(2)
Dio Eterno, Amore Infinito! O Padre miO! Tu hai chiesto tutto alla
tua piccola vittima; prendi dunque tutto e ricevi tutto... In questo
giorno io mi dono e mi consacro a Te, totalmente e irreversibilmente.
O Diletto della mia anima, mio dolce Gesù, Te solo io voglio, e per
Tuo Amore, io rinuncio a tutto!
Mio
Dio, prendi la mia memoria e tutti i miei ricordi, prendi il mio
cuore e tutti i suoi affetti, prendi la mia intelligenza e tutte le
sue facoltà. Fa' che essa serva solo alla Tua più grande gloria.
Prendi la mia volontà tutta intera, è da sempre che l'ho annientata
nella tua. Non più ciò che io voglio, mio dolcissimo Gesù, ma
sempre tutto ciò che tu vuoi! Prendimi, ricedimi, dirigimi, guidami.
A te mi consegno e mi abbandono. Mi consegno a te come una piccola
Ostia d'amore, di lode e di azione di grazie, per la gloria del tuo
Santo Nome, per la gioia piena del tuo Amore, il trionfo del tuo
Sacro Cuore, e per il perfetto compimento di tutti i tuoi disegni in
me e attorno a me.
O
mio Dio, tutto il mio povero io è tuo! Fanne, te ne supplico, una
piccola aggiunta alla tua umanità, tutta tua... tua proprietà...
tutta per te... il tuo cielo d'Amore sulla terra. Che io non abbia
più pensieri, voleri, desideri, interessi, gioie e sofferenze se non
le tue.
Distruggi
in me tutto ciò che può resisterti, infastidirti, dispiacerti;
consuma tutto nel tuo immenso Amore, riduci tutto alla tua amabile
Sovranità! Più nulla di me... più nulla di mio... più niente...
Tu solo, o mio Gesù... nient'altro che tu solo sempre! Sii veramente
la mia Vita, il mio Amore, il mio Tutto! Che io possa dire in tutta
verità: Il mio io è Gesù, la sua Volontà, il suo Spirito, l'Amore
Infinito, il Dio Buono, il Dio Santo che vive in me e si esprime
attraverso tutte le mie opere.
Che
ogni mia gioia quaggiù sia di farti conoscere buono come Tu sei
Buono, di amarti, di imitarti, di offriti nel nome di e per tutte le
creature. Che la mia vita sia la riproduzione perfetta ed incessante
della tua Vita, la manifestazione del tuo Amore e la continuazione di
quella di Maria Vergine e Martire. Che tutto in me esprima il mio
amore per te e che io sia sempre pronta al sacrificio.
O
Salvatore Adorabile! Tu sei l'unico Possessore della mia anima e di
tutto il mio essere! Ricevi l'immolazione che ogni giorno e in ogni
istante io ti offro in silenzio. Degnati di gradirla e di farla
servire al bene spirituale e divino di tanti milioni di cuori che non
ti amano, alla conversione dei peccatori, al ritorno degli smarriti e
degli infedeli, alla santificazione di tutti i tuoi diletti preti, e
in favore di tutte le Creature.
O
Gesù, prendi il mio cuore, tutto il mio cuore, esso non domanda e
sospira che di non appartenere mai che a te solo! Conservalo sempre
accanto al tuo; conservalo tutto intero nel tuo, conservalo per
sempre per il tuo, perché esso non si consegni e non si espanda in
nessuna creatura. O Gesù! che il mio cuore sia veramente l'altare
del tuo Amore e che la mia lingua faccia conoscere per sempre le tue
Misericordie! Degnati, te ne supplico, di santificare tutte le mie
parole, tutte le mie azioni, tutte le mie intenzioni, tutti i miei
desideri! Sii veramente, o mia anima, il suo Tesoro e il suo Tutto! A
Te io la dono e l'abbandono.
Accetto
con amore tutto quello che mi viene da te, tutto quello che tu vuoi e
vorrai ancora nel futuro. Mi abbandono umilmente a te attraverso
Maria, mia diletta Mamma, appoggiandomi unicamente sul soccorso della
tua Infinita Misericordia, e ti prometto la fedeltà più sincera.
