INTRODUZIONE
Avvicinandoci
all'esperienza terrena di S. Veronica Giuliani, la cosa che più ci
sorprende è quella di scoprirla una persona come noi, vicina alla
nostra esperienza di creature fragili e imperfette. Forse questa
affermazione a qualcuno sembrerà un paradosso, ma immergersi nella
lettura del suo diario, fin dalle prime pagine che narrano la
sua infanzia, è un po' come ritrovare qualcosa di noi stessi. A
soli 17 anni Orsola, questo è il suo nome di battesimo, diventa sr.
Veronica entrando, nel Monastero delle Cappuccine di S. Chiara, a
Città di Castello, monastero che oggi porta il suo nome. Per
obbedienza al suo confessore, e poi al vescovo, lì ella ricorda gli
anni dell'infanzia, la sua vocazione che sembra essere nata con
lei; descrive minuziosamente i suoi colloqui con Dio e con la
Madonna. Ogni giorno registra fedelmente ciò che vive nell'intimità
del "giardino chiuso" della clausura conventuale: le
prove e le aridità di spirito; le sofferenze fisiche e interiori;
l'infinita varietà di esperienze mistiche che, passando
attraverso la stimmatizzazione, culminano nello sposalizio
celeste.
Il
silenzio rigoroso della Regola cappuccina, è il fondamento
necessario della sua vita di preghiera e in lei diviene ascolto di
Dio che le parla, applicazione prima, rapimento, poi unione
trasformante: "Dio fa con l'anima mia come il ferro con la
calamita".
Procedendo
nella lettura del Diario, ci succederà di affezionarci a tal
punto a Veronica da farne la nostra compagna di viaggio, amica e
confidente, guida e maestra, in una vita che sarà a poco a poco
sempre più trasfigurata; sofferta sì, ma offerta nella gioia, nella
pace, nell'abbandono incondizionato alla Sapienza e Misericordia di
Dio.
"A
maggior gloria di Dio e per adempiere il suo santo volere, con mia
mortificazione e rossore, incomincio dunque a mettere in esecuzione
il comando che VR. m'impone in virtù di santa obbedienza, di
manifestarvi il principio della mia vita".
Capitolo
I
L'INFANZIA
"Da
piccola tutti mi chiamavano fuoco"
"Così
a cinque anni ... a chi facevo un dispetto, a chi un altro. Non so
cosa vi fosse: penso venisse dalla bontà delle mie sorelle, perché
più le crociavo [importunavo], più bene mi volevano; non solo
loro, ma tutti di casa. Io ero di proprio capo, e, come volevo una
cosa, non mi quietavo mai finché non l'avevo vinta. Ero la più
piccola, ma volevo stare sopra tutte, e tutte volevo che facessero a
mio modo; e in effetti mi contentavano in tutto".
Orsola,
nasce a Mercatello sul Metauro il 28 dicembre 1660. È graziosissima:
capelli biondi; grandi occhi azzurri, profondi e penetranti; un
viso perfetto, dolcissimo, dai lineamenti delicati e, quando
ride, le vengono le fossette nelle gote. Il suo carattere vivace
riempie di gioia e di vita tutta la casa.
Ci
diverte e ci consola sapere che anche la santa da bambina gioca,
ride, piange, si arrabbia, vive tra i contrasti del suo carattere
irruente e delle inclinazioni naturali, anche se decisamente
orientate verso un unico interesse: Dio.
"Il
mio vivere era il mangiare, il bere e il dormire: il lavoro tutto
quel poco. Quel tempo che avevo, tutto lo mettevo nel fare gli
altarini; bensì godevo che tutte le mie sorelle vi venissero a fare
l'orazione e anch'io mi mettevo a farla con loro, benché non facevo
niente: solo stavo in loro compagnia".
Orsola
ama moltissimo la sua famiglia, le sue sorelle, specialmente
dopo aver perso la mamma Benedetta a soli sei anni. Ultimogenita
di sette figlie, in casa è il centro dell'attenzione di tutti,
soprattutto del papà Francesco che l'ama con predilezione:
"Nostro
padre poi voleva che io andassi più adorna delle altre; e bene
spesso mi portava quando una vanità e quando un'altra. Mi
voleva tanto bene! Come stava in casa, sempre mi voleva appresso di
sé. Tutto ciò io gradivo ...".
È
normale che anche lei, crescendo, senta il fascino sottile delle cose
di questo mondo: è bella, elegante, simpaticissima, facoltosa, con
una carica affettiva al di sopra della normalità, consapevole di
valere, affascinante, piena di corteggiatori, insomma: Veronica
ci conquista perché è così incredibilmente umana!
