giovedì 24 dicembre 2015

Meditazione sul Natale di Eugenio Pramotton



La ricorrenza dei tempi liturgici


C'è una divisione del tempo secondo il calendario civile e ce n'è un'altra secondo il calendario liturgico. L'anno civile inizia il primo gennaio e termina il 31 dicembre, mentre quello liturgico inizia con la prima domenica di avvento, quattro domeniche prima di Natale, e termina con la festa di Cristo Re, cinque domeniche prima di Natale. In questo tempo si celebrano i momenti più significativi della storia del Bambino che diventerà Re dell'universo. Ma oltre alle imprese del Re, vengono anche ricordate le glorie dei suoi santi e della Regina Madre.

Ora, agli anni seguono gli anni e sempre la Chiesa ci ripropone la stessa serie di celebrazioni: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Assunzione... Potremmo chiederci: come mai questa insistenza, questa ripetizione monotona, non sarebbe il caso di variare un po' i programmi? Per rispondere a questa domanda conviene esaminare il problema secondo vari aspetti. Un primo aspetto è che anche la natura ha i suoi cicli, le sue stagioni, le sue ricorrenze: giorni, settimane, mesi, anni. La ripetizione è dunque un fatto naturale. Ad esempio, l'anno sportivo ogni anno ripropone le sue partite domenicali, lo sci d'inverno e il ciclismo d'estate. L'anno lavorativo ha le sue ricorrenze di fatiche, soddisfazioni, vacanze. Gli studenti hanno l'anno scolastico con i suoi ritmi e le sue scadenze. I contadini i diversi lavori nelle diverse stagioni che terminano con la gioia del raccolto e delle feste ad esso collegate. La società civile celebra ogni anno le ricorrenze più significative della sua storia. Ci sono poi i riti quotidiani: la lettura del giornale, la spesa, le chiacchiere, il pranzo la cena e da ultimo la "contemplazione" della televisione...

La familiarità con queste ricorrenze rischia però di adagiarci nel conforto e nella sicurezza che esse ci procurano. La Chiesa ci propone allora le sue ricorrenze, le sue celebrazioni e le sue feste, perché non ci dimentichiamo che la nostra vita non avrebbe alcun senso se venisse privata della sua dimensione spirituale, se non si aprisse alla luce ed alle iniziative di Dio, se non ci ricordassimo di fondare la nostra speranza in una pienezza di vita che Dio solo può concederci. Da queste prospettive e queste speranze rischiamo di venir distolti se troppo ci lasciamo prendere dai ritmi, dagli agi o dai disagi della vita presente.

Un altro aspetto è che le ricorrenze dell'anno liturgico possono costituire un richiamo o un motivo di riflessione per coloro che non credono, per gli indifferenti, o per chi è alla ricerca della verità; ma le ragioni più profonde di queste ricorrenze sono da ricercare nelle profondità inesauribili dei misteri di Dio. Così, i tempi e le feste che ogni anno la Chiesa ci propone sono un invito per coloro che credono a cercare di approfondire la conoscenza delle iniziative che Dio ha intrapreso per venire in nostro soccorso e per manifestarci il suo amore.

Il coinvolgimento diretto di Dio nella nostra storia

Fra le iniziative più sconvolgenti che Dio ha intrapreso in nostro favore, vi è senza dubbio quella di farsi uomo; per comprendere bene l'amore che sta dietro questa iniziativa, abbiamo bisogno di tempo, anzi, di molto tempo, ecco perché la festa del Natale è preceduta dalle quattro domeniche di avvento, ma un avvento solo non basta, ce ne vogliono tanti, e quando giungeremo al termine della vita capiremo forse che dovremo passare all'altra per comprendere veramente l'amore di Dio per noi.

Durante questa vita ci è chiesto di provare, di fare il possibile per cercare di comprendere e rispondere positivamente all'amore che Dio ci propone. Se diremo di sì, se offriremo a Dio la nostra buona volontà e la nostra collaborazione, allora, di avvento in avvento, di Natale in Natale, verremo da Lui guidati ad una comprensione sempre più intima e profonda del suo amore, sarà come passare da una conoscenza del suo amore "per sentito dire", ad una conoscenza del suo amore "per esperienza", l'unica che può nutrirci veramente. A questo proposito Santa Teresa d'Avila si esprimeva più o meno in questi termini: Io non ho mai capito un gran che fino a quando il Signore non me lo ha fatto comprendere per esperienza.

Il tempo di avvento è dunque un tempo di preparazione; preparazione al Natale, preparazione alla nascita di Gesù. Ma preparazione di che cosa? Dell'albero, del presepio, dei regali? Anche, ma la preparazione più impegnativa è quella dei nostri cuori. Ora, i nostri cuori hanno bisogno di crescere nella presa di coscienza di due cose. Queste due cose ci vengono manifestate dal significato stesso del nome Gesù. Il nome Gesù significa infatti: Dio salva; ecco le due cose: da una parte qualcuno che ha un bisogno enorme di venir salvato, e questi siamo noi, dall'altra qualcuno che ha un desiderio enorme di salvarci, e questo è Dio; ecco i due aspetti che richiedono da noi un costante approfondimento, una consapevolezza sempre maggiore.

