Dio o del tuo padre spirituale, ma lascia stare gli
altri.
CAPITOLO
31
Come
si deve comportare il principiante nei confronti
dei pensieri e degli impulsi peccaminosi
dei pensieri e degli impulsi peccaminosi
Quando
avrai la sensazione di aver fatto tutto il possibile per correggere
adeguatamente i tuoi peccati, secondo quanto stabilisce la santa
chiesa, da quel momento mettiti subito a lavorare con decisione in
questo lavoro. A questo punto, se tra te e Dio si intromette
continuamente il ricordo delle tue azioni passate, o qualche nuovo
pensiero o impulso peccaminoso, devi camminarvi sopra con passo
fermo, in un fervente slancio d’amore, calpestarli sotto i piedi. E
cerca di ricoprirli con una fitta nube d’oblio, come se non
avessero niente da spartire né con te né con nessun altro. Se anche
si fan vivi spesso, non avere indecisioni: ogniqualvolta alzano la
testa, tu ricacciali in basso.
E
se pensi di non potercela fare normalmente, niente t’impedisce di
ricorrere a ogni sorta di trucchi, sotterfugi e stratagemmi
spirituali per eliminarli. E questi espedienti te li insegnerà molto
meglio Dio per esperienza che non qualsiasi altro uomo su questa
terra.
CAPITOLO
32
Due
stratagemmi spirituali che possono essere di aiuto al principiante
Tuttavia,
penso di poterti suggerire alcuni di questi stratagemmi spirituali.
Prova a metterli in pratica e vedi di
trovare qualcosa di meglio, se ci riesci. Fa’ in modo di
comportarti come se non sapessi niente della continua pressione
esercitata da
quei pensieri tra te e Dio. Prova a guardare, come dire?, sopra le
loro spalle, quasi a cercare qualcosa d’altro: e questo qualcosa è
Dio, avvolto nella nube della non-conoscenza. Se fai così, ti
assicuro che in pochissimo tempo ti sentirai sollevato nel tuo
lavoro. Credo proprio che questo stratagemma, se lo si considera
nella giusta luce, non è nient’altro che un ardente desiderio di
gustare e vedere Dio, per quanto è possibile quaggiù. Tale
desiderio è la carità, che riesce sempre a ottenere un certo
appagamento.
Ed
ecco un altro stratagemma spirituale che puoi benissimo adottare, se
vuoi. Quando ti accorgi di non potercela fare in nessun modo a
ricacciare quei pensieri, mettiti tutto accovacciato dinanzi a loro,
come un soldato povero e debole sopraffatto in battaglia, e ragiona
così dentro di te: «È da pazzi continuare a lottare con loro,
ormai sono perduto per sempre». In questo modo ti abbandoni a Dio,
mentre sei nelle mani dei tuoi nemici. Ti prego di prestare molta
attenzione a questo espediente. Infatti, se tu lo metti in pratica,
va a finire, secondo me, che ti sciogli in
lacrime. Sono
peraltro certo che questo stratagemma, se lo si intende bene e per il
verso
giusto, non è altro che la vera conoscenza e
la piena coscienza di quel che sei in realtà: un essere miserabile e
corrotto, ancor peggio che niente. Una tale conoscenza e coscienza di
sé è l’umiltà stessa. E quest’umiltà fa sì che Dio in
persona, nella sua potenza, scenda a vendicarti dei tuoi nemici, e
che nel suo amore infinito ti risollevi a sé per asciugare i tuoi
occhi spirituali, così come fa un padre con il proprio figlio che
sta per finire, nelle fauci dei cinghiali o di orsi inferociti.
CAPITOLO
33
In
questo lavoro il peccatore viene purificato
dai
suoi peccati particolari e anche dalla pena che ne consegue:
tuttavia non c’è mai un perfetto riposo per lui in questa vita
tuttavia non c’è mai un perfetto riposo per lui in questa vita
Per
il momento non ti voglio indicare altri stratagemmi, anche perché se
ti sarà data la grazia di metterli in pratica, sono convinto che
sarai tu a dovere insegnare a me, e non il contrario. E se ora sono
io a insegnare a te, devo comunque confessare con tutta sincerità
che ho ancora molta strada da percorrere per esserne degno. Perciò
ti prego di aiutarmi e di agire per il tuo bene, ma anche per il mio.
Forza,
allora, e non perdere un attimo, te ne prego. Se anche non ottieni
immediato successo con questi espedienti, non prendertela, ma
sopporta in tutta umiltà questa pena: in verità, è il tuo
purgatorio. Quando avrai penato abbastanza e avrai ormai acquisito,
per grazia di Dio, quei mezzi che lui stesso ti avrà suggerito,
allora, non ho alcun dubbio, sarai senz’altro purificato non solo
dal peccato, ma anche dalla pena conseguente. Mi riferisco
naturalmente alla pena particolare che deriva dai tuoi peccati
personali commessi in passato, e non alla pena del peccato originale.
Quest’ultima, infatti, peserà su di te fino al giorno della tua
morte, per quanto tu possa darti da fare. Tuttavia non ti darà gran
fastidio, in confronto alla pena particolare dei tuoi peccati
personali. Non
per questo dovrai ritenerti dispensato da un faticoso lavoro.
Infatti, ogni giorno il peccato originale produce impulsi peccaminosi
sempre nuovi e allettanti, e ogni giorno tu devi impegnarti ad
abbatterli e a reciderli a colpi terribili con la spada del
discernimento, un’arma affilata e a doppio taglio. Al che puoi ben
vedere e comprendere come non vi è né definitiva vittoria, né vero
riposo in questa vita.
Nondimeno,
non devi tirarti indietro per questo motivo, né lasciarti spaventare
dalla paura dell’insuccesso. Poiché se ti sarà data la grazia di
distruggere la pena dei tuoi peccati commessi in passato, nel modo
che ho appena descritto, o meglio ancora a modo tuo, se sai far
meglio, sta’ pur sicuro che la pena del peccato originale,
o gli impulsi peccaminosi che esso man mano produce, non ti daranno
granché fastidio.
CAPITOLO
34
Dio
dona liberamente e senza vie intermedie la grazia
della contemplazione, che non si può in alcun modo meritare
della contemplazione, che non si può in alcun modo meritare
E
se mi domandi in qual modo tu possa giungere al lavoro contemplativo,
prego Dio onnipotente perché nella sua grande grazia e benevolenza
te lo insegni lui stesso. E io faccio veramente una cosa buona a
farti capire che non sono in grado di dirtelo. Non c’è da
meravigliarsi: la contemplazione è lavoro di Dio solo, che egli
compie di sua volontà nell’anima di quanti gli sono graditi, senza
tener conto dei loro meriti.
Se
manca l’aiuto di Dio, non c’è angelo o santo che possa, anche
lontanamente, sentire il bisogno di un simile lavoro. E credo che
nostro Signore è disposto a compiere questo lavoro con ugual premura
e frequenza, anzi, forse con premura e frequenza maggiori, nei
peccatori incalliti, piuttosto che in quanti, rispetto a essi, non
l’hanno mai offeso gravemente. E Dio agisce a questo modo perché
noi possiamo riconoscere la sua infinita misericordia e onnipotenza:
egli lavora come vuole, dove vuole, quando vuole.
Tuttavia,
non dà questa grazia, né compie questo lavoro in un’anima
incapace di riceverli, anche se non c’è nessun’anima, peccatrice
o innocente, in grado di accogliere questa grazia senza l’aiuto
della grazia stessa. Né Dio l’accorda in base all’innocenza, né
la rifiuta per via del peccato. Fa’
bene
attenzione a quel che ho detto: la rifiuta, e non la ritira. Ti
prego, sta’ attento a non sbagliarti su questo punto, perché
quanto più ci si avvicina alla verità, tanto più si deve stare in
guardia dall’errore. Quel che intendo dire è ben chiaro e preciso,
ma se non riesci a capirlo, lascialo da parte finché Dio non venga a
fartelo comprendere. Fa’ dunque così e non ti angustiare.
Attenzione
all’orgoglio, che bestemmia Dio nei suoi doni e incoraggia i
peccatori. Se
tu
fossi veramente umile, la penseresti come me riguardo alla
contemplazione: Dio la accorda liberamente, senza tener conto dei
meriti. Questo dono divino è tale che, quando è presente, mette
l’anima in grado di possederlo e di gustarlo. È impossibile
ottenerlo in altro modo. La capacità di contemplare costituisce una
cosa sola con la contemplazione, senza alcuna differenza, cosicché
chi
è attratto verso il lavoro contemplativo, costui e non altri è in
grado di farlo effettivamente. Se Dio non opera in essa, l’anima è
come morta, e non sente né la voglia né il desiderio della
contemplazione. Quanto più la vuoi e la desideri, tanto più la
possiedi: né più né meno. Tuttavia, non è né la tua volontà né
il tuo desiderio, ma un qualcosa di insondabile che ti spinge a
volere e desiderare ciò che non conosci. Non preoccuparti, te ne
prego, se il tuo intelletto non riesce ad andar oltre: al contrario,
continua
imperterrito nel tuo lavoro cosa da avanzare sempre più.
Per
farla breve, lascia che quel qualcosa di insondabile agisca in te a
suo piacimento e ti conduca dove vuole lui. Lascia che sia lui a
operare e tu a subire la sua azione. Guarda pure, se ti pare, ma
lascialo lavorare da solo. Non immischiarti, come se tu volessi
aiutarlo: finiresti per rovinare tutto. Tu devi essere il legno, e
lui il falegname; tu la casa, e lui il padrone che vi abita. Per il
momento fatti cieco e rigetta il desiderio di sapere il perché e il
percome: una simile conoscenza ti sarebbe più di ostacolo che di
aiuto. Infatti è già abbastanza se senti dentro di te l’autorevole
spinta di quel non so che, e se in questo movimento interiore non hai
alcun pensiero particolare nei riguardi di qualsiasi cosa inferiore a
Dio: il tuo puro anelito deve andare direttamente a Dio.
Se
le cose stanno in questo modo, allora puoi essere ben certo che è
Dio in persona, e non altri, a muovere la tua volontà e il tuo
desiderio, e senza vie intermedie né da parte tua né da parte sua.
Ora, non aver paura del diavolo, poiché non può avvicinarsi a te
più di quel tanto. Infatti, per quanto possa essere scaltro, il
diavolo può muovere la volontà di un uomo solo saltuariamente, e
per vie traverse. Nemmeno un angelo buono può muovere direttamente e
in maniera adeguata la tua volontà. Insomma, non c’è nessun altro
che possa farlo, se non Dio solo.
Puoi
ben capire da queste mie parole, ma ancor più chiaramente per
esperienza, che in quest’opera gli uomini non devono assolutamente
far uso di mezzi e di vie, né possono sperare di giungere alla
contemplazione grazie a chissà quali aiuti. Tutti i mezzi efficaci
dipendono da Dio, mentre lui non dipende da niente, e nessun mezzo
può portare alla contemplazione.
CAPITOLO
35
I
tre mezzi che dovrebbe impiegare il principiante
nella
contemplazione: la «lectio», la «meditatio» e l’«oratio».
contemplazione: la «lectio», la «meditatio» e l’«oratio».
Tuttavia,
ci sono dei mezzi che dovrebbe impiegare chi vuoi diventare vero
contemplativo, e precisamente: la «lectio», la «meditatio» e
l’«oratio», ovvero, secondo una terminologia più comune e
comprensibile: la lettura, la riflessione e la preghiera.
Di
questo ha già trattato in un suo libro un altro autore
e molto meglio di quanto non sappia fare io: perciò è inutile che
mi dilunghi su questo argomento. Ma c’è una cosa che voglio
sottolineare: quei tre mezzi sono così correlati tra loro, che è
impossibile per
uno ai primi passi — non
certo per chi è perfetto, per quanto è possibile quaggiù — fare
una buona meditazione, se prima non vi è stata una lettura o un
ascolto adeguati. Lettura o ascolto, è sempre la stessa cosa:
infatti, i chierici leggono i libri e il volgo «legge» i chierici
quando li ascolta predicare la parola di. Dio. D’altra parte, i
contemplativi incipienti e proficienti non possono nemmeno pregare
bene senza l’esercizio preliminare della meditazione.
Una
prova di quest’ordine progressivo è data da quanto segue. La
parola di Dio, orale o scritta, può essere paragonata a uno
specchio. Spiritualmente, l’«occhio» della tua anima è la
ragione, mentre la coscienza è il tuo «volto» spirituale. Ora,
come gli occhi del tuo vero volto non possono vedere né immaginare
la presenza di una macchia sporca sul tuo stesso volto, senza l’aiuto
di uno specchio o di qualcun altro che te lo dica, così
spiritualmente è impossibile, almeno per la ragione umana, che
un’anima accecata dall’abitudine al peccato riesca a vedere la
corruzione nella propria coscienza, senza aver letto o sentito la
parola di Dio.
E
proseguendo di questo passo, quando un uomo vede nello specchio,
oppure apprende da altri, dove si trova esattamente quella sporca
macchia sul suo viso — tutto ciò sia in senso letterale che
spirituale allora, e non prima, egli corre alla fontana a lavarsi. Se
questa macchia è un peccato particolare, allora la fontana è la
santa chiesa e l’acqua il sacramento della penitenza, con quel che
comporta.
Se invece si tratta della radice stessa del peccato, allora la
fontana è Dio misericordioso e l’acqua è la preghiera, con quel
che comporta. Questo sta a dimostrare che i contemplativi incipienti
e proficienti non possono meditare senza l’esercizio preliminare
della lettura o dell’ascolto, né pregare senza una adeguata
meditazione.
CAPITOLO
36
Le
meditazioni di coloro che sono già avanti nella contemplazione
Certamente
questo non vale per coloro che sono già avanti nel lavoro
contemplativo di cui stiamo trattando. Le loro meditazioni, infatti,
consistono nella consapevolezza improvvisa e nel cieco sentimento
della propria miseria o della bontà di Dio. E non hanno bisogno di
far ricorso a un esercizio preliminare di lettura o di ascolto, o
alla considerazione particolare di qualsiasi cosa al di sotto di Dio.
Questa consapevolezza improvvisa e questo cieco sentimento si
imparano prima da Dio che dagli uomini.
Non
mi preoccupo affatto se tu per il momento non dovessi avere altre
meditazioni sulla tua miseria, o sulla bontà di Dio (naturalmente do
per scontato che tu sia mosso dalla grazia di Dio e ti trovi sotto
una buona direzione), se non quelle suggerite dalla parola «peccato»
o da quest’altra, «Dio», o da qualsiasi altra parola di tuo
piacimento. Non devi né analizzare né esplorare queste parole con
avidità di sapere, come se la considerazione delle loro proprietà
potesse accrescere la tua devozione. Sono convinto che nel nostro
caso e in quest’opera, non capiterebbe mai una cosa di tal genere.
Piuttosto,
prendi queste parole così come sono nella loro interezza. Per
«peccato» intendi un blocco massiccio di cui non conosci niente, se
non che si tratta essenzialmente di te stesso. A mio parere questa
maniera di considerare il peccato come un tutt’uno, a cui bai dato
la forma di un blocco massiccio e che alla fin fine non è altro che
te stesso, dovrebbe mandarti su tutte le furie e farti impazzire.
Tuttavia, se qualcuno per caso ti vedesse in questo frangente, non si
accorgerebbe di nulla, anzi ti penserebbe nelle più sobrie
disposizioni fisiche; e sia che ti trovi seduto o in piedi, fermo o
in cammino, in ginocchio o prostrato, nulla trasparirebbe dal tuo
comportamento se non una calma assoluta.
CAPITOLO
37
Le
preghiere personali di coloro che sono già avanti nella
contemplazione
Come
le meditazioni di coloro che cercano di vivere la vita contemplativa
sorgono improvvisamente e senza alcun aiuto esterno, così anche le
loro preghiere. Mi riferisco alle loro preghiere private, non a
quelle prescritte dalla santa chiesa. I veri contemplativi non
potrebbero stimare maggiormente queste ultime, tanto che ne fanno
largo uso, secondo la forma e le regole stabilite dai santi padri
prima di noi.
Ma
le loro preghiere personali s’innalzano a Dio in maniera spontanea
e repentina, senza alcuna premeditazione o altro espediente, né
prima né durante la preghiera stessa. E se anche son fatte di
parole, il che capita raramente, si tratta pur sempre di pochissime
parole: meno sono, meglio è. E se si tratta di una piccola parola
d’una sola sillaba, a mio parere è ancor meglio che una di due, ed
è più conforme all’opera dello spirito. Infatti chi si dedica al
lavoro contemplativo dovrebbe
sempre trovarsi nel punto più alto ed eccelso dello spirito. Che ciò
sia vero, lo si può vedere in questo esempio preso dalla realtà
quotidiana. Una persona in preda al terrore, per lo scoppio
improvviso di un incendio o per la morte repentina di un uomo o per
qualcos’altro, raggiunge immediatamente il punto più alto del suo
spirito e si sente spinta dalla fretta e dalla necessità a gridare o
invocare aiuto. E in qual modo? Certo non con una valanga di parole,
e neppure con una semplice parola di due sillabe. Perché mai? Perché
gli sembra di perdere troppo tempo per dichiarare il suo urgente
bisogno e l’agitazione del suo spirito. Perciò prorompe in un
grido lancinante, fatto di una sola parola e di una sola sillaba,
come «Fuoco!», oppure «Aiuto!».
Come
questa breve parola: «fuoco!», scuote immediatamente la gente e
penetra più in fretta nelle orecchie di chi ascolta, così succede
con una parolina di una sola sillaba, quando non solo vien pensata o
pronunciata, ma è semplicemente formulata in segreto nelle
profondità dello spirito. Dire profondità a proposito dello spirito
è come dire altezza, perché in questo caso non vi è differenza tra
lunghezza e larghezza, altezza e profondità. E questa parolina
penetra nelle orecchie di Dio onnipotente molto prima di
un’interminabile salmodia mormorata con le labbra senza pensarci.
Per questo sta scritto che «la preghiera breve penetra il cielo».
CAPITOLO
38
Come e perché la preghiera breve penetra il cielo
Come e perché la preghiera breve penetra il cielo
E
perché penetra il cielo, questa breve e corta preghiera di una sola
sillaba? Senz’altro perché viene fatta con tutto il cuore,
nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza
dello spirito di chi prega così. Nell’altezza, poiché possiede
tutta la potenza dello spirito; nella profondità, poiché in questa
piccola sillaba è Racchiuso tutto ciò che lo spirito sa; nella
lunghezza, poiché se potesse sempre sentire quel che adesso prova,
griderebbe in continuazione a Dio come fa ora; in larghezza, poiché
vorrebbe estendere a tutti gli altri quel che desidera per sé.
È
a questo punto che l’anima, secondo le parole di s. Paolo, «è in
grado di comprendere con tutti i santi — certo non pienamente, ma
solo in parte e in una maniera confacente a quest’opera — qual è
la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità»
dell’onnipotente ed eterno Dio, sommo amore e saggezza infinita.
L’eternità di Dio è la sua lunghezza, l’amore è la sua
larghezza, la potenza è la sua altezza, e la saggezza è la sua
profondità. Non c’è da stupirsi se un’anima, così plasmata
dalla grazia a stretta immagine e somiglianza di Dio suo creatore,
vien subito ascoltata da Dio stesso. Sì, se anche fosse l’anima di
un grande peccatore — che è come il nemico di Dio — a gridare,
spinta dalla grazia, una breve sillaba di tal genere nell’altezza e
nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza del suo spirito,
Dio la sentirebbe ugualmente per via del tono accorato del suo grido,
e l’aiuterebbe senz’altro.
Eccone
una prova. Se tu dovessi sentire il tuo nemico mortale che, in preda
al terrore, grida dal profondo del suo spirito questa breve parola:
«Fuoco!» o «Aiuto!», tu, senza pensare che si tratta del tuo
nemico, ma mosso a
pietà, e
preso da compassione per il suo grido lancinante, ti alzeresti
senz’altro — sì, fors’anche in una notte di pieno inverno —
e andresti in suo soccorso per aiutarlo a spegnere il fuoco o per
confortarlo e calmarlo nella sua angoscia. Mio Dio!, se un uomo può
diventare, per la grazia, così misericordioso da mostrare tanta
pietà e compassione per il suo nemico, nonostante l’odio che gli
porta, quale pietà e misericordia avrà allora il Signore — che
possiede per natura quel che l’uomo ha per grazia — verso l’anima
che lancia un tal grido spirituale dall’altezza e profondità,
dalla lunghezza e larghezza del suo spirito? Certamente il Signore
avrà molto più misericordia, senza alcun confronto, poiché è
molto più vicina alle realtà eterne una cosa posseduta per natura,
che non una ricevuta per grazia.
CAPITOLO
39
Come
deve pregare il contemplativo, e in che cosa consiste la preghiera;
quali
parole sono più adatte se si intende pregare oralmente
Perciò
dobbiamo pregare nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza
e nella larghezza del nostro spirito. E non con molte parole, ma con
una semplice parola di una sola sillaba.
Quale
sarà questa parola? Certo una che si accorda per il meglio alla
natura della preghiera. E quale parola corrisponde a questo
requisito? Vediamo innanzitutto cos’è essenzialmente la preghiera
in se stessa; solo allora potremo sapere più chiaramente qual è la
parola che meglio si accorda alla natura della preghiera.
Di
sua natura la preghiera non è altro che un pio anelito verso Dio,
per ottenere il bene e allontanare il male.
Poiché
tutto il male si può riassumere nel peccato, che ne è la causa e
l’essenza stessa, allora quando preghiamo con la ferma intenzione
di allontanare il male, non dobbiamo dire né pensare né intendere
nient’altro che questa breve parola: «peccato». Se invece
preghiamo con la ferma intenzione di ottenere il bene, non ci resta
che gridare a parole, con il pensiero o con il desiderio questa
semplice parola, e nessun’altra: «Dio». In Dio infatti si trova
tutto il bene: egli ne è la causa e l’essenza stessa.
Non
meravigliarti se ho preferito mettere queste parole al posto di
altre. Infatti, se potessi trovare delle parole più corte, capaci di
riassumere in sé tutto il bene e il male, come fan queste due,
oppure se Dio mi avesse insegnato a sceglierne delle altre, avrei
certamente preso quelle e avrei lasciato queste. E così che
consiglio di fare anche a te.
Non
metterti a ricercare delle nuove parole, perché non raggiungeresti
mai il tuo obiettivo: al lavoro della contemplazione non si giunge
attraverso lo studio, ma solamente per grazia. Perciò non prendere
altre parole per
la tua preghiera, malgrado io te ne abbia indicate due, se non quelle
che Dio ti induce a usare.
Ma
se Dio ti induce a usare quelle che ti ho proposto, ti consiglio di
non lasciarle perdere, sempre che tu faccia uso di parole nella tua
preghiera. La loro efficacia consiste nell’essere parole molto
corte.
Quantunque
abbia raccomandato soprattutto la brevità della preghiera, non ne va
assolutamente rallentata la frequenza, poiché, come ho già detto,
si prega nella lunghezza dello spirito. Di conseguenza, una tale
preghiera non dovrebbe mai interrompersi, se non quando abbia
ottenuto pienamente quello a cui mirava. Un esempio a questo
proposito lo ritroviamo nella persona in preda al terrore descritta
poc’anzi. Essa non la smette di gridare questa breve parola:
«Fuoco!» o «Aiuto», finché non abbia ottenuto il soccorso
necessario nella sua disgrazia.
CAPITOLO
40
Nella
contemplazione l’anima non presta particolare attenzione
a
nessun tipo di vizio o di virtù
E
tu, fa’ lo stesso: riempi il tuo spirito del significato profondo
della semplice parola «peccato», senza analizzare di quale peccato
si tratta, se veniale o mortale, di orgoglio, d’ira o d’invidia,
di cupidigia, di accidia, di gola o di lussuria. Che importa al
contemplativo il tipo e la gravità del peccato? Quando è impegnato
nel lavoro contemplativo, tutti i peccati li considera ugualmente
gravi in se stessi, dal momento che il più piccolo di essi lo separa
da Dio e gli toglie la pace interiore.
Cerca
di sentire il peccato nella sua totalità, come un blocco massiccio,
di cui sai solo che è il tuo stesso io.
E
allora emetti a più non posso nel tuo spirito quest’unico grido:
«Peccato! Peccato! Peccato! Aiuto! Aiuto! Aiuto!». Questo grido
spirituale lo si impara meglio da Dio per esperienza che non dalla
bocca di un uomo. È meglio quando scaturisce esclusivamente dallo
spirito, senza nemmeno essere pensato o espresso a parole. In
rarissimi momenti può capitare, tuttavia, che l’anima e il corpo
siano così oppressi dal dolore e dal peso del peccato, che lo
spirito sopraffatto non può fare a meno di prorompere in parole.
Allo
stesso modo devi comportarti con la breve parola «Dio». Riempi il
tuo spirito del suo significato profondo, senza fare nessuna
considerazione particolare su una qualsiasi delle opere di Dio: per
esempio, se siano buone, migliori o ottime, se siano materiali o
spirituali. E non devi cercare di far distinzione tra le varie virtù
che possono essere suscitate nell’anima umana dalla grazia: umiltà
o carità, pazienza o astinenza, speranza, fede o temperanza, castità
o povertà volontaria. Che importa questo al contemplativo, dal
momento che tutte le virtù le trova e le sperimenta in Dio? È Dio
infatti che ha dato vita a tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Il contemplativo sa che se ha Dio, possiede ogni bene: per questo non
brama nessun bene in particolare, ma l’unico vero bene, Dio. Fa’
anche tu così, per quanto ti sarà possibile con l’aiuto della
grazia, e guarda esclusivamente a Dio, a Dio nella sua interezza,
così che niente lavori nella tua mente e nella tua volontà, se non
Dio solo.
E
poiché per tutto il tempo che passi in questa valle di lacrime devi
sempre far esperienza in qualche modo di questo blocco massiccio,
orribile e puzzolente, qual è il peccato, come se fosse unito e fuso
con la sostanza del tuo essere, allora devi continuamente far ricorso
prima
all’una e poi all’altra di queste due parole: «peccato» e
«Dio». E non dimenticare che se tu avessi Dio, allora non avresti
più il peccato, e se tu non avessi più il peccato, allora avresti
Dio.
CAPITOLO
41
In
qualsiasi cosa bisogna usare moderazione,
ma
non nella contemplazione
Inoltre,
se tu dovessi chiedermi quale moderazione bisogna avere nel lavoro
della contemplazione, ti risponderei in questi termini: «Nessuna,
assolutamente!» In qualsiasi altra cosa tu faccia devi usare
moderazione, come per esempio nel mangiare, nel bere, nel dormire,
nel proteggere il corpo dall’eccessivo calore o dai rigori del
freddo, nel tempo da dedicare alla preghiera o alla lettura o alla
conversazione con il tuo prossimo. In tutto questo devi usare
moderazione, in modo da non sconfinare nel troppo o nel troppo poco.
Ma nel lavoro contemplativo non c’è misura che tenga: vorrei che
tu non smettessi mai di contemplare per tutto il tempo della tua
vita.
Non
dirò che devi essere sempre in grado di impegnarti con uguale vigore
e freschezza: sarebbe pretendere l’impossibile. Infatti, talvolta
la malattia o qualche malessere del corpo o dell’anima, insieme a
molte altre necessità naturali, costituiranno un grosso ostacolo e
spesso ti faranno scendere dall’alto della contemplazione. Ma tu
dovresti sempre essere all’opera, sia che lavori, sia che ti
diverta, e questo almeno nelle intenzioni, se non di fatto. Di
conseguenza, guardati più che puoi, per amore di Dio, dalla
malattia, cosa che non sia tu stesso, per quanto è possibile, la
causa della tua debolezza. Ti dico con tutta verità che quest’opera
richiede una grande pace, e una totale e pura disposizione d’anima
e di corpo.
Dunque,
per amore di Dio, controllati nel corpo e nell’anima con gran cura,
e mantieniti in salute, per quel che sta in te. E se malgrado il tuo
impegno, dovesse sopraggiungere la malattia, sopportala con pazienza
e affidati umilmente alla misericordia di Dio: da te non si pretende
altro. In verità ti dico: spesso la pazienza nella malattia e in
altri tipi di tribolazione, piace a Dio molto di più di qualsiasi
pratica devota che tu puoi esercitare quando sei in buona salute.
CAPITOLO
42
Solo
chi è senza moderazione nel lavoro contemplativo,
può
avere una giusta moderazione nelle altre cose; altrimenti no
Ma
forse mi chiederai come ci si deve comportare con moderazione per
quel che riguarda il cibo, il sonno, e così via. Al che la mia
risposta è molto breve: «Prendi le cose come si presentano».
Continua nel lavoro della contemplazione senza mai fermarti e senza
alcuna moderazione, e saprai ben regolarti quando cominciare o
smettere in tutto il resto. Non mi par possibile che un’anima,
tutta presa da quest’opera notte e giorno senza alcuna moderazione,
possa commettere errori di valutazione in questioni concernenti la
vita esteriore In caso contrario, secondo me si tratta di un’anima
che sbaglierebbe sempre, in qualunque situazione.
Pertanto;
se sarò capace di prestare viva attenzione e vigile cura a
quest’attività spirituale interna alla mia anima, allora potrò
anche avere una certa qual indifferenza nel mangiare e nel bere, nel
dormire e nel conversare, e in tutte le altre azioni esteriori. Sono
pienamente certo di giungere alla giusta moderazione in queste cose
attraverso una tale indifferenza, piuttosto che mostrando viva
attenzione per esse o soppesandone accuratamente tutti i pro e i
contro. In verità non ne verrei mai a capo in questo modo, per
quanto io possa fare o dire.
Gli
uomini dicano quello che han voglia: l’esperienza insegna.
Perciò, eleva il tuo cuore con questo cieco slancio d’amore e
considera ora il «peccato», ora «Dio». Dio lo vorresti avere, il
peccato, invece, non lo vorresti aver più. Dio, quello sì ti manca:
il peccato sei ben sicuro di averlo. Che il buon Dio ti aiuti in
questo frangente, perché ne hai veramente bisogno.
CAPITOLO
43
Se
uno vuol diventare perfetto contemplativo,
deve
per forza perdere ogni conoscenza e coscienza di sé
Vedi
che non ci sia nulla che lavori nella tua mente e nel tuo cuore, se
non Dio solo. Cerca di sopprimere ogni conoscenza e coscienza di
qualsiasi cosa che sta al di sotto di Dio, e ricaccia il tutto ben
lontano, giù giù sotto la nube d’oblio.
Devi
capire che in quest’opera vanno dimenticate non solo tutte le altre
creature al di fuori di te (e le loro azioni, nonché le tue
personali), ma anche il tuo io, e perfino le azioni che hai fatto per
amore di Dio. Infatti, questa è la condizione di chi ama in maniera
perfetta: costui non solo ha un grande amore per la cosa che ama più
di se stesso, ma in certo qual modo ha anche in odio se stesso per
amore della cosa che ama.
Così
bisogna che tu faccia con te stesso: devi provar disgusto e fastidio.
per tutto quanto lavora nella tua mente o nella tua volontà, a meno
che non si tratti di Dio. Qualunque altra cosa al di fuori di lui,
verrebbe sempre a inserirsi tra te e il tuo Dio. Non meravigliarti se
hai in odio e ti ripugna pensare a te stesso, dal momento che devi
aver sempre coscienza del peccato
come
di un blocco massiccio orribile e puzzolente, un non so che di
frapposto tra te e il tuo Dio. Questo blocco massiccio, infatti, non
è altro che il tuo io. E tu devi pensarlo unito e fuso con la
sostanza del tuo essere, come se fosse inseparabile da te.
Perciò
spazza via qualsiasi conoscenza e coscienza di ogni genere di
creature, ma in particolar modo di te stesso. Dalla conoscenza e
coscienza di te stesso dipende quella di ogni altra creatura. Al suo
confronto ogni altra creatura la si dimentica facilmente. Infatti, se
vorrai metterti alla prova per verificare questa mia affermazione,
troverai che quand’anche tu avessi dimenticato tutte le altre
creature e le loro opere (anche le tue personali), rimarrà pur
sempre tra te e Dio la coscienza pura e semplice del tuo essere. E
anche questa coscienza deve andar distrutta, prima di poter veramente
sperimentare la perfezione del lavoro contemplativo.
CAPITOLO
44
Quale
deve essere l’atteggiamento dell’anima
nel
distruggere ogni conoscenza e coscienza del proprio essere
Ma
ora vuoi sapere come distruggere questa coscienza pura e semplice del
tuo essere. E forse vai pensando che se tu riuscissi a distruggerla,
cadrebbero anche tutti gli altri ostacoli: se questo è il tuo
ragionamento non ti sbagli di certo.
Voglio
comunque dirti che senza una grazia tutta particolare, liberamente
elargita da Dio, e senza una totale disponibilità e capacità da
parte tua a ricevere questa grazia, tale coscienza pura e semplice
del tuo essere non la puoi distruggere in alcun modo. E questa
disposizione d’animo non è altro che un sincero e profondo dolore
spirituale. Ma in questo dolore è bene che tu abbia molta
discrezione. Devi star attento, quando lo avverti, a non tendere
troppo violentemente il tuo corpo o il tuo spirito. Piuttosto,
mettiti a sedere completamente tranquillo, quasi tu volessi dormire,
tutto preso e immerso nel tuo dolore. Questo, infatti, è il vero
dolore; questo il
dolore perfetto. E beato colui che riesce a provare un simile dolore.