Ma
proprio entrando in confidenza con questa donna, nonostante tutto
vicina alla nostra quotidianità, ci sorprendiamo ancora di più
nel constatare la singolarità degli interventi divini, delle
grazie ordinarie e straordinarie che, usando le sue parole,
hanno diluviato nella sua vita.
Conoscendo
Veronica, ci troviamo di fronte al mistero dell'uomo e di Dio: al
grande mistero dell'amore immenso di Dio per l'umanità!
Capitolo
II
PRIMI
PASSI VERSO DIO
"Mi
pare di ricordare che, di età ben piccola, anche se non camminavo da
me, quando vedevo le figure, che v'era dipinta la Beata Vergine con
Gesù in braccio, io facevo tanto finché mi facevano accostare ivi,
acciò gli potessi dare un bacio. E questo l'ho fatto più volte; ma,
una volta in particolare, mi parve di vedere detto Bambino come
creatura vivente, che mi porgeva la mano.
Camminando
ancora carponi, ogni giorno va a visitare quelle sacre immagini; non
sa ancora parlare bene ma, gesticolando per attirarne
l'attenzione, chiama il Bambino che è tra le braccia della
Vergine: "Tatto, venite con me".
Siamo
davanti a una bambina precoce attratta da tutto ciò che è divino,
anche se, forse, per lei Gesù è ancora il compagno di giochi. Ma è
proprio attraverso questi giochi, che il Signore l'attira a Sé: le
si dona e le sfugge per accrescere in lei il desiderio del
possesso di Lui.
"
... Se poi quelli di casa mi davano da far colazione, io, avanti
di mangiare, andavo a quella immagine e dicevo: - Gesù mio, venite
che io non voglio mangiare senza voi. ...
Più
volte mi ricordo che, vedendo il Bambino distendere giù la mano
per pigliare dette cose, io non gli volevo dare niente, se non veniva
con me. Io ripigliavo dette cose e fuggivo via ...".
Accomodando
sedie e banchetti a mo' di scala, Orsola vuole arrivare a dare un
bacio al Bambino ma cade e sembra farsi molto male: "Io mi
stizzivo con il Bambino Gesù. Gli andavo avanti con il capo legato e
gli dicevo: Vedete cosa mi avete fatto! A causa vostra ho rotto il
capo. E perché non venite da me?
Lasciavo
questa, e andavo da qualche altra immagine. Montai in una sedia
e banchetta, che appunto vi potevo arrivare, e pregavo Gesù Bambino
che volesse mangiare con me. Ma pensate! Non potevo avere questo
contento. Mi rivoltai alla Beata Vergine, e gli dissi: Diteli voi che
mangi, che così mangerà. Di novo [gli porsi] il boccone: Gli dicevo
che lo pigliasse. Mi pare di ricordarmi che lo prese. Io dal contento
non sapevo cosa mi facessi. Gli volevo dare un bacio, perché aveva
fatto ciò. Appena v'arrivavo! Ma anche esso lo diede a me".
Ora
ci sembra di capire meglio cosa intenda il Vangelo laddove dice: Se
non saprete farvi come bambini nella novità del cuore e della vita,
non entrerete nel Regno dei cieli.
Una
volta durante la Messa, Orsola vede Gesù Bambino nell'Ostia, al
momento dell'elevazione; gridando, vorrebbe correre verso l'altare,
ma la mamma riesce a trattenerla.
"Questo
Bambino nell'Ostia, mentre si dicevano le Messe, l'ho veduto più
volte; e delle volte vedevo il sacerdote risplendente come un sole".
Sicuramente
uno dei più sbalorditivi attributi di Dio è la semplicità, e
proprio nella semplicità Egli si rivela.
Così
un giorno mentre Orsola raccoglie i fiori nell'orto di casa, ...
"...
per portarli al Bambino Gesù, mi parve vedere Gesù Bambino ivi
vicino, che anche esso coglieva fiori, e mi disse: Io sono il vero
fiore. E parve che di volo andasse su in casa. Io corsi dietro con
passi così veloci, che non toccavo terra. Lo cercai per tutto,
dietro le porte, in tutti i luoghi; non fu possibile trovarlo".
La
madre le corre dietro ma non riesce a raggiungerla per quanto è
veloce: le chiede però cosa stia cercando. Orsola tace: " Solo
ridevo tanto di cuore, che essa ancora si mise a ridere; e mi disse:
Non sei già pazza?
Ed
io di novo andavo cercando per vedere se lo potevo ritrovare.
... Andai giù nell'orto ma non lo trovai più. Solo dissi così: Per
me state pure tutti voi fiori; io non voglio altro fiore che Gesù.
Mi restò così al vivo quella bella immagine di Gesù! Ad altro non
pensavo né altro bramavo".
Orsola
cresce, ma l'innocenza dell'infanzia continuerà a permearla
sempre e a trasparire da tutti i suoi racconti, ed è proprio
quest'innocenza che la rende un prodigio di grazia.
