Elia
è il profeta del Dio vivente: il suo nome stesso, che significa:
“JHWH è Dio”,
è il vero programma della sua vita. E’
davvero uno dei più grandi uomini dell’Antico Testamento: l’uomo
che sta alla Presenza del suo Dio. Lo zelo è il tratto essenziale
della sua fisionomia e il suo simbolo il fuoco (Sir 48,1). Porta un
messaggio molto rivoluzionario e originale, che si comprenderà
meglio però alla conclusione della sua stessa vicenda. Il racconto
biblico lo fa apparire, più di una volta, quasi all’improvviso,
come una folgore, per trasmettere la parola di Dio.
L’empietà
di Acab e Jezabele
Nativo
di Tisbe, Dio lo aveva mandato al re di Samaria, Acab, che si era
reso gravemente colpevole, istigato dalla perversa moglie Jezabele,
per aver servito l’idolo Baal, e per essersi prostrato dinanzi a
lui. Gli aveva eretto anche un altare e un palo sacro, irritando
così il Signore Dio d’Israele, più di tutti i suoi
predecessori. Per questo l’ira del Signore si era scatenata su di
lui facendo risuonare la parola punitrice del profeta: “Per la vita
di Jhwh, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto: in questi anni
non ci sarà né rugiada, né pioggia, fino
a quando io lo dirò”
(I Re, 17,1 ss). Perseguitato per questo da Acab, Elia, sempre per
volere di Dio, rimane nascosto presso il torrente Cherit, nel folto
verdeggiante e nelle grotte che si trovavano sul pendio, mentre i
corvi gli portavano da mangiare. Egli beveva al torrente, che presto
però si prosciugò; seguendo sempre la voce del Signore Elia
cercò rifugio a Sarepta, a sud di Sidone, recandosi da una vedova,
per avere un po’ di cibo. Così questa donna, che praticava la
grande virtù orientale dell’ospitalità, gli offrì il poco
cibo che le rimaneva, vedendo con gioia la moltiplicazione della
farina e dell’olio nella giara; vide anche con stupore che il suo
unico figlioletto morto, per la preghiera di intercessione del
profeta, era ritornato in vita. Jezabele, la malvagia moglie di Acab,
aveva meditato la sua vendetta contro Elia. Ella che era figlia del
re di Tiro e sacerdote di Astarte, vedeva nella sua religione un
mezzo per civilizzare tutta la Samaria. Ordinò dunque un giorno un
massacro generale dei profeti di Jhwh, a cui poterono sfuggire solo
un centinaio di persone, per la protezione di Abdia, maestro di
palazzo, che seguiva il vero Dio, Jhwh. Elia trascorse a Sarepta tre
lunghi anni, quando Dio stesso gli si rivolse ancora, per mandarlo ad
Acab e far cessare la tremenda siccità.
Il
monte Carmelo: luogo della sfida
Lo
scontro fra i due personaggi è forte e tagliente. Elia ordina
allora ad Acab di convocare sul Carmelo il popolo d’Israele e la
comunità dei 450 profeti di Baal, sostenuti dalla regina Jezabele,.
Vengono così a confronto due visioni religiose: quella del Dio
vivente e quella di Baal di Tiro. La scena è davvero drammatica.
Elia, che si proclama l’unico profeta rimasto fedele a Jhwh, lancia
la sfida inesorabile, rimproverando il popolo per la sua incoerenza:
si tratta di decidere chi è Dio. Se lo è Jhwh, Baal non solo è
superato, ma neppure esiste. L’evento è pieno di umorismo, nelle
parole di Elia ai profeti e nei suoi stessi gesti. (I Re 18,19). Ed
ecco che la voce dei profeti di Baal, che gridano e danzano, ebbri
fino al delirio, intorno all’altare posto al centro, invocando il
loro Dio, rimane inascoltata: Elia, dopo averli espressamente derisi,
«... prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei
discendenti di Giacobbe. Con le pietre eresse un altare al Signore;
scavò intorno un canaletto... dispose la legna, squartò il
giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse: “Riempite quattro
brocche d’acqua e versatele sull’olocausto e sulle pietre”».
Lo fece fare per tre volte. La risposta di Dio alla voce di Elia che
gli si era rivolto per essere esaudito nella sua richiesta, è
bellissima e quanto mai incisiva: «Cadde il fuoco del Signore e
consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere,
prosciugando l’acqua del canaletto. A tale vista tutti,
prostrandosi a terra dissero: “Il Signore è Dio, il Signore è
Dio!”». Immediatamente Elia, ordina alla folla di afferrare i
profeti di Baal per ucciderli. L’idolatria è vinta! Il quadro è
veramente suggestivo e impressionante.