Le circostanze ambientali della nascita di Gesù

Potremmo cercare di comprendere il nostro grande bisogno di venir salvati, riflettendo sulle circostanze ambientali in cui avviene la nascita di Gesù. Gesù nasce infatti di notte... in inverno... in una stalla abbandonata... traducendo in termini spirituali potremmo dire: Gesù viene e trova il buio nei nostri cuori, Gesù viene e trova in essi il gelo, Gesù viene e li trova vuoti, abbandonati e desolati. La situazione non troppo piacevole nella quale ci troviamo, diventa tuttavia l'occasione che permette a Dio di manifestarci quanto è disposto a fare per noi.

Ecco ciò che il tempo di avvento e la festa del Natale tentano di anno in anno di farci comprendere: la misericordia di un Dio che sa quante e quali tenebre oscurano le nostre menti, e proprio per questo viene, per portarci la sua luce. Natale ci manifesta l'amore di un Dio che sa quanto i nostri cuori sono freddi e induriti dal gelo, ed allora viene a scaldarli con il fuoco del suo amore. Dio sa quanta solitudine, quanto abbandono, quanta tristezza e desolazione pesano sui nostri cuori, e Lui viene ad offrirci la sua amicizia, il suo perdono, la sua gioia. Natale ci manifesta ancora la pazienza di un Dio che sa la nostra difficoltà a comprendere il suo amore, la nostra difficoltà a rispondergli di sì senza tentennamenti e senza riserve, ed allora viene, bambino, per crescere a poco a poco insieme a noi.

Questo il desiderio di Gesù bambino per Natale, il desiderio di guarirci, il desiderio di salvarci, ma il desiderio di Gesù potrà realizzarsi solo quando incontrerà nel nostro cuore un corrispondente desiderio di salvezza. Nella vita presente non mancano le vicende e le situazioni che contribuiscono ad acuire in noi questo desiderio: malattie, infelicità, delusioni, depressioni, paure, incertezze, inquietudini, sofferenze di ogni genere, così, più procediamo nella vita più dovremmo diventare consapevoli della necessità di incontrare qualcuno che ci salvi, e quando finalmente, dal profondo del cuore, sorgerà una supplica umile e costante affinché il Signore venga a salvarci, allora, prima o poi, la sua salvezza si manifesterà.

Nel frattempo, ogni avvento e ogni Natale dovremmo crescere nella consapevolezza di non poter vivere senza la salvezza e la vita che Gesù ci promette.

Un pensiero di Bossuet

Quando gli Angeli si rivolgono ai pastori per annunciare la nascita di Gesù, così si esprimono: Il salvatore del mondo, oggi è nato. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2, 11-12).

Queste parole ci mostrano, come già sappiamo, che il nostro Salvatore è un bambino, e un bambino povero. Su questi due aspetti conviene fare alcune riflessioni. Il fatto che Gesù sia nato e vissuto povero ci dice, contrariamente alle nostre tendenze e ai nostri desideri, che la salvezza, la vera vita, la felicità, non stanno nel possedere molti beni materiali, e questo è per noi un primo richiamo, un avvertimento per chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire. A proposito della povertà per cui Gesù è voluto passare al momento della sua nascita, è utile ascoltare quanto diceva Bossuet nel Natale del 1665.

Il Figlio di Dio, facendosi uomo per salvarci e per indicarci la via del Cielo, nel compiere la sua opera bisognava che allontanasse tutti gli ostacoli che ci impedivano di giungere alla meta. Ed è ciò che inizia a fare, in modo ammirabile, col nascere in una mangiatoia... Infatti, ciò che impedisce al nostro affetto di volgerci con determinazione verso il sommo bene che è Dio, è l'errato valore che noi assegniamo ai beni di questo mondo, è la folle e ridicola persuasione, diffusa in quasi tutti gli uomini, che tutta la felicità della vita consista in quei beni esterni che sono gli onori, le ricchezze, i piaceri. Strano e miserevole errore! Allora il Figlio di Dio viene al mondo come riformatore del genere umano, per guarire gli uomini dai loro errori e dare loro la vera scienza dei beni e dei mali... Se le grandezze che amiamo, se i piaceri che ricerchiamo, fossero veri, chi altri ne meriterebbe il godimento ed il possesso se non Dio? Chi li avrebbe potuti avere con più facilità e con più magnificenza? Quale guardia imponente lo circonderebbe! Quanto sarebbe magnifica la sua corte! Quale porpora sulle sue spalle! Quale oro sfavillante sulla sua testa! Quante delizie la natura gli offrirebbe, essa che prontamente obbedisce ai suoi ordini! Ma, come dice Tertulliano, "ha stimato che questi beni, questi godimenti e questa gloria fossero indegni di Lui e dei suoi". Ci ha mostrato che queste grandezze, essendo passeggere ed illusorie, farebbero torto alla sua vera grandezza. Gesù... non soltanto rifiuta la gloria umana, ma per mostrarci quanto poco la consideri, va a stabilirsi all'estremità opposta. Così si studia di trovare il passaggio più basso per fare il suo ingresso nel mondo; vede una stalla mezza diroccata ed è di lì che vuol passare. Si carica di tutto ciò che gli uomini evitano, di tutto ciò che essi temono, di tutto ciò che ripugna ai loro sensi, per farci vedere quanto le ricchezze della vita presente sono da lui considerate vane ed illusorie: così io mi figuro la sua mangiatoia, non già come una culla indegna di Dio, ma come un carro trionfale mediante il quale trascina vittorioso il mondo sconfitto. E mi sembra che a motivo di questa vittoria ci dica con autorevole certezza: "coraggio, io ho vinto il mondo".

