Tutta
la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo
Dio: Charitas est vinculum perfectionis.
(Col. 3.14). Ma tutta poi la perfezione dell’amore a Dio consiste
nell’unire la nostra alla sua santissima volontà. Questo già è
il principale effetto dell’amore, dice S. Dionigi Areopagita (de
Div. Nom. c. 4.) l’unire le volontà degli amanti, sicchè abbiano
lo stesso volere. E perciò quanto più alcuno sarà unito alla
divina volontà, tanto sarà maggiore il suo amore. Piacciono sibbene
a Dio le mortificazioni, le meditazioni, le communioni, le opere di
carità verso il prossimo; ma quando? quando sono secondo la sua
volontà; ma quando non vi è la volontà di Dio, non solamente egli
non le gradisce, ma le abbomina, e le castiga. Se mai vi sono due
servi, l’un de’ quali fatica tutto il giorno senza riposare, ma
vuol fare ogni cosa a suo modo, l’altro fatica meno, ma ubbidisce
in tutto: certamente il padrone amerà questo secondo, e non il
primo. Che servono l’opere nostre allà gloria di Dio, quando non
sono secondo il suo beneplacito? Non vuole il Signore sacrifici (dice
il Profeta a Saulle), ma l’ubbidienza ai suoi voleri: Numquid
vult Dominus holocausta, et victimas, et non potius, ut obediatur
voci Domini? . . Quasi scelus idolatriae est nolle acquiescere.
(1 Reg. 15.22) L’uomo, che vuole operare per propria volontà senza
quella di Dio, commette una specie d’Idolatria, poiché allora in
vece di adorare la volontà divina, adora in certo modo la sua.
Questa
dunque è la maggior gloria, che noi possiamo dare a Dio, l’adempire
in tutto i suoi santi voleri. Il nostro Redentore, che venne in terra
a stabilire la divina gloria, questo principalmente venne ad
insegnarci col suo esempio. Padre: Hostiam
et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi; tunc dixi ecce
venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam.
(Heb. 10.5) Voi avete rifiutate le vittime, che v’ hanno offerte
gli uomini; voi volete, ch’ io vi sacrifichi il corpo, che m’
avete dato, eccomi pronto a fare la vostra volontà. E di ciò si
protestò più volte, ch’ egli era venuto in terra non a fare la
sua, ma solamente la volontà del suo Padre:
Descendi de caelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem ejus
qui misit me. (Jo 6.38) Ed in ciò
volle, che’ l mondo avesse conosciuto l’amore, che gli portava al
suo Genitore, in ubbidire alla sua volontà, che lo volea sagrificato
sulla croce per la salute degli uomini; così appunto disse
nell’orto, allorchè andò all’incontro ai suoi nemici, che
venivano a prenderlo per condurlo alla morte:
Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit
Pater, sic facio; surgite, eamus hinc.
(Jo 14.31) Ed in ciò disse, ch’ egli riconoscea che fosse suo
fratello, chi avesse fatta la divina volontà: Qui
fecerit voluntatem Patris mei. (Matth
12.50) ipse meus frater.
Tutti
i Santi in ciò hanno avuta sempre fissa la mira in fare la divina
volontà, ben intendendo, che qui consiste tutta la perfezione
d’un’anima.. Diceva il B. Errico Susone (l. 2. c. 4)
Dio non vuole, che noi abbondiamo de’ lumi, ma che in tutto ci
sottomettiamo alla sua volontà. E S.
Teresa: Tutto quello, che dee procurare
chi si esercita nell’orazione, è di conformare la sua volontà
alla divina; e si assicuri, che in questo consiste la più alta
perfezione. Chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio
i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore.
La B. Stefana da Soncino Domenicana essendo un giorno in visione
condotta in cielo vide alcune persone defonte, ch’ ella avea
conosciute, collocate tra i Serafini, e le fu detto, che quelle erano
state sublimate a tanta gloria per la perfetta uniformità, che
aveano avuta in terra alla volontà di Dio, che un Serafino colla
mia.
In
questa terra dobbiamo apprendere dai Beati del cielo come abbiamo da
amare Dio. L’amor puro, e perfetto, che i Beati in cielo hanno per
Dio, è nell’unirsi perfettamente alla sua volontà. Se i Serafini
intendessero esser suo volere, che s’ impiegassero per tutta
l’eternità ad ammucchiare le arene de’ lidi, o a svellere l’erbe
de’ giardini, volentieri lo farebbero con tutto il lor piacere.
Più; se Dio facesse loro intendere, che andassero ad ardere nel
fuoco dell’Inferno, immediatamente si butterebbero in quell’abisso
per fare la divina volontà. E questo è quello, che c’ insegnò a
pregare Gesù Cristo, cioè l’eseguire la volontà divina in terra,
come la fanno i santi in cielo: Fiat
voluntas tua sicut in caelo et in terra.
(Matth. 6.9)
Il
Signore chiamava David l’uomo secondo il suo cuore, perché David
adempiva tutti i suoi voleri: Inveni
virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas.
(Act 13.22) Davide stava sempre apparecchiato ad abbracciare la
divina volontà, come spesso si protestava: Paratum
cor meum. Deus, paratum cor meum. (Ps.
58.8 et Ps. 107.1) E d’altro non supplicava il Signore, che
d’insegnarli a fare la sua volontà: Doce
me facere voluntatem tuam. (Ps. 142.10)
Un atto di perfetta uniformità al divino volere basta a fare un
santo. Ecco Saulo mentre va perseguitando la Chiesa, Gesù Cristo
l’illumina, e lo converte. Che fa Saulo? che dice? non fa altro,
che offerirsi a fare la sua vonontà:
Domine, quid me vis facere? (Act 9.6)
Ed ecco, che’ l Signore lo dichiara vaso d’elezione, ed Apostole
deele genti: Vas ecectionis est mihi
iste, ut portet nomen meum coram gentibus.
(Act 9.15) Sì perché quegli, che dà la sua volontà a Dio, gli dà
tutto; chi gli dà le robe colle limosine, il sangue col flagellarsi,
i cibi co’ digiuni, dona a Dio parte di ciò, che tiene; ma chi gli
dona la sua volontà, gli dona tutto, onde può dirgli: Signore, io
son povero, ma vi dono tutto quel che posso; dandovi la mia volontà,
non ho più che darvi. Ma questo appunto è il tutto, che da noi
pretende il nostro Dio: Fili mi, praebe
cor tuum mihi. (Prov 23.1) Figlio, dice
il Signore a ciascuno, figlio, dammi il tuo cuore, cioè la tua
volontà. Nihil gratius Deo
(parla S. Agostino) possumus ei offerre,
quam ut dicamus ei: Posside nos. No,
che non possiamo offerire a Dio cosa più cara, che con dirgli:
Signore possedeteci voi; noi vi doniamo tutta la nostra volontà,
fateci intendere quello che da noi volete, e noi l’eseguiremo.
