Nella
vallata del medio Danubio, dove sorge il castello reale di Presburgo,
nel 1207 nasce Elisabetta d’Ungheria, la secondogenita del re
Andrea II e della regina Gertrude.
È
una bambina bruna, che si rivela presto intelligente e buona, guidata
dalla madre, che cerca di inculcare nella figlia i primi sentimenti
religiosi e le prime norme del ruolo di una principessa. Durante la
sua prima infanzia, il langravio di Turingia Ermanno chiede al re
Andrea, la mano della sua seconda bambina per il figlio primogenito
Ludovico, suo erede. Più alto è il rango, a cui si appartiene e
più presto i parenti si affrettano a combinare il matrimonio
dell’erede. La promessa sposa viene educata, per una consuetudine
nobiliare, nella stessa famiglia del futuro marito, così che la
cultura, la lingua e la religione del fidanzato le senta come sue. Il
contratto del futuro matrimonio fra Ludovico ed Elisabetta d’Ungheria
è combinato senza difficoltà. A
soli quattro anni la piccola Elisabetta lascia i suoi cari e,
scortata da un convoglio, si dirige alla volta del castello della
Warburg, dove l’attendono il langravio Ermanno e la moglie Sofia,
che si prenderà cura della sua educazione. Nella sua nuova dimora
Elisabetta cresce, seguendo gli insegnamenti di Sofia, che coltiva la
religione e recita ogni giorno lunghe orazioni, dalle quali non
esonera mai neppure i figli e la servitù. Elisabetta è dolce,
volitiva, riflessiva e generosa; sente una straordinaria sicurezza
accanto a Ludovico; lui la capisce fino in fondo e le vuole bene.
Elisabetta è attenta alla voce interiore del divino Maestro e la
sequela di Cristo diventa il suo cammino quotidiano; non si lascia
distrarre dalle vanità femminili e dai divertimenti.
Il suo luogo
preferito è la cappella, nella quale sosta a lungo; in quelle ore
di preghiera ascolta la voce del Cristo, che la chiama a seguirlo per
servire il povero, il malato, il disperato. Alla Warburg tutti gli
occhi sono puntati, ora con benevolenza, ora con diffidenza, ora con
gelosia sulla principessa ungherese. Elisabetta instaura con Guda, la
sua damigella, un rapporto di intensa e sincera amicizia, che le
sarà di grande conforto in un ambiente che, a mano a mano, le
diventerà sempre più ostile. Elisabetta ama molto la lettura
del Vangelo di Giovanni, legge e rilegge le pagine della Passione,
imprimendole nella mente e nel cuore. Sofia, per la festa
dell’Assunzione, invita Elisabetta ad accompagnarla ad Eisenach,
nella chiesa appartenente ai cavalieri dell’Ordine Teutonico, nella
quale sarà celebrata la messa solenne. Siedono su scranni in prima
fila e vestono indumenti finissimi, come richiede la solennità e il
copricapo di tulle è fermato da una corona di perle. Appena
occupato il suo posto Elisabetta volge l’attenzione devota ad un
grande crocifisso, che le sta di fronte, e, dopo alcuni momenti di
raccoglimento, si leva la corona di perle, la depone sullo scranno e
si prostra in ginocchio. La chiesa è gremita di gente e a nessuno
sfugge quel gesto di umile adorazione. Anche Sofia lo nota e la
rimprovera dicendo: “Non puoi e non devi mai abdicare alla tua
dignità di futura langravia”, ma Elisabetta, a capo chino, le
risponde: “Ma io non posso tenere sul capo una corona di perle,
proprio qui di fronte al crocifisso, che tiene sul capo, per me, la
corona di spine”. Le disparità sociali e le crudele ingiustizie,
sancite da vecchie leggi non danno pace alla giovane Elisabetta, che
vuole rimediarvi, dando una svolta più onesta e più evangelica al
suo governo. Ludovico, poco più che ventenne, regge le sorti della
Turingia con estrema difficoltà, nonostante l’intelligenza e il
coraggio. Anche alcuni dei suoi vassalli sono insubordinati e
insofferenti che Ludovico sia troppo accondiscendente ai desideri
della principessa d’Ungheria, più preoccupata dei poveri che
della fortuna della Turingia. Nessuna tribolazione riesce, però, a
spegnere l’amore, che aumenta e si consolida fra i due fidanzati,
che celebrano il loro matrimonio nel 1221.
E
finalmente ecco Ludovico, sposo felice, affettuoso, che non ostacola
mai il cammino della sua Elisabetta verso le vette più ardite dei
santi. Il matrimonio è rallegrato da tre figli Ermanno, Sofia e
Gertrude. La risposta incondizionata al Vangelo a difesa dei
poveri, Elisabetta la dà soprattutto negli anni della carestia, che
colpisce duramente la Turingia. Lo spettro della fame e della
malattia penetra inesorabilmente in tutte le case. Nelle chiese e
dentro le abbazie si invoca l’aiuto della Provvidenza e si predica
la carità verso chi muore di fame. Elisabetta, mentre Ludovico,
chiamato ripetute volte dall’imperatore, è troppo lontano,
gestisce il suo potere con coraggio, avvedutezza e intelligenza e
spalanca soprattutto il suo grande cuore ai più colpiti dalla
carestia. Alla Warburg si fanno funzionare giorno e notte tutti i
forni del pane; i mulini non hanno tregua e la servitù è per gran
parte dirottata a quei servizi di emergenza, mentre Elisabetta visita
attentamente i guardaroba e vi preleva, senza riguardo, le lenzuola
di lino, le coperte di lana, i drappi di velluto, indumenti, mantelli
e calzature. Una leggenda – e sappiamo che esse hanno sempre un
fondo di verità – racconta che un giorno Elisabetta aveva
esaurito pane, vivande e frutta, ma la povera gente attendeva ancora.