Potremmo a questo punto chiederci: se il nostro vero bene non è nelle ricchezze di questo mondo, dove lo dobbiamo cercare? Se Gesù, che è il nostro salvatore, ha voluto essere così povero, mediante cosa ci salva? Qual è la sua vera ricchezza, qual è la sua vera gloria? Potremmo rispondere che lì dove è la vera gloria e la vera ricchezza di Gesù, lì è anche il nostro vero bene e la nostra salvezza. Ma Gesù non ha voluto avere altra ricchezza ed altra gloria in mezzo a noi, se non quella della carità. La carità è la vita stessa della Santissima Trinità, la sua bellezza, il suo splendore. L'apostolo Giovanni, che ha penetrato a fondo i misteri di Dio, così ci insegna: Chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (1Gv 4, 7-8). Così, lasciarsi attirare ed animare dalla carità sarà anche il nostro vero bene e la nostra salvezza.

A proposito dell'amore e della povertà, Bossuet osserva ancora: Se il nostro maggior male è la nostra incapacità di amare, allora è proprio di Gesù Cristo che abbiamo bisogno; se al contrario il nostro maggior male è la povertà o la miseria, allora Gesù Cristo non è il nostro Salvatore: non è venuto per questo.

Non dobbiamo dunque aspettarci altro da Gesù se non che ci insegni ad amare, perché Lui vuole guarirci e salvarci mediante la carità, e uno dei mezzi che utilizza a questo scopo è proprio quello di venire a noi come un bambino povero. Un bambino infatti, per sua natura muove alla bontà e alla tenerezza, un bambino, inoltre, ha bisogno di ricevere tutto da tutti, e questo significa che coloro che gli sono vicini vengono sollecitati a dare, e dare è uscire da se stessi per essere attenti agli altri; quando poi il bambino è povero le occasioni per l’esercizio della carità vengono ancora aumentate.

Dio, che ha tutto e non ha bisogno di niente e di nessuno, ha voluto farsi povero e bisognoso così da poter ricompensare, alla maniera di un Dio, ogni nostro atto di carità nei suoi confronti. E se uno dicesse: Ma Gesù si è fatto bambino povero duemila anni fa, come faccio a compiere atti di carità nei suoi confronti? La risposta è nel racconto che Gesù fa del giudizio finale, in questo racconto ci insegna che ogni atto di carità che avremo fatto al più piccolo dei suoi fratelli l'avremo fatto a Lui. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25, 37-40).

L’atmosfera di Natale e il decalogo di Papa Giovanni

Accade così che a Natale circola nell’aria come un richiamo, come una nostalgia di un mondo in cui i rapporti umani siano caratterizzati dalla bontà; questo richiamo rischia però di rimanere superficiale e passeggero. Perché questo non accada bisogna accettare di crescere insieme al Bambino di Betlemme e scoprire, con il soccorso dello Spirito Santo, che quel Bambino è la manifestazione stessa dell’amore di Dio per noi, non è un Bambino come tutti gli altri, non è solo un Bambino, ma il Figlio stesso di Dio in mezzo a noi, l’unico in grado di cambiare il nostro cuore di pietra in un cuore di carne.

Per aiutarci a verificare quanto è buono il nostro cuore Papa Giovanni XXIII ha scritto un decalogo della bontà su cui sarebbe bene riflettere di tanto in tanto.

  • Essere buono è dimenticare se stessi per pensare agli altri.
  • Essere buono è perdonare pensando che la miseria umana è più grande della cattiveria.
  • Essere buono è avere pietà della debolezza altrui pensando che noi non siamo diversi dagli altri e, nelle loro condizioni, forse saremmo stati peggiori.
  • Essere buono è chiudere gli occhi davanti all’ingratitudine.
  • Essere buono è dare anche quando non si riceve, sorridendo a chi non comprende o non apprezza la nostra generosità.
  • Essere buono è sacrificarsi, aggiungendo al peso delle nostre pene di ogni giorno quello delle pene altrui.
  • Essere buono è tener ben stretto il proprio cuore per riuscire a soffocare le sofferenze e sorridere costantemente.
  • Essere buono è accettare il fatto poco simpatico che più doneremo più ci sarà domandato.
  • Essere buono è acconsentire a non avere più nulla riservato a se stessi, tranne la gioia della coscienza pura.
  • Essere buono è riconoscere con semplicità che davvero buono è solo Dio.
Eugenio Pramotton dal sito http://www.medvan.it/

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