Se
dunque vogliamo compiacere appieno il cuore di Dio, procuriamo in
tutto di conformarci alla sua divina volontà; e non solo di
conformarci, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità
importa, che noi congiungiamo la nostra volontà alla volontà di
Dio; ma l’uniformità importa di più, che noi della volontà
divina, e della nostra ne facciamo una sola, sì che non vogliamo
altro se non quello, che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la
nostra. Ciò è il sommo della perfezione, a cui dobbiamo sempre
aspirare; questa ha da esser la mira di tutte le nostre opere, di
tutti i desideri, meditazione, e preghiere. In ciò abbiamo da
pregare ad ajutarci tutti i nostri santi Avvocati, i nostri Angeli
Custodi, e sopratutto la divina Madre Maria, la quale perciò fu la
più perfetta di tutti i Santi, perché più perfettamente ella
abbracciò sempre la divina volontà.
Ma
il forte sta nell’abbracciare la volontà di Dio in tutte le cose
che avvengono o prospere, o avverse ai nostri appetiti. Nelle cose
prospere anche i peccatori ben sanno uniformarsi alla divina volontà;
ma i santi si uniformano anche nelle contrarie, e dispiacenti
all’amor proprio. Qui si vede la perfezione del nostro amore a Dio.
Diceva il V. S. Giovanni Avila: Vale più
un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei milia ringraziamenti
nelle cose a voi dilettevoli.
Di
più bisogna uniformarci al divina volere, non solo nelle cose
avverse, che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità,
le desolazioni di spirito, la povertà, laorte de’ parenti, e
simili; ma ancora in quelle, che ci vengono per mezzo degli uomini,
come sono i dispregi, l’infamie, l’ingiustizie, i furti, e tutte
le sorte di persecuzioni. In ciò bisogna intendere, che quando noi
siamo offesi da alcuno nella fama, nell’onore, ne’ beni, benchè
il Signore non voglia il peccato di colui, vuole nondimeno la nostra
umiliazione, la nostra povertà, e mortificazione. E’ certo, e di
fede, che quanto avviene nel mondo, tutto avviene per divina volontà.
Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans
malum. (Is. 45.7) Da Dio vengono tutti
i bene e tutti i mali, cioè tutte le cose a noi contrarie, che noi
chiamiamo falsamente mali; perché in verità sono beni, quando noi
gli prendiamo dalle sue mani. Si erit
malum in civitate, quod Dominus non fecerit?
disse il Profeta Amos 3.6. E prima lo disse il Savio; Bona
et mala, vita et mors a Deo sunt.
(Eccl. 12.14) E’ vero, come ho detto, che allorchè un uomo ti
offende ingiustamente, Dio non vuole il peccato di colui, nè
concorre alla malizia della di lui volontà; ma ben concorre col
concorso generale all’azione materiale, colla quale quel tale ti
percuote, ti ruba o t’ ingiuria; sì che l’offesa, che tu
patisci, certamente la vuole Dio, e dalle sue mani ti viene. Perciò
il Signore disse a Davide, ch’ egli era l’autore dell’ingiurie,
che dovea fargli Assalonne, sino a torgli le mogli davanti ai suoi
occhi; e ciò in castigo de’ suoi peccati:
Ecce ego suscitabo super te malum de domo tua, et tollam uxores tuas
in oculis tuis, et dabo proximo tuo. (2
Reg. 12.11) Perciò disse anche agli Ebrei, che in pena delle loro
iniquità avrebbe mandati gli Assiri a spogliarli, e rovinarli: Assur
virga furoris mei . . . mandabo illi ut auferat spolia, et diripiat
praedam. (Is. 10.5) Spiega S. Agostino:
Impietas eorum tamquam securis Dei facta
est. (In Ps. 37) Dio si servì
dell’iniquità degli Assiri, come d’una mannaja per castigare gli
Ebrei. E Gesù medesimo disse a S. Pietro, che la sua passione, et
morte, non tanto gli veniva dagli uomini, quanto dal suo medesimo
Padre: Calicem quem dedit mihi Pater,
non vis ut bibam illum?
Giobbe
allorchè venne il nunzio (che vogliono essere stato il demonio) a
dirgli, che i Sabei si aveano tolte tutte le di lui robe, e gli
aveano uccisi i figli; il Santo che rispose: Dominus
dedit, Dominus abstulit. (1.21) Non
disse il Signore m’ ha dati i figli, i beni, ed i Sabei me gli han
tolti; ma il Signore me gli ha dati, ed il Signore gli ha tolti;
perché bene intendeva, che quella perdita era voluta da Dio, e
perciò soggiunse: Sicut Domino placuit,
ita factum est: sit nomen Domini benedictum.
(ibid) Non bisogna dunque prendere i travagli, che ci avvengono, come
succeduti a saco, o per sola colpa degli uomini, bisogna star
persuaso, che quanto ci accade, tutto accade per volontà divina:
quicquid hic accedit contra voluntatem nostram, noveris non accidere
nisi de voluntate Dei. (D. August. in
Ps. 148. Epitetto, ed Atone, Rosweid. l.1), felici Martiri di Gesù
Cristo, posti dal Tiranno alla tortura, stracciati con uncini di
ferro, brustoliti con torce ardenti, altro non diceano: Signore, si
faccia in noi la tua volontà. E giunti al luogo del supplicio,
proferirono ad alta voce: Siate benedetto, o Dio eterno, poiché la
vostra volontà è stata in noi adempita in tutto.
Narra
Cesario (lib. 10, c.6) che un certo Religioso, benchè non fosse
punto differente dagli altri nell’esterno, non però era giunto a
tal santità, che col solo tatto delle sue vesti guariva gl’infermi.
Il suo Superiore di ciò maravigliandosi gli disse un giorno, come
mai facesse tali miracoli, non facendo una vita più esemplare degli
altri. Quegli rispose, che ancor esso se ne maravigliava, e che non
ne sapeva il perché. Ma qual divozione voi praticate, ripigliò
l’Abbate? Rispose il buon Religioso ch’ egli niente o poco
faceva, se non che aveva sempre avuta un gran cura di volere solo
ciò, che Dio voleva, e che il Signore gli aveva fatta questa grazia,
di tenere abbandonata la sua volontà totalmente in quella di Dio. La
prosperità (disse) non mi solleva, nè l’avversità mi abbatte,
perché io prendo ogni cosa dalle mani di Dio, ed a questo fine
tendono tutte le mie orazioni, cioè, che la sua volontà
perfettamente in me si adempia. E di quel danno (ripigliò il
Superiore), che l’altr’ jeri ci fece quel nostro nemico in
toglierci il nostro sostentamento, mettendo fuoco al podere dov’
erano le nostre biade, i nostri bestiami, voi non aveste alcun
risentimento? No, Padre mio, egli rispose; ma al contrario ne rendei
grazie a Dio, come lo soglio fare in simili accidenti, sapendo che
Dio tutto fa, o permette per gloria sua, e per nostro maggio bene, e
con ciò vivo sempre contento per ogni cosa, che avviene. Ciò inteso
l’Abbate, vedendo in quell’anima tanta uniformità alla volontà
divina, non restò più maravigliato, che facesse sì gran miracoli.
Chi
fa così, non solo si fa santo, ma gode ancora in terra una pace
perpetua. Alfonso il grande (Panorm. in Vita) Re di Aragona, Principe
savissimo, interogato un giorno, qual’uomo stimasse più felice in
questo mondo? Rispose, quello il quale si abbandona nella volontà di
Dio, e che riceve tutte le cose prospere, ed avverse dalle sue mani.
Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum.