Tutti
gli uomini hanno di che affliggersi, ma nessuno più di chi ha
conoscenza e coscienza del fatto di esistere. Ogni altro dolore,
rispetto a questo, è come uno scherzo in rapporto a una cosa seria.
Infatti prova un vero dolore chi ha conoscenza e coscienza non tanto
della propria fragilità, quanto piuttosto della propria esistenza.
Chi non ha mai provato un simile dolore, può ben rammaricarsi: non
sa ancora cosa sia il dolore perfetto.
Questo
dolore, quando lo si ha, purifica l’anima non solo dal peccato, ma
anche dalla pena che essa ha meritato con il peccato. Inoltre, rende
l’anima capace di ricevere quella gioia che libera l’uomo da ogni
conoscenza e coscienza del proprio essere.
Questo
dolore, quando è genuino, è ripieno di un desiderio ardente e
santo: altrimenti nessuno su questa terra riuscirebbe a resistere o a
sopportarlo. Intatti, se non fosse perché riceve un certo qual
conforto dal bene che opera, l’anima non sarebbe capace di
sopportare la pena
derivante dalla coscienza della propria esistenza.
Tante
volte l’uomo, nella purezza del suo spirito, vuol avere una vera
conoscenza e coscienza di Dio, per quel che è possibile quaggiù, e
poi sente di non potercela fare, perché si accorge sempre più che
la sua conoscenza e la sua coscienza sono come occupate e riempite
dalla massa orribile e puzzolente del proprio io, che egli deve
sempre odiare, disprezzare e rinnegare, se vuol essere un perfetto
discepolo di Dio, secondo l’insegnamento del Signore stesso sul
monte della perfezione. Ne segue che l’uomo diventa quasi pazzo dal
dolore, al punto che si mette a piangere e a gemere, lotta
accanitamente con se stesso, maledice e stramaledice. Insomma, gli
sembra di portare un fardello tanto pesante che non si dà più
pensiero per quel che gli può succedere, almeno finché Dio vuole
così. E pur in mezzo a tanto dolore, non desidera por fine alla sua
esistenza: sarebbe soltanto pazzia diabolica e disprezzo per Dio. Al
contrario, è ben contento di vivere, e ringrazia Dio di tutto cuore
per il prezioso dono dell’esistenza, anche se continua a sospirare
di essere liberato dalla coscienza della propria esistenza.
In
un modo o in un altro, ogni anima deve provare questo dolore e
sentire dentro di sé quest’ardente desiderio. Dio stesso si degna
di insegnarlo ai suoi discepoli spirituali, secondo la sua volontà
d’amore; deve trovare però corrispondenza nella loro disposizione
d’animo e di corpo, tenendo conto del grado a cui son giunti e
anche del loro carattere. Solo a questo punto, e se Dio lo permette,
essi potranno essere uniti a lui in carità perfetta, per quel che è
possibile in questa vita.
CAPITOLO
45
Si
chiariscono alcuni errori e illusioni che possono capitare in questo
lavoro
Ma
attento a quanto ti dico: è molto facile per un giovane discepolo,
non ancora pratico ed esperto in materia spirituale, prendere degli
abbagli in questo lavoro. Che se non si accorge subito della sua
situazione e se non ha la grazia di piantar li quel che sta facendo e
di ubbidire umilmente al suo direttore, rischia facilmente di
estenuarsi nel fisico e di danneggiare le proprie facoltà
spirituali. E tutto questo a causa dell’orgoglio, delle passioni
carnali e dell’avidità di sapere.
Ecco
come ci si può illudere. Un giovane o una giovane da poco iniziati
alla scuola della devozione, sentono leggere o parlare di questo
dolore e di questo desiderio, e vengono cosi a sapere che l’uomo
deve elevare il cuore a Dio e desiderare incessantemente di sentire
l’amore del suo Dio. E subito, nella loro mente avida di sapere,
essi intendono queste parole non in senso spirituale, com’è bene
che sia, ma in senso letterale e materiale: così mettono sotto
sforzo il loro cuore di carne e lo strapazzano dentro al petto.
Privi
della grazia — e se lo meritano ampiamente —,
orgogliosi
e avidi di sapere, tendono le loro vene e le loro forze fisiche in
maniera così rude e violenta, che in breve tempo son presi da
stanchezza e un certo qual torpore si insinua nel loro corpo e nel
loro spirito. Ed ecco che si allontanano dalla vita interiore, per
ricercare all’esterno qualche vana e falsa consolazione materiale,
quasi a voler soddisfare il corpo e lo spirito. Oppure, se non
avvertono quel torpore, sentono in petto un bruciore del tutto
innaturale, causato dall’abuso del loro corpo o dalla loro falsa
spiritualità. E ben meritano
questa
sensazione, per via della loro cecità spirituale e della violenza
fatta alla loro stessa natura umana durante questo lavoro
apparentemente spirituale, in realtà più che mai bestiale. O,
ancora, si sentono dentro uno strano calore, suscitato dal diavolo,
loro nemico spirituale; la causa di tutto questo è il loro orgoglio,
la loro sensualità e la loro avidità di sapere. Eppure sono capaci
di pensare che si tratta di quel fuoco d’amore portato e acceso
dallo Spirito santo, per sua grazia e bontà.
In
realtà, da questa illusione e da quelle connesse deriva una gran
quantità di mali: molte ipocrisie, eresie ed errori. Come a una
falsa esperienza di tal genere segue subito dopo una falsa conoscenza
alla scuola del diavolo, così dopo una vera esperienza segue una
vera conoscenza alla scuola di Dio.
In
verità ti dico: il demonio ha anche lui i suoi contemplativi al pari
di Dio.
Le
illusioni provocate da questa falsa esperienza, e dalla falsa
conoscenza che ne consegue, subiscono variazioni innumerevoli e
sorprendenti, a seconda dei vari caratteri e delle complesse
situazioni in cui si trova chi rimane ingannato. Allo stesso modo
diversi sono gli effetti prodotti dalla vera esperienza e dalla vera
conoscenza dei salvati. Ma a questo punto non voglio metterti davanti
altri errori se non quelli a cui, credo, sei più esposto, se vuoi
diventare veramente un contemplativo. A che ti serve, infatti, sapere
quali sono le illusioni degli uomini di cultura e di quelli che si
trovano in condizioni diverse dalle tue? Assolutamente niente, questo
è certo. Perciò non te ne indico altre, se non quelle che possono
capitarti se ti dedichi con impegno al lavoro contemplativo. E quel
che ti dico ha lo scopo di metterti in guardia, se mai dovessero
assalirti durante il tuo lavoro illusioni del genere.
CAPITOLO
46
Un
buon insegnamento su come evitare questi errori
e lavorare con ardore spirituale piuttosto che con vigore fisico
e lavorare con ardore spirituale piuttosto che con vigore fisico
Quindi,
per l’amore di Dio, fa’ bene attenzione quando ti dedichi al
lavoro contemplativo, e non strapazzare il tuo cuore dentro al petto
in maniera troppo rude, o comunque fuori misura. Lavora con un
ardente desiderio piuttosto che con la forza bruta Quanto più il tuo
lavoro è fatto con ardente desiderio, tanto più risulta umile e
spirituale; al contrario, quanto più è fatto in maniera rude, tanto
più risulta materiale e bestiale. Perciò sta’ attento, perché
l’animale (in questo caso l’uomo che usa maniere bestiali) che
osa toccare l’alto monte della contemplazione, sarà certamente
cacciato via a sassate.
I
sassi sono delle cose dure e aride, e dove colpiscono lasciano il
segno. Così quegli sforzi violenti sono strettamente legati a una
visione carnale e puramente fisica, e sono completamente aridi perché
non vengono bagnati da una conoscenza di grazia. Inoltre feriscono in
modo grave e doloroso l’anima così ottusa, e la avvelenano di
fantasticherie e visioni demoniache.
Perciò
sta’ attento a non usare maniere violente e bestiali: impara
piuttosto ad amare con il desiderio, assumendo un atteggiamento calmo
e dolce sia nel corpo che nello spirito. Accetta con rispetto e
umiltà la volontà di nostro Signore, e non afferrarla come un
levriero
vorace, per quanto grande e acuta sia la tua fame.
E
se posso darti questo consiglio a mo’ di gioco, io ti inviterei a
mascherare più che puoi quell’impulso impetuoso e violento che
senti nel tuo spirito, come se tu non volessi in alcun modo far
sapere a Dio il tuo ardente desiderio di vederlo, di possederlo, di
sentirlo. Forse tu pensi che io stia parlando in maniera infantile e
scherzosa. Ma io ti dico, in verità, che chiunque avrà la grazia di
mettere in pratica il mio consiglio, si renderà conto di fare un
bellissimo gioco con lui, come fa il papà con il suo bambino quando
lo bacia e lo stringe al petto, e grande sarà la sua felicità per
tutto questo.
CAPITOLO
47
Un
buon insegnamento sulla purezza di spirito necessaria in questo
lavoro: l’anima rivela il suo desiderio in una certa maniera a Dio,
e in maniera del tutto differente all’uomo.
Non
devi meravigliarti se uso questo linguaggio infantile, che può
apparire anche insensato o comunque niente affatto appropriato. Lo
faccio per diversi motivi, e poi perché mi sembra che già parecchie
volte ho avvertito il bisogno di sentire, pensare e parlare in questi
termini ad altri miei intimi amici in Dio, proprio come ora nei tuoi
confronti.
Ecco
uno dei motivi per cui ti invito a nascondere a Dio il desiderio del
tuo cuore: secondo me, lo si porta a sua conoscenza ancor più
chiaramente nascondendolo, che non mettendolo in mostra in un modo o
nell’altro. E questo atteggiamento è anche più vantaggioso per
te, perché appaga prima il tuo desiderio.
C’è
anche un altro motivo: con una rivelazione occulta di tal genere
vorrei sottrarti alla violenza e superficialità dell’emozione
fisica, per condurti alla purezza e profondità dell’esperienza
spirituale. E così, in definitiva, vorrei aiutarti a stringere quel
legame spirituale di amore ardente tra te e Dio, in unità di spirito
e armonia
di volontà.
Tu
sai bene che Dio è spirito; ora, chiunque vuol diventare una sola
cosa con lui, deve farlo nella verità e nella
profondità dello spirito, ben lontano da ogni apparenza o
immaginazione corporea. È ben vero che non c’è cosa, materiale o
spirituale, che Dio non conosca, e che niente può restargli
nascosto. Ma poiché è spirito, ciò che è nascosto nel profondo
dello spirito umano, Dio lo conosce ancor più chiaramente e per lui
è ancor più in vista che non qualsiasi altra realtà materiale. Per
sua natura ogni realtà materiale è più lontana da Dio di qualsiasi
realtà spirituale. Per questo motivo il nostro desiderio, durante
tutto il tempo in cui si accompagna a elementi di natura fisica —
come avviene quando mettiamo contemporaneamente sotto sforzo e in
tensione il nostro corpo e il nostro spirito —, è più lontano da
Dio di quanto non sarebbe se scaturisse da maggior devozione e
ardore, ma in sobrietà, purezza e profondità di spirito.
Ed
eccoti qui spiegato, almeno in parte, il motivo per cui ti consiglio
di mascherare e nascondere a Dio, un po’ come fanno i bambini a
nascondino, l’impulso. pressante del tuo desiderio. Nello stesso
tempo, però, non ti dico di nasconderlo completamente: sarebbe roba
da pazzi darti un consiglio di questo genere, perché è
assolutamente impossibile metterlo in pratica. Ma quel che ti
raccomando è di mettercela tutta per nascondere il tuo desiderio.
Perché mai ti dico questo? Perché vorrei che tu lo cacciassi nelle
profondità del tuo spirito, ben lontano da ogni possibilità di
contaminazione con la materia,
che lo renderebbe meno spirituale, e quindi sempre più distante da
Dio. E inoltre so bene che più la tua anima diventa spirituale, meno
subisce l’influsso delle realtà materiali e quindi si avvicina
sempre più a Dio, diviene più piacevole e più chiara ai suoi
occhi. Però non è Dio, eternamente immutabile, a vedere qualcosa in
modo più chiaro in un certo momento piuttosto che in un altro; ma è
la tua anima che si fa più simile a lui, quando vive in purezza di
spirito, dal momento che egli stesso è spirito.
E
c’è un altro motivo per cui ti dico di fare il possibile perché
egli non sappia qual è il tuo desiderio. Io, tu e noi tutti, siamo
così pronti a intendere in termini materiali anche quel che viene
detto in senso spirituale, che se ti avessi comandato di manifestare
a Dio il desiderio intenso del tuo cuore, forse l’avresti espresso
in maniera fisica, a gesti, o a voce, o a parole, o in qualche altra
rozza manifestazione corporea, allo stesso modo, cioè, con cui
riveli a un amico una cosa celata nel cuore; a questo punto il tuo
lavoro non sarebbe stato più puro. In effetti, c’è un modo con
cui si manifestano le cose agli uomini, e ce n’è un altro con cui
si manifestano a Dio.
CAPITOLO
48
Dio
lo si serve con l’anima e con il corpo, e la sua ricompensa giunge
sia all’uno che all’altra; come si fa a sapere se tutte le
armonie e soavità che il corpo avverte durante la preghiera sono
buone o cattive
Non
dico questo perché voglio che tu smetta di pregare oralmente
ogniqualvolta ti senti portato a farlo, e nemmeno per impedire che,
nella traboccante devozione dei tuo spirito, tu ti metta
improvvisamente a parlare a Dio come a un uomo,
dicendogli
qualche buona parolina che senti di dovergli rivolgere, quale: «Buon
Gesù! Bel Gesù! Dolce Gesù!» o qualche altra di questo genere.
No! Dio non voglia che tu abbia a fraintendere il mio pensiero! In
verità, non intendo dire questo. Dio non voglia che io separi quello
che lui ha unito: il corpo e l’anima. Dio vuol essere servito con
l’anima e con il corpo, tutt’e due insieme, ed è giusto che sia
così, e vuol dare all’uomo la ricompensa celeste sia nel corpo che
nell’anima. E come pegno di questa ricompensa, di quando in quando
infiamma il corpo di un suo devoto servitore qui su questa terra —
non una volta o due,
ma probabilmente molto spesso, e quando a lui piace —, riempiendolo
di meravigliose dolcezze e consolazioni.
Di
queste, alcune non entrano nel corpo dall’esterno, attraverso le
finestre dei nostri sensi, bensì dall’interno: sorgono e
scaturiscono dalla sovrabbondanza di felicità spirituale e da una
vera devozione nello spirito. Queste dolcezze e consolazioni non
devono essere guardate con sospetto; insomma, chi le sente dentro di
sé, può fare a meno di essere prevenuto sul loro conto.
Ma
tutte le altre consolazioni e armonie e gioie e dolcezze che vengono
improvvisamente dall’esterno, non si sa bene da dove, ti prego di
guardarle con sospetto. Infatti possono essere buone o cattive:
vengono suscitate da un angelo buono, se sono buone; da un angelo
cattivo se sono cattive.
Ma
anche queste non procurano alcun male, se nei modi che io ti ho
insegnato o in altri migliori, qualora tu li conosca, hai eliminato
le illusioni dovute all’avidità di sapere e all’uso sregolato
dei sentimenti e delle emozioni. E questo perché? Perché la causa
delle consolazioni che tu cos? sperimenti, è proprio quel devoto
slancio d’amore che abita in uno spirito puro. È Dio, con la sua
mano onnipotente, a suscitare direttamente nell’anima questo devoto
slancio d’amore, che di conseguenza deve essere sempre ben distinto
da ogni immaginazione o falsa opinione che l’uomo può farsi in
questa vita.
Quanto
alle altre consolazioni, armonie e dolcezze, e al
modo con cui distinguere quelle buone da quelle cattive, non ho
intenzione di continuare il discorso per adesso.
Infatti,
non ce n’è alcun bisogno, dal momento che questo stesso argomento
lo puoi trovare in un altro libro di un altro autore m, e lì è
trattato mille volte meglio di quanto non sappia fare io. E così vi
puoi trovare tutto quello che c’è qui, ma trattato in maniera
migliore. E allora? Non smetterò, né mi stancherò di trovare il
mezzo per soddisfare quell’ardente desiderio e quella
brama che mi hai mostrato di possedere nel tuo cuore, prima a parole
e ora a fatti.
Ma
questo ti posso dire a proposito delle dolci armonie e dolcezze che
entrano dalle finestre dei sensi e che possono essere buone o
cattive. Fa’ uso continuamente di questo cieco, devoto e ardente
slancio d’amore di cui ti ho parlato, e poi vedrai che sarà lui
stesso a indicarti quali siano buone e quali cattive.
E
se anche a tutta prima tu dovessi restare un po’ stupito davanti a
esse, perché ti possono apparire strane, questo slancio d’amore
darà una tale solidità al tuo cuore, che tu non annetterai grande
importanza né presterai fede a quelle dolcezze, finché non sarai
sicuro sulla loro natura. E questo avverrà o interiormente, per
opera meravigliosa dello Spirito di Dio, o esteriormente, in seguito
al consiglio di qualche padre
spirituale dotato di particolare discernimento.
CAPITOLO
49
La
sostanza della perfezione sta tutta in una retta intenzione; tutte le
armonie e dolcezze e consolazioni che si possono avere in questa vita
sono puramente accidentali
Perciò,
ti prego, disponiti di buona voglia a seguire quest’umile slancio
d’amore del tuo cuore, perché esso vuol essere la tua guida in
questa vita e vuol condurti alla felicità eterna nell’altra.
Quest’impulso d’amore, senza il quale non c’è opera buona che
si possa cominciare o finire, è l’essenza e la sostanza di ogni
retta esistenza. In poche parole, non è altro che una retta
intenzione in armonia con Dio, e una sorta d’appagamento e di
contentezza che senti nella tua volontà per tutto quello che egli
fa.
Questa
retta intenzione è la sostanza della perfezione. Per quanto possano
essere sante, tutte le dolcezze e le consolazioni, sia fisiche che
spirituali, non sono che accidenti al suo confronto, e non fanno
altro che dipendere da questa retta intenzione. Accidenti li
chiamo, perché possono esserci o meno senza che la perfezione ne
risenta. Naturalmente, mi riferisco a questa vita, perché non sarà
così nella beatitudine celeste, dove tali dolcezze saranno unite in
maniera inseparabile alla loro sostanza, così come il corpo in cui
operano attualmente sarà unito all’anima. E così la loro sostanza
qui in terra non è altro che una retta intenzione del tutto
spirituale. E son proprio certo che chi giunge alla perfezione di
questo volere, per quel che è possibile quaggiù, è ugualmente
contento e felice quando ha le dolcezze e consolazioni che possono
capitare all’uomo in questa vita, come quando non le ha, se tale è
la volontà di Dio.
CAPITOLO
50
L’amore
casto; alcuni provano tali consolazioni solo di rado,
altri
invece con grande frequenza.
Di
qui puoi vedere come dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione
su quest’umile slancio d’amore che si trova nella nostra volontà.
Invece, nei riguardi di tutte le altre forme di consolazione
spirituale o materiale, per quanto possano essere sante e piacevoli,
dobbiamo mostrare, se è consentito dirlo, una sorta di indifferenza.
Se
vengono, accoglile. Ma non dipendere eccessivamente da esse, perché
potresti indebolirti per niente; dovresti pagare un prezzo troppo
alto per gustare a lungo quelle dolci emozioni e quelle lacrime così
soavi. E può anche darsi che ti senta spinto ad amare Dio per causa
loro. Ecco come puoi essere certo di questo difetto: se ti lamenti in
maniera eccessiva quando esse non ci sono. Se le cose stanno a questo
modo, allora il tuo amore non è ancora né casto né perfetto.
L’amore
casto e perfetto, se anche soffre perché per il momento il corpo non
può godere o aver conforto dalla presenza di tali emozioni e lacrime
soavi, tuttavia non si lamenta in alcun modo per la loro mancanza; al
contrario, è ben contento di non averle, se questa è la volontà di
Dio. Va però notato che in alcune persone la contemplazione è
normalmente accompagnata da consolazioni di questo tipo; in altre,
invece, rappresentano un caso rarissimo. Tutto questo rientra
nell’ordinato disegno di Dio e risponde al bene e ai bisogni di
ogni singola persona.
Ci
sono, infatti, degli uomini così deboli e, sensibili nello spirito,
che se non fossero in qualche modo confortati da tali consolazioni,
non riuscirebbero assolutamente
a sopportare e a sostenere le diverse tentazioni e tribolazioni a cui
sono sottoposti nel corso della loro vita, e che provengono dai
nemici del corpo e dell’anima. Altri, invece, sono così deboli di
costituzione, che non possono fare delle grandi penitenze per
purificarsi. Allora nostro Signore, per sua grazia, purifica queste
persone nello spirito, attraverso dolci emozioni e lacrime soavi di
tal genere.
D’altra
parte, ci sono anche delle persone dallo spirito così forte, che
sanno trovare sufficiente conforto all’interno delle loro anime,
nell’offrire questo pio e umile slancio d’amore e quest’accordo
di volontà, tanto che non hanno neanche bisogno del conforto di
soavi emozioni e dolci sentimenti.
Quale
delle due categorie è più santa o più cara a Dio, la prima o la
seconda? Dio solo lo sa, io no di certo.
CAPITOLO
51
Bisogna
stare molto attenti a non intendere in senso materiale quel che vien
detto in senso spirituale, in particolare le parole «dentro» e «in
alto»
Perciò
abbandonati umilmente a questo cieco slancio d’amore che si trova
nel tuo cuore. Naturalmente, non
intendo il
tuo cuore fisico, ma quello spirituale, cioè la tua volontà. E sta’
ben attento a non interpretare in senso materiale quel che vien detto
in senso spirituale. In verità ti dico che i pensieri materiali e
carnali di menti curiose, o comunque fervide d’immaginazione, sono
causa di molti errori.
Un
esempio a questo proposito lo puoi trovare quando
ti ho detto di nascondere a Dio il tuo desiderio, almeno per quel che
ti è possibile. Infatti, se per caso ti avessi detto di rivelare a
Dio il tuo desiderio, forse avresti interpretato la mia affermazione
in maniera più letterale di quanto tu non faccia ora, quando ti dico
di nasconderlo. E tu sai bene che una cosa, quando la si nasconde
volutamente, viene ricacciata e riposta nelle profondità dello
spirito.
Ne
segue che è estremamente necessario fare molta attenzione
nell’interpretare le parole che sono dette con intendimento
spirituale, così da poterle recepire nel loro vero senso, che è
quello spirituale, e non materiale. In modo particolare, bisogna
stare attenti a non fraintendere queste due parole: «dentro» e «in
alto», perché
in tal caso derivano, a mio parere, molti errori e illusioni per chi
si propone di diventare contemplativo. Io ne so qualcosa per
esperienza, e qualcos’altro per sentito dire. E ora credo proprio
di doverti parlare un poco di queste illusioni.
Un
giovane discepolo che ha appena lasciato il mondo e si
è messo alla scuola di Dio, per
il
semplice fatto di essersi dedicato per un poco di tempo alla
preghiera e alla penitenza (seguendo così il consiglio del suo
confessore), pensa di essere già in grado di sobbarcarsi il lavoro
della contemplazione. Ne ha sentito parlare o leggere da altri, o ha
letto qualcosa egli stesso. Orbene, quando lui o altre persone di
questo genere leggono o sentono qualche descrizione del lavoro
spirituale e in particolare come un uomo debba «rientrare dentro se
stesso» o ancora come debba «arrampicarsi al di sopra di se stesso»
—, subito, per via della loro cecità spirituale e della visione
angusta e distorta della loro mente, fraintendono queste parole e
pensano di essere chiamati
a un tale lavoro dalla grazia, dal momento che sentono dentro di sé
un innato desiderio per le realtà mistiche.
E
sono così sicuri di sé che, se il direttore spirituale non è
d’accordo con loro sul fatto che essi debbano dedicarsi alla
contemplazione, si mettono subito a mormorare contro di lui e pensano
immediatamente — e forse dicono ad altri della loro stessa risma —
che non c’è nessuno che possa veramente capirli. E spinti
dall’audacia e dalla presunzione della loro mente perversa, eccoli
tralasciare troppo presto l’umile preghiera e la penitenza per
mettersi a fare, così credono, un lavoro del tutto spirituale dentro
la loro anima. Ma il lavoro che essi fanno, se lo si guarda bene, non
è né spirituale né materiale. In breve, è un lavoro contro
natura, e il diavolo ne è il principale artefice. È la maniera più
sbrigativa per morire sia nel corpo che nello spirito, perché è
follia e non saggezza, e può condurre l’uomo sull’orlo della
pazzia.
Ma
essi non se lo immaginano nemmeno, perché in questo lavoro si
propongono di pensare a Dio, e a lui solo.
CAPITOLO
52
Come
i giovani discepoli presuntuosi fraintendono «dentro»; gli errori
che ne derivano
Ed
è così che si produce la pazzia di cui parlo. Essi leggono o
sentono dire giustamente che devono lasciar perdere qualsiasi
occupazione esteriore delle loro facoltà mentali per mettersi a
lavorare interiormente. E poiché non sanno cosa vuol dire lavorare
interiormente, fanno un lavoro sbagliato. Rivolgono i loro sensi
verso l’in terno del loro corpo, andando così contro natura; e
in maniera inverosimile, quasi a voler vedere di dentro con i loro
occhi corporei o sentire all’interno con le loro orecchie, e così
via per tutti gli altri sensi, l’odorato, il gusto e il tatto. A
questo modo li distorcono, scombussolando l’ordine naturale, e con
questa curiosità di spirito finiscono per estenuare la loro
immaginazione in maniera così dissennata che rimangono col cervello
stravolto. E subito il diavolo mette in atto il
suo potere di emanare luci o suoni falsi, odori soavi nelle loro
narici, sapori squisiti nelle loro bocche, e prova ad accendere
passioni e ardori strani nel loro petto o nelle loro viscere, nella
loro schiena o nei loro lombi o nei loro genitali.
Pur
in mezzo a questi fenomeni illusori, sono tuttavia convinti di
contemplare in tutta tranquillità il loro Dio, senza essere
ostacolati da vani pensieri. E in certo qual modo hanno ragione,
perché son così pieni di falsità, che la vanità non può nemmeno
sfiorarli. E perché? Perché quello stesso nemico che dovrebbe
suscitare in loro dei pensieri vani se fossero sulla buona strada, è
il principale artefice del lavoro che stan facendo. E tu sai bene che
non gli piace, né gli conviene, ostacolare se
stesso. Egli non toglie loro il pensiero di Dio, per paura che si
insospettiscano.
CAPITOLO
53
I
vari atteggiamenti disdicevoli che assumono i falsi contemplativi
I
gesti e le espressioni che assumono quanti sono fuorviati da questa
falsa contemplazione, o da qualche altra contraffazione, sono
veramente strani a vedersi, specie se rapportati a quelli dei veri
discepoli di Dio Questi ultimi, infatti, sono sempre a modo nei loro
atteggiamenti, sia corporali che spirituali. Non così invece i
primi.
Chiunque
volesse prendersi la briga di osservare il loro comportamento nel
tempo della contemplazione, li troverebbe con gli occhi sbarrati,
ammesso che abbiano gli occhi aperti, come se fossero pazzi, e lo
sguardo di sbieco, come se vedessero il diavolo. E fan bene a stare
in guardia, poiché in effetti il nemico non è poi molto lontano.
Alcuni strabuzzano gli occhi come fossero pecore stordite da una
mazzata in testa, e come se stessero per morire. Altri piegano la
testa da una parte, come se avessero un verme nell’orecchio. Altri
ancora, quando devono parlare emettono suoni rauchi e fiochi, come se
non avessero più fiato in corpo: questo è l’atteggiamento proprio
degli ipocriti. Altri, infine, urlano e strepitano a squarciagola,
tanto sono impetuosi e avidi di dire quel che pensano: così si
comportano gli eretici e quanti sostengono sempre l’errore con
senso di presunzione e con attività incessante.
Se
uno potesse vedere tutti questi atteggiamenti, si accorgerebbe che
molte sono le abitudini strane e le pratiche sregolate che derivano
da un simile errore. Tuttavia, ci sono alcuni così cauti e diligenti
che sanno frenarsi quasi completamente quando sono in pubblico. Ma se
si potesse osservarli così come sono in privato, allora credo
proprio che cadrebbero tutti i veli. Allo stesso modo, credo che essi
si svelerebbero, almeno in parte, a chi osasse contraddire in pieno
la loro opinione: si metterebbero a inveire e ad alzare la voce.
Eppure, tutto quel che fanno pensano di farlo per amor di Dio e per
tener fede alla verità.
Orbene,
credo proprio che se Dio non compie un miracolo di misericordia per
fermarli in tempo, continueranno ad amare Dio in questo modo,
cosicché finiranno pazzi nelle mani del diavolo.
Non
intendo dire che il diavolo ha dei servitori così perfetti in questa
vita da restare ingannati e contagiati da tutte quante le illusioni
che ti ho mostrato. No, non capita sempre così, anche se è
possibile che uno, e forse più di uno, rimanga contagiato da tutte
insieme. Quel che voglio dire è che non c’è perfetto ipocrita o
eretico su questa terra che non sia chiamato in causa da qualcuno
degli esempi che ho fatto o che farò più innanzi, se Dio vuole.
Ci
sono alcuni che sono così pieni di pose ed espressioni strane, e
così affettati nel loro comportamento, che quando devono sentire
qualcosa, storcono la testa da una parte in modo bizzarro e drizzano
il mento all’insù.
Se
ne stanno a bocca aperta, come se dovessero sentire con la bocca, e
non con le orecchie. Alcuni, invece, quando parlano gesticolano a più
non posso: sembrano parlare con le loro dita z, le portano al proprio
petto o le posano su quello del loro interlocutore. Alcuni non son
capaci di star fermi, siano pure seduti o in piedi o sdraiati; devono
sempre ciondolare i piedi o aver qualcosa tra le mani con cui
giocherellare. Altri remano con le, braccia quando parlano, come se
dovessero attraversare a nuoto un oceano. Altri ancora si mettono
sempre a ridere e a sghignazzare a ogni parola che esce dalla loro
bocca, quasi fossero sgualdrine o buffoni ridanciani o mattacchioni
senza il senso della misura. Sarebbe bene, invece, comportarsi con
sobrietà e compostezza e avere in sé una gioia genuina, e non
smodata.
Con
ciò non voglio dire che tutti questi atteggiamenti eccentrici sono
di per sé peccati gravi, e nemmeno che tutti coloro che li assumono
sono di per sé grandi peccatori: Ma quel che voglio dire è che se
simili atteggiamenti inusitati e sconvenienti prendono piede a tal
punto da diventare padroni di chi li possiede, tanto che costui non
riesce più a liberarsene, allora sono segni sicuri di orgoglio, di
mente perversa, di sregolata mostra di sé e di avidità di sapere.
In particolare rivelano un cuore instabile e una mente irrequieta, e,
quel che più conta, un’assoluta incapacità a compiere il lavoro
di cui parla questo libro. È questo l’unico motivo per cui mi sono
dilungato su questi errori e su queste illusioni: perché in tal modo
il contemplativo può verificare il proprio
lavoro.
CAPITOLO
54
Grazie
a questo lavoro l’uomo sa governare se stesso
con tutta saggezza e diventa piacevole sia nel corpo che nell’anima
con tutta saggezza e diventa piacevole sia nel corpo che nell’anima
Chiunque
si dedica al lavoro della contemplazione, si accorge che ne riceve
benefici effetti sia nel corpo che nell’anima, tanto da riuscire
gradevole e simpatico agli occhi di tutti coloro che lo guardano.
Tutto questo è così vero, che se l’uomo o la donna più brutti
del mondo dovessero diventare, per grazia di Dio, dei contemplativi,
si ritroverebbero improvvisamente cambiati, per effetto della grazia,
anche nell’aspetto fisico. Qualsiasi persona buona,
nell’incontrarli, resterebbe contenta e felice di godere della loro
compagnia, e per di più si sentirebbe riconfortata spiritualmente
dalla loro presenza e in qualche modo ravvicinata a Dio.
Chiunque
può, cerchi dunque di avere per grazia questo dono; infatti, chi
l’ha veramente, è in grado di governare se stesso e tutto ciò che
gli appartiene, in virtù di questo dono. Sa, anche usare moderazione
quando occorre, per tutti i tipi e i caratteri. Sa essere a suo agio
con tutti, peccatori incalliti o meno, senza che in lui ci sia
peccato, meravigliando così tutti quelli che lo vedono, e attirando
altri, con l’aiuto della grazia, allo stesso lavoro spirituale che
fa lui. La sua condotta e le sue parole sono piene di saggezza
spirituale, di fuoco e di frutti, sono ferme e veraci, e non
conoscono falsità, né ogni altra finzione o lusinga propria degli
ipocriti.
In
effetti ci sono certuni che sprecano tutte le loro energie, esteriori
e interiori, per abbellire i loro discorsi, e pensano
soltanto a rinforzare la loro figura e a puntellarla
da ogni lato, per timore che cada, con numerose paroline, umili
piagnucolii e gesti appariscenti di devozione. Costoro si preoccupano
più di apparire santi agli occhi degli uomini, che non di esserlo
effettivamente agli occhi di Dio e dei suoi angeli. Se la prendono di
più e restano maggiormente afflitti per un gesto inconsulto o una
parola indecente o sconveniente detta in pubblico, che non per mille
pensieri vani e altrettanti impulsi peccaminosi e maleodoranti che,
essi hanno deliberatamente ammassato dentro di sé o che hanno
depositato con noncuranza davanti a Dio, ai santi e agli angeli del
cielo. Ah, Signore Iddio! Se di dentro c’è l’orgoglio, allora
all’esterno si ritrovano con uguale abbondanza dolci parole e umili
piagnucolii.