Capitolo
III
LA
SUA ESPERIENZA MISTICA DI GESÙ SOFFERENTE
È
il Signore che le traccia la strada e le infonde il desiderio di
soffrire come lui ha sofferto per noi sulla terra. All'età di sette
anni, per due volte durante la settimana santa, Gesù le appare
coperto di piaghe esortandola ad essere devota della sua
santissima Passione.
"La
seconda volta, quando mi comparve il Signore così piagato, mi
lasciò così impresse nel cuore le sue pene e dolori, che io ad
altro non pensavo; e come potevo ritirarmi in qualche luogo, piangevo
di molto e facevo qualche patimento; ma senza cognizione nessuna".
Dopo
quelle due esperienze, tutta la vita di Orsolina diventa una
continua ricerca del patire per amore di Gesù.
E
questa è proprio la vocazione specifica di Orsola: seguire le orme
di Cristo, in modo particolare del Cristo che si offre al Padre
per la salvezza dei peccatori.
Gesù
stesso la vuole per sé, e la prepara a diventare una vera sposa
del Crocifisso: "Mi sentivo delle volte tanta brama del patire;
e nel sentir leggere le vite dei santi avrei voluto fare tutto
quello che essi facevano; e dicevo fra me stessa: Signore
anch'io voglio esser santa per amar voi, per servir voi, e per essere
tutta vostra. Ve lo dico, Gesù mio, io non voglio altro Sposo
terreno; voglio voi per mio sposo. Mi pare di ricordare che mentre
dicevo così, sentivo certa voce nel cuore, che come eco replicava:
Sta posata, che sarai mia. Queste voci interne le sentivo spesso; ma
io come semplice e ignorante non capivo nulla"
Tuttavia
lei è in qualche modo consapevole che deve collaborare con le
ispirazioni che la grazia le infonde perché: "Sempre l'umanità
mi tirava a qualche passatempo. Ma che? Non sentivo nessun piacere,
che subito non avessi rimorso e rimprovero internamente. Sentivo un
non so che in me che mi destava sempre più di levare via da me ogni
intoppo, acciò una volta potessi essere tutta di Dio. Avevo brama di
farmi monaca, e questa mi ricordo che l'ho avuta sempre".
Capitolo
IV
GLI
ANNI DI PIACENZA
Dopo
la morte della moglie, Francesco Giuliani lascia la milizia
pontificia col grado di capitano e con l'aiuto di un amico, da
Mercatello si trasferisce a Piacenza come esattore di dazi. Quando
poi, dopo qualche anno, egli viene nominato sovrintendente delle
finanze dei Farnese, vuole con sé tutta la famiglia. Siamo nel 1669:
Orsola ha 9 anni.
"Subito
che fossimo arrivate diede ordine che andassimo vestite secondo
che richiedeva lo stato suo, e ci provvide di servi e servitori.
... e in effetti ci sentivo gusto".
Ma
il Signore, che non ci prova mai al di sopra delle nostre forze,
permette che il confessore di Orsolina la ammetta anticipatamente a
fare la prima Comunione, cosa da lei ripetutamente richiesta: "...
mi pare che in quell'atto uscissi fuori di me. Nel prendere la
santissima Ostia sentii un calore così grande che mi avvampò
tutta: in specie nel cuore sentivo come abbruciare, e non capivo in
me. Sentivo da vero che il Signore era venuto in me, e di cuore gli
dicevo: Dio mio, ora è tempo che pigliate possesso di me: tutta mi
dono a voi, voi solo io voglio.
Mi
pare di ricordare che Esso mi rispondesse: Sei mia, ed io sono tutto
tuo. A queste risposte mi sentivo consumare. Sentivo distaccarmi
dalle cose terrene, e più non mi curavo di nulla e dicevo: Dio mio
voi solo voglio, voi solo bramo".
DUE ANNI E MEZZO DI LOTTE CON SE STESSA
Ma
l'umanità di Orsolina è ancora da domare e Francesco Giuliani ha
intenzione di giocare tutte le sue carte per farla recedere dal suo
proposito: Di già vedevo che mio padre mi voleva contentare; così
gli chiesi molti passatempi e cose di mio gusto. Ebbi tutto. Orsola
sa andare a cavallo, partecipa a battute di caccia e impara pure a
tirare di scherma, con l'aiuto di un suo corteggiatore. Un giorno si
reca con il padre al gioco del lotto che si tiene in città, e per
carnevale si traveste da uomo insieme alle sue sorelle.
Ma
...
".