Più
nulla di mio... attraverso di me... per me... Rinuncio per sempre a
me stessa e a tutto e mi voto tutta intera alla preghiera, alla
sofferenza, all'Amore. O Divino Redentore! Come vittima d'Amore per
la Chiesa e le anime, a te io mi consegno e mi abbandono! Degnati, te
ne prego, di gradire favorevolmente la mia offerta e io sarò felice
e fiduciosa. Ahimé! è ben poco, lo so, ma non ho niente di più e
ti dono tutto. Amo la mia indigenza e la mia debolezza, perché esse
mi valgono tutta la tua Misericordia e le tue più tenere
sollecitudini.
Mio
Dio, Tu conosci la mia fragilità e l'abisso senza fondo della mia
miseria... Se dovessi un giorno essere infedele alla tua sovrana
Volontà su di me; se dovessi indietreggiare davanti alla sofferenza
e alla Croce e disertare la tua via così dolce, fuggendo il tenero
appoggio delle tue braccia, oh! io te ne supplico e scongiuro, fammi
la grazia di morire all'istante. Esaudiscimi, O Cuore amantissimo del
mio Dio, esaudiscimi attraverso il dolcissimo Nome di Gesù,
attraverso l'Amore della tua Santissima Madre, attraverso
l'intercessione di san Giuseppe, di san Giovanni il prediletto e di
tutti gli altri santi, e attraverso il tuo divino ardore portami a
compiere in tutto la Volontà di tuo Padre.
O
mio Gesù, Divino Sole d'Amore! O mia Via, mia Luce, mia Vita! Io ti
amo, io ti adoro, io ti benedico, io mi abbandono a te, io mi affido
a te. Conservami Sempre Come tutta Tua , nascondimi sempre tutta intera
in te, perché la mia povera natura trema e geme sotto il fardello
delle crudeli prove che l'avvolgono da tutte le parti, e perché io
sono sola, sempre. Maria, O mia Madre Amata, dammi tu stessa a Gesù.
Offri tu stessa a Dio questa piccola ostia; che egli si degni di
venire ad abitare in essa, riposando nel suo cuore come nel suo
Tabernacolo. Per abitazione, ahimé! non avrà che la mia miseria, ma
vi troverà almeno l'Amore, la riconoscenza, la fedeltà, la
generosità, l'abbandono, l'umile e gioiosa fiducia per
ricompensarlo, consolarlo, rallegrarlo, glorificare il suo Sacro
Cuore e donargli anime, in unione con te, o mia Cara Mamma.
(Marthe
Robin)
Quando
fissiamo lo sguardo sull'abbandono di Gesù e su ciò che egli ha
compiuto rischiamo di scoraggiarci. Mettersi dietro di lui è
estremamente esigente e a noi sembra impossibile. Comprendiamo che la
strada per “diventare bambini" è lunga ed esige pazienza ed
umiltà. Ciò che ci conforta è sapere che molti l'hanno percorsa
prima di noi e sono giunti alla méta. Anche noi possiamo dire, come
sant'Agostino, contemplando la moltitudine immensa di santi che
l'Apocalisse (3)
presenta: “Si isti et istae, cur non ego?", cioè: “Se
questi uomini e donne sono giunti al dono di sé, perché non potrei
farlo anch'io?”.
Per
questo propongo di contemplare l'itinerario di una santa del nostro
tempo: Marthe Robin.
Essa
è nata il 13 marzo 1902 a Châteauneuf de Galaure, borgo rurale nel
dipartimento della Drôme, chiamato ora, la “Drôme delle colline”.
I suoi genitori, Joseph Robin e Célestine Chosson, possedevano nella
frazione di Moïlles, una modesta casa costruita in muratura di terra
argillosa e circondata da tredici ettari di terreno. Bisognava
lavorare sodo per provvedere alle necessità di una famiglia così
numerosa. Marthe fu battezzata il 5 aprile 1902 nella Chiesa di
Saint-Bonnet-de Galaure, da cui dipendeva la frazione di Moïlles.
Nel
1903, la famiglia Robin conobbe la prova di un’epidemia di febbre
tifoide. Tra i bambini colpiti, morì la penultima, Clémence, e
Marthe ne rimase molto fragile.