Sono
pronto a riconoscere come giusto e conveniente che le persone umili
di dentro manifestino all’esterno la loro umiltà con parole e
gesti appropriati. Ma non per questo devono esprimersi con voce rotta
o piagnucolosa, andando contro la loro stessa natura e il loro
carattere. Se la loro umiltà è genuina, allora devono parlare con
fermezza e pienezza di voce e di spirito. E se uno ha per natura una
voce normale o addirittura potente, ma poi parla a bisbigli e
piagnucolii — a meno che sia malato, o stia parlando con Dio o con
il suo confessore —, questo è un segno evidente di ipocrisia. Può
trattarsi di ipocrisia propria di un principiante o di uno già
avanti negli anni: resta sempre ipocrisia.
Che
devo dire ancora a proposito di simili malefici errori? Credo proprio
che se questi ipocriti non hanno la grazia di smettere dalla loro
condotta, tra l’orgoglio segretamente nascosto nel loro cuore e le
umili parole che escono dalle loro labbra, l’anima smarrita rischia
di sprofondare nel dolore e nella disperazione.
CAPITOLO
55
L’errore
di quanti seguono il fervore del loro spirito
nel disapprovare il peccato senza la debita moderazione
nel disapprovare il peccato senza la debita moderazione
Alcuni,
invece, il diavolo li ingannerà in questo modo: infiammerà in
maniera del tutto meravigliosa il loro cuore, perché abbiano a far
rispettare la legge di Dio e a distruggere il peccato di tutti gli
altri uomini. Non li istigherà mai a fare qualcosa di manifestamente
cattivo. Egli li rende piuttosto simili a quei prelati pieni di zelo,
che hanno il compito di sorvegliare in ogni minima parte tutta la
nostra vita cristiana, così come fa l’abate con i suoi monaci.
Essi si mettono a rimproverare a tutti gli uomini le loro colpe, come
se avessero in cura le loro anime. Pensano di non poter fare altro
per amore di Dio, se non denunciare le colpe che vedono. E dicono di
essere mossi dal fuoco della carità e dall’amore di Dio che c’è
nei loro cuori. In realtà, si ingannano, perché il fuoco che
infiamma la loro mente e la loro immaginazione viene dall’inferno.
Che
questo sia vero, lo si può vedere da quanto segue. Il diavolo è uno
spirito, e per sua stessa natura non
ha
corpo, al pari degli angeli. Tuttavia, quando il demonio o un angelo,
con il consenso di Dio, assumono forma corporea per svolgere una
missione presso gli uomini, il loro corpo ha una certa qual forma e
qualità, a seconda del compito che è loro affidato. La sacra
Scrittura ci presenta molti esempi. Ogniqualvolta un angelo veniva
inviato in forma umana, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento,
era sempre possibile riconoscere — attraverso il suo nome o qualche
oggetto particolare o una qualità del suo corpo — qual era
l’oggetto o il messaggio della sua missione spirituale.
La
stessa cosa vale per il diavolo: quando appare in forma corporea,
traspare in qualche modo dal suo aspetto visibile quel che i suoi
servitori sono spiritualmente.
A
questo proposito mi basta fare un solo esempio. Ho saputo da alcuni
cultori di negromanzia — quel l’arte che pretende di evocare gli
spiriti maligni — e
da
altri a cui il diavolo è apparso in forma corporea, che qualunque
sia l’aspetto che egli assume, non ha mai più di una narice, e
questa è grande e vasta. Egli è ben contento di tirarla in su per
far sì che l’uomo vi affondi lo sguardo e giunga a vedere il
cervello nella sua testa. E il suo cervello non è altro che il fuoco
dell’inferno, perché il diavolo non può avere altro cervello. E
non domanda niente di meglio che farvi guardar dentro un uomo;
perché costui diventerebbe pazzo per sempre. Ma un perfetto
professionista dell’arte negromantica sa bene tutto questo, e
quindi prende ogni precauzione perché il diavolo non abbia a fargli
del male.
Quindi
ho ragione quando affermo, come ho già detto, che ogniqualvolta il
diavolo assume una forma corporea, traspare in qualche modo dal suo
aspetto visibile quel che i suoi servitori sono in spirito. Infatti
egli infiamma a tal punto l’immaginazione dei suoi contemplativi
con il fuoco dell’inferno, che questi, improvvisamente, pronunciano
giudizi a destra e a manca senza alcun discernimento, e si arrogano
il diritto di giudicare le colpe degli altri, senza avere nemmeno gli
elementi per farlo.
Questo
avviene perché anch’essi non hanno che una sola narice,
spiritualmente parlando. La divisione che c’è nel naso umano, e
che separa una narice dall’altra, sta a significare che l’uomo
deve avere il discernimento spirituale, e saper distinguere il bene
dal male; il male dal peggio, il bene dal meglio, prima di poter
esprimere un giudizio su qualsiasi cosa abbia sentito dire o vistò
fare attorno a lui. Il cervello umano è, in senso spirituale,
l’immaginazione, perché per sua natura questa si trova e lavora
nella testa.
CAPITOLO
56
Le
illusioni che subiscono quelli che fanno affidamento sulle proprie
risorse intellettuali e sulla sapienza umana, piuttosto che sulla
dottrina e sugli insegnamenti della santa chiesa
Ci
sono poi alcuni che se anche non cadono nell’errore che ho appena
esposto, tuttavia, a causa del loro orgoglio, della loro mente
speculativa e avida di sapere, e della loro erudizione, abbandonano
la dottrina e gli insegnamenti della santa chiesa. Tutti costoro, e
anche i loro sostenitori, fanno troppo affidamento sul proprio
sapere. E poiché non sono fondati, né lo sono mai stati, sull’umile
cieca esperienza contemplativa e su una vita virtuosa, allora
meritano di avere un’esperienza falsa e illusoria, contraffatta e
prodotta dal nemico spirituale.
Avviene
così che alla fine prorompono in bestemmie contro tutti i santi, i
sacramenti, e gli ordinamenti della santa chiesa. Non mancano poi
uomini di mondo dediti ai piaceri della vita, i quali ritengono
troppo dure le leggi imposte dalla santa chiesa a chi vuol emendarsi.
Costoro, con prontezza e leggerezza sconcertante, passano dalla parte
di questi eretici e sostengono fermamente,
perché pensano di poter fare, sotto la loro guida,
una via più comoda di quella ordinata dalla santa chiesa.
In
verità, chi non vorrà percorrere la via stretta che porta al cielo,
si ritroverà su quella larga che porta all’inferno. Questo è quel
che penso io, ma ognuno potrà rendersene conto di persona. E credo
pure che se noi potessimo vedere chiaramente questi eretici e i loro
sostenitori, così come saranno l’ultimo giorno, li vedremmo
oppressi dal peso della loro impudente sfrontatezza nel sostenere
l’errore; ma anche dal peso dei grossi e orribili peccati del mondo
e della loro carne corrotta, che hanno commesso in segreto. E a buon
diritto allora si può chiamarli discepoli dell’Anticristo, poiché
di essi si dice che, nonostante la loro apparente virtù, in privato
sono libertini e depravati.
CAPITOLO
57
Come
i giovani discepoli presuntuosi fraintendono «in alto»; gli errori
che ne derivano
Ma
per ora basta su questo argomento. Dobbiamo andare avanti nel nostro
discorso e vedere come questi giovani discepoli spirituali,
presuntuosi fraintendono quest’altra parola: «in alto».
Se
capita loro di leggere, o di sentir leggere o dire, che gli uomini
devono levar in alto il loro cuore a Dio, eccoli fissare lo sguardo
sulle stelle, come se volessero oltrepassare la luna, e tendere le
orecchie, come se sentissero cantare un angelo dal cielo. Sull’onda
delle loro fantasie mentali, costoro giungono talvolta a perforare i
pianeti, e a fare un buco nel firmamento per guardarci dentro. Si
fabbricano un Dio a loro piacimento, lo ammantano di ricche vesti e
lo mettono su un trono: un Dio così strano non è mai stato dipinto
sulla faccia della terra.
Ancora, si fabbricano angeli in forma umana e ciascuno con il suo
diverso strumento musicale: una cosa di questo genere non la si è
mai vista né sentita quaggiù.
Alcuni
di questi uomini, il diavolo li inganna in modo del tutto
meraviglioso. Infatti, manda loro una specie di rugiada — cibo
degli angeli, essi pensano — che discende come dal cielo e cade
dolcemente e deliziosamente nella loro bocca. Ecco perché hanno
preso l’abitudine di starsene seduti con la bocca aperta, come se
volessero’ prender mosche. Ma per quanto a loro possa sembrare
santo, tutto questo non è che una mera illusione: la loro anima nel
frattempo è completamente vuota di ogni vera devozione. Il loro
cuore, invece, è pieno di vanità e falsità, a causa dello strano
lavorio della loro immaginazione. Ed ecco che spesso il diavolo
inganna le loro orecchie con suoni inusitati, i loro occhi con luci
folgoranti e misteriose, il loro naso con profumi gradevolissimi:
nonostante tutto, questi sono fenomeni fasulli.
Ma
essi non la pensano così. Tenendo lo sguardo rivolto in alto,
credono di seguire l’esempio di s. Martino, che vide Dio, per
rivelazione, rivestito del suo mantello nel bel mezzo dei suoi
angeli, o di s. Stefano, che vide nostro Signore nella gloria dei
cieli, o di molti altri; e in particolare, di Cristo stesso, che
ascese al cielo con il corpo alla vista dei suoi discepoli, Perciò
essi dicono che dobbiamo tenere gli occhi rivolti all’insù. Son
pronto ad ammettere che nel nostro contegno fisico dobbiamo levare in
alto gli occhi e le mani, se lo spirito ci muove a farlo. Ma io dico
che l’opera del nostro spirito non è diretta né in alto né in
basso, né da una parte né dall’altra, né avanti né indietro,
come è invece il caso di una cosa materiale. Il nostro lavoro,
infatti, deve essere spirituale, e non materiale, né lo si può
compiere in maniera fisica.
CAPITOLO
58
Non
bisogna prendere come esempio s. Martino e s. Stefano,
per
tendere fisicamente in alto la propria immaginazione durante la
preghiera
In
riferimento a quanto le suddette persone affermano di s. Martino e di
s. Stefano, bisogna ricordare che, sebbene questi santi videro Dio
con i loro occhi corporei, si trattò chiaramente di un miracolo per
dimostrare una verità spirituale. Si sa benissimo che il mantello di
s. Martino non ricopri mai il corpo di Cristo in maniera reale,
poiché egli non aveva assolutamente bisogno di ripararsi dal freddo,
ma solo in maniera miracolosa e simbolica. Ciò costituisce un
esempio per tutti coloro che devono essere salvati e appartengono
spiritualmente al corpo di Cristo. Chiunque veste un povero per amor
di Dio o fa del bene corporale e spirituale a una persona bisognosa,
costui può star certo che lo fa spiritualmente a Cristo stesso: e
per tutto questo sarà ricompensato in modo cosa tangibile come se
l’avesse fatto a Cristo in persona.
Lo
dice egli stesso nel vangelo. Ma pensò che non era ancora
abbastanza, e cosa in seguito lo confermò con un miracolo: è per
questo motivo che si mostrò a s. Martino in una speciale
rivelazione. Tutte le rivelazioni in forma corporea che gli uomini
abbiano mai avuto qui su questa terra, possiedono un significato
spirituale. E credo che se coloro che le hanno avute, fossero stati
abbastanza spirituali o avessero potuto comprendere il loro
significato in maniera spirituale, quelle rivelazioni non avrebbero
mai preso una forma corporea. Togliamo perciò la dura scorza e
nutriamoci della dolce mandorla.
Ma
come? Non imitando questi eretici, i quali possono essere ben
paragonati a quei pazzi che, dopo aver bevuto in una coppa splendida,
hanno l’abitudine di gettarla contro il muro in modo da mandarla in
frantumi.
No,
non è così che noi dobbiamo comportarci, se vogliamo far bene. Noi
non saremo così sazi del frutto da dover disprezzare l’albero, né
cosi ebbri da mandar in frantumi le coppe in cui abbiamo bevuto.
L’albero
e la coppa, cosi io chiamo i miracoli che possiamo costatare e tutti
gli atteggiamenti esterni che non contrastano, anzi che ben si
accordano all’opera dello spirito. Il frutto e il vino, cosi io
chiamo il significato spirituale di quei miracoli visibili e degli
atteggiamenti esterni appropriati, come l’elevare gli occhi e le
mani al cielo. Se questi son compiuti seguendo l’impulso dello
spirito, allora sono buoni; altrimenti sono soltanto ipocrisia, e
quindi falsi. E se tali atteggiamenti sono veri e contengono il loro
frutto spirituale, perché disprezzarli? Gli uomini, infatti, baciano
la coppa se dentro c’è il vino.
E
che importanza ha se nostro Signore, quando ascese al cielo con il
corpo, fu visto dagli occhi corporei di sua madre e dei suoi
discepoli salire verso l’alto tra le nubi? Forse che nel nostro
lavoro spirituale dobbiamo allora guardare perennemente in alto con
gli occhi corporei e cercare di vedere Cristo seduto in cielo in
carne e ossa, o in piedi come lo vide s. Stefano?
No, senz’altro! Egli si rivelò a s. Stefano sotto forma umana in
cielo, non perché il primo martire ci desse l’esempio di come
bisogna guardare in cielo materialmente durante la contemplazione,
caso mai dovessimo vederlo anche noi, come lui, in piedi o seduto o
disteso. Quale sia la posizione del suo corpo in cielo, se in piedi o
seduto o disteso, nessuno lo sa. E non occorre nemmeno saperlo. Basta
questo: Cristo è asceso al cielo anima e corpo, senza alcuna
distinzione. Allo stesso modo, la sua umanità, costituita dall’anima
e dal corpo, è unita in maniera indissolubile alla sua divinità.
Non interessa affatto sapere se è seduto o in piedi o disteso, ma
piuttosto che è là come gli è più gradito e che atteggia il suo
corpo nella posizione più adeguata al suo essere. E se si mostra
disteso o in piedi o seduto, in una delle rivelazioni corporee a
qualche creatura di quaggiù, lo fa per qualche scopo spirituale, e
non perché si trova effettivamente in quella posizione in cielo.
Un
esempio te lo illustrerà meglio. L’espressione «stare in piedi»
implica la prontezza nel soccorrere. Per questo motivo un amico usa
dire all’altro, impegnato in un combattimento fisico: «Fatti
coraggio, amico, battiti con vigore e non abbandonare il campo troppo
facilmente. Io sono qui al tuo fianco». Ed egli non vuole intendere
semplicemente lo stare in piedi, perché questa può anche essere una
battaglia a cavallo e non in piedi, o ancora, di movimento e non di
posizione. Ma quando dice che c’è lui al suo fianco, vuole
intendere che è pronto a portargli aiuto.
Questo
è il motivo per cui nostro Signore si rivelò a s. Stefano in
posizione ritta su nel cielo, mentre lui subiva il martirio, e non
per darci l’esempio di guardare in alto verso il cielo. E come se
avesse detto a s. Stefano, modello di tutti coloro che soffrono
persecuzioni per amor suo: «Guarda, Stefano! Come è vero che io
dischiudo dinanzi a te questo firmamento materiale, che vien chiamato
cielo, e com’è vero che tu mi puoi vedere qui in piedi, così devi
credere con uguale certezza che io sono lì al suo fianco
spiritualmente, per la potenza della mia divinità, e che sono pronto
ad aiutarti. Perciò tieniti saldo nella fede, e sopporta con
coraggio i colpi violenti di quelle dure pietre. Io ti darò la
corona della beatitudine come ricompensa, e non solo a te, ma anche a
tutti coloro che soffriranno persecuzioni di ogni sorta per causa
mia».
Puoi
in tal modo vedere come le apparizioni corporali avvengono per un
preciso scopo spirituale.
CAPITOLO
59
Non
bisogna prendere come esempio l’ascensione corporea di Cristo;
il
tempo, il luogo e il corpo vanno tutti e tre dimenticati in qualsiasi
lavoro spirituale
E
se ora sposti il discorso sull’ascensione di nostro Signore, e dici
che essa ha un significato materiale oltre che spirituale, perché
Cristo è asceso al cielo come vero Dio e vero uomo, e quindi con il
suo vero corpo, ti
rispondo a questo modo: dopo la sua morte, egli fu rivestito di
immortalità e così avverrà per noi nel giorno del giudizio. Allora
ci troveremo così rarefatti nel corpo e nello spirito, che saremo in
grado di andare fisicamente in qualunque posto vorremo, con la stessa
velocità con cui ora ci muoviamo da un posto all’altro con il
pensiero. In alto, in basso, di fianco, indietro, in avanti: sarà
sempre la stessa cosa per noi, e andrà ugualmente bene, a detta dei
teologi; e anch’io la penso così. Ma, adesso come adesso, tu non
puoi salire in cielo fisicamente, ma solo spiritualmente. E
quest’ascesa è
così
spirituale che non presenta alcuna direzione fisica: né in alto né
in basso, né da una parte né dall’altra, né in avanti né
indietro.
Sta’
pur certo che tutti coloro che si mettono a fare un lavoro
spirituale, e in particolare quello delineato in questo libro, anche
se leggono «eleva» o «entra» non devono intenderlo in senso
letterale.
E
anche se il lavoro indicato in questo libro è definito come un
impulso, si deve fare molta attenzione perché non tenda
corporalmente né verso l’alto né verso l’interno, e non sia in
alcun modo un movimento da un posto all’altro. E anche se a volte
lo si indica con il termine riposo, non si deve tuttavia pensare che
si tratta di restare in un posto senza spostarsi. La perfezione della
contemplazione è così pura e cosi spirituale in se stessa, che per
intenderla nel
suo
vero senso deve essere considerata come qualcosa di assolutamente
diverso e lontano da ogni movimento o posto fisico.
Sarebbe
meglio e più ragionevole chiamare questo lavoro un brusco
cambiamento, piuttosto che un movimento da un posto all’altro.
Il
tempo, il luogo e il corpo vanno tutti e tre dimenticati in ogni
lavoro spirituale. Quindi sta’ attento in quest’opera a non
prendere come esempio l’ascensione corporea di Cristo, per tendere
fisicamente in alto la tua immaginazione durante la preghiera, quasi
a volerti arrampicare al di là della luna. Non è affatto così che
si svolge la nostra attività spirituale.
Se
tu dovessi ascendere al cielo fisicamente come Cristo, allora sì
potresti prendere lui come esempio. Però nessuno è in grado di
farlo, se non Dio solo, come egli stesso afferma dicendo: «Nessuno
può salire al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, e che si
è fatto uomo per amore degli uomini». E se anche fosse possibile,
ma non lo è, sarebbe dovuto alla sovrabbondanza del lavoro
spirituale e solo alla potenza dello spirito, e non grazie a
qualsivoglia tensione o sforzo fisico sulla nostra immaginazione, per
farla andare in alto, o dentro, o da una parte o dall’altra.
Perciò
lascia da parte questo errore: non è così che si fa.
CAPITOLO
60
La
maniera più elevata e più breve per giungere al cielo
è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi.
è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi.
Ma
ora mi chiedi: «Come fai ad arrivare a simili conclusioni?»
Infatti, ti sembra di avere prova sicura ed evidente che il cielo si
trova in alto: Cristo è asceso fisicamente verso l’alto e, come
aveva promesso, ha mandato lo Spirito santo dall’alto, così che
tutti i suoi discepoli l’hanno visto discendere in forma corporea.
E
noi questo lo crediamo per fede. Perciò, dal momento che hai questa
prova sicura ed evidente, vai chiedendoti come mai tu non debba
dirigere il tuo spirito fisicamente in alto quando preghi.
Cercherò
di rispondere a questo interrogativo meglio che posso, anche se la
mia risposta sarà sempre inadeguata. Siccome era stabilito che
Cristo dovesse ascendere al cielo fisicamente, e poi mandare lo
Spirito santo in forma corporea, era più opportuno che tutto ciò
avvenisse in alto e dall’alto, piuttosto che in basso e dal basso,
o dietro, o davanti, o da una parte o dall’altra. Ma a prescindere
da una tale questione di opportunità, non era assolutamente
necessario che Cristo andasse in alto o in basso per accorciare la
strada.
Perché,
spiritualmente, il cielo è vicino allo stesso modo in alto come in
basso, in basso come in alto, dietro come davanti, davanti come
dietro, e da una parte come dall’altra. Tant’è vero che chiunque
desidera veramente essere in cielo, in quello stesso istante è già
in cielo spiritualmente. Infatti, la maniera più elevata e più
breve
per giungere
al cielo è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi Per
questo s. Paolo, parlando
di sé e di molti altri, dice: «Anche se i nostri corpi sono per il
momento qui, su questa terra, tuttavia noi viviamo già in cielo».
Egli si riferisce all’amore e al desiderio che sono, spiritualmente
parlando, la nostra vita.
Una
cosa è certa: l’anima è là dove si trova l’oggetto del suo
amore, in maniera così vera e reale come nel corpo che la ospita e
al quale dà la vita. Se allora vogliamo andare in cielo
spiritualmente, non c’è bisogno di tendere il nostro spirito né
in alto né in basso, né da una parte né dall’altra.
CAPITOLO
61
Tutte
le cose materiali sono soggette a quelle spirituali
e sono da queste governate (seguendo cosa l’ordine naturale), e non il contrario
e sono da queste governate (seguendo cosa l’ordine naturale), e non il contrario
Tuttavia
abbiamo bisogno di elevare fisicamente i nostri occhi e le nostre
mani lassù, verso quella volta celeste a cui gli astri sono fissati.
Naturalmente, parto dal presupposto che il nostro spirito ci spinga a
farlo; altrimenti no. Tutte le cose materiali infatti, sono soggette
a quelle spirituali, e sono da queste governate, e non il contrario.
Un
esempio di quanta vengo dicendo, si può trovare nell’ascensione di
nostro Signore. Quando venne il tempo stabilito in cui a lui piacque
ritornare al Padre fisicamente nella sua umanità — la quale non fu
separata, né mai lo sarà, dalla sua divinità — allora la virtù
dello Spirito di Dio si manifestò in tutta la sua potenza, e
nell’unità di una sola persona l’umanità segui corporalmente la
divinità. L’apparenza visibile di tutto questo fu, nella maniera
più adeguata e conveniente, un moto verso l’alto.
Analogamente,
si può in certo modo cogliere la dipendenza del corpo dallo spirito
in quanti cercano di mettere in pratica il lavoro spirituale indicato
in questo libro. Infatti, non appena l’anima si mette decisamente
al lavoro, subito, senza che il contemplativo ci faccia caso, il
corpo, che magari prima di cominciare pendeva verso terra o da una
parte o dall’altra per comodità della carne, si tiene su ritto in
virtù dello spirito, e segue in certo qual modo con il proprio
atteggiamento fisico il lavoro spirituale compiuto dall’anima. Ed è
del tutto confacente alla natura dell’uomo che avvenga così.
Proprio
per questa ragione, l’uomo, che fra tutte le creature di Dio ha il
corpo più decoroso, non è fatto curvo per terra come tutti gli
altri animali, ma su diritto, rivolto verso il cielo. Infatti deve
riflettere nel suo aspetto fisico il lavoro spirituale dell’anima,
lavoro che è necessariamente dritto in senso spirituale, e non
storto.
Nota
che ho detto «dritto» in senso spirituale, e non materiale:
infatti, come si potrebbe tener ritta fisicamente
l’anima, se questa per sua natura non è in alcun modo materiale?
No, è assolutamente impossibile!
Quindi
sta’ attento a non interpretare fisicamente quel che invece ha un
valore spirituale, anche se si fa uso di parole dall’apparente
significato materiale, quali: su, giù, dentro, fuori, da questa
parte, da quell’altra. Infatti, anche se dovessimo parlare della
cosa più spirituale in se stessa, dal momento che il linguaggio è
un’azione fisica operata dalla lingua, che è uno strumento del
corpo, saremmo sempre costretti a far uso di parole materiali. E con
questo? Forse che dobbiamo intenderle per forza in senso materiale?
No di certo, bensì in senso spirituale.
CAPITOLO
62
Come
si fa a sapere se il proprio lavoro spirituale
è
sotto
o fuori o allo stesso livello oppure dentro di sé,
e quando è al di sopra di sé, ma al di sotto di Dio.
e quando è al di sopra di sé, ma al di sotto di Dio.
E
perché tu possa comprendere meglio come si devono intendere
spiritualmente queste parole che vengono dette materialmente, ho
pensato di spiegarti il significato spirituale di alcune parole
concernenti il lavoro spirituale. Così sarai in grado di sapere
chiaramente e senza errore, quando il tuo lavoro spirituale è al di
sotto di te e al tuo esterno, quando è al tuo stesso livello e al
tuo interno, e quando è al di sopra di te e sotto il tuo Dio.
Qualunque
realtà fisica è esterna alla tua anima e inferiore a essa
nell’ordine naturale. Sì, il sole e la luna e tutte le stelle,
anche se stanno sopra il tuo corpo, sono tuttavia al di sotto della
tua anima.
Tutti
gli angeli e tutte le anime, per quanto possano essere ben saldi
nella fede e adorni di grazia e virtù, e quindi superiori a te per
purezza, nondimeno sono al tuo stesso livello nell’ordine naturale.
La
tua anima ha per natura dentro di sé tre facoltà principali: la
memoria, la ragione e la volontà; e due facoltà secondarie:
l’immaginazione e la sensibilità. Al
di
sopra di te non c’è nient’altro nell’ordine naturale se non
Dio solo.
Ogniqualvolta
vedrai scritto «te stesso» in un contesto spirituale, puoi star
certo che si tratta della tua anima, e non del tuo corpo. Dunque, a
seconda dell’oggetto su cui sono concentrate le facoltà della tua
anima, si può anche stabilire la qualità e le condizioni del tuo
lavoro: se è al di sotto di te, dentro di te o al di sopra di te.
CAPITOLO
63
Le
facoltà dell’anima in generale.
La
memoria, in particolare, è la facoltà principale
che
racchiude in sé tutte le altre
La
memoria è una facoltà che, di per sé, propriamente parlando e in
certo qual senso, non opera mai. La ragione e la volontà, invece,
sono due facoltà operative, e così pure l’immaginazione e la
sensibilità. Tutte queste quattro facoltà e le loro opere, sono
contenute e comprese nella memoria. E non si può dire in alcun modo
che la memoria opera, a meno di considerare come un’azione il fatto
che essa contenga e comprenda le altre facoltà.
Alcune
facoltà dell’anima le chiamo principali, altre invece secondarie.
E questo non perché l’anima sia divisibile (il che è
impossibile), ma perché tutte le cose su cui le facoltà operano, si
possono benissimo dividere e distinguere in principali, quali le
realtà spirituali, e secondarie, quali le realtà materiali. Le due
facoltà principali operative, la ragione e la volontà, operano
spiritualmente all’interno di se stesse, su oggetti del tutto
immateriali, senza alcun aiuto da parte delle altre due facoltà
secondarie. L’immaginazione e la sensibilità operano fisicamente
su oggetti del tutto materiali, sia che siano presenti nel corpo o
meno, facendo uso dei sensi. Ma per mezzo loro, senza l’aiuto della
ragione e della volontà, l’anima non arriverebbe mai a conoscere i
caratteri e le qualità morali delle creature corporee, né la
ragione della loro esistenza e della loro creazione.
Per
questo motivo chiamo facoltà principali la ragione e la volontà:
perché operano spiritualmente, senza alcuna traccia di materialità.
Chiamo invece secondarie l’immaginazione e la sensibilità, perché
operano nel corpo e con gli strumenti del corpo, quali sono i nostri
cinque sensi. Definisco, infine, la memoria come facoltà principale,
perché contiene spiritualmente in sé non solo tutte le altre
facoltà, ma anche tutte le cose su cui esse operano. Puoi vederlo tu
stesso per esperienza.
CAPITOLO
64
Le
altre due facoltà principali sono la ragione e la volontà;
il
loro operato prima e dopo il peccato
La
ragione è la facoltà con la quale distinguiamo il male dal bene, il
male dal peggio, il bene dal meglio, il peggio dal pessimo, il meglio
dall’ottimo. Prima che l’uomo peccasse, la ragione era in grado
di fare tutto questo per natura. Ma ora è così accecata dal peccato
originale, che non può farlo se non è illuminata dalla grazia. E
sia la ragione stessa che l’oggetto su cui opera, sono entrambi
compresi e contenuti nella memoria.
La
volontà è la facoltà con la quale scegliamo il bene (una volta che
è stato stabilito dalla ragione) e con la quale amiamo Dio,
desideriamo Dio, e infine, con piena adesione e immensa gioia,
riposiamo in Dio. Prima che l’uomo peccasse, la volontà non poteva
sbagliare nel scegliere o nell’amare o nel fare qualsiasi altra
cosa di sua competenza, perché allora era in grado per natura di
gustare ogni cosa nella sua vera realtà. Ma ora non può più farlo,
se non con l’unzione della grazia. Spesso, infatti, a causa della
corruzione del peccato originale, la volontà gusta come buona una
cosa assolutamente cattiva che ha solo l’apparenza del bene. E sia
la volontà che quanto ne costituisce l’oggetto, sono
contenuti e compresi nella memoria.
CAPITOLO
65
La
prima facoltà secondaria è l’immaginazione;
il
suo operato e la sua obbedienza alla ragione, prima e dopo il peccato
L’immaginazione
è la facoltà con la quale raffiguriamo tutte le immagini delle cose
presenti o assenti. Sia l’immaginazione che l’oggetto su cui
opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo
peccasse, l’immaginazione era così obbediente alla ragione, di cui
è in certo senso la serva, che non le forniva mai immagini
contraffatte di creature materiali, né immagini fantastiche di
creature spirituali. Ma ora non è così.
Se
non è ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione,
essa non cesserà mai, sia nel sonno che nella veglia, di
rappresentare diverse immagini contraffatte delle creature materiali,
oppure qualche allucinazione, che non è altro che la
rappresentazione materiale di una cosa spirituale, ovvero la
rappresentazione spirituale di una cosa materiale. E tutto ciò è
sempre fittizio e falso, e parente prossimo dell’errore.
La
disobbedienza dell’immaginazione si può chiaramente rilevare nelle
preghiere di coloro che solo da poco hanno lasciato il mondo per
volgersi alla vita di devozione. Verrà senza dubbio il tempo in cui
l’immaginazione sarà in gran parte ricondotta dalla luce della
grazia a obbedire alla ragione, dopo la costante meditazione sulle
cose spirituali, come la propria miseria, la passione e la bontà di
nostro Signore, e così via. Ma finché non si perverrà a questo
stadio, non sarà possibile in alcun modo rigettare la sorprendente
varietà di pensieri, fantasticherie
e immagini che vengono suscitate e impresse nella mente dalla sola
luce e curiosità dell’immaginazione.
Questa
disobbedienza è la pena connessa al peccato originale.
CAPITOLO
66
L’altra
facoltà secondaria è la sensibilità; il suo operato
e la sua obbedienza alla volontà, prima e dopo il peccato
e la sua obbedienza alla volontà, prima e dopo il peccato
La
sensibilità è la facoltà dell’anima che concerne e governa i
sensi, attraverso i quali conosciamo e sentiamo materialmente tutte
le creature corporee, piacevoli o fastidiose che siano. Essa ha due
funzioni: una si occupa delle esigenze del corpo, e l’altra
soddisfa le bramosie dei sensi. È questa stessa facoltà che si
lamenta quando il
nostro corpo viene a mancare del necessario, e che ci spinge, nel
rispondere ai nostri bisogni, a prendere più del necessario per
alimentare e incoraggiare le nostre voglie. Si lamenta della mancanza
di cose o creature piacevoli, ed è tutta felice e appagata della
loro presenza. Si lamenta della presenza di cose o creature
fastidiose, e si compiace vivamente della loro assenza: Sia questa
facoltà che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella
memoria.
Prima
che l’uomo peccasse, la sensibilità era così obbediente alla
volontà, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai
piaceri o dispiaceri disordinati verso creature materiali, né
contraffazioni spirituali di piaceri o dispiaceri, prodotti nei sensi
da qualche nemico spirituale.
Ma
ora non è così. Se non è ricondotta dalla grazia a obbedire alla
volontà, così da soffrire con umiltà e moderazione la pena del
peccato originale — avvertita nell’assenza dei piaceri necessari
e nella presenza dei dispiaceri così salutari per lei —; se
non è quindi in grado di dominare le sue voglie alla presenza dei
piaceri, e il suo avido godimento in assenza dei dispiaceri, allora
la sensibilità andrà ad avvoltolarsi, misera e lasciva, come un
porco nel fango, nelle ricchezze di questo mondo e nella corruzione
della carne, tanto che tutta la nostra vita sarà bestiale e carnale,
piuttosto che umana o spirituale.