. . Ma che? Ogni cosa mi dava più animo di lasciare tutto, e
non vedevo l'ora di ritirarmi in qualche convento. Contuttoché stavo
fra le delizie non gustavo niente; solo andavo dicendo fra me
stessa: Io non voglio altro gusto che contentare il Signore. Colla
mia mente rivolta a lui dicevo: Dio mio, un sol pensiero voglio,
e questo sarà voi solo".
LE PROVE DI MERCATELLO
Tornata
successivamente alla patria, Orsola va a vivere in casa dello zio
Rasi, nominato da Francesco Giuliani curatore e tutore delle figlie:
"Di già sapevo che nostro padre aveva scritto allo zio che mi
desse tutti i contenti, e nessuno mi nominasse le monache. Così
si faceva ... Molto mi affliggevo e mi immalinconivo, tanto che
pensavo mi venisse gran male, come in effetti mi venne".
A
questo punto Orsola, decide di scrivere una lettera al padre per
dirgli le sue ragioni e... "alla fine videro che io non mi
sollevavo con altro che con ragionare di monache" per cui
le propongono due monasteri affinché possa scegliere.
"Venute
le dette licenze mi levai tosto dal letto, e non ebbi più male
alcuno.
Di
già ero disposta di andare dove volevano, ché per tutto andavo
volentieri. Solo mi sentivo un certo desiderio di volermi
monacare in una religione più stretta. Così il Signore mi provvide
il luogo qua, e fu cosa di miracolo".
Nonostante
tutti pensino che quello di Città di Castello sia un monastero
troppo austero per Orsolina, il 28 ottobre 1677, ella veste il
saio cappuccino, cambia il nome in sr. Veronica e, con esso,
anche la sua vita: "Il giorno che m'ebbi a vestire ebbi
molti contrasti".
Mentre
è già in chiesa per la vestizione, infatti, un gruppo di giovanotti
le grida: "Signora Sposa, avete ancora tempo; se volete dire di
no potete".
Ma
legata ormai dai lacci del vero Amore, Veronica risponde
risoluta: "V'ho ben pensato; e mi dispiace che non ho fatto ciò
molti anni fa".
Poi,
strappandosi di dosso tutti i gioielli che le dame del tempo sono
solite indossare per dare l'addio al secolo, esclama: "Non
voglio pigliare la croce con queste frascherie addosso.
Mentre
mi spogliavo di ciò cercavo di stare con la mia mente in Dio, e
facevo offerta di me stessa al Signore. So che non volli vedere più
nessuno di quanti erano in chiesa. Mai più aprii gli occhi, finché
non misi il piede in clausura".
Capitolo
V
SUOR
VERONICA CAPPUCCINA
"La
prima notte che fui vestita di questo santo abito, io stavo un poco
sossopra per la novità e la mutazione, che avevo fatto. Quando mi
vidi fra questi muri, la mia umanità non sapeva quietarsi; ma
dall'altra parte lo spirito stava tutto contento.
Ogni
cosa gli pareva poco per amor di Dio".
E
subito, in un tripudio di canti angelici, tra una moltitudine di
santi, sr. Veronica vede il Signore che dice a tutti: Questa è già
nostra.
Poi
Gesù le domanda: Dimmi che cosa vuoi? Veronica chiede tre grazie: la
prima di vivere secondo le regole del nuovo stato di vita. L'altra di
fare sempre la volontà di Dio. La terza: di rimanere sempre
crocifissa con lui.
"Tutto
mi promise di concedermi; e mi disse: Io t'ho eletto per gran cose,
ma ti converrà patire di molto per mio amore. Quest'ultima parola
restò così impressa nella mia mente, che tutti gli anni
trascorsi m'ha servito d'aiuto.
Così,
venendo qualche patire io penso per chi si deve patire".
LA SPIRITUALITA’ VERONICHIANA
L'autenticità
delle esperienze mistiche di Veronica, si riconosce proprio
dagli effetti che esse producono: un desiderio di amare sempre
meglio Dio; una grande volontà di eliminare tutto ciò che può
ostacolare l'azione dello Spirito in lei e un grande distacco dalle
cose materiali. Mai in Veronica si percepisce vanagloria, ma
solo una piena consapevolezza delle sue miserie e una sempre
maggior compunzione delle proprie colpe.
La
santa sente una particolare attrazione per un Crocifisso miracoloso
che sta nell'infermeria: "Non mi sarei mai partita da esso e
delle volte mi mettevo a discorrere con lui e di cuore dicevo: Mio
Signore mi avete da fare delle grazie. In particolare vi chiedo la
conversione dei peccatori. Esso staccò il braccio dalla croce e
mi fece segno che io mi accostassi al suo santissimo costato. In
questo mentre, non so come fosse, mi trovai abbracciata col
Crocifisso e mi disse: Tutto questo che adesso faccio con te lo
faccio acciocché tu veda quanto mi sono grate le tue preghiere.