Scroscia
la pioggia
Elia,
secondo la parola di Dio, deve ancora dire ad Acab che presto
ritornerà a piovere nel paese: lo fa dopo essersi portato con il
giovane che lo serviva a scrutare il cielo e a pregare per questo. Il
giovane, invitato a guardare il cielo sette volte, alla fine vede una
piccola nuvola, indice che la pioggia è prossima. Elia va ad
avvisare Acab di attaccare subito i cavalli per tornare ad Izreel: la
pioggia infatti cade subito a dirotto.
La
prova di Elia
Eppure
in questo profeta dalla linea ferrea, è vivo anche un senso di
umanità e di povertà quando è colto dallo scoraggiamento; è
vivo anche il senso della misericordia verso coloro che sono
sopraffatti dall’ingiustizia o dalla sofferenza. Elia infatti, fino
a questo momento, è stato un uomo molto sicuro di sé, desideroso
di mostrare la sua potenza e la sua forza e di essere vittorioso
sugli altri, anche al di là della Parola di Dio: ha ricercato
insomma più se stesso, facendosi vedere uomo coraggioso e capace di
farsi valere. Per trovare veramente Dio deve percorrere ancora un
lungo cammino di prova, che lo renderà più umile, meno sicuro di
sé: egli dovrà nascondersi per dare a Dio il suo vero posto.
Jezabele manda messaggeri ad intimidirlo e a minacciarlo di morte.
Elia allora, prima così pieno di sé e dell’aiuto del suo Dio,
è stranamente preso da una forte crisi e fugge, profondamente
intimidito da questa minaccia.
La
nuova esperienza di Dio
Deve
tornare, per riprendere l’antica fiducia, all’Oreb, alle sorgenti
della pura fede. Non si sente migliore dei suoi Padri e chiede al suo
Dio di farlo morire. Si addormenta sotto un ginepro. Un angelo lo
sveglia e gli ordina di alzarsi e di mangiare. Elia con il pane
offertogli e con l’acqua dell’orcio che gli è posto dinanzi,
riesce a riprendere forza e a rimettersi in cammino. Andrà così
fino all’Oreb, attraversando per quaranta giorni e quaranta notti
il deserto, misteriosamente incoraggiato e nutrito. Se prima Elia si
era mostrato come l’eroe che combatte per Dio, da questo momento,
egli ritraendosi nel deserto, si immedesima con la Parola di Dio.
Vuole attendere che Dio gli si manifesti, prima che egli stesso
parli. Lo stile letterario esprime
a questo punto la nuova
esperienza di Dio: è essenziale, sobrio, scarno. Elia si rifugia in
una caverna, sulla cima del monte. Probabilmente pensa, come Mosé,
di incontrarsi con Dio. Ma Dio non gli si mostra né nel vento
forte, né nella tempesta, né nel fuoco, con tutti i suoi fenomeni
impressionanti. Egli allora si copre col mantello ed esce, fermandosi
all’ingresso della caverna. Siamo in un clima che sottolinea la
trascendenza: l’ebraico esprime la forte esperienza che Elia fa di
Dio con queste parole: «qol demamah daqqa», ossia una “voce di
silenzio svuotato”; sono parole difficili da interpretare che
indicano la sua profonda estasi.. Parlano di un silenzio, che non è
il silenzio che si ha perché mancano i suoni, ma di un silenzio
cercato, che parla di ricerca, che non viene da sé. Di un silenzio
perciò «procurato». Elia arriva così ad una conoscenza più
reale di quel Dio, alla cui presenza vive, che è tale da cambiare
la sua persona, da renderlo diverso, veramente “uomo di Dio”.
Egli, dopo la crisi e la dura prova, si rivela d’ora in poi il vero
contemplativo, il primo monaco, padre dei futuri monaci, che conosce
in questa “voce di silenzio svuotato”, qualcosa di più profondo
e vero della realtà divina. E ne rimane letteralmente trasformato.
Il suo incontro è portatore di intimità, di profondo silenzio, di
forza: Elia diventerà l’uomo umile, che si nasconde dietro la
Parola di Dio. Questo fatto è il segno evidente dell’importanza
che l’esperienza dell’Oreb ha avuto per la sua vita. C’è qui
una rivelazione nuova del volto di Dio, inattesa. Elia mettendosi
nelle mani di questo Dio, da ora in poi dovrà cambiare vita: non
agirà più come prima in virtù della sua volontà, ma
aspetterà che veramente il Signore gli parli, facendo solo così
la Sua volontà. Un angelo gli affida una triplice investitura: di
Hazael come re di Damasco, di Jehu come re d’Israele, di Eliseo
come profeta. Così ha termine il grande incontro.