“Vedi, Signore, quanti poveri invocano cibo e ristoro? Ti prego
aiutami”, ripete accorata. In un lampo le viene in mente che in una
dispensa c’è ancora una brocca piena di birra, la va a prendere e
comincia a versarla nei boccali che le vengono protesi da mani
agitate e impazienti. Ad uno ad uno quei boccali si riempiono, fino
all’ultimo, ma la brocca non si vuota. Nel frattempo i figli di san
Francesco d’Assisi fra i quali Tommaso da Celano, da poco hanno
varcato le Alpi e hanno fatto il loro ingresso in Germania e
raggiungono la Warburg, dove vengono accolti come una benedizione
dalla Langravia, alla quale donano un mantello da parte del Serafico
Padre. Nel 1226 l’imperatore annuncia la sesta Crociata alla quale
partecipa Ludovico, che, muore di colera l’11 settembre 1227, venti
giorni dopo la nascita della terza figlia Gertrude. La morte di
Ludovico porta un cambiamento tragico e totale nella vita della sua
consorte e dei suoi figli.
È
molto discusso il motivo che induce Elisabetta a lasciare la Warburg
con i tre bambini, una rigida sera d’inverno. La voce interiore
della penitente le impone di lasciare ogni agiatezza, di chiudersi
nel mantello logoro donatogli da san Francesco, per seguire senza
indugi madonna povertà. Quando viveva Ludovico, la principessa
aveva incontrato forti ostilità, così Sofia madre e in
particolare, il fratello di Ludovico, Enrico Raspe, non le
risparmiavano umiliazioni di ogni genere. Ora questi assume la
reggenza, esautora la giovane langravia e amministra i beni di lei
senza scrupolo. Elisabetta e i suoi bambini, fuggiti dal castello,
riescono a trovare rifugio in una locanda. Di buon mattino ella si
reca in un convento francescano e chiede che dopo il mattutino i
frati cantino per lei il Te Deum di ringraziamento al Signore.
I
frati informano il vescovo della triste vicenda, mentre in tutta la
Turingia si diffonde la notizia della principessa diseredata e
allontanata dalla corte. Guda e Isentrude le due ancelle,
fidatissime, raggiungono la loro signora, lasciando la Warburg e
recandole il cofano di preziosi portato in dote, ora recuperato.
Elisabetta converte l’oro in pane da distribuire a chi non ne ha.
Abitualmente visita i malati, due volte al giorno: li imbocca con
pazienza e attende ai servizi più umili. Un’altra prova le è
riservata: la proposta di matrimonio di Federico II.
Sarebbe
stata riabilitata agli occhi di tutti e avrebbe avuto una
sistemazione splendida per lei e i suoi figli, ma la giovane vedova
è irremovibile e continua a seguire libera e determinata la via del
Signore. Dopo alterne vicende fissa la sua dimora a Marburgo, dove
aveva fatto costruire l’ospedale dedicato a san Francesco e si
impegna totalmente a servizio dei poveri e dei malati. La sua vita
penitente intessuta di veglie, preghiere, digiuni, assistenza ai
bisognosi, poco a poco la porta ad una morte prematura. Una vita
breve, ma intensa: a quattro anni fidanzata, a quattordici moglie, a
venti madre di tre figli e vedova poi sorella penitente, a soli
ventiquattro anni, il 17 novembre 1231, da vera figlia di San
Francesco, può cantare il suo laudato al Signore per sorella morte
corporale, che le permette l’ingresso nella gloria dei santi. Nel
nostro clima di solidarietà e di promozione umana, la giovane,
suggestiva santa del medioevo, ha ancora una eloquente parola da
dire.
Dal
sito www.giullarididio.it/
Dalla
«Lettera» scritta da Corrado di Marburgo, direttore spirituale di
santa Elisabetta (Al pontefice, anno 1232; A. Wyss, Hessisches
Urkundenbuch I, Lipsia 1879, 31-35)
Elisabetta
conobbe ed amò Cristo nei poveri Elisabetta incominciò presto a
distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre
consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un
suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si
dedicò interamente alla cura dei bisognosi. Distribuiva con
larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne
facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori
dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza
i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti
di valore
e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.
Aveva preso l'abitudine di visitare tutti i suoi malati
personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese
cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò
un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in
ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in
contrasto con suo marito. Dopo la morte di lui, tendendo alla più
alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di
chiedere l'elemosina di porta in porta. Un Venerdì santo, quando
gli altari sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella del
suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di
alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità
del mondo e a tutto quello che nel Vangelo il Salvatore ha
consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere
riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva
nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto
ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non
volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli
invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più
derelitti. Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna
così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte
attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso
che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal
volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei
raggi di sole. Prima della morte ne ascoltai la confessione e le
domandai cosa di dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili.
Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e
mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di
nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser
seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a
sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella
predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione,
tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi
dolcemente.
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