CAPITOLO
67
Chi
non conosce le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano,
può essere tratto in inganno con tutta facilità quando si tratta di
capire parole e attività spirituali; come l’anima è
resa
un dio nella grazia
E
dunque, amico spirituale, puoi ben vedere in che misera condizione
siamo caduti a causa del peccato. Che c’è da meravigliarsi,
allora, della nostra cecità e della facilità con cui restiamo
ingannati nel comprendere parole e operazioni spirituali?
Quest’illusione è frequente in particolar modo in quanti di noi
non conoscono ancora le facoltà dell’anima e la maniera con cui
operano.
Ogni
volta che la tua memoria è occupata da qualche oggetto materiale,
fosse anche per uno scopo nobilissimo, tu sei, tuttavia, al di sotto
di te stesso in questa occupazione, e al di fuori della tua anima. E
ogniqualvolta ti accorgi che la tua memoria, nell’intento di
condurti alla conoscenza di te stesso in vista della perfezione, è
tutta presa dalle sottigliezze riguardanti le facoltà dell’anima e
le loro operazioni sulle realtà spirituali, come nel caso di vizi o
virtù, tuoi o di qualche altra creatura spirituale simile a te per
natura, allora tu sei dentro di te e a livello con te stesso. Ma
ogniqualvolta senti che la tua memoria non è impegnata in nessun
oggetto materiale o spirituale, ma è tutta presa dalla sostanza
stessa di Dio, e da lui solo, come avviene, a esempio, se si mette in
pratica il lavoro indicato in questo libro, allora tu sei al di sopra
di te stesso, e al di sotto di Dio.
Tu
sei al di sopra di te stesso, perché sei riuscito ad arrivare per
grazia là dove non avresti mai potuto arrivare per natura: essere
unito a Dio in spirito, in amore e
in armonia di volontà. Ma resti al di sotto di Dio, anche se a
questo punto si può dire che in certo senso tu e Dio non siete più
due, ma uno solo in spirito; e chiunque
sperimenta la perfezione di quest’opera, a causa di tale unità lo
si potrà chiamare a buon diritto «Dio», come attesta la bibbia
stessa. Tu però resti al di sotto di lui. Egli, infatti, è Dio per
natura e dall’eternità. Tu invece una volta non esistevi nemmeno;
e in seguito, quando egli con la sua potenza e il suo amore ti fece
diventare qualcosa, tu non esitasti a renderti meno di niente con il
peccato. E ora, per la sua misericordia e senza alcun merito da parte
tua, sei reso un dio nella grazia, e sei unito inseparabilmente a Dio
in spirito, in questa vita e nella beatitudine celeste senza fine.
Così, anche se tu sei una sola cosa con lui nella grazia, tuttavia
sei infinitamente al di sotto di lui per natura.
Ecco,
amico spirituale: da qui puoi comprendere, almeno in parte, come chi
non conosce le facoltà della propria anima e la maniera in cui
operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità, quando si
tratta di capire parole scritte con intendimento spirituale. E con
questo puoi anche comprendere, almeno in parte, il motivo per cui non
mi sono arrischiato a chiederti di mostrare apertamente il tuo
desiderio a Dio; al contrario, ti ho invitato, quasi fosse un gioco
per ragazzi, a fare di tutto per nasconderlo e occultarlo. E l’ho
fatto per paura che tu comprendessi in senso materiale quel che
invece era inteso in senso spirituale.
CAPITOLO
68
«In
nessun posto» materialmente, significa «dappertutto»
spiritualmente; il nostro uomo esteriore chiama «niente» il lavoro
di cui parla questo libro
Allo
stesso modo va inteso l’invito che un altro ti potrebbe rivolgere,
di raccogliere le tue facoltà e i tuoi sensi nell’intimo di te
stesso e di adorare Dio dentro di te. Quantunque questo sia
certamente del tutto giusto e vero, e nessuno potrebbe dire cosa più
assennata, se ben la si comprende, io invece per paura che tu abbia a
intendere in maniera fisica, e quindi sbagliata, queste parole, non
ti dico assolutamente di far così.
Questo
è quanto voglio da te: che tu non sia in alcun modo dentro di te. E
di conseguenza, voglio che tu non sia nemmeno fuori di te stesso, né
sopra, né dietro, né da una parte, né dall’altra. «Ma allora»,
mi dirai, «dove devo stare? A quanto pare, da nessuna parte!»
Ebbene, sì, hai pienamente ragione: è così che ti voglio. Perché
quando non sei in nessun posto materialmente, sei dappertutto
spiritualmente.
Pertanto
sta’ ben attento, perché il tuo lavoro spirituale non sia ancorato
a nessun posto materiale. In questo caso, dovunque si trovi l’oggetto
su cui stai coscientemente applicando la tua intelligenza, è proprio
lì che ti trovi in spirito, in modo così vero e reale come il tuo
corpo si trova nel luogo dove tu sei materialmente.
E
anche se i tuoi sensi non vi possono trovar nulla di cui nutrirsi,
perché secondo loro tu non stai facendo assolutamente niente —
proprio così! —, continua a fare questo «niente», se non altro
per amore di Dio. Perciò, non smettere in alcun modo, ma lavora
alacremente in questo «niente», con desiderio sempre vigilante e
volontà ferma di possedere Dio, che nessun uomo può conoscere. Ti
dico, in verità, che preferirei essere in questo «nessun posto»
fisicamente, a lottare con questo cieco «niente», piuttosto che
essere un signore così potente da poter essere fisicamente
dappertutto, se solo lo volessi, intento a godere allegramente di
tutto come fa un padrone con le proprie cose.
Lascia
perdere questo «dappertutto» e questo «tutto», in cambio di
questo «nessun posto» e di questo «niente». Che importa se le tue
facoltà intellettuali non riescono a scandagliare questo «niente»?
Io lo amo ancor di più! È una cosa così eccelsa in se stessa, che
non la si può comprendere in alcun modo. Questo «niente» è più
facile sentirlo per esperienza che vederlo, perché è completamente
cieco e oscuro agli occhi di coloro che solo da poco si son messi a
guardarlo.
Ma
a voler parlare più correttamente, l’anima che ne fa esperienza è
accecata dalla sovrabbondanza di luce spirituale, piuttosto che
dall’oscurità o dall’assenza di luce fisica. Chi è che allora
lo chiama «niente»? Il nostro uomo esteriore, di certo, e non
quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama «tutto»,
perché per mezzo suo impara a conoscere la ragione di tutte le
realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare
ogni singola cosa in se stessa.
CAPITOLO
69
La
sensibilità dell’uomo cambia meravigliosamente nell’esperienza
spirituale di questo «niente» prodotto «in nessun posto».
Quando
un uomo fa l’esperienza spirituale di questo «niente» in «nessun
posto», la sua sensibilità subisce delle mutazioni sorprendenti.
Non appena comincia a posarvi lo sguardo, egli trova che tutti i
peccati personali che ha commesso nel corpo e nello spirito fin dalla
nascita, vi sono segretamente dipinti sopra a tinte fosche. E per
quanto cerchi di distogliere la propria attenzione, i suoi peccati
gli appaiono sempre dinanzi agli occhi, finché, dopo molto lavoro
estenuante, molti sospiri dolorosi e molte lacrime amare, non li
abbia in gran parte cancellati.
In
un simile travaglio interiore talvolta gli sembra di star a osservare
l’inferno, perché ormai dispera di pervenire, attraverso questa
sofferenza, alla perfezione del riposo spirituale. Molti sono quelli
che giungono fino a questo punto nel loro cammino spirituale, ma poi,
siccome sentono che la loro sofferenza è troppo grande e che non
ricevono alcun conforto, tornano indietro a considerare le cose
materiali. E cercano delle consolazioni mondane ed esteriori per
compensare quelle spirituali che a quel punto non hanno ancora
meritato, ma che avrebbero senz’altro ottenuto se avessero
perseverato.
Chi
invece persevera, prova di tanto in tanto un certo qual conforto e ha
una certa qual speranza, di perfezione, perché comincia a sentire e
a vedere che, con l’aiuto della grazia, molti dei suoi peccati
personali commessi
in passato vengono in gran parte cancellati. Nonostante tutto, si
sente ancora immerso nella sofferenza, ma ora pensa che un bel giorno
questa svanirà, perché va diminuendo sempre più. Pertanto, quel
«niente» non lo chiama più inferno, ma purgatorio. A volte non vi
trova scritto sopra alcun peccato particolare, ma in quei momenti gli
sembra che il peccato sia come un blocco massiccio di cui non sa
assolutamente nulla, se non che si tratta, in fondo, di
se stesso. Allora quel «niente» lo si può chiamare come la radice
e la pena del peccato originale.
A
volte crede di essere in paradiso o in cielo, per via delle svariate
e meravigliose dolcezze, e delle innumerevoli consolazioni, gioie e
virtù benedette che vi può trovare. Altre volte, infine, gli sembra
che quel «niente» sia Dio stesso; tale è la pace e il riposo che
vi trova.
Sì,
pensi pure quello che vuole: troverà sempre la nube della
non-conoscenza tra sé e Dio.
CAPITOLO
70
Come
cominciamo a giungere più prontamente alla conoscenza delle realtà
spirituali se mettiamo a tacere i nostri sensi, così cominciamo a
giungere più prontamente alla suprema conoscenza di Dio, per quel
tanto che è possibile avere per grazia su questa terra, se facciamo
a meno delle nostre facoltà spirituali.
Perciò
lavora alacremente in questo «niente» e in questo «nessun posto»,
e lascia da parte i tuoi sensi e la loro maniera di operare: in
verità ti dico che questo tipo di lavoro non lo si può nemmeno
concepire per mezzo di essi.
Con
gli occhi puoi solo farti un’idea apparente di una determinata
cosa, è cioè se è lunga o larga, grande o piccola, quadrata o
rotonda, vicina o lontana, colorata o meno.
E con le orecchie puoi solo coglierne il rumore o il suono; con il
naso, la puzza o il profumo. Con il gusto puoi sapere se è acre o
dolce, conservata sotto sale o fresca,
amara o gradevole; con il tatto, se è calda o fredda, dura o tenera,
soffice o ruvida. Ma, a dire il vero, queste qualità e questi
attributi non li possiede né Dio, né alcun’altra cosa spirituale.
Perciò, lascia da parte i tuoi sensi, e non lavorare con essi né
all’interno né all’esterno di te stesso.
Si
sbagliano di grosso e operano contro l’ordine naturale delle cose,
quanti vogliono diventare contemplativi, e quindi operatori
spirituali nel più intimo di se stessi, e nonostante questo pensano
di dover vedere o sentire o annusare o gustare o tastare le realtà
spirituali in visioni esterne o interne al loro essere. Per natura i
sensi sono ordinati in tal modo che gli uomini possono aver
conoscenza, per mezzo di essi, di tutte le cose materiali ed
esteriori; ma non possono certo giungere alla conoscenza delle realtà
spirituali, se si servono dei sensi.
Nella
misura in cui ne riconosciamo i limiti, i sensi possono arricchire la
nostra conoscenza. Per esempio, quando leggiamo o sentiamo parlare di
certe cose, e ci rendiamo conto che i nostri sensi non sono
assolutamente in grado di darci informazioni sulle loro qualità e
sui loro attributi, allora possiamo veramente esser certi che si
tratta di realtà spirituali e non materiali.
Sotto
un profilo spirituale, avviene allo stesso modo per quel che riguarda
le nostre facoltà intellettuali, allorché ci sforziamo di conoscere
Dio stesso. Per quanto grande possa essere la conoscenza e la
comprensione di tutte le cose spirituali create, l’uomo non può
mai giungere per mezzo dell’intelligenza alla conoscenza di una
realtà spirituale non creata, qual è Dio stesso. Ma se riconosce il
suo limite, allora sì che può giungere a una simile conoscenza.
Quanto infatti limita l’intelligenza umana, non è altro che Dio, e
lui solo. Ecco perché s. Dionigi disse: «La più perfetta
conoscenza di Dio si ottiene con la non-conoscenza».
In
verità, chiunque farà passare i libri di Dionigi, troverà che le
sue parole confermano chiaramente tutto quanto io ho detto o dirò
ancora, dall’inizio di questo libro fino alla fine. Altrimenti non
lo citerei nemmeno a questo punto, né lui né nessun altro dottore.
Una volta gli uomini ritenevano di fare un atto di umiltà nel non
dir niente di propria testa che non fosse sorretto da citazioni
scritturali o dotte. Ma ora questa pratica è diventata un mezzo per
mettere in mostra la propria abilità ed erudizione. A te tutto ciò
non servirebbe a niente, ed è per questo che me ne astengo. Chi ha
orecchie per intendere, intenda; e chi si sente mosso a credere,
creda: non c’è altra alternativa.
CAPITOLO
71
Alcuni
riescono ad avere l’esperienza della
contemplazione perfetta solo nell’estasi,
altri invece quando vogliono e nelle normali condizioni di vita spirituale
altri invece quando vogliono e nelle normali condizioni di vita spirituale
Certi
ritengono la contemplazione una materia così difficile e pericolosa
che, affermano, non vi si può arrivare senza aver fatto in
precedenza una gran mole di lavoro e una fatica enorme. Dicono,
inoltre, che la si ottiene raramente, e solo in un momento d’estasi.
A costoro voglio rispondere, misero come sono, dicendo che tutto
dipende dalla volontà e dal beneplacito di Dio, oltre che dalla
capacità e predisposizione dell’anima in ordine alla grazia della
contemplazione e del lavoro spirituale di cui sto parlando.
Indubbiamente
ci sono alcuni che senza una lunga e impegnativa preparazione
spirituale non vi possono arrivare. E quand’anche giungano alla
pienezza della contemplazione, tutto ciò non capita che raramente, e
grazie
a una chiamata tutta particolare da parte di nostro Signore: è
quella che noi chiamiamo «estasi».
Ci
sono altri, però, che hanno l’animo così sensibile all’azione
della grazia, e hanno una tale familiarità con Dio durante la
contemplazione, che possono immergervisi quando vogliono e nelle
normali condizioni di vita: si trovino seduti o in cammino, in piedi
o in ginocchio. E in tutto questo tempo rimangono nel pieno possesso
delle loro facoltà fisiche e spirituali, e possono farne uso, se lo
desiderano; naturalmente incontrano delle difficoltà, ma niente
affatto eccessive o insormontabili.
Prototipo
degli uni è Mosè; degli altri Aronne, il sacerdote del Tempio.
Infatti la grazia della contemplazione è raffigurata nell’Antico
Testamento dall’Arca dell’Alleanza,
e i contemplativi sono raffigurati da coloro che più dovevano
occuparsi dell’Arca, come la storia ci insegna.
Ed
è perfettamente corretto paragonare questa grazia e questo lavoro
all’Arca, perché come l’Arca conteneva tutti i gioielli e le
reliquie del Tempio, così questo piccolo atto d’amore diretto
verso la nube della non-conoscenza contiene dentro di sé tutte le
virtù dell’anima umana, che è il tempio spirituale di Dio.
Mosè,
prima ancora di poter vedere l’Arca e di sapere in qual modo doveva
essere fatta, salì con lungo sforzo e grande fatica fin sulla cima
del monte, e restò lì a lavorare in una nube per sei giorni,
aspettando il settimo giorno perché Dio acconsentisse a mostrargli
la maniera di costruire l’Arca. Il lungo lavoro di Mosè e la sua
visione tardiva, stanno a indicare coloro che non riescono ad
arrivare alla perfezione di questa opera spirituale, senza un previo
lavoro lungo e faticoso. E anche se vi arrivano, ciò capita loro
raramente, e solo se Dio acconsente a dischiudere il loro cuore
all’estasi contemplativa.
Ma
quello che Mosè poteva vedere solo in rarissime occasioni, e dopo un
lungo sforzo e una grande fatica, Aronne l’aveva sempre a sua
disposizione, in virtù del proprio ufficio, dal momento che poteva
vedere l’Arca nel Tempio al di là del velo, ogniqualvolta voleva
entrarvi. Aronne sta a indicare tutti coloro di cui ho parlato prima,
i quali in base alla loro penetrazione spirituale e all’assistenza
della grazia, possono pervenire alla meta della contemplazione
perfetta tutte le volte che lo vogliono.
CAPITOLO
72
Il
contemplativo non può giudicare un altro in base alla sua esperienza
Da
tutto questo puoi ben capire che l’uomo a cui è dato di giungere
alla contemplazione perfetta e di farne esperienza, ma solo dopo un
enorme lavoro e in rare occasioni, può facilmente cadere in errore
se si mette a parlare, a pensare o a dar giudizi sugli altri uomini
in base alla sua esperienza personale, perché ritiene che anch’essi
non vi possano giungere che raramente e dopo un enorme lavoro. Allo
stesso modo, l’uomo in grado di contemplare quando vuole, può
facilmente cadere in errore se giudica gli altri prendendo come metro
se stesso e dicendo che anch’essi sono in grado di contemplare
quando vogliono. Lascia perdere tutto questo: no, non è certamente
così che si deve ragionare.
Infatti,
quando a Dio piace e se lui vuole, può darsi che quelli che in un
primo momento raggiungono la contemplazione
solo di rado, e dopo un enorme lavoro, in seguito possano arrivarci
quando vogliono e tutte le volte che a loro piace. Un esempio a
questo proposito l’abbiamo ancora in Mosè, il quale dapprima non
poteva vedere la forma dell’Arca se non raramente e dopo un enorme
lavoro, là sul monte; ma in seguito era in grado di vederla nella
valle tutte le volte che lo voleva.
CAPITOLO
73
A
somiglianza di Mosè, Bezaleel e Aronne, che si occuparono dell’Arca
dell’Alleanza, simbolo della contemplazione, noi arriviamo in tre
maniere diverse a questa grazia della contemplazione
Secondo
l’Antico Testamento, i tre uomini che più si occuparono dell’Arca
furono Mosè, Bezaleel e Aronne. Mosè imparò da nostro Signore, là
sul monte, come doveva essere fatta. Bezaleel la realizzò e la
costruì nella valle, seguendo il modello che era stato mostrato sul
monte. Aronne, infine, ebbe il compito di custodirla nel tempio, e
poteva vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva.
Questi
tre esempi ci indicano le tre diverse maniere con
cui giungiamo alla grazia della contemplazione.
A
volte vi arriviamo solo per grazia, e allora siamo simili a Mosè, il
quale, nonostante la difficile salita e il duro lavoro sul monte, non
poteva vedere l’Arca se non raramente, solo quando a nostro Signore
piaceva mostrargliela, e non come ricompensa per tutto il suo lavoro.
Altre
volte vi arriviamo in forza della nostra stessa penetrazione
spirituale, con l’aiuto e l’assistenza della grazia, e allora
siamo simili a Bezaleel, il quale non era in grado di vedere l’Arca
prima ancora di averla fatta con le sue stesse mani, seguendo il
modello mostrato a Mosè sul monte.
Infine,
noi vi arriviamo grazie all’insegnamento di qualcun altro, e allora
siamo simili ad Aronne, il quale aveva l’incarico di custodire
l’Arca che Bezaleel aveva precedentemente realizzato e costruito
con le sue stesse mani; egli aveva altresì la facoltà di vederla e
toccarla tutte le volte che lo voleva.
Vedi,
amico spirituale, per quanto il linguaggio sia infantile e improprio,
in questo lavoro io faccio la parte di Bezaleel, anche se sono una
creatura miserabile e assolutamente indegna di insegnare agli altri:
ecco quindi che io costruisco e depongo in qualche modo nelle tue
mani questa specie di arca spirituale. Ma se vuoi diventare un
Aronne, devi lavorare ancor meglio di me, e in maniera più eccelsa;
ciò significa che non devi mai smettere un momento di attendere alla
contemplazione, per il tuo bene e anche per il mio. Fa’ come ti
dico, te ne prego, per l’amore di Dio onnipotente. E dal momento
che siamo tutt’e due chiamati da Dio a diventare contemplativi, ti
scongiuro, per l’amore di Dio, di colmare da parte tua quel che
manca in me.
CAPITOLO
74
Un’anima
particolarmente portata a fare questo lavoro non può leggere o
parlare o sentire qualcun altro leggere o parlare del contenuto di
questo libro, senza provare una vera e propria consonanza con il fine
a cui tende questo stesso lavoro; vi si ripete la raccomandazione del
prologo
Se
ti sembra che questa maniera di lavorare non sia adatta alle tue
disposizioni spirituali e fisiche, puoi pure metterla da parte e, in
seguito al consiglio di un buon padre spirituale, prenderne un’altra
in tutta sicurezza e senza
alcun biasimo.
In
tal caso ti pregò di scusarmi, perché avrei voluto esserti di aiuto
con questo scritto dettatomi dalla mia semplice scienza: questa, e
non altra, era la mia intenzione. Pertanto, leggi questo libro da
cima a fondo per due o tre volte, e più lo leggerai, meglio è,
perché sarai in grado di comprenderlo sempre di più. E così una
frase che magari ti era assolutamente incomprensibile alla
prima
o alla seconda lettura, poco dopo ti sembrerà facilissima.
Sì,
mi sembra impossibile che un’anima particolarmente portata a un
simile lavoro possa leggere o parlare, o sentire qualcun altro
leggere o parlare di questo argomento, senza provare subito dentro di
sé una vera e propria consonanza con il fine a cui tende
l’insegnamento che ti ho trasmesso. Se dunque hai l’impressione
che questo lavoro ti fa del bene, ringrazia Dio di tutto cuore e, per
l’amore di Dio, prega per me.
Fa’
come ti dico! E ti prego, per l’amore di Dio, di non far vedere a
nessuno questo libro, a meno che si tratti di qualcuno che sia adatto
alla contemplazione, secondo quanto tu stesso puoi trovare più
indietro, là dove ho spiegato quali uomini debbano intraprendere
questo lavoro e quando debbano cominciarlo.
Se
fai vedere il libro a una persona del genere, allora ti prego di
raccomandarle di spendere tutto il tempo necessario per esaminarlo
fino in fondo. Vi può essere, magari, qualche argomento, all’inizio
come in mezzo, lasciato in sospeso e non completamente sviluppato là
dove si trova. Ma se non è trattato compiutamente in quel posto, lo
sarà più avanti o comunque alla fine.
Così,
se uno dovesse prendere in esame solamente una parte e non l’altra,
potrebbe facilmente cadere in errore: ecco perché ti prego di fare
come ti dico. E se c’è una particolare questione che, secondo te,
andrebbe trattata in modo più chiaro, fammi sapere qual è, e anche
la tua opinione in proposito; da parte mia farò di tutto per
spiegarmi con più completezza e secondo il mio limitato sapere.
Non
è stato affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori,
i falsi modesti, i pettegoli o i maldicenti è ogni sorta di
mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che ho scritto. Per
questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche tutti quegli
uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente curiosi. Se fossero
anche buone persone, eccellenti nella vita attiva, questo libro non
fa per loro.
CAPITOLO
75
Alcuni
segni attraverso i quali possiamo sapere
con
certezza se siamo chiamati da Dio al lavoro della contemplazione
Non
tutti quelli che leggono, o sentono leggere o parlare di questo
libro, e che leggendolo o ascoltandone la lettura lo ritengono una
cosa buona e piacevole, sono per ciò stesso chiamati da Dio a
intraprendere il lavoro contemplativo, per il semplice fatto di
provare dentro di sé una piacevole sensazione durante una lettura di
tal genere.
Può
darsi benissimo che questo stimolo interiore provenga dalla curiosità
dell’intelligenza naturale, piuttosto che da una chiamata della
grazia.
Ma
se vogliono verificare l’origine di questo impulso, possono farlo a
questo modo, se sono d’accordo. Per prima cosa facciano un serio
esame, per vedere se in precedenza hanno fatto tutto il possibile per
prepararsi convenientemente alla purificazione della loro coscienza,
secondo il giudizio della santa chiesa e d’accordo con il proprio
direttore spirituale. Se le cose stanno così, tanto meglio. Ma se
vogliono conoscere con più esattezza le proprie disposizioni
d’animo, osservino attentamente se quest’impulso richiama sempre
più la loro attenzione, tanto da diventare più abituale di ogni
altra devozione spirituale. E se giungono alla convinzione che non
c’è cosa che essi facciano, materiale o spirituale, che riceva
un’adeguata approvazione da parte della loro coscienza, senza che
questo piccolo segreto slancio d’amore non stia a capo, in senso
spirituale, di tutto il loro operato; se questa, dunque, è la loro
sensazione, allora è segno che sono realmente chiamati da Dio alla
contemplazione, altrimenti no.
Non
intendo dire che quest’impulso deve durare per sempre e riempire in
continuazione la mente di quelli che son chiamati al lavoro
contemplativo. No, non è affatto cosa. In un giovane contemplativo
ancora alle prime armi, questa reale sensazione viene spesso a
mancare per una serie di motivi.
Talvolta
questo si verifica perché egli non abbia ad assumere un
atteggiamento di sufficienza, o a pensare che sia in gran parte in
suo potere di avere questa grazia quando e come gli pare. Un pensiero
di tal genere sarebbe segno di orgoglio. Ora, quando la sensazione
della grazia viene a mancare, è sempre l’orgoglio la causa prima;
non tanto l’orgoglio che effettivamente c’è, ma quello
che potrebbe esserci, se non venisse meno la percezione della grazia.
Ecco perché è facile trovare dei giovani stolti che ritengono Dio
loro nemico, quando invece è lui il loro miglior amico.
A
volte la grazia della contemplazione viene meno a motivo della poca
cura con cui gli uomini vi corrispondono: in tal caso essi sentono
immediatamente una pena acutissima e straziante, che li divora come
un cancro.
Altre
volte nostro Signore ritarda questa sensazione di grazia secondo un
piano
prestabilito, perché vuole, in tal modo, che essa cresca e venga
apprezzata maggiormente: è quel che capita quando una cosa, da lungo
tempo smarrita, viene infine ritrovata. Questo è uno dei segni più
importanti e più sicuri che uno possa avere per conoscere se è
chiamato o meno alla contemplazione: se sa che, dopo un ritardo di
tal genere e una lunga inattività nel lavoro della contemplazione,
improvvisamente quella sensazione ritorna, come di fatto avviene,
senza far ricorso a nessun mezzo. Allora egli possiede dentro di sé
un fervore ancor più intenso e una passione ancor più viva nei
riguardi della contemplazione, di quanto non abbia mai avuto prima. A
tal punto che spesso, io credo, la gioia per il ritrovamento di
quello slancio d’amore è ancor più grande del dolore per la
sua perdita. Se capita così, è senz’altro segno autentico
e inconfondibile che Dio chiama a diventare contemplativi, quale che
sia la propria vita presente o passata.
Non
è, infatti, quello che sei, né quello che sei stato, ciò che Dio
vede con i suoi occhi misericordiosi, bensì ciò che tu potresti
essere.
E s. Gregorio afferma che «tutti i desideri santi crescono quando
vengono dilazionati; ma se svaniscono in attesa della loro
realizzazione, allora non erano nemmeno desideri santi». Chi sente
sempre di meno la gioia di ritrovare o riscoprire, sotto forme nuove
e impreviste, i vecchi desideri del cuore, può star certo che, anche
se questi sono desideri naturali di bene, tuttavia desideri santi non
lo sono mai stati.
Di
questo santo desiderio parla s. Agostino, quando dice
che «tutta la vita di un buon cristiano non è altro che un santo
desiderio».
Addio,
amico spirituale, ricevi la benedizione di Dio e la mia. E prego Dio
onnipotente perché la vera pace, il buon consiglio, il conforto
spirituale in Dio e l’abbondanza della sua grazia, siano sempre con
te e con tutti quelli che lo amano su questa terra. Amen.
LETTERA
SULLA PREGHIERA
A
Pistle of Preier
1.
[Ci si deve introdurre nell’orazione con il convincimento che si
morirà non appena sarà terminata la preghiera. Questo pensiero
suscita un salutare timore].
Amico
spirituale in Dio, poiché mi hai chiesto come devi regolare il cuore
nel tempo della preghiera, cerco di risponderti meglio che posso.
Quando cominci la tua preghiera, lunga o breve non importa, è
sommamente utile per te, a mio modesto avviso, convincerti
interiormente, senza finzione alcuna, che morirai non appena avrai
finito di pregare, e che più breve sarà la tua preghiera, più
vicina sarà la tua fine. E non pensare che un simile atteggiamento
sia pura finzione; eccone la prova. Nessuno a questo mondo si
azzarderebbe ad affermare il contrario, cioè che tu vivrai
senz’altro anche dopo aver finito di pregare. Perciò fa’ pure
come ti ho detto, senza timore.
Se
ascolterai il mio consiglio, ti accorgerai che la consapevolezza
generale della tua miseria, unita a quella più particolare della
brevità di tempo rimasto per emendarti, produrrà dentro di te un
senso genuino di timore. Questa convinzione penetrerà fin
nell’intimo del tuo essere, a meno che, Dio non voglia, tu ti metta
a blandire con lusinghe e allettamenti di ogni tipo, gli impulsi e i
desideri superficiali del cuore, così da ingannarlo con menzogne e
false promesse di una vita prolungata oltre il tempo della preghiera.
Anche
se
in realtà è facile che tu viva più a lungo, faresti male ad
assecondare questo pensiero prima di cominciare a pregare: se vi fai
affidamento, inganni te stesso. Infatti la verità sulla tua vita è
nascosta in
Dio
solo; a te non resta che accettare ciecamente la sua volontà: non
puoi neanche esser certo di vivere un solo istante, la durata d’un
batter di ciglio, o ancor meno.
Se
dunque vuoi pregare con saggezza, secondo l’ammonimento del profeta
nel salmo: «Psallite sapienter», cerca di suscitare dentro di te,
fin dall’inizio, questo genuino senso di timore. Infatti, lo stesso
profeta dice in un altro salmo: «Initium sapientiae est timor
Domini; L’inizio della sapienza è il timore del Signore».
2.
[Al timore va fatto seguire un altro atteggiamento dello spirito: la
speranza. Dio accoglierà la preghiera in totale riparazione dei
peccati].
La
tua preghiera, però, non può basarsi solo sul timore: potresti
facilmente cadere nella disperazione.
A
quel primo pensiero bisogna quindi aggiungerne un altro. Devi credere
fermamente che: se, per la grazia di Dio, sarai riuscito a giungere
al termine della tua preghiera pronunciando parole con voce chiara e
distinta, o comunque se avrai fatto tutto il possibile da parte tua,
nel caso dovesse sopraggiungere la morte mentre stai pregando, Dio
accetterà la tua preghiera, come completa riparazione per tutti gli
atti di trascuratezza della tua vita, dall’inizio fino a quel
momento.
Naturalmente
do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda della tua vita
e l’abbia quindi passata al vaglio della tua coscienza, con una
regolare confessione secondo la disciplina della santa chiesa. Una
preghiera fatta a questo modo, per quanto possa essere breve, sarà
allora ben accetta a Dio e servirà alla tua completa salvezza, se
mai dovessi morire pregando, o ad accrescere la tua perfezione, se
invece dovessi restare ancora in vita.
Tale
è la bontà di Dio il quale, secondo la parola del profeta, non
abbandona nessuno di quanti si affidano a lui con cuore sincero e con
il desiderio di convertirsi. La conversione presenta due aspetti
complementari: la rinuncia al male e il compimento del bene. Per far
ciò non c’è mezzo migliore dell’attività spirituale di quei
due pensieri di cui ho appena parlato. Infatti, che c’è di più
efficace del timore della morte, per estirpare dalla vita di un uomo
la propensione per il peccato? E che cosa può infondere nell’anima
maggior fervore nel compiere il bene, se non una viva speranza nella
bontà misericordiosa di Dio, proprio come suggerisce il secondo
pensiero?
3.
[La
devozione, suscitata dal timore e dalla speranza, è superiore a
qualunque pratica ascetica].
Quando
proverai nel tuo intimo il senso della speranza, unito a quello di un
giusto timore, sarà come se tu avessi un solido bastone cui
appoggiarti in tutte le tue azioni di bene. Grazie a questo bastone,
potrai scalare con sicurezza l’alto monte della perfezione e
giungere così ad amare Dio in maniera perfetta. All’inizio, però,
ci saranno ancora molte imperfezioni nella tua maniera di agire, come
vedrai più avanti.
Le
tue considerazioni generali sulla bontà misericordiosa di Dio, ma
ancor più l’esperienza personale che ne farai, quando Dio
accetterà, come ti ho già detto, un atto religioso così breve e
insignificante a totale riparazione di tutto il tempo in cui ti sei
dimenticato di lui, produrranno senz’altro dentro di te un grande
slancio d’amore verso Dio che è così buono e misericordioso nei
tuoi confronti. Ti accorgerai, nel tempo della preghiera, di aver
fatto dei passi avanti in forza del bastone di speranza, se appunto
avrai saputo usarlo bene secondo quanto ti ho insegnato. L’esperienza
spirituale che proverai a questo punto sarà tutta racchiusa in una
venerazione amorosa per Dio, originata dal timore e dallo slancio
d’amore prodotto dal bastone della speranza. La venerazione,
infatti, non è altro che l’unione di timore e amore, tenuti
insieme dal bastone di una speranza certa.
Penso
proprio che a dimostrare l’esistenza in te di queste disposizioni,
sarà la devozione. Infatti, secondo s. Tommaso, il dottore, si può
definire la devozione come volontà sempre pronta a compiere tutte le
cose che riguardano il servizio di Dio. Ciascuno può verificare
dentro di sé con quale sollecitudine la propria volontà è pronta a
servire Dio. Mi pare che s. Bernardo esprima lo stesso concetto
quando ci invita ad agire in tutte le cose con prontezza e con gioia.