Nel
1909, Marthe cominciò la scuola recandosi ai piedi della collina,
nel villaggio di Châteauneuf. La sua fragile salute non le permise
di seguire regolarmente gli studi, così non prese la licenza
elementare. Nella Parrocchia di Châteauneuf de Galaure, Marthe Robin
ricevette la cresima nel 1911 e fece la prima comunione il 15 agosto
1912. Fin da bambina, ebbe per la Santa Vergine un affetto filiale e
la pregava molto spesso. Maria sarà sempre per lei Madre ed
Educatrice.
Nel
1914, lasciò la scuola del villaggio ed iniziò a prendere parte ai
lavori della casa e della fattoria. Fu una infanzia serena e gioiosa.
Marthe amava cantare, danzare, era affascinata dalla natura ed era
molto aperta con tutti.
Nel
1918 comincia quella che possiamo definire la seconda tappa della sua
vita, che durerà fino all'inizio di dicembre del 1928. Di questi
dieci anni Marthe dirà: “Ho lottato con Dio fino allo spasimo”. È
la lotta di Giobbe!
È
proprio nel 1918 che Marthe avverte i primi segni della malattia, che
non la lascerà più, scambiata dalla medicina di allora per artrite
reumatoide. Si fa di tutto per curarla: visite da parte di molti
medici, cure, bagni termali a Saint-Péray in Ardèche. Per
acquistare i medicinali prescritti, Marthe cuce e ricama per conto di
alcune persone che le chiedono di lavorare per loro, in quanto il suo
lavoro è particolarmente curato. Cominciano dieci anni di lotta
contro la malattia, che le provoca dolori intollerabili, che
s'insedia progressivamente e che, solo nel 1942, sarà diagnosticata
come “encefalite epidemica”. Marthe vive per circa dieci anni
momenti di speranza nella guarigione e periodi di scoraggiamento con
ricadute sconfortanti, secondo il progresso o del regresso della
malattia.
Tra
il 1926 e il 1928, la malattia peggiora, ma vi è ancora la speranza
nella guarigione. Le lettere lo testimoniano, soprattutto quella del
13 marzo 1927: “La mia salute è sempre precaria, la mia testa,
così dolente, mi fa soffrire parecchio. È il reumatismo in tutto il
suo orrore, se posso dire così (ma, in fondo, siccome ho anche dei
brevi momenti in cui posso ricamare, non dovrei lamentarmi, cerco di
dimenticare il mio male nei punti che metto nel ricamo), ma non
riescono ad alzarmi né a rimettermi a letto senza strapparmi grida e
lacrime: ma, via, bisogna pensare che andrò certamente migliorando e
che, com'è successo a molti altri, anch'io guarirò” (13 marzo
1927).
Dal
1927 non può più lasciare il letto, mentre prima riusciva, seppur
con difficoltà, a spostarsi dal letto alla poltrona: “Sembrava che
tutto fosse contro di me l'inverno scorso: per parecchi mesi non ho
potuto far niente; in primavera il suo piccolo corredo chiedeva di
essere ricamato. Prima di cadere nell'ottobre 1927 potevo ancora
lavorare per lei” (29 marzo 1929).
Il
nuovo problema di salute di Marthe è un'emorragia gastrica, prodromo
della paralisi totale dell'apparato digerente del 1930. Questo fu il
secondo attacco della malattia; il terzo avverrà nel 1939 e colpirà
i centri visivi. “Devo parlarle della mia salute; non sto per
niente bene; gonfia, con grandi dolori allo stomaco che mi strappano
alle volte grida di dolore. Sarò costretta a farmi di nuovo visitare
dal medico” (27 luglio 1928). “Ho un piccolo stomaco che
necessita di molte carezze per non costringerlo a gridare troppo”.
Benché
Ormai a letto, Marthe continua a ricamare e a scrivere: quando si è
ammalati ci s'ingegna con ogni astuzia per realizzare ciò che ci è
necessario. "Voi mi vorreste fuori dal letto, al quale sono
inchiodata ormai da lunghi mesi! Ahimé! È il mio solo appoggio
fisico! Le scrivo, infatti, queste righe con la carta da lettera
posata sulla scatola delle fette biscottate, una lampada dietro alle
mie spalle, perché la stanza è sempre semioscura per attenuare i
miei dolori alla testa; voi lo sapete, non è vero, mia cara, quanto
questa testa disgraziata mi fa la guerra" (15 Ottobre 1928).