Le
ultime vicende
Le
ultime vicende, dopo la discesa dal monte sono più sfumate; dopo
aver rimproverato aspramente Acab, secondo la Parola di Dio, per
l’assassinio di Nabot (I Re 21,1), Elia riappare alla morte di
Acazia, ove per due volte fa scendere il fuoco dal cielo sui soldati
mandati a lui dal re. Una terza volta consente di andare presso
Acazia, confermando l’annuncio della sua morte , a causa della sua
infedeltà.
Il
carro di fuoco
L’itinerario
di Elia si svolge in due tempi fondamentali: da una parte
l’esperienza dell’Oreb che cambia la sua vita e dall’altra
l’apoteosi finale, il suo rapimento mistico. Elia scompare in
circostanze dense di chiarezza e ancor più di mistero. Parte da
Galgala per Betel e poi per Gerico con Eliseo, che presago della sua
fine, vuole seguirlo, nonostante le sue insistenze di rimanere solo.
Sulle rive del Giordano le acque, percosse dal mantello di Elia, si
aprono. Egli si decide finalmente a riconoscere che sta per essere
rapito in cielo e chiede ad Eliseo che cosa debba fare per lui. “Due
terzi del tuo spirito diventino miei” dice Eliseo (2 Re, 2,7ss). I
due terzi, nella mentalità ebraica, rappresentano la parte di
eredità spettante al primogenito. Eliseo vuole essere riconosciuto
quale primogenito del profeta Elia. Al che Elia risponde: “Se mi
vedrai, ciò ti sarà concesso”. Eliseo vedrà Elia, in una
specie di estasi profetica, con l’apparire del carro di fuoco e dei
cavalli di fuoco e con l’improvviso suo elevarsi nel turbine,
inseguito dal suo grido di figlio, cui il padre è strappato: Eliseo
soffre per la dipartita del suo maestro, ma pur essendo “il suo
discepolo” non riesce a comprendere bene cosa sia successo. Egli si
strappa le vesti e raccoglie il mantello di Elia: non capisce che il
profeta in una grande estasi, è salito al cielo, quasi in una
ascensione, anticipatrice di quella che sarà poi l’ascensione di
Gesù stesso.
Elia
primo monaco
Nella
figura del profeta Elia si sente il fascino dell’archetipo,
dell’esemplare, pronto ad obbedire al suo Dio: Egli è fuoco e
acqua, zelo e misericordia, azione e contemplazione. “...Unico nel
tuo coraggio, possente nella tua audacia, tu corresti impavido in
soccorso della verità...”, dice l’Ecclesiastico. C’è in
Elia qualcosa di ricco e profondo: egli dopo la crisi del deserto,
diviene l’uomo del distacco, dell’obbedienza, della purezza
interiore e della preghiera. Forte è in lui il desiderio e la
speranza di vedere il suo Dio, di essere in comunione con lui, quando
è afferrato dalla Carità; Carità che trabocca nello sforzo di
poterla comunicare ad altri, allontanandoli dal male. E’ diventato
così, in un certo modo, Padre di tutto il monachesimo. Il luogo
sacro per Elia non è più al di fuori, come il tempio di
Gerusalemme: il suo santuario è dentro e viene percorso
interiormente; è un pellegrinaggio interiore per incontrare il Dio
vivo e vero. Leggendo il testo, illuminati dall’esperienza
cristiana, ci si trova bene in sintonia con la parola stessa di
Gesù: «Né sul Garizim né a Gerusalemme adorerete Dio, ma il
Padre si adora in spirito e verità» (Gv 4, 20 –24). Questa
esperienza storica di Elia, davvero originale, per molto tempo non è
stata compresa, nel secondo secolo avanti Cristo è stata ripresa in
parte dagli Esseni, i membri del popolo di Israele che si ritiravano
nel deserto per una vita rigorosa per aderire a Dio secondo la Torah,
praticata nella comunità di Qumran. Ma è un tesoro nascosto, che
va tutt’ora ripenetrato e riscoperto. L’esperienza monastica lo
farà risorgere, di generazione in generazione. É consegnata in
eredità come un mantello: il Carmelo lo ha indossato e ne ha fatto
il suo baluardo, considerando il S. Padre Elia come capostipite di
tutti i suoi figli di ogni generazione.