Con prontezza, per via del timore; con gioia, per via della speranza
e dell’affettuosa fiducia nella misericordia di Dio.
Ti
dico sinceramente che io preferirei senz’altro avere la ricompensa
di chi persiste con tenacia in un simile esercizio, anche se non
avesse mai praticato altre penitenze corporali all’infuori di
quelle prescritte dalla santa chiesa, piuttosto che ottenere il
premio di quanti, dall’inizio del mondo fino ai giorni nostri,
hanno fatto ogni genere di mortificazioni senza provare però i
sentimenti di cui sto parlando. Non che ci sia gran merito nel
semplice fatto di possedere i due atteggiamenti del timore e della
speranza. Quel che vale è l’atto di adorazione amorosa di cui
queste virtù sono il miglior stimolo,
almeno
per quanto concerne la parte dell’uomo. È un atto che ha valore di
per se stesso, e non deve essere necessariamente accompagnato da
nessun’altra pratica,
quale il digiuno, le veglie, il vestir di sacco e via di questo
passo. A Dio onnipotente piace così com’è: basta da solo a
meritare la sua ricompensa. Nessuno può sperare di ricevere il
premio da Dio senza quest’atto di devozione; inoltre, è dalla sua
intensità che dipende la grandezza del merito. Chi lo sente con più
forza, otterrà una ricompensa maggiore; chi lo sente meno
intensamente, avrà una ricompensa minore. Le altre pratiche, quali
il digiuno, le veglie, il vestir di sacco, e tutte le penitenze del
genere, sono meritevoli nella misura in cui aiutano a raggiungere la
devozione, se no non hanno nessun valore. È invece possibile che
quest’atto da solo sia pienamente sufficiente senza tutte quelle
penitenze; e in effetti moltissimi riescono a possederlo con pieno
merito, senza aver fatto ricorso a pratiche corporali.
Come
vedi, il mio intento è quello di far sì che tu possa giudicare e
apprezzare tutte le cose secondo il loro valore: le meno importanti
come meno importanti, le più meritorie come tali. L’ignoranza è
spesso causa di molti errori. Capita così che gli uomini stimino e
apprezzino di più le mortificazioni corporali, come il digiunare, il
vegliare, il vestir di sacco e altre simili, che non l’esercizio
spirituale delle virtù o di quell’adorazione piena d’amore di
cui ho parlato prima.
Proprio
per sottolinearne l’importanza e il merito, intendo soffermarmi
ancora un poco sull’argomento, così che tu possa saperne di più.
4.
[Il paragone dell’albero: le radici indicano il timore, il tronco e
i rami la speranza, i frutti sono costituiti dall’amore casto]
L’insieme
degli atti che concorrono a suscitare l’adorazione amorosa, in
particolare i due pensieri del timore e della speranza, si può
paragonare a un albero carico di frutti. Di quest’albero, il timore
è la parte che sta sotto terra, la radice; la speranza è la parte
che si eleva da terra, il tronco con i rami. In quanto stabile e
sicura, la speranza è come il tronco; in quanto incita gli uomini
versò opere d’amore, è simboleggiata dai rami. Invece il frutto è
sempre un sentimento di amore misto a venerazione. Finché il frutto
resta attaccato all’albero, conserva sempre quel verde sapore di
aspro che viene dalla pianta. Ma passato un poco di tempo da quando è
stato colto, e giunto a piena maturazione, perde tutto il sapore
della pianta. Da nutrimento per servi qual era, prima, diventa ora un
cibo degno d’un re.
È
a questo punto che l’adorazione amorosa si rivela così meritevole
come ho già detto. Perciò preparati a staccare il frutto
dall’albero e a offrirlo, separato da tutto, all’altissimo Re dei
Cieli. Allora a buona ragione sarai chiamato vero figlio di Dio,
perché lo amerai di un amore casto, per quel che egli è, e non per
i suoi benefici. Mi spiego meglio: gli innumerevoli benefici che Dio
onnipotente nella sua bontà del tutto gratuita ha elargito a
ciascuna anima in questa vita, sono motivi più che sufficienti per
amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze.
Supponiamo, anche se è assolutamente impossibile, che un’anima
abbia la potenza, la bontà e l’intelligenza di tutti gli.
angeli e i santi del cielo messi insieme, e che questi doni non li
abbia ricevuti da Dio o che non abbia mai avuto modo di gustare in
questa vita la sua benevolenza: quest’anima, se solo vedesse quanto
è amabile Dio in se stesso, sarebbe rapita d’amore al di là delle
sue forze, fino al punto che il suo cuore si spezzerebbe: tanto Dio
in se stesso è bello e attraente, buono e splendido.
5.
[L’amore casto ama Dio per se stesso e non per qualsivoglia altra
considerazione].
Com’è
meraviglioso e sublime l’amore di Dio, per parlarne! Non c’è
lingua così perfetta che possa farne comprendere la minima parte, se
non usando supposizioni impossibili, al di là della nostra portata.
È a un simile amore che faccio riferimento quando esorto ad amare
Dio di un amore casto, per quel che egli è, e non per i suoi
benefici. Io, non dico (anche se sarebbe già buona cosa) di amarlo
molto per i suoi benefici, e infinitamente di più per se stesso. Se
dovessi esprimere in maniera più elevata cosa intendo per perfezione
e merito di quella adorazione d’amore, direi così: quando uno
sente nel cuore in modo tangibile la presenza di Dio così com’è
in se stesso e percepisce con la ragione il raggio luminoso della
luce perenne, che è poi ancora Dio, in modo da vedere e gustare
quant’è degno d’amore Dio in se stesso, in quel preciso istante
l’uomo si dimentica completamente di
tutti
i benefici e di tutte le grazie che Dio gli ha elargito durante la
sua vita. E finché dura questo stato interiore, non
sente e non vede altro motivo per amare Dio se non Dio stesso.
Certo,
quando si parla della perfezione comune, si può ben dire che la
grande bontà e benevolenza che Dio ci mostra in questa vita sono dei
motivi eccellenti e assai validi per amarlo; ma se si considera
l’obiettivo della massima perfezione cui è mia intenzione condurti
attraverso questo scritto, devo dire che chi ama Dio in maniera
perfetta ha paura di ostacolare il cammino della perfezione, e quindi
non chiede altro motivo per amare Dio, una volta raggiunta la cima
della perfezione, se non Dio solo. È in questo senso che io parlo di
amore casto: amare Dio per se stesso, e non per i suoi benefici.
6.
[L’amore
casto conduce alla perfezione, mentre con l’amore imperfetto si può
conseguire solo la salvezza].
Per
stare all’esempio che ti ho fatto, preparati a staccare il frutto
dall’albero e a offrirlo, cosa com’è, al re del cielo: allora il
tuo amore sarà casto. Al contrario, finché gli offrirai il frutto
acerbo ancora appeso all’albero, sei proprio simile a una donna che
non è casta, perché ama suo marito per i benefici che ne trae, e
non per la sua persona. Considera bene il perché di questo paragone,
e vedi se non sono forse questi i veri motivi per cui servi il
Signore con zelo: il timore della morte, il pensiero della brevità
del tempo, la speranza di ottenere il
perdono della tua pigrizia spirituale. Se è così, allora il tuo
frutto è ancora verde e conserva il sapore della pianta. Anche se è
bene accetto a Dio, almeno in parte, non gli può piacere
perfettamente, perché il tuo amore non è ancora casto.
Il
tuo amore è veramente casto quando non chiedi a Dio per la vita
presente né di sollevarti dalle sofferenze, né di accrescere la tua
ricompensa, né di gustare la dolcezza del suo amore. Certo, ci sono
dei momenti in cui fai bene ad attendere con trepidazione qualche
consolazione, quasi a rinfrescare le tue facoltà spirituali per
paura che vengano meno nel cammino. Al di fuori di queste
circostanze, però, non devi chiedere a Dio nient’altro che lui
stesso. E non star a considerare se sei nella gioia o nel dolore: a
queste cose non devi far caso, dal momento che possiedi colui che
ami. Questo è l’amore casto, questo l’amore perfetto.
Preparati,
dunque, a staccare il frutto dall’albero; in altri termini,
separa il tuo amore adorante dai pensieri di morte e di speranza che
l’hanno preceduto. In tal modo potrai offrirlo a Dio così com’è
in se stesso, maturo e casto, senza che sia contaminato da
nessun’altra motivazione inferiore a Dio o a lui sovrapposta,
foss’anche del tutto secondaria. È da Dio e da lui solo che il tuo
amore deve trarre la sua origine: allora sì avrà tanto merito, come
ho già detto.
In
effetti, questa è una verità ben nota a tutti gli esperti in
teologia e nella scienza dell’amore di Dio: l’uomo, ogni
qualvolta tende a Dio nel suo cuore senza alcun intermediario, cioè
senza essere stato stimolato da nessun pensiero particolare, si
guadagna la vita eterna. Un’anima che ha queste disposizioni, che
offre, cioè, il frutto maturo e già colto dall’albero, può
innalzarsi a Dio in qualsiasi istante senza alcun mezzo e per un
numero incalcolabile di volte nel giro di un’ora: merita dunque,
più di quanto io non sappia descrivere, di essere elevata alla
gioia, per la grazia di questo Dio che è l’artefice principale dei
suoi atti d’amore. Pertanto sta’ pronto a offrire il frutto
maturo e già colto dall’albero. Tuttavia chi offre a Dio in
continuazione, per quel che lo consente la fragilità umana, il
frutto ancora appeso all’albero, merita senz’altro la salvezza.
Ma chi offre a Dio con moto spontaneo e diretto il frutto maturo e
già staccato dall’albero, costui ha raggiunto la perfezione.
7.
[Il
matrimonio spirituale fa di Dio e dell’uomo una sola cosa].
Da
quanto detto precedentemente risulta che l’albero è buono; e se io
ti esorto a staccarne il frutto, è in vista di una perfezione più
elevata. Ecco perché lo pianto nel tuo giardino: vorrei che tu ne
raccogliessi il frutto da riservare al tuo Signore.
In
altre parole, vorrei che tu imparassi questo tipo di esercizio che
unisce l’anima a Dio, rendendola una sola cosa con lui nell’amore
e nella conformità della volontà. Come dice s. Paolo, «Qui
adhaeret Deo, unus spiritus est cum illo; Chi si avvicina a Dio»,
come avviene con l’amore d’adorazione, «diventa un solo spirito
con lui». Anche se Dio e l’uomo sono due esseri ben distinti per
natura, tuttavia sono così strettamente uniti per la grazia, da
formare un solo spirito, legati come sono da un unico amore e da una
medesima volontà n. È in questa unione che consiste il matrimonio
spirituale tra Dio e l’anima: non c’è niente, se non il peccato
mortale, che sia in grado di scioglierlo, anche se l’ardore e il
fervore dell’atto d’amore possono venir meno per un certo
periodo.
Mentre
gusta l’esperienza spirituale di questa unione, l’anima
innamorata può mettersi a dire e a cantare, se vi si sente portata,
queste sante parole del Cantico dei Cantici: «Dilectus meus mihi et
ego illi; Il mio diletto è per me e io per lui». Ecco come si deve
intendere il matrimonio spirituale: Dio per parte sua si unisce
all’anima con il legame spirituale della grazia, e da parte tua
l’unione si forma con il consenso amoroso nel giubilo dello
spirito.
8.
[Occorre esercizio per giungere all’adorazione amorosa di Dio].
Fa’
dunque quel che ti ho proposto già all’inizio: arrampicati
sull’albero fino ad arrivare al frutto, cioè all’adorazione
amorosa. Sarà senz’altro alla tua portata, se ti metterai a
meditare con decisione sui due pensieri che ho esposto in precedenza:
la morte e la speranza, senza fingere con te stesso. Perciò, sta’
bene attento al lavoro che si va facendo nella tua anima in questo
frangente. Cerca più che puoi, con l’aiuto della grazia, di
assumere un atteggiamento di umiltà davanti alla grandezza di Dio,
così da abituarti a esprimere quest’atto di adorazione
immediatamente, e in qualsiasi momento, senza l’intervento di
nessun altro pensiero.
È
certamente un atto di tal genere che acquista grande merito, come ho
già avuto modo di dire. E quanto più il tuo frutto resterà
separato dall’albero, cioè sgombro da ogni considerazione, tanto
più spesso ti sgorgherà spontaneamente dal cuore in un gioioso
slancio d’amore, dritto al suo scopo; e ancora migliore sarà il
suo profumo e più gradito al gran Re del Cielo. E se mai dovessi
sentire dolcezza e conforto nel tuo atto d’offerta, non
meravigliarti: è Dio che sta dividendo il frutto e ti sta dando una
porzione del tuo stesso dono. Se invece ti sembra di compiere un
lavoro troppo duro, e se devi quasi tendere il tuo corpo oltre
misura, nell’aridità, senza ottenere all’inizio nessun
beneficio, è la prova che il frutto ancora acerbo se ne sta
attaccato all’albero o è appena stato colto: ecco perché ti
rimangono allegati i denti. Tuttavia questo esercizio ti è utile;
non sarebbe ragionevole pretendere di gustare la dolce mandorla senza
aver prima frantumato il duro guscio e masticato l’amara scorza.
Può
anche darsi che i tuoi denti, vale a dire le tue facoltà spirituali,
siano troppo deboli: in tal caso ti consiglio di usare qualche
stratagemma, perché «l’astuzia val più della forza bruta».
9.
[Importanza del timore e della speranza per raggiungere la preghiera
perfetta].
C’è
un altro motivo per cui ho piantato quest’albero nel tuo giardino e
ti raccomando di salirci sopra. È vero che Dio può fare tutto ciò
che vuole; ma, a mio modesto parere, è praticamente impossibile che
un uomo riesca ad arrivare alla preghiera perfetta senza i due mezzi
di cui ho parlato, o altri simili. Eppure la preghiera è perfetta
quando sgorga d’improvviso e va dritta al suo scopo senza alcun
intermediario. Perciò ti consiglio di fare tuoi i due pensieri che
ho indicato prima: non che tu li debba considerare come tua proprietà
— sarebbe un atteggiamento peccaminoso —, ma sono tuoi perché
Dio per sua grazia te li ha donati, servendosi di me, indegno
messaggero, per trasmetterteli. Credimi: qualsiasi pensiero ti
stimoli al bene, sia che provenga interiormente dal tuo angelo
custode o esteriormente da un messaggero umano, non è altro che uno
strumento di grazia dato da Dio stesso, da lui scelto e inviato a
operare nella tua anima.
E
ora voglio spiegarti per quale motivo ti consiglio quei due pensieri
a preferenza di tutti gli altri.
L’uomo
è un essere composto da due sostanze: corpo e anima; ha bisogno
quindi di due mezzi diversi per giungere alla perfezione. Solo alla
risurrezione dell’ultimo giorno i due elementi saranno uniti
nell’immortalità; ma in questa vita ciascuna delle due sostanze
deve giungere alla perfezione usando un mezzo appropriato. Il timore
svolge questa funzione per la parte corporea, la speranza per quella
spirituale. Mi sembra che così si operi in maniera corretta e
adeguata. Infatti non c’è niente che sappia strappare più
rapidamente il corpo da tutti gli affetti terreni, se non il timore
sensibile della morte. Analogamente, non c’è niente che possa
spingere con maggior speditezza e fervore l’anima di un peccatore
ad amare Dio, se non la speranza certa del perdono di tutti i suoi
peccati. Ecco perché ti ho raccomandato di arrampicarti sull’albero
facendo uso di questi due pensieri.
10.
[Conclusione].
Ma
se il tuo angelo buono, parlando nell’intimo del tuo cuore, o
qualche altra persona dall’esterno ti dovesse suggerire dei
pensieri che, a tuo parere, sono più adeguati alle tue disposizioni,
puoi utilizzarli in tutta tranquillità e lasciar da parte, senza
biasimo alcuno, quelli che ti ho proposto io. Tuttavia, per il
momento e finché non ne saprà di più, resto dell’opinione che
questi mezzi ti saranno molto utili e non mi sembrano affatto
discordanti dalle disposizioni che ho trovato in te. Se quindi scopri
che ti fanno del bene, ringrazia Dio di tutto cuore; e per amore di
Dio, prega per me. Non mancare di farlo, perché sono così
miserabile che tu non te lo immagini nemmeno.
A
questo punto mi voglio fermare: ricevi la benedizione di Dio e la
mia. Leggi e rileggi questi consigli, e non dimenticarli. Mettili in
pratica con coraggio, e fuggi tutto quanto ti può ostacolare o
ritardare nel cammino della perfezione. Nel nome di Gesù. Amen.
LETTERA
SUL DISCERNIMENTO
A
Pistle of Discrecioun of Stirings
[Una
lettera sul discernimento degli impulsi (dell’anima)]
1.
[Quale valutazione dare e quale comportamento assumere quando ci si
sente spinti ad azioni eccezionali, come il silenzio, il digiuno, la
solitudine, o altre simili].
Amico
spirituale in Dio, auguro a te, secondo la volontà di Dio, la stessa
grazia e la stessa gioia che desidero ardentemente per me.
Mi
chiedi consiglio per sapere se sia meglio tacere o parlare, mangiare
normalmente o digiunare in modo rigoroso, vivere con gli altri o
ritirarsi in solitudine. Mi dici che sei dubbioso sulla scelta
perché, come tu affermi, se da un lato diffidi del troppo parlare,
del mangiare come fa abitualmente la gente e del vivere in compagnia,
dall’altro temi di esagerare praticando il silenzio, l’astinenza
più assoluta e una vita del tutto solitaria, dato che questi
comportamenti potrebbero spingerti ad attribuirti una santità che
sei ben lontano dall’avere, e ti farebbero incorrere in molti altri
pericoli.
Spesse
volte, ai giorni nostri, si giudicano molto sante le persone che
osservano il silenzio, una rigida astinenza e che conducono vita
solitaria; tuttavia simili pratiche eccezionali espongono a molti
pericoli. In verità queste persone sarebbero molto sante solo nel
caso in cui il loro silenzio, il loro rigoroso digiuno e la loro vita
ritirata avessero come movente la grazia, perché allora le loro
sofferenze verrebbero pienamente accolte e tollerate da parte della
natura.
Nel caso contrario, esse si troverebbero insidiate da ogni parte da
pericoli, poiché è rischioso forzare la natura umana a compiere
azioni devote quali tacere o parlare, mangiare in modo normale o
digiunare rigidamente, vivere in compagnia o in solitudine.
Voglio
dire che si può superare l’abituale corso della natura e mutarne
l’equilibrio, soltanto se si è guidati dalla grazia. E questo vale
anche per azioni indifferenti in se stesse e che possono essere a un
tempo buone o cattive, utili o dannose, proficue o sfavorevoli.
Se
segui il tuo impulso che ti porta a compiere azioni eccezionali e ti
impegni rigorosamente al silenzio, allo stretto digiuno e alla vita
ritirata, ti può accadere spesso di praticare il silenzio quando è
tempo di parlare, di digiunare quando è meglio mangiare e di vivere
appartato quando è preferibile stare in compagnia.
Se
poi ti lasci andare a parlare quando ne hai voglia, a mangiare come
fanno tutti o a vivere in compagnia, forse ti capiterà talvolta di
parlare quando sarebbe meglio tacere, di mangiare al posto di
digiunare e di vivere fra molta gente quando, sarebbe conveniente
starsene soli. Potresti così cadere facilmente in errore e in grande
confusione, non solo a danno della tua anima, ma anche di quella
degli altri.
Tuttavia,
per evitare simili errori mi chiedi, come apprendo dalla tua lettera,
due cose: anzitutto di conoscere l’opinione che ho di te e delle
tue inclinazioni; e in secondo luogo, qual è il mio consiglio su
questo caso specifico e su altri che potrebbero presentarsi in
futuro.
2.
[L’uomo giunge alla conoscenza di se stesso solo passando
attraverso prove e tribolazioni. Ciò gli ottiene la corona della
vita, consistente nella sapienza, nel discernimento e nella
perfezione della virtù, che è la carità].
Riguardo
alla prima domanda, rispondo che temo molto nel darti il mio sia pur
modesto parere su questo argomento e altri simili. E ciò per due
ragioni. La prima, perché non oso affidarmi al mio giudizio e
affermare che sia solido e verace; la seconda, perché non mi sono
ancora del tutto note le tue disposizioni interiori e la tua capacità
di compiere le cose di cui parli nella lettera. Sarebbe invece
opportuno che io le conoscessi bene, se debbo darti un saggio
consiglio in proposito. Infatti dice l’Apostolo: «Nemo novit quae
sunt hominis, nisi spiritus hominis qui in ipso est; Nessun uomo
conosce quali siano le intime disposizioni di un uomo, fuorché lo
spirito che è in lui».
Forse
neppure tu conosci ancora completamente le tue intime inclinazioni,
come le conoscerai in seguito, quando Dio te le manifesterà per
mezzo delle prove, fra molte cadute e riprese.
Finora
non ho mai conosciuto un
peccatore che sia potuto giungere alla perfetta conoscenza di se
stesso e delle sue intime inclinazioni, senza essere stato
ammaestrato alla scuola di Dio, attraverso l’esperienza di molte
tentazioni, con frequenti cadute e continue riprese.
Come
una piccola nave raggiunge la terra ed entra nel porto dopo aver
navigato, ora fra onde, marosi e tempeste, ora incontrando venti
favorevoli, bonaccia tiepide aure, similmente l’inerme anima umana
subisce molteplici tentazioni e prove che costituiscono il suo
retaggio durante le traversie della vita (esemplificate dalle onde,
dai marosi e dalle tempeste), ma è anche visitata dalla grazia e
dalla bontà dello Spirito santo, e gusta numerose ispirazioni,
dolcezze e consolazioni (rappresentate dai venti favorevoli e dalle
tiepide aure), e può così giungere finalmente, come la nave, alla
terra della stabilità e al porto della salvezza.
Qui
l’uomo perviene alla chiara e vera conoscenza di se stesso e di
tutte le sue intime inclinazioni.
Grazie
a questa conoscenza, l’uomo se ne sta seduto tranquillamente in se
stesso, come un re incoronato nel suo regno, ed è in grado di
governare con forza, saggezza e bontà se stesso, i suoi pensieri e
gli impulsi sia del corpo che dello spirito.
Ecco
ciò che il saggio dice di quest’uomo: «Beatus vir qui suffert
tentationem, quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae,
quam repromisit Deus diligentibus se; Beato l’uomo che sopporta,
penando, la tentazione, perché, dopo essere stato provato, riceverà
la corona della vita, promessa da Dio a coloro che lo amano».
La
corona della vita può essere definita in due modi. Anzitutto come
sapienza divina, pienezza di discernimento e perfezione di virtù.
Queste tre qualità unite insieme possono venir chiamate corona della
vita, che la grazia ci può ottenere già su questa terra.
La
corona della vita può anche essere definita in altro modo, come la
gioia senza fine che ogni anima fedele proverà, dopo questa vita,
nella beatitudine celeste.
Naturalmente
l’uomo non potrà ottenere nessuna di queste due corone, se non
sarà stato prima molto provato da sofferenze e tribolazioni, come
afferma il testo: «Quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam
vitae; Poiché è stato messo alla prova, riceverà la corona della
vita».
In
altri termini, come ho già detto, se un peccatore non è stato
provato da molteplici tentazioni, ora rialzandosi, ora cadendo
(cadendo per debolezza e rialzandosi in virtù della grazia), non
potrà mai ricevere da Dio in questa vita la sapienza spirituale che
gli permetta di raggiungere la chiara conoscenza di se stesso e delle
sue inclinazioni interiori, né il pieno discernimento per
consigliare e insegnare ad altri, e neppure la terza qualità, che è
la perfezione della virtù: l’amore verso Dio e verso i fratelli.
Queste
tre qualità: sapienza, discernimento e perfezione della virtù,
costituiscono un tutt’uno e possono essere chiamate la corona della
vita.
3.
[Descrizione della corona della vita, che l’uomo può conseguire
sia nell’esistenza presente come in quella futura].
In
una corona si trovano tre cose: l’oro è la prima, la seconda è
costituita dalle pietre preziose e la terza è data dalle torrette di
fiordaliso che s’innalzano sopra la testa. L’oro simboleggia la
sapienza, le pietre preziose il discernimento e con le torrette di
fiordaliso io intendo la perfezione della virtù.
Come
l’oro circonda il capo, così con la sapienza governiamo da ogni
parte il nostro lavoro spirituale. Le pietre preziose brillano agli
occhi degli uomini: con il discernimento insegniamo ai nostri
fratelli e consigliamo. Le torrette di fiordaliso portano due rami
laterali che si stendono uno a destra e l’altro a sinistra; c’è
anche un terzo ramo che s’innalza al di sopra del capo.
Analogamente la virtù perfetta, cioè la carità, ha
due diramazioni laterali di amore, che si espandono una a destra
verso i nostri amici e una a sinistra verso i nostri nemici. C’è
infine la diramazione che volge in alto verso Dio, al di sopra
dell’intelletto umano. Essa rappresenta la parte più eccelsa
dell’anima.
Questa
è la corona della vita che si può ottenere, per mezzo della grazia,
già nel tempo presente. Perciò comportati con umiltà durante la
battaglia e sopporta docilmente le tentazioni fino al momento in cui
la prova sarà finita. Allora potrai ricevere l’una o l’altra
delle corone o ambedue: una quaggiù e l’altra lassù; infatti chi
possiede già la prima in questo mondo, può essere sicurissimo di
conseguire la seconda nell’altro. Sono molti coloro che la grazia
sottopone quaggiù a numerose prove e ciò nonostante non arrivano
mai a possedere la corona in questa vita. Però se essi continueranno
a soffrire pazientemente, compiendo il volere di nostro Signore,
saranno pienamente Sdegni di ricevere la corona lassù, nell’immensa
beatitudine del cielo.
Se
pensi sia bella la corona che può essere guadagnata quaggiù,
comportati, con l’aiuto della grazia, con
la
maggior docilità possibile, dal momento che se paragoni questa
corona a quella di lassù, è come se tu mettessi a confronto un
gioiello con una miniera d’oro.
Dico
tutto questo perché ti sia di consolazione e ti sostenga nella
battaglia spirituale che hai intrapreso fidando in nostro Signore.
Con ciò voglio inoltre mostrarti quanto tu sia ancora lontano dalla
vera conoscenza delle tue inclinazioni interiori, e ammonirti a non
accondiscendere precipitosamente e a non seguire gli impulsi del tuo
giovane cuore verso pratiche eccezionali, impulsi che potrebbero
risultare ingannevoli.
4.
[Il desiderio di pratiche eccezionali va umilmente vagliato
attraverso il distacco da se stessi, la preghiera e il consiglio di
una guida spirituale].
Intendo
in tal modo manifestarti quale opinione ho di te e delle tue
inclinazioni, e rispondere così alla tua domanda.
Penso
che tu sia non solo molto capace, ma anche parecchio incline a
cogliere i subitanei impulsi che ti spingono a pratiche eccezionali,
e ritengo che tu vi aderisca con trasporto, una volta che li hai
accolti. Ma ciò è assai rischioso. Non dico che, per quanto
pericolose, l’abilità e la bramosa disposizione che sono in te o
in qualche altra persona che condivide il tuo orientamento, debbano
essere cattive in se stesse. Non è quanto intendo affermare, e Dio
non voglia che tu abbia a interpretare le mie parole in questo senso.
Ti dico al contrario che si tratta di cose buone in sé e atte a
portare a grande perfezione, anzi alla più alta perfezione
raggiungibile in questa vita, a patto però che l’anima così
disposta si impegni a umiliarsi continuamente, notte e giorno,
davanti a Dio e a un saggio direttore spirituale. L’anima deve
risolutamente contrapporsi a se stessa e martirizzarsi, rinunciando
ai propri desideri e vincendo la propria volontà senza cedere a
impulsi subitanei verso pratiche eccezionali.
Dichiarerà
fermamente di non voler seguire. tali inclinazioni, per quanto
possano sembrare piacevoli, nobili e sante, senza aver ricevuto la
testimonianza e l’approvazione di maestri spirituali che abbiano
una lunga esperienza delle vie straordinarie. Continuando a vivere in
questo atteggiamento di umiltà interiore, l’anima, in forza della
grazia e dell’esperienza acquisita nella battaglia spirituale
contro se stessa, potrà meritare di raggiungere la corona della vita
di cui ho fatto menzione precedentemente.
Mentre
grande è la capacità di bene nell’anima che si trova in una
simile disposizione di umiltà, altrettanto pericolosa è invece la
condizione di un’anima che vuol seguire di colpo, senza prendere
consiglio, le inclinazioni impulsive del cuore, facendo assegnamento
sulla propria intelligenza e sulla propria volontà.
Guardati
quindi, per amor di Dio, da questa capacità e da questa
disposizione, se le riscontri in te. Umiliati continuamente nella
preghiera, accettando gli ammaestramenti che ti vengono dati. Spezza
la tua intelligenza e la tua volontà davanti agli impulsi improvvisi
del cuore, e non seguirli con leggerezza, se non ti sei prima
accertato della loro provenienza e della loro utilità.
5.
[Bisogna evitare di comportarsi come le scimmie, che agiscono solo in
base a quello che vedono fare dagli altri].
Riguardo
alle ispirazioni sulle quali chiedi la mia opinione e il mio
consiglio, devo dirti che le considero con diffidenza, perché mi
sembra si tratti di qualcosa di molto simile al comportamento delle
scimmie. Si dice comunemente che la scimmia fa ciò che vede fare
dagli altri. Ti prego di perdonarmi se la mia diffidenza mi dovesse
indurre in errore, ma l’amore che nutro per la tua anima mi spinge
a parlarti, per mia personale conoscenza, di un fratello spirituale
tuo e mio, che un tempo abitava dalle tue parti. Egli si sentiva
eccitato dagli stessi impulsi di rigoroso silenzio, di rigido
digiuno, di vita completamente ritirata. Ma si stava comportando alla
maniera di una scimmia, come mi assicurò dopo lunghe conversazioni e
dopo aver esaminato se stesso e le sue ispirazioni. Mi aveva infatti
riferito di aver visto un uomo del tuo paese che, come è noto a
tutti, pratica sempre un rigoroso silenzio, un rigido digiuno e una
vita solitaria. Certo, posso ben supporre che le ispirazioni di
quell’uomo siano autentiche, frutto soltanto della grazia che egli
sente per esperienza nel suo intimo, e non semplicemente perché ha
visto o sentito parlare, dall’esterno, della vita ritirata di
qualcuno. Se fosse questo il movente, io parlerei, a mio umile
avviso, di imitazione scimmiesca.
Perciò
sta’ attento e verifica bene i tuoi impulsi e la loto provenienza,
per poter distinguere, quando li provi, se vengono dall’interno,
come frutto della grazia, o dall’esterno, alla maniera delle
scimmie. Dio solo sa questo, non io. Posso dirti tuttavia, perché tu
abbia a evitare un pericolo del genere, di non fare come le scimmie.
Fa’ in modo che qualsiasi impulso ti porti a tacere o a parlare, a
digiunare o a mangiare, a vivere in solitudine o in compagnia, venga
dal di dentro, per sovrabbondanza di amore e di devozione spirituale,
e non dal di fuori, attraverso le finestre della mente umana quali
sono le orecchie e gli occhi. Poiché, come dice chiaramente Geremia,
da queste finestre entra la morte: «Mors intrat per fenestras».
E
questo, per quanto sia poco, è sufficiente come risposta alla prima
domanda che mi hai rivolto: quale sia, in altri termini, la mia
opinione su di te e sugli impulsi di cui mi parli nella tua lettera.
6.
[Passa
a rispondere alla seconda domanda: di fronte alla scelta fra realtà
opposte, regola suprema è la libertà di Cristo, non l’inclinazione
naturale].
Riguardo
alla seconda domanda, ossia alla richiesta di consigli in questo caso
e in altri che si presentassero, io scongiuro Gesù onnipotente,
chiamato a ragione l’Angelo del gran consiglio, perché, nella sua
misericordia, sia lui tuo consigliere e tuo consolatore in tutte le
afflizioni e in ogni tua necessità. Mi guidi con la sua sapienza,
perché possa ripagare la fiducia del tuo cuore con
miei ammaestramenti, per quanto semplici siano. Tu mi hai preferito a
tanti altri, ignorante e misero quale sono, incapace di insegnare a
te e a qualunque altra persona, per la pochezza della grazia e
l’insufficienza del sapere.
Pur
essendo così ignorante, devo tuttavia affermare, in risposta al tuo
desiderio, che nonostante la mia poca dottrina confido in Dio, perché
la sua grazia abbia a essere maestra e guida là dove i lumi naturali
o la scienza vengono meno.
Sai
bene anche tu che, presi nel loro insieme o considerati
singolarmente, il silenzio o il parlare, il rigido digiuno o il
normale nutrimento, la solitudine e la compagnia, non possono in
quanto tali rappresentare il vero fine dei nostri desideri.
Per
alcuni uomini però, non per tutti, si tratta di mezzi che aiutano a
raggiungere il fine, quando vengono praticati con disciplina e con
discernimento. Nel caso contrario, sono più di ostacolo che di
aiuto.
Non
ti consiglio quindi, per il momento, né di parlare molto né di far
assoluto silenzio, né di mangiare abbondantemente, né di digiunare
nel modo più completo, né di stare sempre in compagnia né di
vivere in totale solitudine, dato che la perfezione non risiede in
queste cose.