Marthe
è in condizioni veramente difficili per eseguire lavori di cucito e
di ricamo, lavori per lei necessari per guadagnare un po' di soldi
per l'acquisto dei medicinali, per sottrarsi alla depressione
derivante dalla malattia e per non soccombervi, ma anche per non
pesare eccessivamente sulla famiglia. "Voglio dirvi quanto sono
ormai maldestre le mie povere mani nel lavorare con ago e forbici:
bisogna dire francamente e, a dire il vero, avere un gran desiderio
di lavorare per lottare così (giacché la necessità fa legge). E
più riuscirò a lavorare più mi aiuterò e aiuterò i miei. Aiuterò
anche il mio morale perché il coraggio alle volte mi manca e la mia
giovane età sovente grida l'odiosa realtà, o amica carissima: che
orribile esistenza abbiamo noi a causa di questa terribile malattia
che è il reumatismo, ma occorre farsi coraggio, perché possiamo
sperare, poi, di entrare diritte in Cielo, avendo fatto il purgatorio
sulla terra”.
Marthe,
immobilizzata a letto, perde a poco a poco la speranza di una
guarigione. “Pasqua mi troverà a letto, nel mio povero letto dove
sto così male e dove mi sto scorticando. Infine, la vita è corta,
ce ne aspetta un'altra più lunga e più felice: che dolce
consolazione, non è vero?” (29 marzo 1928). “Se nell'ultima mia
lettera vi sono sembrata più buona e serena, è solo perché non
volevo farvi pena, ma in realtà la gioia di vivere non c'è nel mio
cuore. Ma tranquillizzatevi lo stesso, non sto poi così male,
perché un po' posso lavorare e non sono poi così depressa; sorrido
sempre, forse per abitudine, ma soprattutto per sfida; si nascondono
tante cose con un sorriso: alle volte è duro, non è vero? (29
maggio 1928).
Con
i suoi risparmi, Marthe ha chiesto alla cugina di comperarle un
divano con schienali rialzati, per aiutare i suoi reni malati. “Vi
dirò che la vostra piccola amica è così ricurva e contorta che sta
comodamente nel suo letto con i due lati rialzati” (27 settembre
1928).
Con
le sofferenze fisiche c'è anche la solitudine da sopportare. “Passo
le mie giornate senza incontrare anima viva”, “Credo che questa
domenica sarà come le altre e credo anche che non vedrò anima νίνa,
se non quelli di casa” (7 aprile 1928). “Durante la settimana ho
lavorato con calma, ma sono presto ricaduta nella mia triste
solitudine degli altri anni, nemmeno una persona per far scorrere le
ore in una bella chiacchierata". "Nessuna visita, neanche
una, si direbbe che tutti si sono messi d'accordo per lasciarmi da
sola al ricamo e alle mie riflessioni” “Le mie giornate scorrono
sempre uguali, monotone e simili, con tre quarti del tempo da sola,
perché mamma ha da fare anche altrove". "Nessuno per far
scorrere le ore in una bella chiacchierata”.
Nel
1927, Marthe racconta la sua gioia e il conforto trovati
nell'Eucaristia. Spiega anche da Chi riceve la sua forza: "Ho da
poco fatto al Comunione con molto fervore, ne sono stata felice e mi
sono ritrovata con più coraggio e forza" (15 maggio 1927). “Sì,
mi sono rivolta a Dio ed Egli mi fortifica, altrimenti già da tempo
la vostra piccola amica non esisterebbe più" (12 maggio 1927).
Qualche
mese dopo, a causa del progredire della malattia, Marthe si
scoraggia: “Che cosa dirvi di me e su di me? Vita sempre uguale,
grigia e monotona, portatrice più di tristezza che di gioia. Ora non
mi aspetto più nulla, vedo bene che sono destinata a bere tutti i
calici amari e per lunghi periodi è proprio così”. A ventisei
anni, età in cui si fanno progetti e scelte di vita, ella costata
con tristezza che per lei ciò non è possibile: “Tutti possono e
devono adempiere una vocazione, ma io no. Io ho combattuto con Dio”.
Che senso dare alla sua vita, quale avvenire per lei? Marthe conosce
l'angoscia e forse anche la rivolta: “Le tappe della mia esistenza
sono state scritte su una lavagna. La vita si è incaricata di
togliermi ogni illusione e di cancellare ogni mio progetto” (18
agoso 1928). “Mi sento fisicamente e moralmente distrutta. A mio
parere starei meglio sotto terra che sopra” (10 novembre 1928).