(Rom 8) Gli amanti di Dio vivon sempre contenti, perché tutto il
loro piacere è di adempire anche nelle cose contrarie la divina
volontà; onde gli stessi travagli si convertono loro in contenti,
pensando che con accettarli dan gusto al loro amato Signore: Non
contristabit justum quidquid ei acciderit.
(Prov 10.11) Ed in fatti qual maggior contento può mai provare un
uomo, che in veder adempiuto quanto egli vuole? Or quando alcuno non
vuole se non quello, che vuole Dio, avvenendo già sempre tutto ciò,
che avviene nel mondo (fuori del peccato) per volontà di Dio,
avviene in conseguenza quanto esso vuole. Si narra nelle Vite de’
Padri d’un contadino, i cui terreni rendeano maggior frutto degli
altri; dimandato questi, come ciò accadesse, rispose, che di ciò
non si maravigliassero, perch’ egli avea sempre i tempi, come li
voleva; e come? Sì, replicò, perché io non voglio altro tempo, se
non quello, che vuole Dio, e conforme io voglio quel, che Dio vuole,
così egli mi dà i frutti, come li vogl’io. L’anime rassegnate,
dice il Salviano, se sono umiliate, questo vogliono: se patiscono
povertà, vogliono esser povere; in somma quanto gli avviene, tutto
lo vogliono: e perciò sono in questa vita felici:
Humiles sunt, hoc volunt; paperes sunt, paupertate delectantur;
itaque beati dicendi sunt. Viene il
freddo, il caldo, la pioggia, il vento, che piova, perché così
vuole Dio. Viene la povertà, la persecuzione, l’infermità, la
morte, ed io voglio (colui dice) esser povero, perseguitato, infermo;
voglio anche morire, perché così vuole Dio.
Questa
è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più delle
Signorie, e di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che
provano i Santi, la quale exuperat omnem
sensum. (Eph. 3.2), avanza tutti i
piaceri de’ sensi, tutti i festini, i banchetti, gli onori, e tutte
l’altre soddisfazioni del mondo, le quali, perché sono vane, e
caduche, benchè allettano il senso per quei momenti in cui si
assagiano, nondimeno non contentano, ma affliggono lo spirito, dove
sta il vero contento; che perciò Salomone, dopo aver goduto al sommo
di tai diletti mondani, esclamava afflitto:
Sed et hoc vanitas, et afflictio spiritus.
(Ecclesiast. 4.6) Stultus (dice lo Spirito Santo)
sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut vult.
. . (Eccl. 27.12) Lo stolto, cioè il peccatore si muta come la luna,
che oggi cresce domani manca: oggi lo vedrai ridere, domani
piangere: oggi mansueto, domani stizzato, come una tigre; e perché?
perché la sua contezza dipende dalle prosperità, o avversità, che
incontra, e perciò si muta, come si mutano le cose che gli accadono.
Ma il giusto è come il sole sempre uguale nella sua serenità, in
qualsivoglia cosa, che succede; perché il suo contento è
nell’uniformarsi alla divina volontà, e perciò gode una pace
imperturbabile. Et in terra pax
hominibus bonae vluntatis (Luc. 2.15),
disse l’Angelo ai Pastori. E chi mai sono quest’ uomini di buona
volontà, se non coloro, che stan sempre uniti alla volontà di Dio,
ch’ è sommamente buona, e perfetta? Voluntas
Dei bona, beneplacens, et perfecta. Sì,
perché Dio non vuole, che’ l meglio, e’ l più perfetto.
I
Santi in questa terra nell’uniformarsi alla volontà divina han
goduto un Paradiso anticipato. I Padri antichi, dice S. Doroteo, che
così si conservavano in gran pace, con prendere ogni cosa dalle mani
di Dio. S. Maria Madalena de’ Pazzi in sentir solamente nominare
Volontà di Dio,
si sentiva consolare, che usciva fuor di se in astasi d’amore. Non
mancheranno per altro le punture delle cose avverse a farsi sentire
dal senso, ma tutto ciò non avverrà, che nella parte inferiore; ma
nella superiore dello spirito regnerà la pace, e la tranquillità,
stando la volontà unita a quella di Dio. Gaudium
vestrum (disse il Redentore agli
Apostoli) nemo tollet a vobis. Gaudium
vestrum sit plenum. (Jo 16.22) Chi sta
sempre uniformato alla divina volontà, ha un gaudio pieno, e
perpetuo: pieno, perché ha quanto vuole, come di sopra s’ è
detto: perpetuo, perché un tal gaudio niuno ce lo può togliere,
mentre niuno può impedire, che non avvenga quel, che Dio vuole.
Il
P. Giovan Taulero (appresso il P. Sangiurè Erar. to 3, e’ l P.
Nieremb. Vita Div.) narra di se stesso, che avendo egli pregato per
molti anni il Signore a mandargli chi gli insegnasse la vera vita
spirituale, un giorno udì una voce, che gli disse: Va alla tal
Chiesa, ed alla porta trova un misero mendico, scalzo, e tutto
lacero; lo saluta: Buon giorno, amico. Il povero risponde: Signor
maestro, io non mi ricordo giammai d’aver avuto un giorno cattivo.
Il Padre replicò: Iddio vi dia una felice vita. Ripigliò quegli; Ma
io non sono stato mai infelice. E poi soggiunse: Udite, Padre mio,
non a caso io ho detto non aver avuto alcun giorno cattivo, perché
quando ho fame, io lodo Dio; quando fa neve, o pioggia io lo
benedico: se alcuno mi disprezza, mi scaccia, se provo altra miseria,
io sempre ne do gloria al mio Dio. Ho detto poi, che non sono stato
mai infelice, e ciò anch’ è vero, poich’ io sono avvezzo a
volere tutto ciò, che vuole Dio senza reserba; perciò tutto quel,
che m’ avviene o di dolce, o di amaro, io lo ricevo dalla sua mano
con allegrezza, come il meglio per me, e questa è la mia felicità.E
se mai, ripigliò il Taulero, Dio vi volesse dannato, voi che
direste? Se Dio ciò volesse (rispose il mendico), io coll’umiltà,
e coll’amore mi abbraccierei col mio Signore, e lo terrei sì
forte, che se egli volesse precipitarmi all’Inferno, sarebbe
necessitato a venir meco, e così poi mi sarebbe più dolce essere
con lui nell’inferno, che posseder senza lui tutte le delizie del
cielo. Dove avete trovato voi Dio, disse il Padre? E quegli: Io l’ho
trovato, dove ho lasciate le creature. Voi chi siete? E’ l povero:
Io sono Re. E dove sta il vostro Regno? Sta nell’anima mia, dove io
tengo tutto ordinato, le passioni ubbidiscono alla ragione, e la
ragione a Dio. Finalmente il Taulero gli domandò, che cosa l’avea
condotto a tanta perfezione? E’ stato (rispose) il silenzio,
tacendo cogli uomini per parlare con Dio; e l’unione, che ho tenuta
col mio Signore, in cui ho trovata, e trovo tutta la mia pace. Tale
in somma fu questo povero per l’unione, ch’ ebbe colla divina
volontà; egli fu certamente nella sua povertà più ricco, che tutti
i Monarchi della terra, e ne’ suoi patimenti più felice che tutti
i mondani colle loro delizie terrene.