Posso
però darti un consiglio che seguirai, in generale, quando proverai
questi impulsi e in tutti gli altri casi analoghi. Ti avverrà
talvolta di trovarti davanti al dilemma di due ispirazioni contrarie,
come sono il silenzio e il conversare, il digiuno e il mangiare, la
vita solitaria e quella in compagnia, il vestire comune dei cristiani
e l’indossare abiti strani, tipici delle diverse e più disparate
confraternite. Ricorda che queste ispirazioni, e tutte le altre che
alla stessa maniera si contrappongono fra di loro, non sono in se
stesse che opera della
natura e dell’uomo. È per inclinazione naturale e per esigenza del
tuo uomo esteriore che sei portato ora a parlare e ora a tacere, ora
a mangiare e ora a digiunare, ora a vivere in compagnia e ora in
solitudine, ora a vestire come tutti e ora a indossare abiti diversi.
Tu
porgi ascolto a queste sollecitazioni, quando percepisci che uno di
questi impulsi può esserti vantaggioso e di aiuto nel tener viva la
grazia celeste che lavora in te.
Ma
può anche accadere, Dio non voglia, che tu o chiunque altro, siate
così ignoranti e così accecati dalle perverse tentazioni del dèmone
meridiano, da impegnarvi con assurdi voti (non mi riferisco,
naturalmente, ai voti solenni della nostra santa religione) a
compiere quelle stranezze che, sotto apparenza di santità,
consistente in una sottomissione falsamente devota, conducono in
definitiva alla completa distruzione della libertà di Cristo.
La
libertà di Cristo è l’abito spirituale dell’eccelsa santità
che si può ottenere in questa vita o nell’altra. O, se vogliamo
esprimerci con le parole di s. Paolo: «Ubi Spiritus Domini, ibi
libertas; Dove c’è lo Spirito di Dio, c’è libertà».
7.
[Fra
due cose opposte, va scelta la realtà che si trova nascosta in
mezzo: Dio. Ciò non può essere compiuto dalla ragione, ma
dall’amore].
Quando
vedi che tutte queste opere possono avere, nella loro attuazione
pratica, un duplice effetto ed essere buone o cattive, ti prego,
desisti dal compierle; cosa che non ti sarà difficile fare, se sarai
umile. E lascia perdere la curiosa speculazione e la ricerca della
tua mente intenta a comprendere quale sia la scelta migliore.
Ti
consiglio di comportarti in questo modo: poni una di queste azioni da
un lato e la sua contraria dal lato opposto, e scegli per te la cosa
che si trova nascosta nel mezzo. Quando la possederai, essa ti
permetterà di seguire o non seguire in libertà di spirito l’una o
l’altra, secondo la tua inclinazione e senza alcun biasimo.
Ma
ora mi chiederai quale sia questa cosa. Ti dirò che cosa penso che
sia: è Dio.
È
per lui che devi essere silenzioso, se devi essere silenzioso; per
lui devi parlare, se devi parlare; per lui devi digiunare, se devi
digiunare; per lui devi mangiare, se devi mangiare; per lui devi
essere solo, se devi essere solo; per lui devi essere in compagnia,
se devi essere in compagnia, e così via per tutte le altre azioni,
quali che siano.
Poiché
il silenzio non è Dio, né lo è il conversare; il digiunare non è
Dio, né lo è il mangiare; la solitudine non è Dio, né lo è la
compagnia, e neppure tutte le altre azioni suscettibili di un’azione
contraria.
Egli
è nascosto fra di esse e non lo si può trovare per mezzo di nessuna
attività della tua anima, ma unicamente per mezzo dell’amore del
tuo cuore. La ragione non può conoscerlo, il pensiero non può
abbracciarlo, né l’intelletto può definirlo. Dio può però
essere amato e scelto dalla volontà sinceramente amorosa del tuo
cuore.
Scegli
lui e sarai silenzioso parlando e parlando silenzioso, digiunerai
mangiando e mangiando digiunerai, e così via per tutte le altre
azioni.
Tale
amorosa scelta di Dio, saggiamente compiuta nell’abbandono di ogni
altra realtà e nella ricerca di lui, comporta la costante volontà
di un cuore puro, capace di andare oltre alla scelta fra due azioni
contrarie, quando essa si presenta e si propone come scopo supremo
della nostra considerazione spirituale. Questa capacità di scelta è
la migliore che si possa ottenere o apprendere in questa vita per
ricercare e scoprire Dio, da parte, s’intende, di un’anima che
brami essere contemplativa.
Tutto
ciò che un’anima cerca in questo modo non è però visibile e non
può essere compreso dall’occhio spirituale
della ragione. Ma se Dio è il tuo amore e la tua sola
preoccupazione, l’aspirazione più alta e il fine del tuo cuore, ti
deve bastare in questa vita, anche se non vedrai niente altro di lui
con gli occhi della ragione in tutto il tempo della tua esistenza
terrena.
Questa
cieca ferita prodotta dalla freccia acuminata di un ardente amore non
fallirà mai lo scopo che è Dio, come dice egli stesso nel Libro
dell’amore, quando si rivolge a un’anima appassionata e piena di
amore: «Vulnerasti cor meum, soror mea, amica mea et sponsa mea;
vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum; Hai ferito il mio cuore,
sorella mia, mia diletta e mia sposa; hai ferito il mio cuore con uno
dei tuoi occhi».
Due
sono gli occhi dell’anima: ragione e amore.
Per
mezzo della ragione possiamo comprendere quinto egli sia potente,
sapiente e buono in tutte le sue creature, ma non in se stesso. Però,
ogniqualvolta la ragione vien meno, allora eccita il
tuo desiderio, ama, vivi e impara a esercitare l’amore, perché è
per mezzo dell’amore che noi possiamo percepire Dio, trovarlo e
raggiungerlo come è in se stesso.
È
un occhio prodigioso questo amore, se nostro Signore ha detto di
un’anima ricca di amore: «Tu hai ferito il mio cuore con uno dei
tuoi occhi». Ciò significa che l’amore di cui stiamo parlando è
cieco rispetto a molte cose: vede solo quell’unica cosa che cerca.
Di conseguenza trova e percepisce, coglie e raggiunge lo scopo
supremo a cui tende, molto più velocemente di quanto non farebbe se
posasse lo sguardo su molteplici oggetti come fa la ragione, che
esamina e confronta tra loro tante realtà diverse, quali il silenzio
e la conversazione, il rigido digiuno e il normale nutrimento, la
solitudine e la vita in società, e molte altre azioni simili, allo
scopo-di
stabilire quale sia la migliore.
8.
[Il contemplativo, sull’esempio di Maria di Betania, va oltre il
bene e il meglio e sceglie sempre l’ottimo].
Sia
questo il tuo modo di comportarti, te ne prego. Agisci come se tu non
fossi al corrente dell’esistenza di altri mezzi (voglio dire altri
mezzi stabiliti per avvicinarsi a Dio), poiché, in verità, non ne
esiste un altro se vuoi essere vero contemplativo e raggiungere
rapidamente il
tuo scopo. Perciò prego te,
e
quanti si trovano nella tua stessa situazione, con le parole
dell’Apostolo: «Videte vocationem vestram, et in ea vocatione qua
vocati estis, state; Esaminate la vostra vocazione e a quella
vocazione cui siete stati chiamati, rimanete tenacemente fedeli» in
nome di Gesù.
La
tua vocazione è di essere autenticamente contemplativo, seguendo
l’esempio di Maria, sorella di Marta. Agisci dunque come fece
Maria. Fissa come meta del tuo cuore una sola cosa: «Porro unum
necessarium; Poiché una sola cosa è necessaria», e questa cosa è
Dio.
È
lui che tu devi possedere, lui che cerchi, lui che desideri e
intendi, gustare, lui che vuoi ti tenga accanto a sé. Non è dunque
il silenzio che t’importa, né il parlare, il rigido digiuno o il
nutrimento comune, la solitudine o il vivere in compagnia.
È
bene talvolta praticare il silenzio, ma in quello stesso momento si
farebbe meglio a parlare, e per contro, è bene parlare, ma il
silenzio in quell’istante sarebbe migliore, e così via per tutte
le altre azioni, come il digiunare, il nutrirsi, il vivere solitari o
in compagnia.
A
volte, infatti, una di queste azioni è buona, ma la sua contraria
può essere preferibile; però nessuna di esse è la migliore in
assoluto. Lascia che sia bene tutto ciò è che bene, e meglio tutto
ciò che è meglio, perché ambedue verranno meno e avranno una fine.
Scegli
con Maria, tuo modello, l’ottima parte che non verrà mai meno.
«Maria — inquit Optimus — optimam partem elegit, quae non
auferetur ab ea». L’Ottimo è Gesù onnipotente, il quale disse
che Maria, a esempio di tutte le anime contemplative, aveva scelto
l’ottima parte che non le sarebbe mai stata tolta. Ti prego,
dunque, di tralasciare, come fece Maria, il bene e il meglio, per
scegliere l’ottima parte. Non ti curare di queste cose: il silenzio
e il parlare, il digiuno e il mangiare, la solitudine e la compagnia,
e altre azioni del genere; non è su di esse che devi fissare la tua
attenzione.
Tu
non sai quale sia il loro significato e ti scongiuro di non cercare
di conoscerlo. Se in qualche momento ti capiterà di pensarci o di
parlarne, rifletti allora e di’ che si tratta di cosa troppo
elevata e degna di tanta perfezione il sapere come parlare o tacere,
in qual modo digiunare o nutrirsi, come vivere soli o in compagnia, e
che sarebbe pura follia e sciocca presunzione da parte di un misero
mortale quale sei tu, l’immischiarsi in una perfezione così
grande.
Infatti
possiamo sempre, ogni volta che lo vogliamo, parlare o tacere,
mangiare o digiunare, essere solitari o in compagnia, perché queste
azioni sono proprie della natura; ma conoscere il giusto modo di
compierle è soltanto merito della grazia.
Senza
dubbio non si può ottenere tale grazia con qualche semplice mezzo
quale può essere l’assoluto silenzio, il rigido digiuno o
l’abitare in solitudine cui tu accenni: tali azioni nascono dal di
fuori, in seguito all’aver udito o visto persone che hanno compiuto
simili opere eccezionali. Per ottenere una grazia del genere, è
necessario che tu sia istruito interiormente da Dio, dopo aver a
lungo riposto in lui il tuo desiderio e tutto l’amore del tuo
cuore. Devi inoltre allontanare completamente dalla tua anima ogni
considerazione spirituale o qualunque altro punto di vista inferiore
a Dio, anche se tutte queste cose che ti ordino di evitare, possono
parere agli occhi di qualcuno mezzi lodevoli per raggiungere Dio.
9.
[Il vero criterio di ogni discernimento è il devoto impulso di un
incessante amore, che induce sempre a scegliere Dio].
Lascia
che gli uomini dicano quello che vogliono. Tu, però, agisci secondo
il mio consiglio: l’esperienza testimonierà in mio favore.
A
colui che vuole conseguire rapidamente il proprio fine spirituale
basta un solo mezzo e non gli occorre altro: egli deve rivolgere
consapevolmente il proprio pensiero soltanto verso la Bontà divina,
con un devoto impulso di incessante amore. E questo perché l’unico
mezzo per raggiungere Dio è Dio stesso.
Se
conserverai gelosamente l’impulso d’amore che la grazia ti fa
sentire nel cuore e non disperderai il tuo sguardo spirituale, sarà
questo stesso amore che ti indicherà quando dovrai parlare e quando
tacere, e ti assisterà infondendoti discernimento e assicurandoti di
non sbagliare durante tutta la tua vita. Esso ti insegnerà
interiormente quando dovrai intraprendere o abbandonare le suddette
azioni proprie della nostra natura umana, e lo farà con grande e
supremo discernimento.
Se
per virtù della grazia potrai fare di quest’amore un’abitudine
di vita e tenerlo in costante esercizio, allora, quando ti sarà
necessario e utile parlare, mangiare in modo normale, rimanere in
compagnia o compiere qualsiasi altra azione abituale per un cristiano
o propria della natura umana, esso ti spingerà molto soavemente a
parlare e a fare qualunque altra cosa del genere.
Ma
se non segui l’impulso dell’amore, esso ti colpirà in modo
doloroso, come se tu fossi ferito al cuore, e ti farà soffrire e non
ti darà riposo fino a quando non lo asseconderai.
Allo
stesso modo, se stai parlando mentre ti è più utile tacere, o se
stai facendo qualunque altra azione cui abbiamo accennato, mentre
sarebbe più conveniente per te fare il contrario: come vivere in
solitudine invece che in società, digiunare invece di nutrirsi
normalmente, e altre azioni che si possono considerare di eccezionale
santità, sarà l’impulso dell’amore che ti spingerà a
compierle.
Per
mezzo dell’esperienza di questo cieco impulso d’amore per Dio,
un’anima contemplativa raggiunge la grazia del discernimento che le
insegna a parlare o a praticare il silenzio, a mangiare o a
digiunare, a vivere in compagnia o a ritirarsi in solitudine, e così
via, e ciò in tempo molto più breve
che
se compisse quelle azioni straordinarie di cui tu parli, obbedendo
cioè agli impulsi della mente umana e alla sua volontà interiore, o
comportandosi in modo da imitare le azioni esteriori di qualsiasi
altro uomo.
Dal
momento che tali azioni forzate dipendono dagli impulsi della natura
e non hanno il tocco della grazia, procurano un eccessivo dolore,
privo di ogni utilità spirituale. Se
si tratta però di anime religiose o di persone cui simili opere sono
state ingiunte a titolo di penitenza, allora si che sono benefiche, e
il profitto che ne deriva nasce esclusivamente dall’obbedienza e
non dallo sforzo di un’azione esteriore che risulterà sempre
penosa per tutti. Al contrario, lo struggente desiderio di voler
amare Dio costituisce la grande e suprema tranquillità, la vera pace
spirituale e la primizia del riposo senza fine.
Perciò
parla quando vuoi e smetti quando vuoi, mangia quando vuoi e digiuna
quando vuoi, sta’ in compagnia quando vuoi e vivi in solitudine
quando vuoi, purché Dio e la grazia siano tua guida.
Digiuni
chi intende digiunare, viva solitario chi lo vuole, pratichi il
silenzio chi lo desidera, ma, da parte tua, mantieniti fedele a Dio
che non inganna. Tutto il resto può ingannarti: il silenzio e il
parlare, la solitudine e la compagnia, il digiuno e il mangiare.
Se
senti dire di qualcuno che parla o di qualcuno che osserva il
silenzio, di qualcuno che si nutre normalmente o di qualcuno che
digiuna, di qualcuno che ama la compagnia oppure vive solitario,
pensa e afferma pure, se vuoi, che si tratta di persone ben
consapevoli di ciò che fanno, a meno che non ti risulti il
contrario. Ma evita di scimmiottare la condotta di queste persone:
non saresti in grado di farlo per ora, e forse non hai nemmeno le
loro stesse inclinazioni. Guardati perciò dall’agire secondo le
attitudini degli altri e agisci secondo le tue, se riesci a conoscere
quali siano. E fino a che non sei in grado di
conoscerle, attieniti al consiglio degli uomini che conoscono le
proprie inclinazioni, senza per questo imitarli nel loro
comportamento. Solo i consigli di queste persone ti possono essere
utili in simili casi.
Ritengo
che quanto ho esposto sia sufficiente come risposta alla tua lettera.
La
grazia di Dio sia sempre con te, nel nome di Gesù. Amen.
LETTERA
DI DIREZIONE SPIRITUALE
The
book of priue counseling
[Il
libro del consiglio privato]
[Prologo]
Amico
spirituale in Dio, questo scritto ha come tema le occupazioni
interiori che più si confanno, a mio parere, alle tue intime
disposizioni; perciò questa volta mi rivolgo a te in particolare, e
non a tutti quanti dovessero venire a conoscenza della mia lettera.
Se avessi intenzione di scrivere per tutti, dovrei per forza di cose
trattare un argomento di carattere generale. Ma siccome ora sto
scrivendo per te in particolare, mi limiterò a quelle cose che mi
sembrano più convenienti nel tuo caso e meglio rispondenti al tuo
stato attuale. Se altri si troveranno nelle tue stesse disposizioni
d’animo e trarranno profitto da questo mio scritto, meglio così;
ne avrò veramente piacere. Tuttavia, in questo momento al centro
della mia attenzione ci sta unicamente la tua situazione personale,
per quel tanto che riesco a intuirla. È dunque a te, e a tutti
quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, che io rivolgo i miei
consigli.
1.
[La preghiera contemplativa è la nuda e oscura percezione
dell’essere di Dio come scaturigine del nostro essere, considerato
non in modo discorsivo, ma intuitivo].
Quando
vuoi raccoglierti nel profondo del tuo essere, non preoccuparti di
quel che farai dopo. Lascia da parte tutti i pensieri, buoni o
cattivi che siano; e cerca di non pregare con la bocca, a meno che ti
senta portato a farlo. In tal caso, non darti pensiero per la
quantità delle parole da usare e non dare importanza al nome o al
significato da attribuire alla tua preghiera: si tratti di orazione,
salmo, inno o antifona, o di qualsiasi altra preghiera, comunitaria o
personale, mentale (formulata cioè interiormente nel pensiero) o
vocale (pronunciata all’esterno con parole), per te fa lo stesso.
Fa’
in modo che non rimanga niente nella tua mente se non questa sola
occupazione: un nudo anelito di raggiungere Dio. Nudo, perché non
deve essere rivestito da alcun pensiero particolare su come Dio è in
se stesso o nelle sue opere: importa solo il fatto che egli è quel
che è. Cerca di considerare Dio in questa maniera, te ne prego, e
non voler fare altrimenti. Non continuare a indagare sul suo conto
con sottili ricerche dell’intelletto. Questa fede sia il fondamento
del tuo lavoro.
Questo
nudo anelito, che poggia saldamente su una fede sincera, lo devi
concepire e sentir dentro come un semplice riconoscimento e una cieca
accettazione del tuo stesso essere. È come se dicessi a Dio nel tuo
intimo: «Quel che sono, o Signore, io te lo offro. Non intendo
considerare nessuna qualità del tuo essere, ma solo il fatto che tu
sei quel che sei, e niente più».
Quest’umile
oscurità deve riflettersi anche sul tuo essere e occupare in pieno
la tua mente. Non metterti a pensare a te stesso più di quanto tu
non debba fare con Dio, così da diventare una sola cosa con lui in
spirito, senza
dispersione né distinzione. Infatti, è lui
il tuo
essere, e in lui sei quel che sei: non solo perché egli è la causa
e l’essere di tutte le cose, ma anche perché costituisce la causa
e l’essere del tuo stesso essere. Perciò in questo lavoro pensa a
Dio esattamente come pensi a te stesso, e a te stesso come pensi a
Dio: egli è quel che è, e tu sei quel che sei. In questo modo il
tuo pensiero non resterà disperso e diviso, ma unificato in lui che
è il tutto.
È
necessario però salvaguardare sempre questa differenza tra te e lui:
egli è il tuo essere, ma tu non sei il suo. Tutte le cose sono in
lui quanto alla causa e all’essere, ed egli è in tutte le cose
causa ed essere; ma quanto a lui, è solo in se stesso che trova la
propria causa e il proprio essere. E come non c’è niente che possa
essere senza di lui, così anch’egli non può essere senza di sé.
Egli è l’essere di se stesso e di tutte le cose. E proprio in
quanto è distinto da tutte le altre cose, costituisce l’essere di
se stesso e di tutte le cose. Inoltre, siccome è uno in tutte le
cose e tutte ritrovano la loro unità in lui, è lui l’essere di
tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Allo
stesso modo, tu sarai unito a Dio nella grazia, senza distinzione,
sia con l’intelletto che con il cuore, purché tralasci tutte
quelle astruse ricerche sulle varie qualità del tuo cieco essere e
del suo. Se la tua mente sarà spoglia e i tuoi sensi purificati,
sentirai nella tua nudità, per il tocco della grazia, di essere
nutrito in segreto da Dio, così com’è; ma ciò avverrà solo in
parte e nell’oscurità, come si conviene su questa terra, così che
il tuo ardente desiderio crescerà sempre di più. Quindi alza gli
occhi senza paura e di’ al tuo Signore, a parole o nel profondo del
tuo cuore: «Quel che sono, o Signore, io te lo offro, perché tu non
sei altro da me».
E
pensa in maniera nuda, semplice e piana che tu sei quel che sei,
senza aggiungere altre analisi o considerazioni.
Non
bisogna esser nati maestri per pregare a questo modo: a me sembra
alla portata anche del più ignorante tra gli uomini, perché
presuppone un grado minimo di intelligenza comune a tutti. Perciò mi
stupisco veramente e mi vien quasi da ridere, se non provassi anche
un senso di amarezza, quando mi capita di sentire gli apprezzamenti
di certe persone a proposito di quanto ho scritto a te e a altri
(bada bene che non si tratta di gente ignorante o poco istruita, ma
di studiosi e uomini di cultura!). Costoro affermano che i miei
scritti sono così elevati e difficili da leggere, così astrusi e
complicati, che a malapena riescono a capirli i più istruiti o più
intelligenti.
A
quanti fanno simili discorsi rispondo che hanno ben motivo di
lagnarsi e meritano di essere derisi, in spirito di misericordia, e
severamente rimproverati da Dio e da quelli che lo amano: infatti la
loro avidità di sapere e il desiderio smodato di conoscere, li
rendono ciechi. Non sto parlando di qualche persona soltanto, ma in
genere di quasi tutti gli uomini del nostro tempo, salvo uno o due in
ogni distretto, scelti in maniera speciale da Dio. Con la loro
mentalità inquisitiva, non possono pretendere di capire il senso
genuino di questo facile esercizio, attraverso il quale anche il più
ignorante degli uomini può unirsi a Dio in carità perfetta, per
mezzo di un’umiltà piena d’amore. Essi invece, immersi nella
cecità più completa, non ci capiscono un bel niente, come un
bambino fermo all’ABC non può afferrare la dotta esposizione di un
docente universitario. E sempre perché sono ciechi, considerano a
torto come dottrina squisitamente sottile, quest’insegnamento così
semplice; che se uno lo guardasse da vicino, si accorgerebbe che è
solo una facile lezione tenuta da un ignorante. Non è forse stupido
e beota chi non ha coscienza del proprio essere, chi non è capace,
cioè, di pensare e sentire non tanto quel che è, ma il fatto stesso
di essere? Infatti è manifestamente naturale per la mucca più
ignorante o per la bestia più irragionevole (se mai fosse possibile,
ma non lo è, far distinzioni tra gli animali in base al loro grado
di intelligenza) avere coscienza del proprio essere. Tanto più deve
essere naturale per l’uomo, che è dotato di ragione in maniera
eminente e al di sopra degli altri animali, avere la consapevolezza e
la coscienza del proprio essere.
Perciò
scendi nel punto più basso della tua intelligenza (alcuni lo
ritengono, per esperienza fatta, il punto più eccelso) e considera
nella maniera più semplice (secondo certi, la più saggia) non ciò
che sei, ma solo il fatto che tu sei. Pensare a quello che sei, con
tutte le caratteristiche proprie della tua natura, presuppone da
parte tua una dose non indifferente di acume e di cultura, e richiede
ricerche approfondite sulle tue facoltà.
Questo
lavoro l’hai già fatto parecchie volte con l’aiuto della grazia,
cosicché ora sai, anche se solo parzialmente e per quel tanto che a
mio parere ti può servire per il momento, quello che sei: un essere
umano, per natura, e un miserabile, ripugnante e puzzolente, per il
peccato. Come sai bene tutto questo! E forse troppe volte ti metti a
pensare a tutte le sozzure che accompagnano la tua miseria. Vergogna!
Lasciale stare, te ne prego. Non rivoltarle più, per non doverne
sentire il fetore. Al contrario, per pensare al fatto che tu sei, non
ci vuole grande scienza o spiccata intelligenza: basta la tua
ignoranza e la tua semplicità.
2.
[È necessario raggiungere il punto più eccelso dello spirito e
offrire il proprio essere a Dio, che ci guarisce dalle piaghe del
male].
Quindi
ti prego di non far altro in questo frangente, se non pensare al
semplice fatto che tu sei così come sei: non importa quanto tu sia
immondo o miserabile. Naturalmente, do per scontato che tu abbia già
fatto debita ammenda di tutti i tuoi peccati, in particolare e in
generale, secondo le giuste regole stabilite dalla santa chiesa.
Altrimenti, né tu né nessun altro potete pretendere di avere il mio
consenso nell’affrontare con tanta impudenza un simile lavoro. Ma
se tu senti in coscienza di aver fatto tutto il possibile, allora
puoi pure intraprendere questo lavoro. E anche se ti senti ancora
così vile e miserabile da considerare il tuo io come un peso, e da
non sapere nemmeno tu che cosa fare di te stesso, allora segui le mie
indicazioni..
Prendi
il buon Dio così com’è nella sua grande misericordia, e ponilo,
proprio come se fosse un balsamo, su quell’essere malato che è il
tuo io. O per dirla in altri termini, leva in alto il tuo io, malato
com’è, e con il desiderio cerca di toccare Dio così com’è,
buono e dispensatore di grazie. Chi arriva a toccarlo, ne riceve
salute eterna, come testimonia la donna del vangelo, quando dice: «Si
tetigero vel fimbriam vestimenti eius, salva ero; Se solo arriverò a
toccare il lembo del suo mantello, sarò guarita». A maggior ragione
tu sarai sanato dalla tua malattia a questo meraviglioso contatto
celeste con il suo stesso essere: bada bene, con il suo stesso io.
Allora, avvicinati a lui con decisione e usa quel medicamento. Eleva
il tuo essere, malato com’è, verso il buon Dio così com’è in
se stesso, senza fare particolari considerazioni o disquisizioni su
nessuna delle qualità proprie del tuo essere o di quello di Dio: che
si tratti di purezza o miseria, grazia o natura, divinità o umanità,
poco importa. Per il momento basta che tu offra con gioia e in
trepidazione d’amore, questo sguardo cieco sul tuo essere, nudo
com’è, perché sia strettamente unito in grazia e spirito
all’essere prezioso di Dio, cosa com’è in se stesso, né più né
meno.
È
vero, le tue facoltà sempre inquiete ed errabonde non troveranno
alimento in questa maniera d’agire; perciò si lamenteranno con te
e insisteranno perché tu tralasci questo lavoro e ti metta invece a
fare qualcosa che possa soddisfare la loro curiosità. A sentir loro,
tu non stai facendo niente di valido: d’altra parte non riescono a
capir niente del tuo lavoro. Eppure io lo amo ancor di più, perché
questo è un segno che esso è manifestamente superiore alla loro
attività. Infatti, perché non dovrei preferirlo, quando non c’è
nessun altro lavoro che possa fare io o che possano compiere i miei
sensi esterni e interni sotto lo stimolo della curiosità, che sia in
grado di condurmi così vicino a Dio e così lontano dal mondo, come
invece è capace di fare questa nuda coscienza di me stesso e la
semplice offerta del mio cieco essere?
Perciò,
anche se le tue facoltà non trovano alcun alimento nel tuo modo di
agire, e quindi cercano di distoglierti da quel che vai facendo, bada
di non abbandonare il tuo lavoro per causa loro; al contrario,
tienile sottomesse. E non tornare ad alimentarle, anche se dovessero
diventar furiose. Quando permetti alle tue facoltà
di divagare in sottili disquisizioni e approfondite ricerche sulle
qualità del tuo essere, è come se tu tornassi indietro a nutrirle.
Tali riflessioni, anche se sono del tutto buone e proficue, tuttavia,
in confronto all’offerta della cieca coscienza del tuo essere, non
servono ad altro che a dissiparti e a distrarti dall’unità
perfetta che dovrebbe regnare tra Dio e la tua anima.
Pertanto
resta aggrappato al punto più eccelso del tuo spirito, cioè alla
coscienza del tuo stesso essere; e non tornare indietro per niente al
mondo, per quanto possa sembrare buono e santo l’oggetto a cui
vorrebbero trascinarti le tue facoltà.
3.
[L’offerta del proprio essere, compiuta in purezza di spirito,
chiede il silenzio delle nostre facoltà discorsive].
Segui
il consiglio e l’insegnamento che Salomone diede a suo figlio:
«Honora Dominum de tua substantia, et de primitiis frugum tuarum da
pauperibus; et impiebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia
tua redundabunt; Onora il Signore con la tua sostanza e da’
nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti: allora i tuoi
granai saranno ricolmi, i tuoi tini traboccheranno di vino». Queste
parole Salomone le disse a suo figlio in senso letterale, ma è come
se avesse voluto farti comprendere in senso figurato quel che sto per
dirti a nome suo: amico spirituale in Dio, vedi se hai lasciato
perdere tutte le attività discorsive delle tue facoltà naturali, e
rendi a Dio, tuo Signore, un culto perfetto con la tua sostanza.
Offri a lui in tutta semplicità tutto te stesso, tutto quel che sei
e così come sei, come un tutt’uno e non in frammenti: in altri
termini, senza considerare in dettaglio quello che sei. A questo
modo, il tuo sguardo non resterà disperso e la tua coscienza non
perderà il suo candore, niente potrà impedirti di essere uno con il
tuo Dio in purezza di spirito.
«E
da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti», cioè
con il meglio delle qualità spirituali e corporali che sono
cresciute con te dal momento della tua creazione fino a oggi. Chiamo
frutti, tutti quei doni di natura e di grazia che Dio ti ha elargito.
Con essi sei tenuto a nutrire e a sfamare in questa vita, nel corpo e
nello spirito, tutti i tuoi fratelli e sorelle secondo natura e,
secondo la grazia, proprio come devi fare con te stesso.
È
il primo di questi doni che io chiamo «le primizie dei tuoi frutti».
In ciascuna creatura il primo dono è semplicemente quello
dell’essere. È vero che le qualità dell’essere sono così
intimamente legate all’essere stesso da non potersene separare;
tuttavia, siccome dipendono dall’essere, si può dire con certezza
che è questo il primo dei tuoi doni. Quindi le primizie dei tuoi
frutti sono costituite dal semplice fatto che tu sei. In effetti, se
frantumerai il tuo cuore in molteplici considerazioni sulle
complesse, qualità e sulle splendide caratteristiche dell’essere
umano, che è la più nobile di tutte le creature, troverai che il
punto focale a cui mira ogni tua considerazione, quale che essa sia,
è sempre il tuo essere, nudo e semplice.
Ogniqualvolta
ti metterai a meditare e ti sentirai spronato ad amare e lodare il
Signore tuo Dio, non solo per il dono dell’essere, ma anche per la
nobiltà del tuo essere, come attesteranno le eccelse qualità che
avrai riscontrato in te, sarà come se tu dicessi in cuor tuo: «Io
sono, so e sento che io sono; e non solo che io sono, ma che sono
così, così, così e così». In questo modo farai passare una dopo
l’altra tutte le qualità del tuo essere. E poi, se vuoi fare
ancora meglio, riuniscile tutte in un sol fascio e di’ così: «Il
mio essere e il mio modo di essere, secondo natura e secondo la
grazia, tutto ciò io l’ho ricevuto da te, Signore, ed è il tuo
stesso essere. Io lo offro tutto a te, innanzitutto per lodarti, e
poi per venire in aiuto di tutti i miei fratelli nella fede, e infine
per me stesso». Puoi così notare come il punto focale di ogni tua
considerazione deve consistere sostanzialmente nella visione nuda e
nella coscienza cieca del tuo stesso essere. Quindi è semplicemente
il tuo essere a costituire le primizie dei tuoi frutti.
Ma
anche se il tuo essere è il primo dei tuoi frutti e tutti gli altri
dipendono da lui, al momento attuale non conviene rivestire questa
considerazione e ammantarla di tutte le sue varie qualità e
caratteristiche (che nel nostro caso sono i frutti), sulle quali hai
già fatta
tutte
le tue elucubrazioni in precedenza.
Per
ora basta che onori Dio in maniera completa con tutta la tua sostanza
e offra a lui il tuo essere nudo, cioè le tue primizie, in un
continuo sacrificio di lode a Dio, per te e per tutti gli uomini,
come carità comanda. Non rivestirlo,
dunque, di nessuna qualità o particolarità propria del tuo essere o
dell’essere di qualcun altro, quasi che con queste considerazioni
tu volessi sopperire ai bisogni, promuovere il bene e accrescere la
perfezione del tuo stesso io o del tuo prossimo.
Lascia
stare: un simile atteggiamento non gioverebbe affatto in questo caso.
Invece è molto più consona alle tue necessità, più efficace per
il tuo avanzamento e la perfezione tua e degli altri, questa
meditazione cieca e generale, fatta nella purezza dello spirito, che
non qualsiasi altra considerazione particolare, per quanto possa
apparire santa.
La
verità delle mie parole è confermata dalla testimonianza delle
Scritture, dall’esempio di Cristo e dalla perspicacia della
ragione. Tutti, gli uomini furono perduti in Adamo, poiché egli si
staccò dall’amore che lo legava a Dio. E ora, tutti gli uomini che
testimoniano con i fatti, secondo la loro specifica vocazione, la
volontà di essere salvati, lo sono e lo saranno solo in virtù della
passione di Cristo. Egli offrì se stesso come sacrificio più vero,
tutto se stesso e non solo in parte; e per tutti gli uomini, non per
qualcuno in particolare, ma per tutti in generale, senza distinzione.