Nel
dicembre 1928, nel corso di una Missione parrocchiale a Châteauneuf,
Marthe comprende, per grazia di Dio, che è nella malattia e per
mezzo della sofferenza accettata ed offerta, che potrà essere unita
al Cuore di Gesù Crocifisso, al Redentore di tutti. È il 3 dicembre che Marthe riceve la grazia di vivere, nell'accoglienza dei sacramenti,
un incontro decisivo e definitivo con il Cuore di Gesù Crocifisso. È
la terza tappa della sua vita.
Con
l'aiuto del parroco, l'Abbé Faure, Marthe penetra sempre più in una
vita di silenzio, di offerta e di preghiera. La sua unione interiore
con Gesù diventa tale che ogni venerdì si assocerà alla sofferenza
di Gesù nella sua Passione per tutti gli uomini. Una vita nuova
invade il suo corpo ed il suo cuore. Tutto si rischiara, tutto prende
senso: questa malattia che avrebbe potuto condurla ad una lenta e
sicura distruzione della sua persona a vari livelli, diventa
paradossalmente possibilità di costruirsi un’altra via. “Dopo
anni di angoscia, dopo tante prove fisiche e morali, mi sono fatta
coraggio e ho scelto Gesù Cristo”. Riceve dal Cuore di Gesù
Crocifisso il senso della sua vita di ammalata: unita a quella di
Cristo, lei può diventare feconda per la Chiesa e per il mondo.
Marthe fa in quell'istante la scelta di una vita conforme a quella di
Gesù, Amore Crocifisso: “Il Sacro Cuore di Gesù Crocifisso è la
dimora inviolabile che ho scelto Sulla terra”.
La
comprensione che ha ora Marthe della sua missione, le permette di
vivere là dove tutto sembrava condurla alla morte. Lei sceglie la
vita. Questa scelta va ripetuta ogni giorno: “Il Sacro Cuore di
Gesù Crocifisso è la dimora inviolabile che ho scelto sulla terra”.
Di fatto bisogna continuare a combattere contro la malattia, a
combattere contro i momenti di scoraggiamento
in cui è veramente “sottosopra”. La vita spirituale di Marthe
non è vissuta più “nonostante” la malattia, ma nella malattia.
Proprio nella sua malattia trova la sua vita mistica. Marthe ha
trovato la risposta alla domanda di senso della sua esistenza di
malata, ha scoperto il senso della Croce di Cristo. Fa la scelta di
una vita conforme a quella di Gesù Crocifisso. Questa vita va ora
svolgendosi nella malattia che, adesso, è accettata ed integrata.
Possiamo far risalire a questo periodo della sua vita una vera
accettazione della vocazione nella sofferenza, qualunque ne sia la
forma. “Tutto il mio
essere accetta
la sofferenza, la quasi totale incapacità fisica, sempre più
generosamente ed amorosamente ed anche in un
sempre più
grande abbandono, un più grande distacco
e una più grande rinuncia a tutto. Nonostante ciò, che pena prova
qualche volta la povera natura, costatando la sua totale impotenza in
un'infinità di cose che formano come il canovaccio della vita. Ma
resto, in ogni caso, molto calma, sorrido con gioia e con amore,
malgrado i dolori che mi soffocano, nonostante gli strazi che mi
torturano e le sofferenze lancinanti, malgrado le prove desolanti e i
disgusti dell'anima, quando si ama Gesù e lo si ama d'amore puro”.
"Che
non ci sia niente, più niente di me che non sia di Gesù e per Gesù
solo”.
“Dovrò
dunque abbandonare per sempre il mio caro lavoro di cucito? Eppure lo
amavo tanto. Mi dava ancora un po' l'illusione dell'attività. Era
ancora una ragione di vita; ed è lui che mi ha insegnato l'arte divina
del raccoglimento e l'arte, non meno divina, d'essere sempre
gioiosa".
"La
mia povera, piccola natura, che è stata sempre così attiva e
coraggiosa, nell'afflizione non osa quasi considerare l'irrevocabile
incapacità al lavoro. Ma Fiat, o mio Dio! Mio Gesù, con la tua
grazia sarò forte, trionferò non su questa prova, ma, se tu vuoi,
grazie a questa prova”.La mia missione è di farlo amare,
debordando d'amore; bisogna, dunque, che io colga tutte le occasioni
per spargere luce e verità”. -
“Mio
Dio, fa' che io sia utile... utile al mio prossimo...utile a tutti,
che io lavori per la felicità di tutti”.