Oh
la gran pazzia è quella di coloro, che ripugnano alla divina
volontà; hanno già essi da soffrire i travagli, perché niuno mai
può impedire, che non si eseguiscano i divini decreti. Voluntati
ejus quis resistet? (Rom 9.19) Ed
all’incontro l’han da soffrire senza frutto, anzi con tirarsi
sopra maggiori castighi per l’altra vita, e maggior inquietudine in
questa. Quis restitit ei, et pacem
habuit? (Job 24) Gridi quanto vuole
quell’infermo ne’ suoi dolori, quel povero nelle sue miserie si
lamenti di Dio, si arrabbi, bestemmi quanto gli piace, che ne caverà,
se non far doppio il suo male? Quid
quaeris homuncio quaerendo bona? (dice
S. Agostino) quare unum bonum, in quo
sunt omnia bona. Che vai cercando,
omicciuolo, fuori del tuo Dio? trova Dio, unisciti, stringiti colla
sua volontà, e viverai sempre felice in questa, e nell’altra vita.
E
che altro in somma vuole il nostro Dio, se non il nostro bene? Chi
mai possiamo trovare, che ci ami più di Dio? Altra non è la sua
volontà, non solo che niuno si perda, ma che tutti si salvino, e si
facciano santi. Nolens aliquos perire,
sed omnes ad poenitentiam reverti. (2
Petr. 3.9) Voluntas Dei sanctificatio
vestra. (1 Thess. 4.3) Iddio nel nostro
bene ha collocata la sua gloria, poiché essendo egli per sua natura
bontà infinita, come dice S. Leone, Deus
cujus natura bonitas; e la bontà
desiderando per sua natura di diffondersi, Iddio ha un sommo
desiderio di far participi l’anime de’ suoi beni, e della sua
felicità. E se ci manda tribulazioni in questa vita, tutte sono per
nostro bene. Omnia cooperantur in bonum.
(ad Rom. 8.28) Ancora i castighi, come disse la santa Giuditta, non
ci vengono da Dio per la nostra rovina, ma affinchè ci emendiamo, e
salviamo: Ad emendationem, non ad
perditionem nostram evenisse credamus.
(Jud. 8.17) Il Signore affin di salvarci dai mali eterni, ne circonda
colla sua buona volontà. Domine ut
scuto bonae voluntatis tuae coronasti nos.
(Ps 5.1) Egli non solamente desidera, ma è sollecito della nostra
salute. Deus solicitus est mei.
(Ps 29.18) E qual cosa ha donato il suo medesimo Figlio? Qui
proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum;
quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit?
(Rom 8.32) Con questa confidenza dunque dobbiamo abbandonarci nelle
divine disposizioni, che tutte sono per nostro bene. Diciamo sempre
in ogni cosa, che ci avviene: In pace in
idipsum dormiam, et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in
spe constituisti me. (Ps 4) Mettiamci
pure tutti in mano sua, perch’ egli certamente avrà cura di noi:
Omnem sollicitudinem vestram projicientes in eum, quoniam ipsi cura
est de vobis. (1 Petr. 5.7) Pensiamo
poi a Dio, ad adempire la sua volontà, ch’ egli penserà a noi, ed
al nostro bene. Figlia (disse il Signore a S. Caterina di Siena)
pensa tu a me, ed io penserò sempre a te. Diciamo sovente colla
sacra Sposa: Dilectus meus mihi, et ego
illi. (Cant. 2.6) L’amato mio pensa
al mio bene, io non voglio pensare ad altro, che a dargli gusto, e ad
uniformarmi in tutto ai suoi santi voleri. Dicea il santo Abbate
Nilo, che non dobbiamo già noi pregare il Signore, che faccia
succedere quello, che noi vogliamo, ma che si adempisca in noi la sua
volontà. E quando poi ci accadono le cose avverse, accettiamole
tutte dalle divine mani, non solo con pazienzia, ma con allegrezza,
ad esempio degli Apostoli, che ibant
gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine
Jesu contumeliam pati. (Act 5.41) E
qual maggior contento d’un’anima, che soffrendo qualche
travaglio, sa, che col soffrirlo di buona voglia, dà il maggior
gusto a Dio, che possa dargli! Dicono i Maestri di spirito, che
sebbene gradisce Iddio il desiderio, che hanno alcune anime di patire
per dargli gusto, più nondimeno gli piace l’uniformità di quelle,
che non vogliono nè godere, nè patire; ma tutte rassegnate nel suo
santo volere altro non desiderano, che di adempiere quel ch’ egli
vuole.
Se
vuoi dunque, anima divota, piacere a Dio, e vivere in questa terra
una vita contenta, unisciti sempre, ed in tutto alla divina volontà.
Pensa, che tutti i peccati della tua vita sconcertata, ed amara ch’
hai fatta, son succeduti, perché ti sei scostata dalla volontà di
Dio. Abbracciati da oggi avanti col divino beneplacito; e di sempre
in tutto ciò, che ti accade: Ita Pater,
quoniam sic fuit placitum ante te.
(Matt. 11.16) Così, Signore, sia fatto, perché così è piaciuto a
voi. Quando ti senti turbata da qualche avvienimento avverso, pensa
che quello è venuto da Dio; onde subito dì, Così
vuole Dio, e mettiti in pace. Obmutui,
et non aperui os meum, quoniam tu fecisti.
(Ps 38) Signore, giacchè voi l’avete fatto io non parlo, e
l’accetto. A questo intento bisogna, che indrizzi tutti i tuoi
pensieri, e le tue orazioni, cioè a procurare, e pregare sempre Dio,
nella meditazione, nella Comunione, nella visita al Ss. Sacramento,
che ti faccia adempire la sua volontà. E tu offerisciti sempre,
dicendo: Mio Dio, eccomi, fanne di me, e di tuute le cose mie quel
che vuoi. Questo era l’esercizio continuo di S. Teresa; almeno
cinquanta volte il giorno la Santa si offeriva al Signore, acciocchè
acesse di lei disposto, come gli fosse piaciuto.
Oh
beato te, mio lettore, se farai sempre così! ti farai certamento
santo; e farai una vita contenta, ed una morte più felice. Quando
alcuno passa all’altra vita, tutta la speranza, che si concepisce
della sua salvazione, si scorge dall’intendere, se quegli è morto
rassegnato, o no. Se tu. come avrai abbracciato in vita tutte le cose
venute da Dio, così anche abbraccierai la morte per adempire la sua
divina volontà, certamente ti salverai, e morirai da santo.
Abbandoniamoci dunque in tutto al beneplacito di quel Signore, ch’
essendo sapientissimo, poiché ha data la vita per nostro amore, vuol
anche il meglio per noi. Siam pur sicuri, e persuasi, dice S.
Basilio, che senza comparazione meglio procura Dio il nostro bene, di
ciò, che noi possiamo mai fare, e desiderare.
Ma
veniamo a vedere intorno alla pratica in quali cose abbiamo da
uniformarci alla volontà di Dio. Per 1. dobbiamo uniformarci nelle
cose naturali, che avvengono fuor di noi, come quando fa gran caldo,
gran freddo, pioggia, carestia, pestilenza, e simili. Guardiamci di
dire: Che caldo insopportabile! che freddo orribile! che disgrazia!
che mala forte! che tempo infelice! od altri termini, che dimostrino
ripugnanza alla volontà di Dio. Noi dobbiamo volere ogni cosa, com’
ella è, perché Dio è quegli, che dispone tutto. S. Francesco
Borgia, andando una notte ad una casa della Compagnia, mentre
fioccava, bussò più volte, ma perché i Padri dormivano, non gli fu
aperto. Fatto giorno, molto si rammaricarono quelli d’averlo fatto
aspettare così allo scoperto; ma il Santo disse di aver ricevuta in
quel tempo una gran consolazione, in pensare, che Dio era quegli, che
gli gittava addosso quei fiocchi di neve.