Analogamente, chi offre
se stesso in sacrificio reale e perfetto per il bene di tutti, fa
tutto il possibile per unire a Dio tutti gli uomini nella stessa
maniera reale con cui egli è unito a Dio. Nessuno ha amore più
grande di chi
si
sacrifica per tutti i fratelli e le sorelle secondo la carne o
secondo lo spirito. Poiché l’anima è più preziosa del corpo, è
meglio unire l’anima a Dio (che ne è la vita), con il pane celeste
della carità, piuttosto che unire il corpo all’anima (che ne è la
vita), nutrendolo con qualsiasi cibo materiale. Quest’ultima
attività è buona in se stessa, ma senza l’altra è quanto mai
incompleta. Se si uniscono entrambe, va già meglio; ma la prima da
sola, è l’ottimo. La seconda da sola non è in grado di meritare
la salvezza; mentre la prima, anche se viene a mancare completamente
quell’altra, non solo merita la salvezza, ma conduce alla
perfezione più alta.
4.
[Per praticare la preghiera contemplativa, non sono necessarie
riflessioni particolari sul proprio essere o sull’essere di Dio].
Se
vuoi avanzare nella perfezione, non c’è bisogno che torni indietro
a dare alimento alle tue facoltà, riflettendo sulle qualità del tuo
essere, così da nutrire e colmare il tuo cuore di dolci, amorosi
sentimenti nei riguardi di Dio e delle cose spirituali. Non è
neanche necessario che ti metta a saziare la tua intelligenza con la
saggezza spirituale di sante meditazioni, alla ricerca della
conoscenza di Dio. Se resterai saldamente aggrappato, per quel che te
lo consentirà la grazia, al punto più eccelso del tuo spirito senza
demordere un attimo, offrendo a Dio la coscienza nuda e cieca del tuo
essere (in altri termini, le primizie dei tuoi frutti), puoi star
certo che la seconda parte dell’insegnamento di Salomone si
realizzerà compiutamente, così come ha promesso. Ti accorgerai
allora dell’inutilità di tutte le affannose ricerche e analisi,
cui ti spingevano le tue facoltà intellettuali, sulle varie qualità
del tuo essere e anche su quelle dell’essere di Dio.
Tieni
bene in mente questa osservazione: in questo lavoro le qualità
dell’essere di Dio le devi considerare alla stessa stregua delle
tue. Non c’è nome, sentimento o considerazione che meglio si
accordi all’eterno, che è Dio, di quanto si possa avere, vedere o
sentire nella considerazione cieca e amorosa di questa parola: È.
Tutti
gli altri attributi: buono, oppure bello, dolce, misericordioso,
giusto, saggio, onnisciente, potente, onnipotente Signore; o ancora:
intelligenza, sapienza, potenza, forza, amore, carità; e qualsiasi
altro termine tu voglia usare nei riguardi di Dio; sono tutti
nascosti e condensati in questa piccolissima parola: È. Infatti,
avere tutte queste qualità, per Dio vuol dire semplicemente essere.
E se anche accumuli centomila espressioni di tenerezza come: buono,
bello, e altre simili, non ti allontani da questa parolina: È. Se le
pronunci tutte insieme, non aggiungi niente; e non togli niente, se
non ne dici neanche una.
Perciò
resta cieco nella contemplazione amorosa dell’essere di Dio,
proprio come nella nuda considerazione del tuo essere, senza
estenuare le tue facoltà in ricerche dettate dalla curiosità, sugli
attributi di Dio o sulle qualità del tuo essere. Ma, cacciata
lontano ogni speculazione, da’ onore a Dio con tutta la tua
sostanza, offrendo tutto quel che sei e così come sei, a lui che è
così come è. Perché lui da solo, come tale e senza nient’altro,
è la beata essenza di se stesso, e anche la tua. In questo modo
adorerai Dio (ed è davvero meraviglioso!) in comunione con lui
stesso, perché quello che tu sei, viene da lui ed è lui stesso.
Anche se tu hai avuto un inizio, quando la tua sostanza è stata
creata dal niente, in lui il tuo essere è sempre esistito fin
dall’eternità e non avrà mai fine, proprio come il suo stesso
essere. Per questo io grido e ripeto incessantemente: onora Dio con
la tua sostanza, distribuisci a tutti gli uomini le primizie dei tuoi
frutti.
«Allora
i tuoi granai saranno ricolmi». In altri termini i tuoi sentimenti
spirituali saranno ricolmi d’amore e di una vita virtuosa in Dio,
che è il tuo fondamento e la purezza stessa del tuo spirito. «E i
tuoi tini traboccheranno di vino». Come a dire che i tuoi sensi
interni, le facoltà spirituali, che hai l’abitudine di estenuare e
torchiare con svariate meditazioni, pedanti ricerche e sottili
ragionamenti sulla conoscenza di Dio e del tuo essere, sui suoi
attributi e sulle tue qualità, traboccheranno di vino; Nella bibbia
il vino sta a indicare, in senso mistico e vero, la saggezza
spirituale nel contemplare con verità e nel gustare in maniera
eccelsa la divinità.
Questi
doni li otterrai all’improvviso, per intervento della grazia e del
tuo semplice desiderio, senza nessuna occupazione o fatica da parte
tua. Ti arriveranno per mezzo del ministero degli angeli e
risulteranno dal cieco esercizio d’amore. Tutti gli angeli sanno
come servirli in maniera speciale, proprio come l’ancella con la
sua signora.
5.
[In quest’opera. la suprema Sapienza si unisce all’anima umana.
Gli effetti che ne derivano, colti in una lettura spirituale di
Proverbi].
Questo
lavoro così lieve e delizioso, consiste essenzialmente nel fatto che
la suprema saggezza della divinità scende, in virtù della grazia,
nell’anima umana per unirla a sé e fare una sola cosa con essa
nelle arti spirituali e nella prudenza dello spirito. Il saggio
Salomone lo raccomanda caldamente e ne fa l’elogio esclamando:
«Beatus homo qui invenit sapientiam et qui affluit prudentia; melior
est acquisitio eius negotiatione argenti et auri; primi et purissimi
fructus eius… Custodi, fili mi, legem atque consilium et erit vita
animae tuae et gratia faucibus tuis. Tunc ambulabis fiducialiter in
vita tua et pes tuus non impinget. Si dormieris, non timebis:
quiesces et suavis erit somnus tuus. Ne paveas repentino terrore et
irruentes tibi potentias impiorùm; quia Dominus erit in latere tuo
et custodiet pedem tuum ne capiaris».
Ecco
come si devono intendere queste parole. «Beato l’uomo che ha
trovato questa. sapienza» unificante e che nel suo lavoro spirituale
usa in abbondanza l’accortezza amorosa e la prudenza di spirito,
offrendo a Dio la cieca coscienza del proprio essere, e tralasciando
completamente ogni dotta disquisizione e ogni capacità speculativa
naturale. L’aver ottenuto la saggezza spirituale attraverso questo
semplice esercizio, «è meglio che non l’aver acquistato oro e
argento». Per oro e argento si intendono, in senso morale, tutte le
altre conoscenze naturali e spirituali che possiamo ottenere con i
nostri studi, oppure esercitando le nostre facoltà su noi stessi,
sulle realtà a noi inferiori, o su quelle al nostro livello,
analizzando, cioè, le qualità proprie di Dio e delle creature.
Salomone
spiega il motivo, per cui questa saggezza è superiore, quando dice:
«Primi et purissimi fructus eius», in altre parole: «I suoi frutti
sono i più precoci e i più puri». Non c’è da meravigliarsi,
perché il frutto di questo lavoro non è altro che la suprema
saggezza spirituale. Questa si sprigiona, libera e improvvisa, dalle
profondità dello spirito, lungi da ogni forma o immagine mentale,
senza che la si possa coartare o far rientrare nel campo
dell’intelligenza naturale. Qualsiasi attività dell’intelletto
umano, per quanto possa essere ingegnosa o santa, al suo confronto
non si può che definire follia, irreale fantasia e frutto di
immaginazione. Ed è tanto lontana dallo splendore del sole
spirituale, vale a dire dalla verità assoluta, quanto la pallida
luce di un chiaro di luna in una notte di nebbia in pieno inverno è
assai distante dal bagliore di un raggio di sole nel più
radioso meriggio d’estate.
E
il testo così prosegue: «Figlio mio, conserva questa legge e questo
consiglio»; nella saggezza si adempiono in maniera vera e perfetta
tutti i comandamenti e i consigli dell’Antico e del Nuovo
Testamento, senza volerne sottolineare qualcuno in particolare.
Altrimenti come si potrebbe dire che questo metodo di lavoro è una
legge, se non dovesse contenere dentro di sé tutte le ramificazioni
e i frutti della legge? Se lo si osserva con verità, ci si accorge
che il fondamento e la forza di questo lavoro risiedono nel dono
glorioso dell’amore, nel quale, secondo l’insegnamento
dell’apostolo, si trova riassunta tutta la legge: «Plenitudo legis
est dilectio; La pienezza della legge è l’amore».
Salomone
aggiunge che questa legge d’amore e questo consiglio di vita, se tu
li osserverai, anzitutto saranno «vita per la tua anima», che si
esprimerà in una tenerezza d’amore per il tuo Dio; e poi «grazia
per le tue guance», a profitto dei tuoi fratelli in Cristo, ai quali
darai i più veri insegnamenti e sarai d’esempio comportandoti con
la massima dignità nella tua forma di vita. Da questi due precetti,
uno che opera all’interno, l’altro all’esterno, dipende tutta
la legge e i profeti, come dice Cristo stesso: «In his enim duobus
mandatis tota lex pendet et prophetae: scilicet in dilectione Dei et
proximi». Perciò, quando sarai stato reso perfetto nel tuo lavoro,
sia interiormente che esteriormente, «te ne andrai sicuro», fondato
come sei sulla grazia, che è la
guida
del tuo cammino spirituale, offrendo con amore il tuo essere nudo e
cieco all’essere beato del tuo Dio: il tuo essere e il suo
diventano una cosa sola per la grazia, pur restando distinti per
natura.
«E
il piede» del tuo amore «non inciamperà». In altri termini,
quando proverai l’esperienza di questo lavoro spirituale in
continuità di spirito, non ti lascerai più fuorviare, né tornerai
sui tuoi passi con tanta facilità, come fai ora che sei all’inizio,
per via di tutte le sottili problematiche e disquisizioni prodotte
dalle tue facoltà. Oppure si può interpretare in altro modo: il
piede del tuo amore non incespicherà e non inciamperà in nessuna
delle immagini sollevate dalle tue irrequiete attività mentali.
In
questo lavoro, come ho già avuto modo di dire, bisogna abbandonare
completamente ogni ricerca speculativa delle nostre facoltà mentali,
tanto da non conservarne neppure il ricordo. In caso contrario,
potrebbero facilmente derivare in questa vita delle false
immaginazioni o pericolose illusioni che danneggerebbero la nuda
percezione del tuo cieco essere e ti distoglierebbero da un lavoro
così importante.
Se
ti viene alla mente il pensiero di qualche oggetto particolare —
tranne quello del tuo essere nudo e cieco, che è, in fondo, il
pensiero del tuo Dio, e il tuo unico scopo — eccoti distolto dal
tuo lavoro, ricacciato indietro a operare con le furbizie e le
sottigliezze delle tue facoltà; eccoti disperso e separato, te e la
tua mente, sia dal tuo stesso essere che da Dio. Perciò cerca di
rimanere raccolto e indiviso più che puoi, in virtù della grazia e
della tua abilità nel perseverare in questo lavoro spirituale. È
proprio nella considerazione cieca del tuo nudo essere, unito a Dio
come ti ho già detto, che tu farai tutto quello che dovrai fare:
mangiare e bere, dormire e vegliare, andare e restare, parlare e
rimanere in silenzio, dormire e alzarti, stare in piedi e
inginocchiarti, correre e cavalcare, lavorare e riposare.
Ogni
giorno dovrai offrire a Dio il tuo essere nudo, perché questa è
l’offerta più preziosa che tu gli possa presentare. E sarà la
parte principale delle tue occupazioni, attive o contemplative non
importa. Infatti, come dice Salomone in questo brano: «Se ti
addormenterai» in questa cieca considerazione, lungi da ogni rumore
o turbamento suscitato dal nemico spirituale, dal mondo ingannevole e
dalla fragilità della carne, «non temerai alcun pericolo», né
alcuna macchinazione del demonio. Perché mai? Perché in questo
lavoro il demonio resta totalmente confuso e viene reso cieco: si
trova in una penosa ignoranza e diventa pazzo dalla voglia di sapere
quello che stai facendo. Ma a te non importa, perché «tu riposerai
tranquillo» in questa unione amorosa di Dio con la tua anima.
«Sarà
dolce il tuo sonno» perché vi troverai cibo spirituale
e vigore interiore, sia per il tuo corpo che per il tuo spirito. Come
indica ancora. Salomone un po’ più avanti: «Universae carni
sanitas est; Questo lavoro dà salute a tutte le debolezze e le
malattie della carne». E ha ragione di dire così, perché la carne
cominciò a patire le malattie e la corruzione proprio quando l’anima
smise di fare questo lavoro. Quindi la carne ritornerà ancora in
piena salute, quando l’anima si rialzerà e riprenderà il medesimo
lavoro per grazia di Gesù, che ne è il principale artefice. Perché
si realizzi tutto questo, puoi solo confidare nella misericordia di
Gesù e nella tua adesione d’amore. Perciò, unendo la mia voce a
quella di Salomone in questo brano, ti prego di rimanere fedele a
questo lavoro e di innalzare a Dio il tuo consenso d’amore senza
fermarti, nella trepidazione della carità.
«Et
ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorum».
Non lasciarti sorprendere e non perdere la tua tranquillità se il
diavolo verrà (e di certo verrà!) a spaventarti all’improvviso,
battendo e picchiando con forza sui muri della casa in cui stai
riposando, e così pure se metterà in movimento i suoi alleati più
potenti perché ti attacchino di sorpresa, senza alcun preavviso.
Sta’ ben attento a quanto ti dico, tu che vuoi intraprendere
seriamente questo lavoro: ti accadrà di vedere o sentire, fiutare,
gustare o udire in maniera reale delle cose strane che il diavolo
provocherà esteriormente in uno o l’altro dei tuoi sensi, con il
solo scopo di trascinarti giù dall’elevatezza del tuo prezioso
lavoro. Perciò «abbi cura del tuo cuore» durante la prova e
confida con ardente fede nell’amore di nostro Signore.
«Quia
Dominus erit a latere tuo, et custodiet pedem tuum ne capiaris»:
«Perché il Signore sarà al tuo fianco» sempre pronto ad aiutarti,
«e custodirà il tuo piede», cioè il cammino ascendente del tuo
amore che ti porta a Dio, «perché non abbia a cadere nei lacci» e
nei tranelli dei tuoi nemici: il diavolo e i suoi fautori, il mondo e
la carne. Ma ora, guarda, amico mio: nostro Signore, bersaglio del
nostro amore, ci soccorrerà con potenza, saggezza e bontà; perché
egli prende le difese di tutti quanti, mossi da una fiducia amorosa
nei suoi confronti, rinunciano completamente a difendersi da soli.
6.
[Nel nobile e amoroso nulla dell’uomo si rivela l’alto e santo
tutto di Dio, secondo l’insegnamento biblico. Polemica contro i
detrattori della contemplazione].
Ma
dove trovare un’anima del genere, così liberamente fissata e
fondata nella fede, resa così totalmente umile nell’annientamento
di sé, guidata e nutrita con tanto ardore dall’amore per nostro
Signore? Un’anima che conosca e gusti la potenza infinita di Dio,
la sua insondabile saggezza e la sua gloriosa bontà? Essa sa che Dio
è uno in tutte le cose e tutte sussistono in lui; e vede che se non
cede a lui, per amor suo, tutto quel che ha ricevuto da lui, in lui e
per lui, non potrà mai raggiungere la vera umiltà nel totale
annientamento di sé.
È
solo attraverso il nobile annientamento di sé in vera umiltà e
l’esaltazione di Dio come il tutto in carità perfetta, che l’anima
ottiene di possedere Dio: completamente immersa nell’amore per lui,
in uno stato di pieno e definitivo abbandono di sé, l’anima si
considera un niente, o ancor meno, se mai fosse possibile. Allora Dio
nella sua potenza, saggezza e bontà verrà a soccorrerla, la
proteggerà e la difenderà da tutti i suoi nemici, del corpo e dello
spirito, senza che essa si debba premunire o preoccuparsi di
avvisarlo o fare qualsiasi altro sforzo da parte sua.
Lasciate
da parte le vostre obiezioni umane, voi tutti che siete umili solo a
metà. Non venite a dire con i vostri ragionamenti insipienti che
quando si abbandona così completamente, per umiltà,, la guardia di
se stessi, sempre se si è mossi dalla grazia, è perché si vuol
tentare Dio: in realtà avete paura di non riuscire ad attuare un
abbandono così totale, e fate bene a pensarlo. Ritenetevi
soddisfatti della parte che vi spetta: basta da sola a ottenere la
salvezza delle vostre anime chiamate alla vita attiva. Ma lasciate i
contemplativi soli nella loro audacia! Non turbatevi e non
meravigliatevi delle loro parole o delle loro azioni, anche se alla
vostra ragione sembrano passare il limite del comune buon senso.
Vergogna!
Quante volte avete letto e sentito questa dottrina, eppure non vi
avete mai prestato fede né dato credito. È un punto che tutti i
Padri antichi hanno trattato e ci hanno insegnato, un punto che
contiene il fiore è il frutto di tutte le Scritture. Oppure siete
ciechi e non riuscite a vedere con gli occhi della fede quel che
leggete o sentite; o ancora, siete inconsciamente stuzzicati da una
certa qual invidia, se non volete ammettere che ai vostri fratelli
possa capitare un bene così grande, per il solo fatto che voi ne
siete privi. Vi conviene stare allerta, perché il nemico è scaltro:
ha in animo di far sì che voi prestiate fede più alle vostre
facoltà intellettuali che all’insegnamento tradizionale dei santi
Padri, o al lavoro della grazia e alla volontà di Dio.
Quante
volte avete letto, e quante volte avete sentito da persone sante,
sagge e degne di fede, che non appena nacque Beniamino, sua madre
Rachele morì. Per Beniamino si intende la contemplazione, per
Rachele, la ragione. Non appena l’anima riceve il tocco della vera
contemplazione, come succede nel nobile annientamento di sé e
nell’esaltazione di Dio come il tutto, avviene davvero che la
ragione dell’uomo muore. E siccome l’avete letto così spesso, e
non da un solo autore o due, ma da parecchi, e tutti santi e degni di
stima, perché non ci credete? E se ci credete, perché osate
indagare con la vostra ragione frugando tra le parole e gli atti di
Beniamino?
Beniamino
rappresenta tutti coloro che, nell’estasi d’amore, sono rapiti al
di sopra del loro spirito, secondo la parola del profeta: «Ibi
Beniamin adolescentulus in mentis excessu… Lì il fanciullo
Beniamino nel trasporto dello spirito…». Cercate dunque di non
essere come quelle donne malvagie che uccidono i loro neonati. Perciò
fate bene attenzione, e non levate la punta della vostra lancia
presuntuosa contro la potenza, l’intelligenza e la volontà di
nostro Signore, fidando nella vostra abilità: ciechi e inesperti
come siete, potreste far ricadere Beniamino, proprio mentre pensate
sia giusto il momento di sostenerlo nel suo trasporto.
Quando
la santa chiesa era ancora agli inizi, nel periodo delle
persecuzioni, quanti fedeli, e di tutte le condizioni sociali, furono
meravigliosamente raggiunti dal tocco improvviso della grazia così
che, immediatamente e senz’altra previa preparazione, gli artigiani
abbandonando i loro strumenti, gli scolari le loro tavolette, tutti
correvano, senza pensarci su due volte, al martirio con i santi.
Se è successo così allora, perché non credere che Dio ancor oggi,
in tempo di pace, possa e voglia toccare, con uguale subitaneità,
diverse anime con la grazia della contemplazione, e che lo faccia
realmente?
Sono
convinto che agirà proprio così con i suoi eletti, in modo del
tutto gratuito; perché alla fine vuol manifestarsi per quel che è,
e riempire di stupore il mondo intero. L’anima che si annulla per
amore e che esalta il suo Dio come il tutto, sarà protetta, per la
grazia, da tutti i nemici spirituali e materiali che cercheranno di
abbatterla: e questo avverrà senza il minimo sforzo o fatica da
parte sua, ma solo in virtù della bontà di Dio. È nell’ordine
stesso della ragione divina che egli si prenda cura di tutti quanti,
conquistati dall’amore per lui, dimenticano di salvaguardare la
loro persona. Quindi non
c’è da meravigliarsi se essi restano miracolosamente protetti:
sono diventati totalmente umili nell’audacia e nel vigore del loro
amore.
Chi
non osa agire così, ma critica questo comportamento, ha un demonio
dentro al petto che gli porta via la confidenza amorosa che dovrebbe
avere verso Dio, e la benevolenza nei riguardi dei suoi fratelli;
oppure non è ancora perfettamente umile come dovrebbe essere,
ammettendo che egli voglia puntare alla vera vita contemplativa.
Perciò
non restare confuso, se devi umiliarti a tal punto davanti al tuo
Signore e dormire nella cieca considerazione di Dio così com’è,
malgrado tutto il baccano di questo mondo cattivo, gli inganni del
diavolo e la fragilità della carne. «Nostro Signore sarà lì
pronto ad aiutarti e preserverà il tuo piede perché tu non cada nei
lacci».
È
giusto paragonare questo lavoro a un sonno. Quando si dorme, i sensi
sospendono la loro attività, cosa che il corpo possa riposare in
pace e ricuperare appieno le sue forze naturali. Allo stesso modo,
nel sonno spirituale di cui stiamo parlando, le continue, assurde
ricerche alimentate dalle
nostre facoltà intellettuali sregolate, e le fantasticherie della
nostra immaginazione, vengano imbrigliate e completamente annientate.
Così l’anima beata può dormire un sonno tranquillo e riposare
nell’amorosa contemplazione di Dio così com’è, ridando forza e
vigore alla sua natura spirituale.
Perciò
metti a freno le tue facoltà quando offri a Dio la percezione nuda e
cieca del tuo essere. Bada bene, come ho già detto più volte, che
questa percezione sia nuda, non rivestita di nessuna qualità del tuo
essere. Altrimenti, se la ammanti di considerazioni sulla dignità
del tuo essere o su qualsiasi condizione propria dell’uomo o di
un’altra creatura, dai subito alimento alle tue facoltà, fornisci
loro l’occasione e la forza di dissiparti in cose di ogni genere,
così che alla fine ti ritrovi distratto dal tuo lavoro senza
accorgertene. Stai bene attento a questo inganno, te ne prego.
7.
[La contemplazione è perfezione nell’amore. A questo si ispirano
tutti gli scritti dell’autore].
Ma
forse, stimolato dalle tue facoltà curiose, che non capiscono niente
di quel che vai facendo, ti metti a vagliare attentamente il tuo
lavoro: ti meravigli del modo in cui procede e lo consideri con
sospetto. Non ti devi stupire di tutto questo; finora sei stato fin
troppo abile nell’usare le tue facoltà, per sperare di capire
qualcosa di un simile lavoro.
E
forse vai chiedendoti interiormente se sia un lavoro che piace a Dio
oppure no; e in caso affermativo, come possa piacergli così tanto,
secondo quanto io vado sostenendo. Ti rispondo subito: la tua è una
domanda posta da un’intelligenza inquieta, che non vuole in alcun
modo lasciarti andare avanti con il tuo lavoro, se prima non è stata
soddisfatta la sua curiosità con qualche valida argomentazione.
Perciò non voglio esserti di ostacolo; tuttavia, rendendomi in un
certo senso simile a te, darò soddisfazione alla tua ragione
orgogliosa, in modo che poi tu sia come me e segua i miei consigli,
senza porre limiti alla tua umiltà. Infatti, come afferma s.
Bernardo, l’umiltà perfetta non conosce limiti. Tu poni dei limiti
alla tua umiltà quando ti rifiuti di seguire i consigli del tuo
direttore spirituale perché non collimano con le tue vedute.
Ecco,
avrai capito che io ho la pretesa di essere il tuo direttore
spirituale! Faccio sul serio, e intendo esserlo appieno. È l’amore
che mi spinge a tanto, ne sono convinto; e non una certa attitudine
che io posso riscontrare in me per via dell’elevatezza della mia
dottrina, o del mio lavoro, o del mio genere di
vita.
Dio corregga quel che va corretto, perché egli conosce con pienezza,
mentre io solo in parte.
Ma
ora voglio soddisfare la tua ragione orgogliosa, facendo
l’elogio di questo lavoro. In verità, se l’anima che vi si
dedica avesse lingua per esprimere quel che prova, tutti i grandi
dottori della cristianità resterebbero stupiti dalla saggezza
racchiusa in un simile lavoro. Sì, in confronto a essa, tutta la
loro dottrina apparirebbe come pura follia. Pertanto non
meravigliarti se non riesco a esprimere la sublimità di questo
lavoro con la mia lingua rozza e carnale. Dio non voglia che esso
venga profanato e deformato dai patetici sforzi di una lingua
grossolana come la mia. No, non può accadere, e di certo non
avverrà; Dio mi impedisca anche solo di desiderarlo.
Tutto
ciò che si dice, è pur sempre un parlare di
questo
lavoro, e non ancora questo
lavoro.
Tuttavia, se anche non possiamo esprimerlo a parole, accontentiamoci
di parlarne a confusione delle intelligenze orgogliose, in
particolare della tua: è questo l’unico motivo, o almeno
l’occasione, per continuare il mio discorso in questo momento.
Innanzitutto voglio domandarti in che cosa consista la perfezione
dell’anima umana e quali siano le proprietà tipiche della
perfezione. Rispondo io al tuo posto: tale perfezione non è altro
che l’unità realizzata tra Dio e l’anima in carità perfetta.
Questa perfezione è così elevata e pura in se stessa, così al di
sopra dell’umana comprensione, che non la si può conoscere o
percepire in se stessa. Ma dove si possono realmente vedere e
percepire le proprietà tipiche di questa perfezione, lì molto
probabilmente si trova in pienezza la sua stessa essenza. Bisogna
quindi conoscere per
prima
cosa le proprietà di questa perfezione, per poter affermare che
questo esercizio spirituale supera per eccellenza tutti gli altri.
Le
proprietà tipiche della perfezione, quelle che deve avere ogni anima
perfetta, sono le virtù. Ora, se consideri con attenzione quel che
succede nella tua anima e contemporaneamente esamini le proprietà e
le caratteristiche di ciascuna virtù in particolare, troverai che in
questo lavoro sono comprese in maniera chiara e perfetta tutte le
virtù: non c’è bisogno di forzare il loro significato o di
alterare il loro scopo. Non intendo parlare qui di nessuna virtù in
particolare, non ne val la pena; se vuoi, puoi vedere la trattazione
che ne ho fatto in diversi punti dei miei scritti.
Infatti
questo lavoro, concepito nel giusto senso, non è altro che
l’adorazione amorosa e il frutto colto dall’albero di cui ho
parlato nella breve lettera
sulla preghiera;
è questa la
nube della non-conoscenza; questo,
il segreto amore offerto in purezza di spirito; è
l’Arca
dell’Alleanza; è la teologia di Dionigi, la sua saggezza, il suo tesoro nascosto, la sua oscurità luminosa e la sua scienza ignorante. È questo lavoro che ti pone nel silenzio, sia di pensieri che di parole; è questo lavoro che rende breve la nostra preghiera; è in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare il mondo e a disprezzarlo.
dell’Alleanza; è la teologia di Dionigi, la sua saggezza, il suo tesoro nascosto, la sua oscurità luminosa e la sua scienza ignorante. È questo lavoro che ti pone nel silenzio, sia di pensieri che di parole; è questo lavoro che rende breve la nostra preghiera; è in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare il mondo e a disprezzarlo.
Ma
c’è di più! È in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare
e disprezzare il tuo stesso io, secondo l’insegnamento di Cristo
nel vangelo: «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et
tollat crucem suam et sequatur me; Se qualcuno vuol venire dietro a
me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Ed
è come se dicesse alla tua intelligenza, riguardo all’argomento
che stiamo trattando: «Chiunque vuol venire», umilmente, non con
me, ma «dietro di me», alla beatitudine del cielo o al monte della
perfezione… Cristo, infatti, ci ha preceduti per natura; noi,
invece, veniamo dopo di lui per la grazia. La sua natura vale più
della grazia, e la grazia vale più della nostra natura. E con questo
egli vuol farci comprendere appieno che per noi è assolutamente
impossibile seguirlo sul monte della perfezione, giusto il caso del
nostro lavoro, se non siamo mossi e guidati dalla grazia.
Tutto
ciò è quanto mai vero. Cerca di convincerti di questo, tu e tutti
quelli che, nelle tue stesse condizioni, dovessero leggere o sentire
questo mio scritto: anche se ti esorto a intraprendere il lavoro in
tutta semplicità e ardimento, tuttavia mi rendo conto, e non ho
paura di sbagliare, che è Dio Onnipotente, con la sua grazia, a
metterti in movimento. È sempre lui l’artefice principale, che si
serva di altri strumenti o meno. E tu, al pari di quanti si trovano
nelle tue stesse condizioni, non puoi far altro che acconsentire e
subire la sua azione. Naturalmente, il tuo consenso e la tua
accettazione passiva durante questo lavoro, presuppongono una
disposizione interiore e un’attitudine che devono essere realizzati
da te in purezza di spirito e costituire la tua degna offerta al re
del cielo. È quanto imparerai tu stesso per esperienza, attraverso
la luce interiore del tuo spirito.
Siccome
Dio nella sua bontà smuove e tocca ciascuna anima in modo diverso, a
volte per mezzo di intermediari, altre volte senza, chi oserebbe
affermare che Dio non può servirsi di questo mio scritto per
smuovere te, e con te tutti quanti dovessero leggerlo o sentirlo,
contentandosi di prendere me, nonostante la mia indegnità, come suo
intermediario? In ogni caso, sia fatta la sua santa volontà, ciò
che a lui piace e come a lui piace. Per conto mio, penso che possa
benissimo accadere quanto ho prospettato prima; sarà il lavoro
stesso, una volta messo in pratica, ad attestarne la veridicità.
Perciò,
ti prego, preparati a ricevere questa grazia del tuo Signore, e
ascolta le sue parole: «Se qualcuno vuol venire dietro di me», nel
senso già detto, «rinneghi se stesso…». E come può un uomo,
dico io, rinnegare se stesso e il mondo, e disprezzarli entrambi, in
misura maggiore di quanto possa essere il rifiuto di considerare le
qualità proprie dell’uno e dell’altro?
8.
[Attraverso la dimenticanza del proprio essere si percepisce l’essere
di Dio. Questa totale spogliazione è causa di grande sofferenza].
Sta’
pur certo di questo: anche se ti ho detto di dimenticare tutto,
tranne la cieca coscienza del tuo nudo essere, tuttavia io vorrei —
era questa la mia intenzione fin dall’inizio — che tu
dimenticassi anche la coscienza del tuo stesso essere, per restare
con la sola coscienza dell’essere di Dio. È per questa ragione che
ti ho dimostrato all’inizio come Dio sia l’essere del tuo essere.
Ma dal momento che le tue impressioni spirituali si rivelavano ancora
rudimentali, mi sembrava che tu non fossi in grado di elevarti tutt’a
un tratto alla percezione spirituale dell’essere di Dio. Allora,
perché tu potessi arrivarci passo passo, ti avevo raccomandato di
rosicchiare la nuda coscienza del tuo essere fino al momento in cui,
dopo lunga perseveranza in questo segreto lavoro spirituale, saresti
stato capace di sentire Dio in maniera più elevata.
E
infatti durante la contemplazione il tuo unico scopo e desiderio deve
essere quello di percepire Dio. Se quindi all’inizio ti ho esortato
ad avvolgere e rivestire la percezione di Dio in quella del tuo
essere, è per via della tua inesperienza e del tuo spirito ancora
rude. Ma poi, reso più saggio da un assiduo esercizio compiuto nella
purezza del tuo spirito, ti dovrai denudare, spogliare e svestirti
completamente di ogni coscienza di te stesso, per essere rivestito,
in virtù della grazia, della coscienza di Dio in quanto tale. Questa
è la vera condizione per chi vuol amare in modo perfetto: deve
spogliarsi totalmente del proprio io per
amore
della cosa che gli sta a cuore; e non deve permettere né sopportare
di essere rivestito d’altro che della sola cosa che è oggetto del
suo amore; inoltre, deve restarvi avvolto non per un po’ di tempo
soltanto, ma per sempre, fino a dimenticare il suo io in maniera
completa e definitiva.
In
questo modo opera l’amore, e nessuno può saperlo all’infuori di
chi ne fa esperienza. È quanto ci insegna nostro Signore quando
dice: «Chi vuol amarmi, rinneghi se stesso», come a dire: Si spogli
di se stesso, chi vuol essere davvero rivestito di me, che sono
l’ampia veste dell’amore, dell’amore eterno e senza fine.
Perciò, tutte le volte che, osservando il tuo lavoro, ti accorgerai
di avere ancora la percezione di te stesso, e non del tuo Dio, dovrai
dolertene sinceramente e bramare dal pro fondo del cuore di avere la
percezione di Dio. E cercherai, senza mai stancarti, di sbarazzarti
sempre di più della percezione dolorosa e della deplorevole
coscienza del tuo nudo essere, e coverai dentro di te l’ardente
desiderio di fuggire dal tuo io, quasi fosse un serpente velenoso.