Tutto ciò avvenne nel terzo anno del noviziato".
S.
Veronica si mette come scudo tra Dio e i peccatori, come ha
fatto Gesù, sia per proteggere i peccatori, prendendo su di sé
le pene temporali conseguenti ai peccati, sia per tutelare Dio
da altre offese.
Lo
stesso vale per le anime del Purgatorio. Naturalmente le sue
sofferenze hanno valore proprio perché unite al Sacrificio
Redentore del Cristo.
Nell'impeto
infuocato degli anni giovanili, Veronica va alla ricerca delle
penitenze più eclatanti per rispondere a tanto Amore di cui è
ricolmata da Dio: "... così, non sapendo cosa fare
cominciai a disciplinarmi......
Ma
giunta alla maturità lei stessa definirà quelle penitenze:
"Pazzie che mi faceva fare l'amore". Gesù stesso, a poco a
poco, comincia a prepararla ad un altro genere di sofferenza: "Sta
posata, le dice un giorno, che tutto quello che farai per la
conversione dei peccatori, tutto è di mio gusto e secondo il mio
volere, ma il patire che voglio da te non è questo che tu patisci".
CHI NON AMA NON HA CONOSCIUTO DIO
Gesù
la vuole perfetta nella carità, e soprattutto con le sue
sorelle, prima ancora che con i peccatori. La Carità stessa che
è Dio: "...mi spinge universalmente, con tutte e in tutto,
all'esercizio della carità", scrive Veronica.
Ma
non sempre amare è facile, anzi, è un continuo lavoro per
superare se stessi, un esercizio in cui la santa è ammaestrata da
Gesù: "Mi parve che Iddio mi partecipasse dei dolori che ebbe
quando lo flagellarono. In dette pene appresi come si deve patire.
Con che spogliamento, con che carità, con che umiltà".
In
questa contemplazione ella distingue tre gradi di carità: "La
carità, fatta con qualche nostra soddisfazione, è virtù; perché
quell'atto sarà sempre caritativo.
Ma
... ad essa si deve dare aiuto facendo atti di carità che siano
ripugnanti alla nostra natura; e farli veramente di cuore e puramente
per Dio. Oh di quanto più valore è questo secondo grado di virtù".
La
carità perfetta però "è amare, servire, dare la vita, per chi
sappiamo di certo che ci odia e ci sta per uccidere" ... È
questo il comandamento nuovo dell'amore!
Ma
non è ancora finito: Veronica cerca la carità in ogni
possibile sfumatura...
"Dev'essere
con retta e pura intenzione; disinteressata; una carità che non
attende di essere richiesta; uguale per tutte, in tutto; fatta solo
per amore e con amore; lieta, sollecita, industriosa".
...
anche nelle parole: "Il Signore vuole che io sia tutta dolcezza
e pace; non devo mai dolermi di niente; mi metto la lingua tra i
denti per non rispondere; bisogna rispondere con carità e
umiltà nelle contrarietà; parlare sempre bene del prossimo;
operare col prossimo come Dio opera con me".
A
volte succede che Gesù non le conceda le grazie se lei non si
adegua alle sue richieste: Sia la tua vita una continua carità: in
essa io ti voglio. Alla scuola diretta di Gesù e Maria, "limata"
dal puro patire che le viene partecipato, sr. Veronica diventa
un gioiello di virtù e, progressivamente, sempre più conforme alla
Passione di Cristo.
Capitolo
VI
CROCIFISSA
COL CROCIFISSO
Già
il 4 aprile 1681, di venerdì santo, pochi anni dopo la vestizione
religiosa, Veronica riceve dalle mani di Gesù la corona di spine che
le viene rinnovata in seguito più volte.
Poi,
nella notte di Natale del 1696, la transverberazione, quando
Gesù Bambino le ferisce il cuore con una freccia d'oro: Questo cuore
non è più tuo, ma mio. Dacché l'ho ferito, ne ho preso il
possesso.
L'11
aprile 1694, mentre sta facendo la comunione, Veronica vede Gesù
e Maria insieme ad un corteo di angeli e di santi che cantano: Veni
Sponsa Christi, mentre Gesù le mette l'anello nuziale: "In
quanto al dito, scrive Veronica, sempre vi sento stringere l'anello;
ma il giorno della comunione mi pare di sentirlo stringere di più e
provo rinnovazione dello Sposalizio".
Nell'anno
1697 inoltre, le appare Gesù con un calice in mano traboccante di un
liquore: esso rappresenta la partecipazione mistica ai dolori
intimi della sua Passione.
Il
Signore le dice: Mia cara se vorrai del tutto unirti a me, questo
gusterai per mio amore.
Quel
liquore peraltro è talmente amaro da toglierle completamente il
senso del gusto.