Per
2. dobbiamo uniformarci elle cose, che avvengono dentro di noi, come
nel patir fame, sete, povertà, desolazioni, disonori. In tutto
dobbiamo dir sempre: Signore fate e disfate voi, io son contento:
voglio solo quel, che volete voi. E così anche dice il P. Rodriguez,
che dobbiamo rispondere per quali finti casi, che il demonio ci mette
alle volte in mente, affin di farci cadere in qualche cattivo
consenso, o almeno per inquietarci. Se il tale ti dicesse la tal
parola, se ti facesse la tale azione, che diresti? che faresti?
Rispondiamo sempre: Direi, e farei quel
che vuole Dio. E così ci libereremo da
ogni difetto, e molestia.
Per
3. Se abbiamo qualche difetto naturale, d’anima o di corpo, mala
memoria, ingegno tardo, poca abilità, membro storpio, salute debole,
non ce ne lamentiamo. Che merito avevamo noi, e qual obbligo avea Dio
di darci una mente più sublime, un corpo meglio fatto? non poteva
egli crearci brutti? non lasciarci nel nostro niente? Chi mai riceve
qualche dono, e va cercando patti? Ringraziamolo dunque di ciò, che
per sua mera bontà ci ha donato, e contentiamoci del come ci ha
fatti. Chi sa, se avendo noi maggior talento, sanità più forte,
viso più grazioso, ci avevamo a perdere? A quanti il lor talento, e
scienza è stata occasione di perdersi coll’invanirsene, e
dispregiare gli altri; nel quale pericolo sono più facilmente
coloro, che avanzano gli altri nelle scienze, e ne’ talenti? A
quanti altri la bellezza, o la fortezza del corpo, è stata occasione
di precipitare in mille scelleraggini? Ed all’incontro quanti altri
per esser poveri, o infermi, o deformi di fattezze, si son fatti
santi, e salvati? che se fossero stati ricchi, sani, o belli
d’aspetto, si sarebbon dannati. E così contentiamoci di quel, che
Dio ci ha dato. Porro unum est
necessarium (Luc 10.42) Non è
necessaria la bellezza, non la sanità, non l’ingegno acuto; solo
il salvarci è necessario.
Per
4. bisogna, che specialmente stiamo rassegnati nelle infermità
corporali, e bisogna, che l’abbracciamo volentieri, ed in quel
modo, e per quel tempo, che vuole Dio. Dobbiamo sibbene adoperarvi i
rimedi ordinari, perché così vuole ancora il Signore, ma se quelli
non giovano, uniamoci colla volontà di Dio, che ci gioverà molto
più della sanità. Signore, diciamo allora, io non voglio guarire,
nè stare infermo, voglio solo quel che volete voi. Certamente è
maggior virtù nelle malattie il non lamentarsi de’ dolori; ma
allorchè questi fortemente ci affliggono, non è difetto il
palesarli agli amici, ed anche il pregare il Signore, che ce ne
liberi. Intendo ne’ dolori grandi, poiché all’incontro molto
difettano in ciò alcuni altri, che ad ogni semplice dolore, o
fastidio vorrebbero, che tutto il mondo venisse a compatirli, ed a
pianger loro d’intorno. Del resto anche Gesù Cristo, vedendosi
vicino alla sua amarissima passione, palesò la sua pena ai
discepoli: Tristis est anima mea usque
ad mortem. (Mat. 26.38) e pregò
l’eterno suo Padre a liberarnelo;
Pater mi, si possibilie est, transeat a me calix iste.
(ibid 39) Ma Gesù stesso c’ insegnò quel che dobbiamo fare dopo
simili preghiere, cioè rassegnarci subito nella divina volontà, col
soggiungere: Verumtamen, non sicut ego
volo, sed sicut tu.
Quale
sciocchezza è poi quella coloro, che dicono desiderar la salute, non
bià per patire, ma per maggiormente servire il Signore, in osservar
le regole, servir la comunità, andar alla Chiesa, far la Comunione,
far penitenza, studiare, impiegarsi nella salute dell’anime
confessando, predicando? Ma io dimando, divoto mio, dimmi, perché tu
desideri di far queste cose? per dar gusto a Dio? E che vai cercando,
quando sei certo, che il gusto di Dio non è, che facci orazione,
Comunioni, penitenze, studi, o prediche, ma che soffri con pazienza,
quell’infermità, e quei dolori, che ti manda? Unisci allora i tuoi
dolori con quelli di Gesù Cristo. Ma mi dispiace, che stando così
infermo sono inutile, e di pese alla comunità, alla casa. Ma
conforme voi vi rassegnate alla volontà di Dio, così dovete
credere, che i vostri Superiori anch’ essi si rassegnino, vedendo
che voi non per vostra pigrizia, ma per voler di Dio apportiate
questo peso alla casa. Eh che questi desideri, e lamenti, non nascono
dall’amore di Dio, ma dall’amor proprio che va cercando pretesti
per allontanarti dalla volontà di Dio. Vogliamo dar gusto a Dio?
Diciamo allora, che ci vediamo confinati in un letto, diciamo al
Signore questa sola parola, fiat voluntas tua; e questa replichiamo
sempre cento, e mille volte, che con questa sola daremmo più gusto a
Dio, che non gli daressimo con tutte le mortificazioni, e divozioni,
che possiamo fare. Non ci è meglior modo di servire a Dio, che
abbracciando allegramente la sua volontà. Il V. P. M. Avila
(Epist.2) scrisse ad un Sacerdote infermo: Amico
non stare a fare il conto di quel, che faresti essendo sano, ma
contentati di stare infermo per quanto a Dio piacerà. Se tu cerchi
la volontà di Dio, che cosa più t’ importa lo istar sano, che
infermo? E certamente ben disse ciò,
perché Dio non viene già glorificato dalle opere nostre, ma dalla
nostra rassegnazione, e conformità al suo Santo volere. Perciò
diceva ancora S. Francesco di Sales, che si serve più Dio col
patire, che coll’operare.
Molte
volte ci mancheranno i medici, le medicine, o pure il medico non
giungerà a conoscere la nostra infermità, ed in ciò anche bisogna,
che ci uniformiamo alla divina volontà, la quale ciò dispone per
nostro bene. Si arra d’un uomo divoto di S. Tommaso Cantuariense
(l. 5, c. 1) ch’ essendo infermo andò al sepolcro del Santo per
ottenere la sanità. Ritornò sano alla Patria, ma poi disse fra se:
mae l’infermità più mi giovasse a salvarmi, questa sanità che mi
serve? Con questo pensiero ritornò al sepolcro, e pregò il Santo,
che chiedesse a Dio quello, che gli era più espediente per la salute
eterna, e fatto ciò ricadde nell’infermità, ed egli se ne stette
tutto ciò contento, tenendo per fermo, che Dio così disponeva per
suo bene. Narra il Surio similmente, che un cieco ricevè la vista
per intercessione di S. Bedasto Vescovo; ma dopo fece orazione, che
se quella vista non era espediente per l’anima sua, tornasse ad
esser cieco, ed avendo orato, rimase cieco, come prima. Allorchè
dunque stiamo infermi, il meglio è che non cerchiamo nè
l’infermità, nè la sanità, ma ci abbandoniamo nella volontà di
Dio, acciò disponga di noi come li piace. Ma se vogliamo cercar la
sanità, domandiamola almeno sempre con rassegnazione, e con
condizione, se la sanità del corpo è conveniente alla salute
dell’anima: altrimenti una tal preghiera sarà difettosa, nè sarà
esaudita, poiché il Signore non esaudisce tali sorte di preghiere
non rassegnate.