Allora sì che rinnegherai te stesso e disprezzerai il tuo io con
piena determinazione, proprio come ti ha comandato il tuo Signore.
Avrai
dunque dentro di te quest’unico, struggente desiderio: non di non
essere — sarebbe pazzia e disprezzo nei confronti di Dio —, ma di
perdere completamente la consapevolezza e la coscienza del tuo io, il
che è assolutamente necessario se si vuole gustare perfettamente
l’amore di Dio qui su questa terra. A questo punto ti accorgerai di
non riuscire in alcun modo a realizzare il tuo proposito, perché,
nonostante la tua concentrazione, sarai sempre accompagnato e seguito
nel tuo lavoro dalla nuda coscienza del tuo cieco essere, salvo rari,
brevissimi momenti in cui Dio ti concederà di gustarlo in abbondanza
d’amore. E come all’inizio le qualità del tuo essere si
frapponevano fra te e il tuo io, così ora la nuda coscienza del tuo
cieco essere peserà su di te e si insinuerà tra te e il tuo Dio.
Allora ti sembrerà di avere un fardello troppo pesante e penoso da
portare; in verità, sarà proprio così. E che Gesù ti aiuti in
quel momento, perché ne avrai veramente bisogno.
Tutte
le sofferenze che ci possono essere, non sono niente al suo
confronto: tu ora sarai una croce per te stesso. Ma è esattamente
questo il lavoro e la strada per arrivare a nostro Signore, secondo
le sue stesse parole:
per prima cosa «prenda la sua croce», nella macerazione del suo io,
e poi «mi segua», nella beatitudine o sul monte della perfezione,
gustando la dolcezza del mio amore e facendo la divina esperienza del
mio io.
Di
qui puoi vedere come sia bene per te struggerti dal dolore nel
desiderio di perdere la coscienza del tuo essere, e dover portare
penosamente il fardello del tuo io come una croce, prima di essere
unito a Dio nella percezione spirituale del suo essere: si tratta
della carità perfetta.
E
puoi anche renderti conto, almeno in parte e nella misura in cui la
grazia ti ha toccato e segnato spiritualmente, della dignità
sovreminente di questo lavoro nei confronti di tutti gli altri.
9.
[Si
giunge alla contemplazione per mezzo della porta della devozione, che
consiste nel meditare soprattutto sulla passione di Cristo].
Ma,
dimmi, come potresti arrivare alla contemplazione mediante l’uso
delle tue facoltà intellettuali? Non ci arriveresti mai, né con
delle belle considerazioni, né con ragionamenti sottili e
complicati, né con l’attività dell’immaginazione, né
riflettendo sulla tua misera vita, e nemmeno meditando sulla passione
di Cristo o sulle gioie del cielo, sulla Madonna, o gli angeli e i
santi, o sulle qualità e gli attributi più strani, o in generale
sulle caratteristiche proprie del tuo essere o di quello di Dio. Di
certo farei meglio ad avere quella nuda, cieca coscienza di me stesso
di
cui ho parlato prima.
Nota quanto dico: la coscienza non delle mie azioni, ma di me stesso.
Molti confondono le proprie azioni con se stessi, ma a torto: un
conto sono io che agisco, un conto sono le mie azioni; la stessa cosa
vale per Dio: un conto è egli in se stesso, un conto sono le sue
opere Preferirei dunque avere il cuore a pezzi dalle lacrime per il
fatto di non riuscire a percepire Dio, e di dovei invece portare il
penoso fardello del mio essere; e certo mi gioverebbe di più
infiammare d’amore il mio desiderio e bramare ardentemente di
percepire Dio così com’è, piuttosto che dedicarmi a tutte le
sottili disquisizioni, le immaginazioni più straordinarie o le
meditazioni più disparate, per quanto possano apparire sante o
attraenti agli occhi delle tue facoltà curiose.
Ciò
nonostante, queste belle meditazioni sono inizialmente il mezzo
migliore che un peccatore abbia per arrivare alla percezione
spirituale di se stesso e di Dio. Ancora, mi vien da pensare che è
impossibile, anche se a Dio tutto è possibile, che un peccatore
possa raggiungere uno stato di chiara percezione spirituale di sé e
di Dio, senza aver prima considerato, attraverso l’immaginazione e
la meditazione, le opere materiali compiute da lui stesso o da Dio, e
senza aver pianto o gioito a seconda che caso lo richiedesse. Chi non
passa per questa strada, non può sperare di entrare; perciò dovrà
starsene fuori, e proprio nel momento in cui penserà di essere
entrato. Molti credono di aver varcato la porta spirituale, mentre
rimangono all’esterno, e vi resteranno finché non cercheranno la
porta con umiltà. Alcuni la trovano facilmente e entrano prima di
altri: tutto dipende dal portiere, senza alcun merito o pedaggio da
parte loro.
Che
dimora straordinaria, la spiritualità! Il
Signore
non ne è solo il portiere, ma anche la porta: è il portiere per via
della sua divinità e la porta per via della sua umanità. Egli
stesso dice nel vangelo: «Ego sum ostium; si quis per me intraverit,
salvabitur: et sive egredietur, sive ingredietur, pascua inveniet.
Qui vero non intrat per ostium, sed ascendit aliunde, ille fur est et
latro». Ed è come se dicesse, in riferimento al nostro argomento:
Io, che sono onnipotente per la mia divinità e che, in qualità di
portiere, sono libero di aprire a chi voglio, e da qualunque via
provenga, tuttavia ho voluto che ci fosse una via ordinaria e
semplice, una porta aperta a tutti quanti volessero entrare, in modo
che nessuno potesse scusarsi di non conoscere la strada. Ecco perché
mi sono rivestito della natura comune a tutti gli uomini: mi sono
adeguato a tal punto da diventare la porta con la mia umanità, e
chiunque entra per mezzo mio, sarà salvo.
Entra
per la porta chi medita sulla passione del
Signore,
chi si duole di esserne la causa con la sua malvagità e rimprovera
amaramente se stesso per aver meritato tali sofferenze, senza averle
però subite; costui deve allora provare pietà e compassione per il
Signore che, malgrado la sua dignità, si abbassò a tanto soffrire
senza averlo meritato; e poi deve elevare il cuore verso l’amore e
la bontà della divinità che non disdegnò di umiliarsi fino al
punto di assumere la nostra umanità debitrice della morte. Chi
agisce così, entra per la porta, e sarà salvo. Che poi penetri più
all’interno, contemplando l’amore e la bontà della divinità di
Cristo, o che si fermi a considerare le sofferenze della sua umanità,
troverà sempre alimento spirituale per la sua devozione, a
sufficienza e in abbondanza, per la salute e la salvezza dell’anima,
anche se in questa vita non andrà mai più in là.
Chi
invece non entra per la porta, ma cerca di arrampicarsi fino alla
contemplazione in qualche altro modo, per mezzo di sottili indagini,
capricci della fantasia e sforzi di ogni tipo delle proprie facoltà
sregolate; chi dunque fa a meno dell’entrata accessibile a tutti,
cui si è accennato prima, e non segue le giuste direttive dei padri
spirituali, costui, chiunque sia, è non solo un ladro della notte,
ma anche un brigante del giorno. È un ladro della notte, perché
cammina nell’oscurità del peccato, fidando più nella sua
presunzione e nel suo personale intelletto che non nei buoni consigli
di un direttore spirituale e nella facile via comune di cui si è
detta. Ma è anche un brigante del giorno, perché con il pretesto di
voler condurre una vita puramente spirituale, si appropria dei segni
esteriori e del vocabolario della contemplazione, senza coglierne il
frutto. E cosa a volte gli capita di sentire interiormente un
piacevole desiderio, anche se piccolo, di avvicinarsi a Dio. Accecato
da questa impressione, pensa che tutto quanto va facendo sia
senz’altro buono. Invece è l’impresa più pericolosa che un
giovane possa tentare, quella di seguire l’ardore del suo desiderio
senza lasciarsi guidare da un direttore spirituale. E questo vale
soprattutto se vuol mettersi a scalare delle vette che non solo
trascendono la sua esperienza, ma sono anche al di fuori della strada
semplice e comune a tutti i cristiani; quella strada che, secondo
l’insegnamento di Cristo, è la porta della devozione e il mezzo
più sicuro in questa vita per arrivare alla contemplazione.
10.
[Chiamata alla salvezza e chiamata alla perfezione dell’amore
contemplativo. La triplice testimonianza del padre spirituale, della
coscienza e dello Spirito santo].
Ma
ora torniamo a un argomento che è di particolare interesse per te, e
per quanti si trovano nelle tue stesse disposizioni.
Mi
dirai: se tale è la porta, quando un uomo l’ha trovata deve
restare per sempre sulla soglia, o comunque varcarla appena appena,
senza mai spingersi più in là? Rispondo io al tuo posto e dico che
fa bene a rimanere così, finché non sia stata grattata via, almeno
in gran parte, la spessa ruggine della sua rozza materialità,
testimoni il suo direttore spirituale e la sua coscienza. Ma
soprattutto deve attendere di essere chiamato più all’interno
dalla segreta ispirazione dello Spirito di Dio. Tale ispirazione è
l’attestazione più rapida e più sicura che uno possa avere in
questa vita, per sapere se è chiamato e attirato più all’interno
a compiere un lavoro di grazia più particolare.
Un
uomo può costatare il tocco speciale della grazia a questo modo:
egli sente dentro di sé, durante i suoi continui esercizi, come un
soave desiderio sempre crescente di avvicinarsi di più a Dio, per
quel tanto che è possibile quaggiù per mezzo di un sentimento
spirituale del tutto speciale; e prova lo stesso fervore quando sente
altri parlare di questo desiderio o ne trova scritto sui libri. Chi
invece, nel sentire o nel leggere qualcosa attinente, il lavoro
spirituale, e soprattutto negli esercizi giornalieri, non si sente
mosso da un crescente desiderio di avvicinarsi di più a Dio, rimanga
fermo sulla porta: ha la vocazione alla salvezza, ma non alla
perfezione.
Ti
voglio poi raccomandare una cosa, chiunque tu sia a leggere o ad
ascoltare questo mio scritto, e in particolare questo punto in cui
faccio una distinzione tra quanti sono chiamati alla salvezza e
quanti sono chiamati alla perfezione. Quale che sia la tua vocazione,
non ti permettere di giudicare o di discutere gli atti di Dio o
quelli di un uomo; limitati a esaminare i tuoi. Non ti deve
interessare, per esempio, di sapere chi Dio muova e chiami alla
perfezione, e chi no; oppure, a proposito del: tempo, perché egli
chiami uno più in fretta di un altro. Se non vuoi cadere in errore,
non giudicare; ma ascolta e cerca di capire. Se sei stato chiamato,
dà lode a Dio e prega di non cadere. Se invece non sei stato ancora
chiamato, prega umilmente Dio di chiamarti, quando lui lo vorrà. Ma
non pretendere di insegnargli il suo mestiere. Lascia fare a lui.
Egli è abbastanza potente, saggio e benevolo per fare ciò che è
meglio per te e per tutti quelli che lo amano. Qualunque sia la tua
parte, ritieniti soddisfatto. Non c’è motivo che tu ti lamenti: le
due parti sono entrambe preziose. La prima è buona e assolutamente
indispensabile; la seconda è migliore: chi può ottenerla, la
ottenga; o, più esattamente, la ottenga chi vi è portato dalla
grazia e chiamato a tanto da nostro Signore. Noi da soli possiamo
anche insistere orgogliosamente, ma alla fine inevitabilmente
cadiamo; infatti, senza nostro Signore, tutto quello che facciamo è
un niente. L’ha detto lui stesso: «Sine me nihil potestis facere».
Se non sono io il motore primo e l’artefice principale, e voi solo
soggetti passivi e consenzienti, non potete far niente che mi possa
piacere perfettamente e in questo modo dovrebbe svolgersi il lavoro
di cui parliamo.
Tutto
questo lo dico per confondere la sbagliata presunzione di quanti,
spinti dall’esuberanza del loro sapere o della loro intelligenza
naturale, vogliono essere sempre loro gli artefici principali dei
loro atti, lasciando a Dio di acconsentire e di restare passivo,
mentre è vero proprio il contrario quando si tratta della
contemplazione. In questa materia, tutte le argomentazioni sottili
della propria scienza o perspicacia naturale vanno messe da parte, in
modo che sia Dio l’agente principale.
Al
contrario, nelle questioni attinenti la vita attiva, il sapere
dell’uomo e la sua intelligenza naturale devono collaborare con
Dio, al quale spetta soltanto di dare il suo consenso spiritualmente,
attraverso la testimonianza delle scritture, le indicazioni del
direttore spirituale e i costumi che possono variare a seconda della
natura, del grado, dell’età e del temperamento di ciascuno.
Pertanto, nelle cose della vita attiva nessun uomo deve seguire un
impulso spirituale, per quanto possa sembrare piacevole e santo, se
questo non ricade nel campo della sua scienza o delle sue capacità
naturali, anche nel caso in cui tutti e tre, o uno solo dei testimoni
citati prima, dovessero caldeggiarlo con tutte le loro forze. È
certamente saggio che un uomo debba essere superiore ai suoi compiti.
È per questo motivo che gli statuti e i regolamenti della santa
chiesa prevedono che nessuno possa essere ammesso all’episcopato,
che è il grado più elevato della vita attiva, senza un serio esame
che attesti che l’alto compito cui il candidato è chiamato non è
superiore alle sue forze.
Quindi
nella vita attiva il sapere dell’uomo e le sue facoltà naturali
devono esercitarsi in pienezza, con il consenso e la grazia di Dio, a
cui va aggiunta l’approvazione dei tre testimoni. Ed è bene che
sia così, perché tutte le cose della vita attiva sono dominate e
regolate dalla prudenza umana. Ma nelle cose contemplative, la più
alta saggezza che l’uomo possa avere in quanto uomo, viene
ricacciata in basso, perché Dio deve essere l’artefice principale;
l’uomo deve solo acconsentire e rimanere passivo.
Quindi
io interpreto queste parole del vangelo: «Sine me nihil potestis
facere, senza di me non potete fare niente», in una maniera per gli
attivi e in un’altra per i contemplativi. Quanto agli attivi, Dio
consente o lascia fare, o tutt’e due le cose insiemi, a seconda che
sia un atto lecito o meno, a lui gradito o no. Quanto ai
contemplativi, è lui l’artefice principale, e a loro non chiede
altro che di lasciarlo fare e acconsentire. In senso generale,
quindi, è senz’altro vero che in tutte le nostre azioni, lecite o
meno, attive o contemplative, senza di lui non riusciamo a combinare
un bel niente. Egli è con noi anche quando pecchiamo, perché ci
lascia fare, pur negandoci il suo consenso: e tutto ciò sarà a
nostra dannazione finale, se non ci correggiamo in tempo con umiltà.
Quando le nostre azioni riguardano la vita attiva e sono lecite, egli
è con noi lasciandoci fare e dandoci il suo consenso: a nostro
maggior biasimo se poi indietreggiamo, a nostra maggior ricompensa se
invece avanziamo.
Ma
in ciò che concerne la vita contemplativa, egli è con noi come
motore primo e artefice principale: a noi non resta che acconsentire
e rimanere passivi; siamo cosa condotti ad una perfezione più grande
e all’unione spirituale
della nostra anima con lui in carità perfetta.
Poiché
gli uomini a questo mondo si possono dividere in tre categorie: i
peccatori, gli attivi e i contemplativi, le parole del Signore si
possono applicare a tutti in generale, ed è come se suonassero a
questo modo: Senza di me che lascio fare ai peccatori pur negando il
mio consenso alle loro opere, che nei riguardi degli attivi lascio
fare e acconsento, e che, infine, per i contemplativi sono il motore
primo e l’artefice principale, senza di me, dunque, non potete far
niente.
Tante
parole per un contenuto così semplice! Tuttavia, se mi sono
dilungato su questo argomento è per insegnarti in quali casi tu
debba esercitare le tue facoltà intellettuali e in quali no; e poi
come Dio sia presente in maniera diversa a seconda dei tipi di
azione. Può anche darsi che, grazie alla mia illustrazione, tu abbia
a evitare degli errori in cui saresti altrimenti incorso.
Ma
ora, visto che le ho già scritte, lasciamo da parte le riflessioni
che non avevano troppa pertinenza con il nostro argomento, e
portiamoci avanti invece con questo.
11.
[I segni con cui si può cogliere la chiamata di Dio alla
contemplazione].
Probabilmente
mi vuoi porre questa domanda: Potresti dirmi, se non ti dispiace,
qual è il segno o i segni attraverso cui io possa capire, nel più
breve tempo e senza tema di sbagliare, se il desiderio crescente che
provo nei miei esercizi quotidiani e la sensazione piacevole che
avverto all’ascolto e alla lettura dell’argomento della
contemplazione, sono davvero una chiamata di Dio a un lavoro di
grazia più speciale, che è poi il terna ricorrente di questo libro?
Oppure non sono altro che un nutrimento normale e un sostegno dato al
mio spirito perché rimanga quieto nel mio stato e continui a
lavorare nel grado comune di grazia, quello che tu chiami la, porta e
l’entrata comune a tutti i cristiani?
Cerco
subito di risponderti meglio che posso. Come vedrai poco più avanti,
io ti indico due tipi di prove per
verificare se sei chiamato da Dio al lavoro contemplativo: una è
interiore, l’altra esteriore. Nessuna delle due, secondo me, è
pienamente sufficiente in questo caso senza l’altra. Ma se le metti
assieme tutt’e due e vedi che concordano, allora hai una prova
certa e indubitabile; puoi star sicuro di non sbagliare.
La
prima delle due prove, quella interiore, è il crescente desiderio
che avverti nel dedicarti quotidianamente
al lavoro spirituale. C’è una cosa che devi sapere al riguardo:
questo desiderio è di per sé un atto cieco dell’anima (infatti, è
per l’anima quel che il muovere i passi rappresenta per il corpo, e
tu sai benissimo che questo avviene per una serie di atti istintivi);
ma per quanto possa essere cieco, questo desiderio è accompagnato e
seguito da una certa qual visione spirituale che è, in parte, causa
e contemporaneamente mezzo per alimentare il desiderio stesso. Perciò
considera con attenzione i tuoi esercizi spirituali di ogni giorno e
vedi in che cosa consistono essenzialmente. Se sei occupato dalla
coscienza della tua miseria, dalla passione di Cristo o da qualsiasi
altro argomento che appartiene alla suddetta entrata comune a tutti i
cristiani, e se quindi la visione spirituale che accompagna e segue
il tuo cieco desiderio, nasce da simili considerazioni alla portata
di tutti, allora è per me un indice manifesto che la crescita del
tuo desiderio non è che un nutrimento e un sostegno dato al tuo
spirito perché rimanga tranquillo e continui a lavorare nello stato
comune di grazia. Perciò non vi è in questo caso né una chiamata
né una spinta di Dio a operare in uno stato di grazia più speciale.
E
ora l’altra prova, quella esteriore: si tratta di una sensazione
piacevole che senti all’ascolto o alla lettura del lavoro
contemplativo. Questa prova la chiamo esteriore, perché proviene dal
di fuori, dalle finestre dei sensi corporei, le orecchie e gli occhi
nel nostro caso. Se questa sensazione piacevole non perdura al di là
del tempo dedicato a tale lettura o ascolto, ma cessa subito o poco
dopo; se non rimane in te e con te sia quando dormi che quando ti
risvegli; e soprattutto se non ti accompagna costantemente nei tuoi
esercizi quotidiani, insinuandosi e frapponendosi fra te e loro,
ravvivando e dirigendo il tuo desiderio: se dunque non capita così,
è segno evidente, secondo me, che quella sensazione piacevole non è
altro che una contentezza naturale che prova ogni cristiano quando
vede e ascolta la verità. Quella sensazione piacevole è ancora più
viva
quando
è provocata da una spiegazione più precisa ed esatta delle
caratteristiche della perfezione che più si accordano all’anima
dell’uomo e alla natura di Dio. Non è quindi un tocco spirituale
della grazia, né una chiamata di Dio a un lavoro di grazia più
speciale di quello rappresentato dalla porta e dall’entrata comune
a tutti i cristiani.
È
ben diverso, invece, se questa sensazione piacevole è così
sovrabbondante che ti accompagna a letto, si alza con te al mattino e
ti segue per tutta la giornata, qualsiasi cosa tu faccia. Ti strappa
ai tuoi soliti esercizi quotidiani e si intromette tra te e loro; si
associa al tuo desiderio e lo segue così bene che tutti e due
sembrano formare un unico desiderio o comunque qualcosa di
inspiegabile. Trasforma i tuoi gesti e ti dà un bell’aspetto;
finché dura, tutto ti piace e niente ti può dar fastidio. Se
dovessi venire a sapere che uno prova la tua stessa sensazione,
faresti volentieri mille miglia per comunicare con lui; eppure, una
volta incontratolo, ti verrebbero meno le parole, perché è la cosa
stessa che ti interessa, non il parlarne. Ne parli invece chi vuol
farlo.
Allora
le tue parole sono veramente poche: ma piene di frutto e di fuoco.
Una semplice parola della tua bocca contiene un mondo di saggezza;
eppure sembra follia a quelli che si affidano alle facoltà naturali.
Il tuo silenzio è soave, il tuo parlare opportuno, la tua preghiera
segreta, la consapevolezza di quello che vali del tutto veritiera; le
tue maniere sono umili, la tua gioia contenuta, il tuo desiderio
quello di giocare amabilmente con un bambino. Ti piace restar solo,
seduto con te stesso; hai paura che la compagnia degli uomini ti
possa ostacolare; a meno che si mettano anche loro a fare il tuo
lavoro. Non ti va di ascoltare o leggere libri che esulino da questo
argomento.
Se
dunque ti succede proprio così, le due prove, quella interiore e
quella esteriore, vanno di pari passo e confluiscono in una sola.
12.
[Desolazioni e consolazioni che si incontrano nell’esercizio della
contemplazione. Le ragioni per cui Dio ci manda le une e le altre,
durante la navigazione della nostra vita].
Tutto
ciò è vero; ma può darsi benissimo che i due segni che ho appena
indicato, una volta riscontrati in te, con tutte le loro
caratteristiche o con qualcuna soltanto, vengano meno per un poco di
tempo: ti ritroverai come spogliato di tutto, privato sia di questo
nuovo fervore che del vecchio lavoro a cui ti eri abituato. Avrai
l’impressione di essere caduto tra i due, senza possedere né l’uno
né l’altro, e soffrirai per la perdita di entrambi. Ma non
lasciarti prendere dallo sconforto: sopporta con umiltà e attendi
con pazienza il volere di nostro Signore. Ora ti trovi, per usare una
similitudine, in pieno mare spirituale: hai lasciato tutto ciò che
sa di materiale per far vela verso la terra dello spirito.
Allora,
forse, si leveranno grandi tempeste e innumerevoli tentazioni, e tu
non saprai dove correre al riparo. Ti sembrerà che tutto sia
sparito: grazia ordinaria e grazia speciale. Non temere più del
dovuto, anche se ti sembrerà di averne motivo; confida amorosamente,
per quel poco che ne sarai capace al momento, in nostro Signore,
perché egli non si troverà affatto lontano. Forse non passerà
molto tempo che egli getterà gli occhi su di te e ti raggiungerà
con un tocco di grazia ancor più fervente di quanto abbia mai potuto
fare prima. E subito ti sentirai ristabilito; e tutto ti sembrerà
bello finché durerà questa grazia. Ma a un tratto, prima ancora di
rendertene conto, tutto si allontana di nuovo e ti ritrovi solo,
abbandonato sulla tua imbarcazione, sbattuto dai colpi del vento che
ora tirano da una parte ora dall’altra, senza che tu sappia donde
provengano, né dove ti portino.
Tuttavia
non disperare, perché ti assicuro che «il Signore verrà e non
tarderà»; quando egli lo riterrà opportuno, ti consolerà e ti
libererà con potenza da ogni pericolo, in modo ancor più grandioso
di quanto abbia mai fatto. Sì, e se anche si allontanerà spesso,
ritornerà sempre; e ogni volta, se sopporterai con pazienza la
prova, si rifarà vivo in modo ancor più splendido e ti ridarà una
gioia più grande. Agisce a questo modo perché vuol renderti docile
alla sua volontà, come un guanto di pelle sulla mano. E siccome va e
viene, egli ti mette alla prova segretamente in due maniere e ti
modella secondo il suo disegno. Quando ti ritira il fervore, di cui a
torto confondi l’assenza con quella di Dio, vuol soltanto provare
la tua pazienza. Sappi che se a volte ritira queste dolcezze
sensibili, questi sentimenti di fervore e questi desideri ardenti,
Dio non toglie per ciò stesso la sua grazia ai suoi eletti.
In
verità, credo proprio che egli non ritiri mai la sua grazia speciale
a coloro cui l’ha donata un tempo, a meno che essi non cadano in
peccato mortale. Ma tutte le dolcezze e consolazioni di cui ho detto,
non costituiscono la grazia, sono soltanto dei segni della grazia; e
se ci vengono ritirate, a volte è per esercitare la nostra pazienza,
altre volte per procurarci molti altri vantaggi spirituali, al di là
della nostra immaginazione. D’altra parte la grazia è di per sé
cosa eccelsa, così pura e cosa spirituale, che non la si può
percepire con le nostre facoltà sensitive; i segni indicati prima,
quelli sì possono essere percepiti, la grazia no. Pertanto nostro
Signore a volte ti priverà delle consolazioni sensibili per
aumentare e insieme per provare la tua pazienza: ma non solo per
questo motivo, anche per altri che non sto qui a dirti in questo
momento. Piuttosto, proseguiamo con il nostro argomento.
Altre
volte, al contrario, Dio ti accorda queste dolcezze
sensibili, che tu confondi a torto con la sua ricomparsa, in maniera
più eccelsa e con maggior frequenza e forza; lo fa per nutrire il
tuo spirito, e per insegnargli a vivere continuamente nell’amore e
nell’adorazione.
In
questo modo, con la pazienza acquistata quando mancano le
consolazioni sensibili, che sono i segni della grazia, e con il
nutrimento vitale e pieno d’amore che viene all’anima quando le
dolcezze ricompaiono, Dio ti renderà, in entrambi i casi,
gioiosamente docile e amabilmente sottomesso alla sua volontà, in
una perfetta unione spirituale: questa unione è la carità perfetta.
Avverrà così che tu sarai ugualmente felice e contento di perdere
le consolazioni sensibili, se tale è la sua volontà, come di
possederle e gustarle in continuazione per tutta la vita.
A
questo punto il tuo amore è casto e perfetto. Ora hai una visione
simultanea di Dio e del tuo amore e riesci a percepire lui
direttamente, così com’è in se stesso, unendoti spiritualmente al
suo amore nel punto più eccelso del tuo spirito; ma tutto ciò
avviene nella oscurità, come si conviene quaggiù, e a condizione
che ti sia spogliato del tuo io fino alla nudità completa e ti sia
rivestito di Dio solo. Naturalmente non devono più accompagnarti e
avvolgerti tutte quelle impressioni sensibili che possono capitare in
questa vita, anche se sono dolci e sante. Allora sì che Dio viene
percepito in purezza di spirito in maniera adeguata e perfetta, in se
stesso e così com’è, ben lontano da ogni costruzione fantastica o
idea errata che si possa avere di lui in questa vita.
Perché
tu possa meglio comprendere quel che vai sperimentando, ricordati che
la visione e la percezione di Dio così com’è in se stesso, non si
possono separare da Dio in quanto tale, proprio come non si può
separare Dio dal suo essere, dal momento che egli è uno nella
sostanza e per natura. Pertanto, come Dio non può restare separato
dal suo essere a causa dell’unità della sua natura, così l’anima
che gode questa visione e questa percezione, non può restare
distinta da ciò che vede e percepisce, a causa dell’unità che si
crea in virtù della grazia.
Ecco,
questi segni ti permetteranno di costatare e verificare in parte
quale sia la natura e l’eminenza della tua chiamata e di quel moto
di grazia che avverti, interiormente, nel tuo lavoro spirituale, e
esteriormente, in seguito all’ascolto o alla lettura dell’argomento
della contemplazione. Quando dunque avrai sperimentato, tu o
qualsiasi altro si trovi nelle tue stesse disposizioni d’animo,
tutti questi segni o qualcuno soltanto (sono pochissimi, infatti,
coloro che hanno ricevuto il tocco e il marchio speciale della
grazia, così da provarli tutti quanti subito all’inizio); se
perlomeno ne avrai sperimentato uno o due, il che è già
sufficiente, bisogna sottoporli alla testimonianza delle Scritture e
all’esame del tuo direttore spirituale e della tua coscienza. Una
volta
fatto
questo, ti conviene lasciar perdere di tanto in tanto le complicate
meditazioni e le raffinate rappresentazioni della tua mente che hanno
per tema le qualità del tuo. essere e dell’essere di Dio, le tue
azioni e le sue opere: sono servite a nutrire le tue facoltà e a
scioglierti dai legami della materia e della carne per innalzarti al
tuo stato attuale di grazia, ma ora non servono più.
13.
[Bisogna passare dalla contemplazione dell’umanità di Cristo a
quella della sua divinità, attraverso la pratica di una preghiera
pura].
Lascia
da parte, dunque, la conoscenza di Dio che si acquista con la
riflessione e l’immaginazione, e se vuoi imparare come dedicarti
spiritualmente alla semplice coscienza del tuo io e, di Dio,
considera l’esempio che Cristo stesso ci ha dato nella sua vita.
In
effetti, se non ci fosse stata perfezione più alta quaggiù del
fatto di considerare e amare la sua umanità, io sono convinto che
egli non sarebbe asceso al cielo prima della fine del mondo; e non
avrebbe privato della sua presenza corporea quelli che su questa
terra lo amano di un amore speciale. E invece c’è una perfezione
più alta, accessibile all’uomo già in questa vita: è
l’esperienza puramente spirituale dell’amore della sua divinità.
Ecco perché Cristo disse ai suoi discepoli, rattristati dall’idea
di perdere la sua presenza corporea (come in fondo capita anche a te
quando devi abbandonare le tue meditazioni particolari e le
sottigliezze della tua mente speculativa), che era bene per loro che
se ne andasse via con il corpo: «Expedit vobis ut ego vadam; È
meglio per voi che io me ne vada» col corpo. E il dotto re commenta
così: «Se non venisse tolta ai nostri occhi corporei la forma della
sua umanità, i nostri occhi spirituali non resterebbero fissi
all’amore della sua divinità». Perciò ti dico che è bene
tralasciare di tanto in tanto le ricerche delle nostre facoltà
curiose, per imparare a gustare qualcosa dell’amore di Dio
all’interno della tua esperienza spirituale.
A
questa percezione arriverai per la strada che ti ho mostrato, aiutato
dalla grazia preveniente li Dio. In altre parole, abbandonati sempre
di più e senza mai
stancarti, alla nuda coscienza del tuo io, offrendo in continuazione
a Dio il tuo essere come l’offerta più preziosa che tu possa
presentargli. Ma bada bene, come ho detto più volte, che sia una
percezione nuda, altrimenti cadresti in errore.
Se
dunque è nuda, all’inizio sarà per te motivo di grande sofferenza
restare in questo stato, perché, lo ripeto ancora, le tue facoltà
non vi troveranno alcun alimento. Non importa; se fossi al tuo posto
l’amerei ancora di più. Fa’ digiunare per un po’ le tue
facoltà, te ne prego, così che non trovino la soddisfazione
naturale insita nel conoscere. Come è stato giustamente detto,
l’uomo per natura desidera conoscere Ma in verità, è solo per la
grazia che può gustare l’esperienza spirituale di Dio, quali che
siano le sue capacità intellettuali o la sua scienza. Cerca perciò
di aver coscienza, te ne prego, invece di conoscenza. Il sapere a
volte fa cadere in errore a causa dell’orgoglio; invece questa
esperienza d’amore che si ottiene nell’umiltà, non può
ingannare. «Scientia inflat, caritas aedificat». La conoscenza
intellettuale esige fatica, l’esperienza spirituale dona il riposo.
A
questo punto puoi anche dirmi: «Di quale riposo parli? Tutto mi
sembra fatica e sofferenza, non certo riposo. Quando mi metto a
lavorare secondo le tue indicazioni, non trovo altro che pena e
battaglia da tutte le parti. Da una parte le mie facoltà vorrebbero
distogliermi dal mio lavoro, ma io non voglio; dall’altra, io
vorrei aver coscienza di Dio e perdere coscienza di me stesso, ma non
ci riesco. Come vedi, è battaglia da tutte le parti e grande pena:
se questo è il riposo di cui parli, per conto mio è un riposo ben
strano!».
Ti
rispondo subito: non sei ancora avvezzo a questo lavoro, ed ecco il
motivo per cui ti procura una sofferenza più grande del dovuto. Se
invece tu fossi già allenato e potessi sapere per esperienza quanto
profitto deriva da un simile lavoro, non vorresti lasciarlo perdere,
di tua spontanea volontà, per tutto il riposo del corpo e tutte le
gioie di questo mondo. Eppure devo confessare che non è esente da
grandi fatiche e dolori. Ma io lo chiamo ugualmente riposo, perché
l’anima non ha dubbi su cosa fare, e in più è resa certa, durante
il tempo che dedica a questo lavoro, di non cadere in grave errore.
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