E
finalmente arriviamo al 5 aprile 1697, ancora di venerdì santo,
quando Veronica ha la visione del monte Calvario con la Vergine
Addolorata ai piedi di Gesù Crocifisso: "Il Signore mi ha detto
che veniva per trasformarmi tutta in lui. In un istante io vidi
uscire dalle sue SS.me piaghe cinque raggi splendenti e tutti vennero
alla mia volta. Ed io vedevo i detti raggi divenire come piccole
fiamme. In quattro vi erano i chiodi; ed in una vi era la
lancia, come d'oro, tutta infuocata: e mi passò il cuore da
banda a banda; e i chiodi mi passarono le mani e i piedi.
Io
sentii gran dolore; ma nel medesimo dolore, mi vedevo, mi sentivo,
tutta trasformata in Dio. Il Signore mi confermò per sua Sposa; mi
consegnò alla sua Madre, mi affidò per sempre alla sua custodia".
Le
stimmate però sono solo il segno esteriore di una conformazione
interna già avvenuta.
Infatti,
l'anno precedente Veronica è già stata stimmatizzata, solo che le
ferite sono rimaste nascoste.
"Quando
io vidi questi segni esteriori, di molto piansi, e di cuore
pregavo il Signore che volesse nasconderli alla vista di tutte.
Oh Dio che pena mi fa tutto ciò!".
Ma
ora è volontà di Dio che quelle ferite siano evidenti "per
profitto di molti; per rinnovare la fede e la memoria della Passione
del Signore; per i bisogni della Santa Chiesa, in specie per il Papa
e il Vescovo, e perché siano segno per il mondo intero".
UN PURO PATIRE SENZA AIUTO UMANO NÉ DIVINO
Dopo
la stimmatizzazione, i bisogni di Santa Chiesa sono costantemente
nella preghiera e nell'offerta della santa. La sua vocazione
missionaria, inserita in quella contemplativa, le fa esclamare:
"Vorrei andare a piedi nudi per il mondo e dare vita e sangue
per la conversione degli infedeli".
D'ora
in poi, anche il suo desiderio di immolazione assume una diversa
connotazione, diviene un patire sempre più intimo e sofferto,
conseguenza soprattutto dell'Inquisizione.
Nel
luglio del 1697 Gesù l'avvisa che si prepari al gran patire: infatti
il vescovo diocesano, mons. Eustachi, informa il Tribunale
ecclesiastico e subito vengono prese misure cautelative per
provare l'autenticità delle stimmate.
Senza
consolazioni umane né spirituali, la santa viene sottoposta a
continue umiliazioni: reclusa per 50 giorni in una cella senza
finestre dell'infermeria, non può scendere in coro per la
preghiera comune; le vengono sigillate le bende di lino delle
stimmate e davanti alle sue consorelle viene controllata la
profondità della ferita del cuore con una foglia di alloro. Per
obbedienza le è imposto da un gesuita inviato dal Tribunale
dell'Inquisizione, p. Crivelli, di rivivere la Passione di Cristo,
cosa che lei fa in tutti i particolari fino a riprodurre in sé tutti
gli spasmi "delle più fiere agonie ... dei moribondi".
Le viene tolta la voce attiva e passiva nei capitoli
conventuali, è sospesa dall'incarico di maestra delle novizie. Non
può comunicare alla grata né scrivere, se non alle sorelle e al
confessore e per di più deve affrontare l'ostilità di alcune
consorelle.
Nulla
le viene risparmiato per mortificarla e umiliarla.
Gesù
che sapeva le prove che Veronica avrebbe dovuto affrontare per suo
amore, poco tempo prima le ha fatto rinnovare la professione nelle
sue mani, per ricordarle quanto lei gli aveva promesso con i tre
voti.
Ma
nella misura in cui partecipiamo alle sofferenze di Cristo, così
siamo partecipi anche delle sue consolazioni, per cui la
stimmatizzazione prepara la santa allo sposalizio celeste, quello
vero e perfetto, del 9 aprile 1697: esso è un saggio di ciò che
provano i beati in Paradiso: "Allora le Tre Divine Persone
si sono confermate padrone assolute di quest'anima".
Veronica
sperimenta le tre unioni amorose della Trinità e si sente immersa
nel mare immenso del Divino amore, colmo di tutte le grazie, dove le
pare di nuotare, non vedendo altro che Dio e Amore. Tutto ciò la fa
sentire un nulla di cui non arriva a conoscere mai il fondo e,
contemporaneamente, percepisce Dio come il Tutto che la eleva a sé
per eccesso di amore. Gesù l'ha detto anche a noi nel Vangelo: Voi
saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi.