"Amo
tanto Gesù e le anime! Fa tutto Lui in me: mi dona l'amore ed io
voglio donare amore. Mi dona la bontà ed io voglio donare bontà. Mi
dona misericordia ed io voglio essere misericordiosa. Mi dona la
carità ed è la carità che io devo donare. Riversa in me torrenti
d'amore ed io voglio donare amore senza misura”.
"O
Dio...faccio il giro del mondo e vado a cercare e a raccogliere per
offrirtele, tutte le buone azioni grandi e piccole, le pene, le prove
di ogni tipo, le gioie, le speranze, le felicità, tutte le grazie e
le preghiere. Ti porto e ti offro tutto ciò, a Te tutto appartiene,
da Te Sgorgano e a Te tutto deve ritornare”.
“...
Tutto serve quando si ama... Sprofondata, ahimé, nell'inattività
fisica, la mia vita resta molto intensa, anche molto, perché vivo
della vita soprannaturale”.
“Grazie
a Gesù, grazie soprattutto alla nostra Buona Mamma, riesco sempre
meglio a dissimulare il mio aspetto, nascondendo ciò che può
ricordare che sono ammalata, riesco a tacere i mali di cui soffro
costantemente e dei quali parlo pochissimo. Voglio che irradi intorno
a me e in me l'armonia,
la santa contentezza, la gioia e l'immensa bontà del cuore.
L'apprendimento della gaiezza nella malattia non è meno necessario
di quello della rassegnazione. Essere Sempre contenta, sempre
gioiosa, anche nell'afflizione... è così bello! Proprio nel dolore
ho compreso il valore di un sorriso accogliente, il beneficio di una
serenità abituale, trasformando la malinconia e la tristezza in
santa contentezza. L'amabilità è la carità che si dona, è la
pazienza che sopporta, sono la forza e la pace che si trasmettono da
un solo cuore al cuore di tutti... La gioia è la disposizione
radiosa dell'anima rivolta a Dio”.
“Non
aspiro che a vivere nel nascondimento e nella bontà: mio adorabile
Gesù, Divino Modello di perfezione, Tu che vivi in me, Tu che mi
dirigi e m'istruisci, fà che tutte le persone che si accostano a me
ripartano consolate, se nel pianto, sollevate, se abbattute, felici
per molti giorni, grazie al ricordo di una parola, di uno sguardo, di
un sorriso”. -
“Che
per le mie sofferenze, per la mia pietà semplice e profonda, per la
mia passione d'amore per le anime, per la mia affettuosa tenerezza,
per la mia grande compassione verso i peccatori, i poveri, i piccoli,
i malati, gli incompresi, gli sventurati, io realizzi pienamente il
mio ardente e pio desiderio di fare il bene, di farlo a tutti, di
salvare tutti con Dio e per amor di Dio". “Oh, sono veramente
la piccola anima di tutte le anime! Piccola anima infiammata,
divorata d'amore: per i poveri, i piccoli, i sofferenti, gli
afflitti, i deboli, i disperati...i cari peccatori". Nel 1929
ecco il secondo attacco della malattia: tetraplegia e paralisi delle
vie digestive. Ma Marthe non è più la stessa. Immersa nella
sofferenza, ella vive il totale abbandono all'Amore: è nella pace e
dona la pace a tutti quelli che la incontrano.
I
suoi amici dalla vallata vengono a confidarle le loro preoccupazioni,
i loro dubbi, le loro prove, ma anche le loro gioie e vengono a
trovarla con la famiglia e con i loro bambini. Per tutti Marthe ha
una parola di luce, una preghiera che dà conforto. Ella ama molto i
bambini, le sta a cuore la loro educazione, incontra spesso le
maestre e le animatrici della parrocchia.
