La ricorrenza dei tempi liturgici
C'è una
divisione del tempo secondo il calendario civile e ce n'è un'altra
secondo il calendario liturgico. L'anno civile inizia il primo
gennaio e termina il 31 dicembre, mentre quello liturgico inizia con
la prima domenica di avvento, quattro domeniche prima di Natale, e
termina con la festa di Cristo Re, cinque domeniche prima di Natale.
In questo tempo si celebrano i momenti più significativi della
storia del Bambino che diventerà Re dell'universo. Ma oltre alle
imprese del Re, vengono anche ricordate le glorie dei suoi santi e
della Regina Madre.
Ora, agli
anni seguono gli anni e sempre la Chiesa ci ripropone la stessa serie
di celebrazioni: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Ascensione,
Pentecoste, Assunzione... Potremmo chiederci: come mai questa
insistenza, questa ripetizione monotona, non sarebbe il caso di
variare un po' i programmi? Per rispondere a questa domanda conviene
esaminare il problema secondo vari aspetti. Un primo aspetto è che
anche la natura ha i suoi cicli, le sue stagioni, le sue ricorrenze:
giorni, settimane, mesi, anni. La ripetizione è dunque un fatto
naturale. Ad esempio, l'anno sportivo ogni anno ripropone le sue
partite domenicali, lo sci d'inverno e il ciclismo d'estate. L'anno
lavorativo ha le sue ricorrenze di fatiche, soddisfazioni, vacanze.
Gli studenti hanno l'anno scolastico con i suoi ritmi e le sue
scadenze. I contadini i diversi lavori nelle diverse stagioni che
terminano con la gioia del raccolto e delle feste ad esso collegate.
La società civile celebra ogni anno le ricorrenze più significative
della sua storia. Ci sono poi i riti quotidiani: la lettura del
giornale, la spesa, le chiacchiere, il pranzo la cena e da ultimo la
"contemplazione" della televisione...
La
familiarità con queste ricorrenze rischia però di adagiarci nel
conforto e nella sicurezza che esse ci procurano. La Chiesa ci
propone allora le sue ricorrenze, le sue celebrazioni e le sue feste,
perché non ci dimentichiamo che la nostra vita non avrebbe alcun
senso se venisse privata della sua dimensione spirituale, se non si
aprisse alla luce ed alle iniziative di Dio, se non ci ricordassimo
di fondare la nostra speranza in una pienezza di vita che Dio solo
può concederci. Da queste prospettive e queste speranze rischiamo di
venir distolti se troppo ci lasciamo prendere dai ritmi, dagli agi o
dai disagi della vita presente.
Un altro
aspetto è che le ricorrenze dell'anno liturgico possono costituire
un richiamo o un motivo di riflessione per coloro che non credono,
per gli indifferenti, o per chi è alla ricerca della verità; ma le
ragioni più profonde di queste ricorrenze sono da ricercare nelle
profondità inesauribili dei misteri di Dio. Così, i tempi e le
feste che ogni anno la Chiesa ci propone sono un invito per coloro
che credono a cercare di approfondire la conoscenza delle iniziative
che Dio ha intrapreso per venire in nostro soccorso e per
manifestarci il suo amore.
Il
coinvolgimento diretto di Dio nella nostra storia
Fra le
iniziative più sconvolgenti che Dio ha intrapreso in nostro favore,
vi è senza dubbio quella di farsi uomo; per comprendere bene l'amore
che sta dietro questa iniziativa, abbiamo bisogno di tempo, anzi, di
molto tempo, ecco perché la festa del Natale è preceduta dalle
quattro domeniche di avvento, ma un avvento solo non basta, ce ne
vogliono tanti, e quando giungeremo al termine della vita capiremo
forse che dovremo passare all'altra per comprendere veramente l'amore
di Dio per noi.
Durante
questa vita ci è chiesto di provare, di fare il possibile per
cercare di comprendere e rispondere positivamente all'amore che Dio
ci propone. Se diremo di sì, se offriremo a Dio la nostra buona
volontà e la nostra collaborazione, allora, di avvento in avvento,
di Natale in Natale, verremo da Lui guidati ad una comprensione
sempre più intima e profonda del suo amore, sarà come passare da
una conoscenza del suo amore "per sentito dire", ad una
conoscenza del suo amore "per esperienza", l'unica che può
nutrirci veramente. A questo proposito Santa Teresa d'Avila si
esprimeva più o meno in questi termini: Io non ho mai capito un
gran che fino a quando il Signore non me lo ha fatto comprendere per
esperienza.
Il tempo di
avvento è dunque un tempo di preparazione; preparazione al Natale,
preparazione alla nascita di Gesù. Ma preparazione di che cosa?