CAPITOLO
VII
LA
VERITA’ VIENE ALLA LUCE
Chiarito
finalmente che l'umiltà e l'obbedienza sono le due virtù sulle
quali la madre suor Veronica ha fondato la base della sua gran
santità, il gesuita p. Crivelli, ottiene dal papa Clemente XI il
permesso della Sacra Congregazione di eleggere sr. Veronica abbadessa
della Comunità. Costretta ad accettare per obbedienza, il 5 aprile
1716 ella affida all'Addolorata le chiavi del monastero,
dicendole: "Siete voi l'Abbadessa".
Da
quel momento non solo la Madonna provvede a tutte le necessità
materiali del monastero, ma prende anche le sembianze di Veronica
quando lei è impegnata in lavori troppo pesanti, o nelle
esperienze mistiche per la conversione dei peccatori.
Dal
1720 poi, è la Madonna stessa che le ricorda e le detta ciò
che deve scrivere, data l'età avanzata della santa e il
completo annullamento dell'io in Dio.
È
proprio in questo periodo che nel Diario troviamo queste
espressioni: "Non sono padrona di me, sono stata rubata
dall'Amore.
Non
trovo più me in me, ma Dio in me ed io tutta in Dio".
Finché,
il 25 marzo 1727, la Madonna le dice: " Fa punto".
CAPITOLO
VIII
LA
GRANDE UMANITA’ DI VERONICA
Francescana
per vocazione, Veronica cerca nel contatto con la natura lo spazio
per molte delle sue esperienze mistiche. È famoso un pero dove
saliva anche nelle notti gelide, in piena estasi, per chiamare
tutti i peccatori a conversione.
Ma
la natura è per lei anche elemento di contemplazione:
"Correvo,
dicendo agli alberi, alle foglie, che mi aiutassero a trovar
l'Amore mio. ...e vedevo che tutte mi passavano avanti e tutte, più
corrispondenti di me rendevano al lor Creatore quel frutto, a
tempo opportuno, senza mai preterire. E io, pianta infruttuosa, mai
mi risolvo. Oh Dio mio, amore mio, ora voglio cominciare".
Tipicamente
francescana è anche la sua preghiera, di lode e benedizione.
Più volte Veronica sperimenta il giubilo spirituale che, non
potendosi esprimere in parole, sfocia nell'armonia del cuore.
Per
lei poi, la letizia è un dovere della convivenza, per cui le
sue sofferenze sono sempre offerte nella gioia.
Non
ci meravigliamo allora che in tempo di carnevale prepari le
frappe con le sue consorelle e che sciolga pure il silenzio regolare
per cantare al suo Gesù, anche se, al solo pronunciare il nome del
Sommo Bene, cade in estasi tra le braccia delle monache.
Sensibilissima
e dolce con tutti, la santa non si risparmia mai. Anche con le
tumefazioni delle stimmate, la vediamo "correre" per
il monastero per aiutare le sorelle nelle faccende più pesanti;
e questo anche nelle rigide giornate d'inverno, con la neve.
S.
Veronica è una donna completa: gli straordinari doni di cui Dio
l'ha favorita, non l'hanno mai disincarnata, al contrario hanno
arricchito la sua umanità.
Di
notevole senso pratico, durante il suo badessato affronta i
lavori di ristrutturazione del monastero, ormai fatiscente: fa
mettere le tubature dell'acqua che oggi sono ancora funzionali e
che attraversano tutto l'orto. Fa costruire un pozzo che, con
delle carrucole, porta l'acqua fino all'infermeria. Fa erigere una
nuova ala del convento, che attualmente è ancora il noviziato.
Austera
con se stessa Veronica è premurosa e materna con tutti: oltre a
moltiplicare in modo straordinario le vivande, o l'olio delle
lucerne, provvede anche ai poveri della città. Dal Summarium
del processo di canonizzazione le suore attestano che: "Faceva
distribuire le elemosine più che poteva fino a mandarle a casa, come
faceva ogni settimana ad una poverella, che chiamava la sua sorella,
a cui maculava una sacchettina con varie provvisioni e, prima di
morire, nella sua ultima infermità la lasciò raccomandata a
noi altre religiose".
CAPITOLO
IX
IL
POSSESSO DELLA GLORIA
Veronica
muore il 9 luglio 1727 chiedendo l'obbedienza al confessore,
dopo un'agonia di 33 giorni, come lei stessa aveva predetto.
Anche
in quel frangente ella sopporta prove indicibili: da parte delle
creature, che nel tentativo di diminuirle i dolori le creano
ulteriori sofferenze. Da parte del demonio che, oltre a tormentarla
con vessazioni e tentazioni contro la fede, le appare sotto le
spoglie del vescovo, intimandole di rinnegare tutte le bugie dette
fino a quel momento.