Il
tempo dell’infermità io lo chiamo pietra di paragone degli
spiriti, perché in quello si scopre di qual carato è la virtù, che
possiede un’anima. Se quella non s’ inquieta, non si lamenta, non
cerca, ma ubbidisce ai medici, ai Superiori, e se ne sta tranquilla,
tutta rassegnata nella divina volontà, è segno, che in lei vi è
fondo di virtù. Ma che deve dirsi poi d’un infermo, che si
lamenta, e dice ch’ è poco assistito dagli altri? che le sue pene
sono insopportabili? che non trova rimedio, che gli giovi? che il
medico è ignorante; e talvolta si lagna ancora con Dio, che troppo
calchi la mano? Racconta S. Bonaventura nella vita di S. Francesco
(cap. 14) che stando il Santo travagliato straordinariamente da
dolori, uno de’ suoi Religiosi troppo semplice gli disse: Padre,
pregate Dio, che vi tratti un poco più dolce, perché pare, che
calchi troppo la mano. Ciò udendo S. Francesco, diede un grido, e
gli rispose: Sentite: s’io non sapesse, che ciò, che dite, nasce
da semplicità, non vorrei più vedervi, avendo voi ardito di
riprendere i giudizi di Dio. E ciò detto, benchè molto debole, ed
estenuato dal male, si buttò dal letto in terra, e baciandola,
disse: Signore, io vi ringrazio di tutti i dolori, che mi mandate. Vi
supplico a mandarmene più, e così vi piace. Il mio gusto è, che
voi mi affliggiate, nè mi risparmiate punto, perché l’adempimento
della vostra volontà è la maggior consolazione, che posso ricevere
in questa vita.
A
ciò bisogna anche ridurre la perdita, che tal volta noi soffriamo
delle persone utili al nostro profitto, o temporale, o spirituale.
L’anime divote spesso fanno gran difetti circa questo punto, non
rassegnandosi alle divine disposizioni. La nostra santificazione non
ci ha da venire dai Padri spirituali, ma da Dio. Vuol’egli già,
che noi ci vagliamo de’ Direttori per la guida dello spirito,
quando ce li dà; ma quando ce li toglie, vuole che ce ne
contentiamo, ed accresciamo la confidenza nella sua bontà, dicendo
allora: Signore, voi me l’avete dato questo ajuto, ora me l’avete
tolto, sia sempre fatta la vostra volontà; ma ora supplite voi, ed
insegnatemi quel, che debbo fare per servirvi. E così similmente
dobbiamo accettare dalle mani di Dio tutte l’altre croci, che ci
manda. Ma tanti travagli, dite voi, sono castighi. Ma rispondo io, i
castighi, che Dio manda in questa vita, non sono grazie e benefici?
Se l’abbiamo offeso, dobbiamo soddisfare la divina giustizia in
qualche modo, o in questa, o nell’altra vita. Perciò dobbiamo dir
tutti con S. Agostino: Hic ure, hic
seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas:
e col S. Giobbe; Haec sit mihi
consolatio, ut affligens me dolore non parcas.
(6.10) Dee pur consolarsi, chi s’ ha meritato l’Inferno, in
vedere, che Dio qui lo castiga, poiché ciò dee molto animarlo a
sperare, che Dio voglia liberarlo dal castigo eterno. Diciamo dunque
ne’ castighi di Dio ciò, che diceva il Sacerdote Eli: Dominus
est, quod bonum est in oculis suis, faciat.
(Lib 2 Reg. 3.18)
Di
più obbiamo star rassegnati nelle desolazioni di spirito. E’
solito il Signore, quando un’anima si dà alla vita spirituale, di
abbondarla di consolatiozioni, affin di slattarla dai gusti del
mondo; ma poi quando la vede più fermata nello spirito, ritira la
sua mano, per provare il di lei amore, e vedere se lo serve, ed ama
senza paga qui in terra di gusti sensibili. Mentre
si vive (dicea S. S. Teresa), non
consiste il gaudagno in procurare di godere più Dio, ma in fare la
sua volontà. Ed in altro luogo: Non
consiste l’amore di Dio in tenerezze, ma in servire con fortezza,
ed umiltà. Ed altrove: Con
aridità, e tentazioni fa pruova il Signore de’ suoi amanti.
Ringrazi dunque il Signore l’anima, quando si vede accarezzata con
dolcezzo, ma non si deve affliggere con impazienze, quando si vede
lasciata in desolazione. Bisogna molto avvertir questo punto, perché
alcune anime sciocche vedendosi aride, si pensano, che Dio l’abbia
abbandonate, o pure, che non faccia per sees la vita spirituale; e
così lasciano l’orazione, e perdono quanto han fatto. Non v’ è
più bel tempo di esercitare la nostra rassegnazione alla volontà di
Dio, che il tempo dell’aridità. Io non dico, che voi non proviate
pena in vedervi lasciata dalla presenza sensibile del vostro Dio; non
più sensirsi una tal pena; nè può l’anima non lagnarsene, quando
lo stesso nostro Redentore se ne lagnò sulla croce: Deus
meus, ut quid dereliquisti me? (Matt.
22.46) Ma nella sua pena dee sempre tutta rassegnarsi nella volontà
del suo Signore. Tutti i Santi hanno patite queste desolazioni, ed
abbandoni di spirito. Che durezza di cuore (dicea S. Bernardo) è
quella che provo; non gusto più della lezione, non mi piace più il
meditare, non più l’orare! Per lo più i Santi sono stati in
aridità, non già in consolazioni sensibili. Queste il Signore non
le concede, se non di rado, ed agli spiriti forse più deboli, acciò
non arrestino nel cammino spirituale, le delizie, che son di premio,
ce le prepara in Paradiso. Questa terra è luogo di merito, ove si
merita col patire, il cielo è luogo della mercede, e del godere.
Perciò in questa terra, non il fervore sensibile col godere, ma il
ervore dello spirito col patire è quello, che han desiderato, e
cercato i Santi. Diceva il V. Giovanni Avila (Audi fil. c. 26): Oh
quanto è meglio stare in aridità, e tentazioni colla volontà di
Dio, che in contemplazione senza di quella!
Ma
dirai: S’ io sapessi, che questa desolazione viene da Dio, mi
starei contento; ma quel che mi affligge, e m’ inquieta, è il
timore, che venga per colpa mia, e per castigo della mia tepidezza.