L'abbandono
totale all'Amore le ha recato una gioia incontenibile, che la pervade
nel profondo anche nella sofferenze più insopportabili. Basterebbe
leggere anche solo alcuni stralci del suo diario intimo per avere la
certezza di essere di fronte all'autentica pace del cuore: “La mia
cameretta è un vero Cielo ora,
poiché ho la
certezza di queste parole di Nostro Signore: "Ecco che io sono
con voi fino alla consumazione dei secoli” e so e sento e conosco
che sono incessantemente con Lui, nella Celeste e Divina compagnia
della Santissima Trinità. Dolce presenza che conquista e rapisce la
mia anima e il mio cuore. La mia cameretta è certo povera e non
bella ma io non ne vedo la povertà né la bruttezza. Io sono in Dio,
gli parlo, lo comprendo, lo ascolto. Nel mio cuore l'adoro e l'amo.
[...] O dolce, o dolcissima Trinità. Gioia del mio cuore, cielo e
delizia della mia anima...” (Journal intime, 9 gennaio 1930). Siamo
davanti alla realizzazione della promessa di Gesù, seconda la quale
egli vuole che la nostra gioia sia completa: “Inconcepibile,
meraviglioso Mistero: io vivo in Dio; non sono più io che vivo, ma è
Gesù, il mio Diletto che vive in me. Io non comprendo pienamente, ma
conosco questa gioia, questo incomparabile mistero!... A lui sia ogni
Gloria!...” (Journal intime, 26 dicembre 1929). Il segreto di
Marthe è proprio di essersi consegnata all'Amore: “L'Amore mi
guida e mi conduce, io non ho che la dolcezza di lasciarmi guidare
per mezzo di questo cammino luminoso così poco
seguito perché così poco conosciuto [...] l'anima che ama Dio
gioisce. Sì, l'Amore di Dio dona gioia" (Journal intime, 31
dicembre 1930). "Soffrire è grande a condizione di soffrire
santamente! La sofferenza prende il valore che gli dona colui che la
patisce /...] поп soffriamo per niente [...]. Soffriamo in pace e
grazie all'amore” (Journal intime, 7 gennaio 1930). La sua visione
della sofferenza è completamente mutata. Essa è diventata – come
per l'apostolo Paolo – una grazia, un dono che Gesù le ha fatto
per essere più unita a lui e condividere con lui il mistero del suo
Amore che giunge fino al dono di sé: e qui trova la perfetta
letizia: “Io ammiro /...] l'immenso amore che ha portato Gesù ad
amarmi al punto di voler condividere con me le sofferenze della sua
vita, /.../ le torture della sua Passione e della sua Croce”
(Journal intime, 25 marzo 1932). Le sue parole non vengono da
riflessioni fatte a tavolino, ma da esperienze vissuto sulla propria
pelle: “Il dolore, la sofferenza non viene dal Cielo, ma l'aiuto
che ce ne viene, la felicità che ne deriva [...]. Gesù solo,
l'Amico vero, l'Amico Caro, il Diletto può sostenerci efficacemente
in tutte le nostre pene e difficoltà [...] perché solo lui dispone
dei mezzi
divini capaci di consolarci, di rinfrancarci dei
nostri dolori
fisici e morali /...]. Non è per farci soffrire che Dio ci ha dato
la vita, è per renderci felici, è per unirci di più a Lui. La
sofferenza è un autentico seme da cui germoglia la gioia"
(Journal intime, 12 gennaio 1930). Sono parole che non si possono
leggere senza avere un brivido di commozione (ma anche di timore). È
chiaro che solo lo Spirito Santo più condurre a vette così sublimi.
D'altra parte il punto di partenza è sempre il nostro piccolo “sì”.
Non
solo Gesù le chiede di partecipare alla sua sofferenza che è dono
totale di sé, ma la invita a collaborare ad un suo grande progetto.
Esso deve cominciare con l'apertura di una scuola per i bambini e le
ragazze del circondario; occorre partire dai piccoli per rinnovare il
mondo: ne parla con l'Abbé Faure che, malgrado le difficoltà del
momento, acquista la parte centrale del castello in rovina.
Il
12 ottobre 1934, la Scuola accoglie sette alunni di Châteauneuf e
della vallata della Galaure. Gesù le fa capire che questa
modestissima scuola è il primo tassello di un'Opera importante, che
egli vuole avviare nella stessa parrocchia di Châteauneuf.
Il
10 febbraio 1936, l'incontro di Marthe Robin e dell'Abbé Georges
Finet, della diocesi di Lione, sarà l'occasione provvidenziale che
permetterà di precisare che cosa saranno i Foyers di Luce, di Carità
e di Amore. Comincia così la quarta tappa della vita di Marthe.