Prove
ancora da parte dell'obbedienza, perché i confessori, conoscendo il
valore della santa, vogliono consolidare fino all'ultimo istante le
sue virtù.
Ma
Veronica è una donna veramente libera nello Spirito del Signore,
così, stringendo forte il Crocifisso, pronuncia le sue ultime parole
rivolte alle novizie: "Ho trovato l'Amore! Ditelo a tutte. È
questo il segreto delle mie gioie e delle mie sofferenze:
l'Amore si è lasciato trovare".
CAPITOLO X
Nel
1804 sr. Veronica è beatificata da papa Pio VII e nel 1838 papa
Gregorio XVI la proclama santa. Papa Pio IX per dieci anni tiene
presso di sé il volume contenente la seconda relazione scritta dalla
santa, che restituisce nel 1858 alle cappuccine di Città di
Castello, chiuso in una borsa di seta bianca ricamata in oro.
LA CHIAMATA UNIVERSALE ALLA SANTITA
Per
ricordarci che la via della santità non è un privilegio concesso a
pochi, Gesù un giorno le dice: Quello che faccio con te, lo farei
con tutte le anime, se io trovassi disposizione.
Sappiamo
infatti che la mistica cristiana è la vita sacramentale a cui siamo
iniziati con il battesimo, è il nostro nascere alla vita dello
Spirito, è la figliolanza divina. E questo è il grande Dono
che Dio offre a tutti.
I
doni mistici invece, frutto e manifestazione della ineffabile
fruizione dell'Amore Trinitario, sono grazie straordinarie concesse
ad alcuni, ma sempre per il bene della comunità.
Le
esperienze mistiche della santa peraltro, avvengono principalmente
nella liturgia e particolarmente nella celebrazione Eucaristica.
Considerando
tutto questo siamo spinti a riflettere sul mistero della Grazia.
Infatti il Dio che si donava a Veronica è lo stesso che si dona a
noi oggi, quello che si offre tutto a tutti: è il Dio che ha posto
nel cuore degli uomini la dimora del suo Spirito, di quello Spirito
che, se accolto con animo retto, puro e semplice, ci insegnerà ogni
cosa, e ci svelerà i pensieri del Signore.
S.
Veronica è una liturgia incarnata, è una donna forte che rievoca
con la sua vita molte figure bibliche, come, sotto certi
aspetti, quella di Mosè. Egli è il grande amico di Dio che rinuncia
ad essere lui l'erede della benedizione fatta ad Abramo per
intercedere in favore del suo popolo; un popolo che ha
dimenticato l'Alleanza, che si è allontanato dalla Legge del
Signore.
Sicuramente
Veronica ci rende più vicino quel Dio misericordioso e pietoso,
lento all'ira, ricco di grazia e di fedeltà, che a lei è stato
concesso di contemplare faccia a faccia, già qui sulla terra.
La santa ci manifesta pienamente il mistero di quell'Amore che manda
il suo Figlio non per giudicare il mondo, ma perché il mondo si
salvi per mezzo di lui.
IL GRANDE MISTERO DEL DOLORE E DELL'AMORE
Come
Veronica aveva scritto, alla sua morte le vengono trovati nel cuore,
come intessuti a cordoncino con la fibra cardiaca, i segni della
Passione di Gesù e le sette spade dei dolori di Maria. Nell'esame
necroscopico viene riscontrata anche la ferita della
stimmatizzazione.
Inoltre
si possono vedere le iniziali dei nomi di Gesù e di Maria, la corona
di spine, la lancia, i chiodi, i flagelli, la croce; e ancora:
la lettera P di patire, e la lettera O di obbedienza.
Sicuramente
santa Veronica, che proprio per obbedienza ha incominciato a scrivere
il Diario, continua a intercedere dal Cielo e ad operare insieme
allo Spirito del Risorto, per il bene di tutti noi peccatori,
per i quali ha già espiato tanto, molti anni fa!
Quante
sofferenze e sacrifici sopportati per stendere i manoscritti!
Ella scrive spesso di notte, sottraendo il tempo al riposo,
seduta su uno sgabello e con una tavoletta sulle ginocchia, a lume di
una lucerna ad olio, ormai stanca per le fatiche del giorno. Ma
soprattutto quanto fastidiosa deve risultare quella stesura per il
diavolo, che, oltre a picchiarla e a tormentarla in tutti i modi per
impedirle di continuare, arriva a minacciarla: Se non lasci
questo scrivere, ti caverò gli occhi! Ma Gesù ha deciso così e
così deve essere:
Fa
l'obbedienza, scrivi tutto, le dice.
E
che pensi? Questi scritti hanno da andare in tutto il mondo per la
mia gloria, per il bene tuo e di chiunque li leggerà, a confusione
del nemico.
Dal
sito http://www.preghiereagesuemaria.it/
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