Bene; togli dunque la tepidezza, ed usa più diligenza. Ma forse
perché stai in oscurità, vuoi perciò inquietarti, perciò lasciare
l’orazione, e così far doppio il tuo male? Venga l’aridità per
tuo castigo, come dici. Ma questo castigo, non te lo manda Dio?
Accettalo dunque in castigo, a te ben degno, e stringiti colla divina
volontà. Non dici tu, che ti meriti l’Inferno? ed ora perché ti
lamenti? forse tu meriti, che Dio ti consoli? Eh via contentati del
come Dio ti tratta; prosiegui l’orazione, e’ l cammino
intrapreso, e terni da oggi avanti, che i tuoi lamenti vengano da
poca umiltà, e da poca rassegnazione alla volontà di Dio. Quando
un’anima va all’orazione, non può cavarne maggior profitto, che
unirsi alla volontà divina; onde rassegnati, e dì: Signore, io
accetto questa pena dalle vostre mani, e l’accetto per quanto a voi
piace; se volete ch’ io stia così afflitto per tutta l’eternità
io son contento. E così quell’orazione benchè penosa to gioverà
più d’ogni più dolce consolazione.
Ma
bisogna pensare, che non sempre l’aridità è castigo, ma alle
volte disposizione di Dio per nostro maggior profitto, e per
conservarci in umiltà. Acciocchè S. Paolo non s’ invanisse de’
doni ricevuti, il Signore permettea, che fosse tormentato da
tentazioni impure. Ne magnitudo
revelationum extollat me, datus est mihi stimulus carnis meae,
Angelus Sathanae, qui me colaphizet. (1
Cor. 17.7) Chi fa orazione con dolcezze, non fa gran cosa.
Est amicus socius mensae, et non permanebit in die necessitatis.
(Eccl. 6.10) Voi non terrete per vero amico, chi solo vi accompagna
nella vostra mensa, ma chi vi assiste ne’ travagli, e senza suo
utile. Quando Dio manda oscurità, e desolazione, allora prova i veri
suoi amici. Palladio pativa gran tedio nell’orazione, andò a
trovare S. Macario, e quegli gli disse: Quando
il pensiero ti dice, che lasci l’orazione, rispondigli: Io per amor
di Gesù Cristo mi contento di star qui a custodire le mura di questa
cella. Questa dunque è la risposta,
quando ti senti tentato a lasciar l’orazione; perché ti pare di
perdervi il tempo, dì allora: Io sto qui per dar gusto a Dio. Dicea
S. Francesco di Sales, che se nell’orazione altro non facessimo,
che discacciare distrazioni, e tentazioni, pure l’orazione è ben
fatta. Anzi dice il Taulero, che a chi persevera nell’orazione
coll’aridità, Dio farà una grazia maggiore, che se avesse orato
molto con molta divizione sensibile. Narra il P. Rodriguez d’un
certo, il quale dicea, che in quaranta anni d’orazione non avea mai
provata alcuna consolazione, ma che ne’ giorni che la facea, si
sentiva forte nelle virtù; quando all’incontro la lasciava, in
quel giorno provava una tal debolezza, che lo faceva inetto ad ogni
cosa di buona. Dicono S. Bonaventura e’ l Gersone, che molti
servono più Dio col non avere il raccoglimento desiderato, che se
l’avessero, perché così vivono più diligenti, e più umiliati;
altrimenti forse s’ invanirebbero, e sarebbero più tepidi,
pensando d’aver già trovato ciò, che cercavano. E quel, che
dicesi dell’aridità, dicesi ancora delle tentazioni. Dobbiamo noi
procurare di schivar le tentazioni; ma se vuole Dio, o permette, che
noi siamo tentati contro la fede, contro la purità, o contro altra
virtù, non dobbiamo lamentarci, ma anche in ciò rassegnarci al
divino volere. A S. Paolo che pregava d’esser liberato dalla
tentazione d’impurità, rispose il Signore: sufficit
tibi gratia mea. E così anche noi, se
vediamo, che Dio non ci esaudisce in esimerci da qualche tentazione
molesta, diciamo: Signore, fate voi, e permettete quel che vi piace,
mi basta la vostra grazia; ma assistetemi, acciò non la perda mai.
Non le tentazioni, ma il consenso alla tentazione, ci fa perdere la
divina grazia. Le tentazioni quando le discacciamo, ci mantengono più
umili, ci acquistano più meriti, ci fan ricorrere più spesso a Dio,
e così ci conservano più lontani dall’offenderlo, e più ci
uniscono al suo santo amore.
Finalmente
bisogna, che ci uniamo colla volontà di Dio circa il punto della
nostra morte, e per quel tempo, ed in quel modo, che Dio la manderà.
S. Geltrude (l. 1. Vita c. 11) salendo un giorno una collina,
sdrucciolò, e cadde in una valle. Le dimandarono poi le compagne, se
avesse avuto paura di morire senza Sagramenti? Rispose la Santa: Io
desidero molto di morire coi Sagramenti, ma fo più conto della
volontà di Dio, perché tengo la miglior disposizione, che possa
aversi a ben morire, sia di sottoporsi a ciò, che Dio vorrà; perciò
io desidero qualunque morte, che piacerà di darmi al mio Signore.
Narra S. Gregorio ne’ suoi Dialoghi (l. 3. c.37), che i Vandali
avendo condannato a morire un certo Sacerdote chiamato Santolo, gli
diedero poi facoltà di scegliersi qual sorta di morte volesse; il
santo uomo ricusò di eleggere, ma disse: Io sono nelle mani di Dio,
e riceverò la morte, ch’ egli permetterà, che voi mi facciate
soffrire, nè io voglio altra, che quella. Quest’ atto piacque
tanto al Signore, che avendo quei barbari determinato di farli
tagliar la testa, fè arrestare il braccio del carnefice, e con tal
miracolo quelli si piegarono a concedergli la vita. Circa dunque il
modo, quella per noi dobbiamo stimate la miglior morte, che Dio ci
avrà determinata. Savateci Signore (diciamo sempre, allorchè
pensiamo alla nostra morte), e poi fateci morire, come a voi piace.
Così
ancora dobbiamo uniformarci al quando del nostra morte. Cos’ è
questa terra, se non una carcere dove stiamo a patire, ed in pericolo
di perdere Dio ogni momento? Questo facea gridare a Davide: Educ
de custodia animam meam. (Ps. 141.8)
Questo timore facea sospirare la morte a S. Teresa, la quale sonando
l’orologio, tutta si consolava, pensanso, ch’ era passata un’ora
della sua vita, un’ora di pericolo di perdere Dio. Diceva il P. M.
Avila, che ognuno il quale si trovasse con mediocre disposizione, dee
desiderar la morte per ragion del pericolo, in che si vive di perder
la divina grazia. Che cosa più cara, e più desiderabile, che con
una morte assicurarci di non potere più perdere la grazia del nostro
Dio? Ma io, tu dici, non ho fatto niente ancora, niente ho acquistato
per l’anima. Ma se Dio vuole, che ora termini la vata, che faresti
appresso, se viveresti contro la volontà di Dio? E chi sa se allora
faresti quella morte, che ora puoi sperare di fare? Chi sa se mutando
volontà, caderesti in altri peccati, e ti danneresti? E poi s’
altro non fosse, vivendo non puoi vivere senza peccati, almeno
leggieri. Cur
(dunque asclamava S. Bernardo) cur vitam
desideramus, in qua quanto amplius vivimus, tanto plus peccamus?