Nel
mese di settembre (dal 7 al 13) l'Abbé Finet predicherà, nei locali
della scuola, il primo ritiro di cinque giorni, che ne segna
l'effettivo inizio dell'Opera dei Foyers.
Nel
1939 comincia una nuova evoluzione della malattia, che colpisce la
retina: cecità. Marthe Robin vive, allora, nell'oscurità.
Continua
ad accogliere i visitatori che vengono
sempre più numerosi, da tutti gli ambiti sociali, culturali,
religiosi, dalla Francia e dall'Estero: in particolare dal Belgio,
dalla Svizzera e dal Canada. Abbiamo i nomi della maggior parte di
coloro che hanno incontrato Marthe: sono più di centotremila. Quando
non riceve, si fa leggere la numerosa corrispondenza che arriva da
ogni parte del mondo. Come ha imparato da bambina, pensa
concretamente ai più bisognosi e fa preparare e spedire pacchi per i
dispensari e le maternità tenute dai missionari, per le assistenti
sociali delle prigioni, per gli ammalati. Prega, offre, intercede per
ciascuno e per tutti gli uomini del mondo intero, in particolare per
i sacerdoti. Vive come figlia della Chiesa, pur non essendo investita
da una missione ufficiale: il suo posto è e rimane il più umile
possibile, nel silenzio, nell'offerta e nella preghiera incessante.
Nel
1961, 25 anni dopo la fondazione del Foyer di Châteauneuf, si apre
in Togo il primo Foyer de Charité oltre Oceano. Altri ne seguiranno,
in Africa, in America, in Asia. I Foyers de Charité, partecipano
all'evangelizzazione richiesta dal Concilio Vaticano II, per
preparare la Nuova Pentecoste annunciata da Papa Giovanni XXIII.
Animati dallo Spirito Santo, con tutta la Chiesa, padri e membri del
foyer lavorano per rivelare al mondo il Cristo-Luce, facendo
conoscere il suo messaggio d'Amore e di Salvezza universale.
A mano a mano che l'Opera si sviluppa, Marthe progredisce nel
silenzio interiore, nella rinuncia ad ogni appoggio umano,
nell'abbandono totale alla Volontà e all'Amore Misericordioso di
Dio.
Il
6 febbraio 1981 Marthe Robin chiuderà gli occhi al mondo per
cominciare un'opera di intercessione ancora più efficace. Il 12
febbraio sei vescovi e quasi settemila persone partecipano ai suoi
funerali. Alla sua morte nel 1981 i Foyers de Charité sono 52. Ora
aspettiamo con fiducia che la Chiesa riconosca ufficialmente la sua
santità, ma noi possiamo già guardare al suo cammino spirituale con
grande speranza e fiducia ed invocarla perché ci ottenga l'abbandono
filiale a Dio e la vera pace del cuore.
(1)
Mi accontento qui solo di alcuni accenni e mi Sento un po' in
colpa di dedicare così poco spazio a quella che è ritenuta la più
grande mistica del secolo XX. Rimando per informazioni più complete
al libro scritto dal postulatore della causa di Beatificazione di
Marte nel maggio 2006 e di prossima pubblicazione in Italia
dall'Editrice Effatà di Torino: Bernard Peyrous, Vita di Marta
Robin.
(2)
Questa preghiera è l'Atto di Abbandono e di Offerta all'Amore e alla
Volontà di Dio, stilato da Marthe Robin il 15 Ottobre 1925.
(3)
Cfr. Ap 7,
9-17: “Dopo ciò, apparve una noltitudine innmensa, che nessuno
poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti
stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti
investi candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran
voce: La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e
all'Agnello. Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i
vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente
con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: Amen! Lode,
gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro
Dio nei secoli dei secoli. Amen. Uno dei vegliardi allora si rivolse
a me e disse: Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde
vengono? Gli risposi: Signore mio, tu lo sai. E lui: Essi sono coloro
che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le
loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo
stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte
nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda
sopra di loro. Non avranno più fате, пé avranno più sete, né
li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello
che sta in
mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti
delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi”.
Padre
Pierluigi Chiodaroli - Foyer de Charité - Salera -Tratto dal libro “
Abbandonarsi a Dio: il segreto della pace del cuore”
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