Tutto
nasce dalla fede operante per mezzo dell'amore. Ma come potremmo
amare se prima non fossimo stati amati da Dio?
[Siamo
opera di Dio, creati in Cristo Gesù.]
1.
Richiamando con insistenza l'attenzione dei discepoli sulla grazia
che ci fa salvi, il Salvatore dice: Ciò che glorifica il Padre
mio è che portiate molto frutto; e così vi dimostrerete miei
discepoli (Gv 15, 8). Che si dica glorificato o clarificato,
ambedue i termini derivano dal greco
.
Il greco
,
in latino significa "gloria". Ritengo opportuna questa
osservazione, perché l'Apostolo dice: Se Abramo fu giustificato
per le opere, ha di che gloriarsi, ma non presso Dio (Rm, 4, 2).
E' gloria presso Dio quella in cui viene glorificato, non l'uomo, ma
Dio; poiché l'uomo è giustificato non per le sue opere ma per la
fede; poiché è Dio che gli concede di operare bene. Infatti il
tralcio, come ho già detto precedentemente, non può portar frutto
da se stesso. Se dunque ciò che glorifica Dio Padre è che portiamo
molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo, di tutto questo non
possiamo gloriarcene, come se provenisse da noi. E' grazia sua;
perciò sua, non nostra, è la gloria. Ecco perché, in altra
circostanza, dopo aver detto ai discepoli: Risplenda la vostra
luce davanti agli uomini, acciocché vedano le vostre buone opere,
affinché non dovessero attribuire a se stessi queste buone
opere, subito aggiunge: e glorifichino il Padre vostro che è nei
cieli (Mt 5, 16). Ciò che glorifica, infatti, il Padre è che
produciamo molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo. E in grazia
di chi lo diventiamo, se non di colui che ci ha prevenuti con la sua
misericordia? Di lui infatti siamo fattura, creati in Cristo Gesù
per compiere le opere buone (cf. Ef 2, 10).
2.
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi: rimanete
nel mio amore (Gv 15, 9). Ecco l'origine di tutte le nostre buone
opere. Quale origine potrebbero avere, infatti, se non la fede che
opera mediante l'amore (cf. Gal 5, 6)? E come potremmo noi amare, se
prima non fossimo amati? Lo dice molto chiaramente, nella sua
lettera, questo medesimo evangelista: Amiamo Dio, perché egli ci
ha amati per primo (1 Io 3, 19). L'espressione poi: Come il
Padre ha amato me così anch'io ho amato voi, non vuole
significare che la nostra natura è uguale alla sua, così come la
sua è uguale a quella del Padre, ma vuole indicare la grazia per cui
l'uomo Cristo Gesù è mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1 Tim 2,
5). E' appunto come mediatore che egli si presenta dicendo: Come
il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. E' certo,
infatti, che il Padre ama anche noi, ma ci ama in lui; perché ciò
che glorifica il Padre è che noi portiamo frutto nella vite, cioè
nel Figlio, e diventiamo così suoi discepoli.
3.
Rimanete nel mio amore. In che modo ci rimarremo? Ascolta ciò
che segue: Se osservate i miei comandamenti - dice - rimarrete
nel mio amore (Gv 15, 10). E' l'amore che ci fa osservare i
comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere
l'amore? Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede
l'osservanza dei comandamenti? Chi non ama è privo di motivazioni
per osservare i comandamenti. Con le parole: Se osserverete i miei
comandamenti rimarrete nel mio amore, il Signore non vuole
indicare l'origine dell'amore, ma la prova. Come a dire: Non crediate
di poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti:
potrete rimanervi solo se li osserverete. Cioè, questa sarà la
prova che rimanete nel mio amore, se osserverete i miei comandamenti.
Nessuno quindi si illuda di amare il Signore, se non osserva i suoi
comandamenti; poiché in tanto lo amiamo in quanto osserviamo i suoi
comandamenti, e quanto meno li osserviamo tanto meno lo amiamo. Anche
se dalle parole: Rimanete nel mio amore, non appare chiaro di
quale amore egli stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di
quello con cui egli ama noi, possiamo però dedurlo dalla frase
precedente. Egli aveva detto: anch'io ho amato voi, e subito
dopo ha aggiunto: Rimanete nel mio amore. Si tratta dunque
dell'amore che egli nutre per noi. E allora che vuol dire: Rimanete
nel mio amore, se non: rimanete nella mia grazia? E che
significa: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio
amore, se non che voi potete avere la certezza di essere nel mio
amore, cioè nell'amore che io vi porto, se osserverete i miei
comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osserviamo i
comandamenti di modo che egli venga ad amarci, ma il contrario: se
egli non ci amasse, noi non potremmo osservare i suoi comandamenti.
Questa è la grazia che è stata rivelata agli umili mentre è
rimasta nascosta ai superbi.
4.
Ma cosa vogliono dire le parole che il Signore subito aggiunge: Come
io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore
(Gv 15, 10)? Certamente anche qui vuole che ci rendiamo conto
dell'amore che il Padre ha per lui. Aveva infatti cominciato col dire
Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi; e a
queste parole aveva fatto seguire le altre: Rimanete nel mio
amore, cioè, senza dubbio, nell'amore che io ho per voi. Così
ora, parlando del Padre, dice: Rimango nel suo amore, cioè
nell'amore che egli ha per me. Diremo però che questo amore con cui
il Padre ama il Figlio è grazia, come è grazia l'amore con cui il
Figlio ama noi; e ciò nonostante che noi siamo figli per grazia non
per natura, mentre l'Unigenito è Figlio per natura non per grazia?
Ovvero dobbiamo intendere queste parole come dette in relazione
all'umanità assunta dal Figlio? E' proprio così che dobbiamo
intenderle. Infatti, dicendo: Come il Padre ha amato me così
anch'io ho amato voi, egli ha voluto mettere in risalto la sua
grazia di mediatore. E Gesù Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini
non in quanto è Dio, ma in quanto uomo. E' così che di Gesù in
quanto uomo si legge: Gesù cresceva in sapienza e statura e
grazia, presso Dio e gli uomini (Lc 2, 52). Dunque possiamo ben
dire che, siccome la natura umana non rientra nella natura divina, se
appartiene alla persona dell'unigenito Figlio di Dio lo è per grazia
e per una tale grazia di cui non è concepibile una maggiore e
neppure uguale. Nessun merito ha preceduto l'incarnazione, e tutti
hanno origine da essa. Il Figlio rimane nell'amore con cui il Padre
lo ha amato, e perciò osserva i suoi comandamenti. A che cosa deve
la sua grandezza umana se non al fatto che Dio l'ha assunta (cf. Sal
3, 4)? Il Verbo infatti era Dio, era l'Unigenito coeterno al Padre;
ma affinché noi avessimo un mediatore, per grazia ineffabile il
Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).
Dal
sito http://www.augustinus.it/
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