(Med. c.8) Ed è certo, che più dispiace a Dio un solo peccato
veniale, che non gli piacciono tutte le opere sante, che noi possiamo
fare.
Dico
di più, chi poco desidera il Paradiso, dà segno di poco amore a
Dio. Chi ama, desidera la presenza dell’amato; ma noi non possiamo
vedere Dio, se non lasciamo la terra; e perciò tutti i Santi han
sospirata la morte, per andare a vedere il loro amato Signore. Così
sospirava S. Agostino. Eja moriar, ut te
videam. Così S. Paolo:
Desiderium habens dissolvi, et esse cum Cristo
(ad Philip. 1.28) Così Davide: Quando
veniam et apparebo ante faciem Dei?
(Psal. 41.3) E così tutte l’anime innamorate di Dio. Narra un
Autore (Flores Enrel. Graul. 4. c. 68) che andando un giorno un
Cavaliere a caccia in una selva, udì un uomo, che dolcemente
cantava; s’ inoltra, e trova un povero lebbroso mezzo fracido; gli
dimanda s’ egli era, che cantava? Sì (rispose quegli), io sono,
signore, quello, che cantava. E come mai puoi cantare, e star
contento con tanti dolori, che ti van togliendo la vita? Rispose il
lebbroso: Fra Dio, Signor mio, e me non v’ è altra cosa di mezzo,
che questo muro di fango, che è questo mio corpo; tolto via questo
impedimento, anderò a godere il mio Dio. E vedendo io, che ogni
giorno mi si va disfacendo a pezzi, mi rallegro, e canto.
Per
ultimo anche ne’ gradi di grazia, e di gloria bisogna, che noi ci
uniformiamo al divino volere: dobbiamo sibbene stimare le cose di
gloria di Dio, ma più la sua volontà: dobbiamo desiderare d’amarlo
più de’ Serafini, ma non dobbiamo poi volere altro grado d’amore,
se non quello, che il Signore ha daterminato di donarci. Dice il P.
M. Avila (Audi filia c.12): Io non
credo, che vi sia stato Santo, che non abbia desiderato d’esser
migliore di quello, ch’ era; ma ciò non togliea loro la pace,
perché non lo desideravano per propria cupidità, ma per Dio, della
cui distribuzione si tenevano contenti, benchè avesse dato loro
meno: stimando per vero amore più il contentarsi di quel che Dio
dava loro, che’ l desiderare di aver molto.
Il che viene a dire, come spiega il P. Rodriguez (trat. 8. c. 30),
che sebbene dobbiamo noi esser diligenti nel procurar la perfezione
per quanto possiamo, affinchè non ci serva di scusa la propria
tepidezza, e pigrizia, come fanno alcuni con dire: Dio me l’a da
dare: io non posso più, che tanto; nondimeno quando poi manchiamo,
non dobbiamo perder la pace, e la conformità alla volontà di Dio in
aver permesso il nostro difetto, nè perderci d’animo; alziamoci
subito allora da quello: umiliandoci col pentimento, e cercando
maggior ajuto dal Signore, proseguiamo il cammino. Così parimente,
ancorchè ben possiamo desiderare di giunger in cielo al coro de’
Serafini, più gloria a Dio, e per maggiormente amarlo; dobbiamo noi
però rassegnarci al suo santo volere, contentandoci di quel grado,
che si degnerà di darci per sua misericordia.
Sarebbe
poi un difetto troppo notabile il desiderare di aver doni di orazione
sovranaturale, e precisamente d’estasi, visioni, e rivelazioni; che
anzi dicono i maestri di spirito, che quelle anime, le quali son
favorite da Dio di simili grazie, debbono pregarlo a privarnele,
acciocchè l’amino per via di pura fede, ch’ è la via più
sicura. Molti sono giunti alla perfezione senza queste grazie
sovranaturali, le sole virtù son quelle che sollevano l’anime alla
santità, e principalmente l’uniformità alla volontà di Dio. E se
Dio non vuole innalzarci a grado sublime di perfezione, e di gloria,
conformiamoci in tutto al suo santo volere, pregandolo che ci salvi
almeno per la sua misericordia. E facendo così, non sarà poca la
mercede, che per la sua bontà ci donera il nostro buon Signore, il
quale ama sopra tutto le anime rassegnate.
In
somma dobbiamo mirar tutte le cose, che ci accadono, e ci avranno da
accadere, come procedenti dalle divine mani. E tutte le nostre azioni
dobbiamo indrizzarle a questo solo fine, di far la volontà di Dio, e
farle solo perché Iddio le vuole. E per andare in ciò più sicuri,
bisogna, che dipendiamo dalla guida de’ nostri Superiori in quanto
all’esterno, e dai Direttori in quanto all’interno, per intender
da essi ciò che vuole Dio da noi; avendo gran fede alle parole di
Gesù Cristo, che ci ha detto, Qui vos
audit, me audit. (Luc. 10. 16) E sopra
tutto attendiamo a servire Dio per quella via, per cui vuole Dio
esser da noi servito. Dico ciò, affinchè evitiamo l’inganno di
taluno, che perde il tempo a pascersi col dire: Se stassi in un
deserto, s’ entrassi in un Monastero, se andassi in altro luogo
fuori di questa casa, lontano da questi parenti o compagni, mi farei
santo, farei le tali penitenze, farei tanta orazione. Dice, farei,
farei; ma frattanto, soffrendo di mala volgia quella croce, che Dio
gli manda, in somma non camminando per quella via, che vuole Dio, non
si fa santo, anzi va di male in peggio. Questi desideri alle volte
son tentazioni del demonio, poiché non saranno secondo la volontà
di Dio, onde bisogna discacciarli, ed animarci a servire il Signore
per quella sola strada, che egli ci ha eletta. Facendo la sua
volontà, certamente ci faremo santi in ogni stato dove il Signore ci
pone. Vogliamo dunque sempre solo quel che vuole Dio, che facendo
così, egli ci stringerà al suo cuore; ed a tal fine facciamoci
familiari alcuni passi della Scritura,che c’ invitano ad unirci
sempre più colla divina volontà. Domine,
quid me vis facere? Dio mio, ditemi,
che volete da me, ch’ io tutto tutto voglio farlo? Tuus
sum ego, salvum me fac. (Ps. 18.94) Io
non sono più mio; son vostro, o mio Signore, fatene di me quel che
volete voi. Quando specialmente ci avviene qualche accersità più
pesante, morte di parenti, perdita di bene, e simili: Ita
Pater (diciamo sempre), ita
Pater, quoniam sic fuit placitum ante te.
(Matt. 11.26) Sì Dio mio, e Padre mio, così sia fatto, perché così
è piacuto a voi. Sopra tutto ci sia cara l’orazione insegnataci da
Gesù Cristo: Fiat voluntas tua sicut in
caelo, et in terra. Disse il Signore a
S. Caterina da Genova, che sempre chè dicesse il Pater
noster, particolarmente sifermasse su
queste parole, pregando, che la di lui santa volontà si adempisse in
essa, colla stessa perfezione, con cui la fanno i Santi in cielo.
Facciamo così ancora noi, e ci faremo certamento santi.
Sia
sempre amata, e lodata la divina volontà, e la B. Vergine Maria
immacolata.
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