Elia
nella tradizione del popolo ebraico
Elia
nella liturgia ebraica è presente nel rito di Pesach: un posto è
lasciato vuoto proprio per richiamare la sua presenza. Racconta
Chouraqui: «il mondo in cui noi vivevamo era popolato da presenze
ineffabili di cui eravamo i soli a conoscere il segreto. Il profeta
Elia quindi era seriamente atteso in ogni pasto di Pasqua, in ogni
famiglia. Gli si preparava sedia e coperto». Narrano le leggende
ebraiche che la pelle del capro sacrificato da Abramo servì ad Elia
come cintura. Elia è considerato il patrono degli studenti della
Torah e interviene nelle difficoltà legate allo studio «Si
conserverà tutto questo così fino alla venuta del profeta Elia»
afferma il trattato talmudico delle Benedizioni (24a). Ruolo di
maestro e guida che anche i carmelitani sottolineeranno. Nel rito
della circoncisione Elia è considerato presente. Edith proprio nel
giorno in cui la Chiesa fa memoria della circoncisione di Gesù,
ricevette il Battesimo. Negli ultimi giorni sarà ancora Elia che
raccoglierà il popolo sparso sulla terra: «Se i vostri sono ai
quattro angoli del cielo, da là le parole del Signore, vostro Dio,
vi riuniranno alla voce di Elia, il grande prete e da là Elia vi
condurrà per le mani del Messia Re».
Elia
nella tradizione musulmana
I
mussulmani chiamano Elia EL KHADER, il Verdeggiante nel Corano alla
Sura XXXVII si dice di Elia: «In verità Elia era uno degli
Inviati. Disse al suo popolo: «Non sarete timorati di Allah?».
Invocherete Baal e trascurerete il Migliore dei creatori: Allah, il
vostro Signore e il Signore dei vostri avi più antichi? Lo
trattarono da bugiardo. Infine saranno condotti al castigo, eccetto i
servi devoti di Allah. Perpetuammo il ricordo di lui nei posteri.
Pace su Elia! Così ricompensiamo coloro che fanno il bene. In
verità era uno dei nostri servi credenti.
Teresa
Benedetta della Croce e il profeta Elia
S.
Teresa Benedetta della Croce ha molto amato il profeta Elia. Citiamo
alcuni passi delle sue opere che ne mettono in risalto la figura:
Commentando un passo della Regola carmelitana ella scrive:
“Meditare
nella legge del Signore“ può essere una forma di preghiera quando
assumiamo la preghiera nel suo ampio senso abituale. Ma noi pensiamo
al “vigilare nella preghiera” come all’inabissarci in Dio, come
è proprio della contemplazione, allora la meditazione ne è solo
una via». «Vegliando in preghiera, esprime lo stesso che Elia disse
con le parole: “Stare davanti al Volto del Signore”... La
preghiera è guardare in alto al Volto dell’Eterno. Lo possiamo
solo quando lo Spirito veglia nelle ultime profondità, sciolti da
ogni attività e godimento terreno, che lo attutiscono. Essere
vigilanti con il corpo non garantisce quest’essere vigilanti e la
quiete, desiderata secondo la natura, non lo impedisce». «Non
abbiamo il Salvatore solo nelle narrazioni dei testimoni sulla sua
vita. Egli è presente a noi nel Santissimo Sacramento, e le ore di
adorazione dinanzi al Massimo Bene, l’ascolto della voce del Dio
eucaristico sono: “meditare la Legge del Signore” e “vigilare
nella preghiera” nel contempo». «Elia ritornerà come testimone
della rivelazione segreta, quando si avvicinerà la fine del mondo,
nella lotta contro l’Anticristo per patire la morte dei martiri per
il suo Signore».
Ella
parla del popolo ebraico:
La
Chiesa era fiorita, ma lontano rimaneva la massa del popolo, lontano
dal Signore
e da sua Madre, nemico della Croce. Esso erra qua e là
e non può trovare riposo, oggetto di scherno e di disprezzo: Tale
rimarrà fino all’ultima battaglia. allora prima che la Croce nel
cielo appaia, prima ancora che Elia venga a radunare i suoi, il Buon
Pastore in silenzio percorrerà le nazioni.
«Nella
sua festa che festeggiamo al 20 luglio, il prete va all’altare con
i paramenti rossi...In questo giorno il convento dei nostri padri sul
monte Carmelo, che racchiude la grotta di Elia, è meta di folte
schiere di pellegrini: ebrei, musulmani e cristiani di tutte le
confessioni gareggiano nell’onorare il grande profeta».
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