Dell'albero, del presepio, dei regali? Anche, ma la preparazione più
impegnativa è quella dei nostri cuori. Ora, i nostri cuori hanno
bisogno di crescere nella presa di coscienza di due cose. Queste due
cose ci vengono manifestate dal significato stesso del nome Gesù. Il
nome Gesù significa infatti: Dio salva; ecco le due cose: da
una parte qualcuno che ha un bisogno enorme di venir salvato, e
questi siamo noi, dall'altra qualcuno che ha un desiderio enorme di
salvarci, e questo è Dio; ecco i due aspetti che richiedono da noi
un costante approfondimento, una consapevolezza sempre maggiore.
Le
circostanze ambientali della nascita di Gesù
Potremmo
cercare di comprendere il nostro grande bisogno di venir salvati,
riflettendo sulle circostanze ambientali in cui avviene la nascita di
Gesù. Gesù nasce infatti di notte... in inverno... in una stalla
abbandonata... traducendo in termini spirituali potremmo dire: Gesù
viene e trova il buio nei nostri cuori, Gesù viene e trova in essi
il gelo, Gesù viene e li trova vuoti, abbandonati e desolati. La
situazione non troppo piacevole nella quale ci troviamo, diventa
tuttavia l'occasione che permette a Dio di manifestarci quanto è
disposto a fare per noi.
Ecco ciò che
il tempo di avvento e la festa del Natale tentano di anno in anno di
farci comprendere: la misericordia di un Dio che sa quante e quali
tenebre oscurano le nostre menti, e proprio per questo viene, per
portarci la sua luce. Natale ci manifesta l'amore di un Dio che sa
quanto i nostri cuori sono freddi e induriti dal gelo, ed allora
viene a scaldarli con il fuoco del suo amore. Dio sa quanta
solitudine, quanto abbandono, quanta tristezza e desolazione pesano
sui nostri cuori, e Lui viene ad offrirci la sua amicizia, il suo
perdono, la sua gioia. Natale ci manifesta ancora la pazienza di un
Dio che sa la nostra difficoltà a comprendere il suo amore, la
nostra difficoltà a rispondergli di sì senza tentennamenti e senza
riserve, ed allora viene, bambino, per crescere a poco a poco insieme
a noi.
Questo il
desiderio di Gesù bambino per Natale, il desiderio di guarirci, il
desiderio di salvarci, ma il desiderio di Gesù potrà realizzarsi
solo quando incontrerà nel nostro cuore un corrispondente desiderio
di salvezza. Nella vita presente non mancano le vicende e le
situazioni che contribuiscono ad acuire in noi questo desiderio:
malattie, infelicità, delusioni, depressioni, paure, incertezze,
inquietudini, sofferenze di ogni genere, così, più procediamo nella
vita più dovremmo diventare consapevoli della necessità di
incontrare qualcuno che ci salvi, e quando finalmente, dal profondo
del cuore, sorgerà una supplica umile e costante affinché il
Signore venga a salvarci, allora, prima o poi, la sua salvezza si
manifesterà.
Nel
frattempo, ogni avvento e ogni Natale dovremmo crescere nella
consapevolezza di non poter vivere senza la salvezza e la vita che
Gesù ci promette.
Un
pensiero di Bossuet
Quando gli
Angeli si rivolgono ai pastori per annunciare la nascita di Gesù,
così si esprimono: Il salvatore del mondo, oggi è nato. Questo
per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in
una mangiatoia (Lc 2, 11-12).
Queste parole
ci mostrano, come già sappiamo, che il nostro Salvatore è un
bambino, e un bambino povero. Su questi due aspetti conviene fare
alcune riflessioni. Il fatto che Gesù sia nato e vissuto povero ci
dice, contrariamente alle nostre tendenze e ai nostri desideri, che
la salvezza, la vera vita, la felicità, non stanno nel possedere
molti beni materiali, e questo è per noi un primo richiamo, un
avvertimento per chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire. A
proposito della povertà per cui Gesù è voluto passare al momento
della sua nascita, è utile ascoltare quanto diceva Bossuet nel
Natale del 1665.
Il Figlio
di Dio, facendosi uomo per salvarci e per indicarci la via del Cielo,
nel compiere la sua opera bisognava che allontanasse tutti gli
ostacoli che ci impedivano di giungere alla meta. Ed è ciò che
inizia a fare, in modo ammirabile, col nascere in una mangiatoia...
Infatti, ciò che impedisce al nostro affetto di volgerci con
determinazione verso il sommo bene che è Dio, è l'errato valore che
noi assegniamo ai beni di questo mondo, è la folle e ridicola
persuasione, diffusa in quasi tutti gli uomini, che tutta la felicità
della vita consista in quei beni esterni che sono gli onori, le
ricchezze, i piaceri. Strano e miserevole errore! Allora il Figlio di
Dio viene al mondo come riformatore del genere umano, per guarire gli
uomini dai loro errori e dare loro la vera scienza dei beni e dei
mali... Se le grandezze che amiamo, se i piaceri che ricerchiamo,
fossero veri, chi altri ne meriterebbe il godimento ed il possesso se
non Dio? Chi li avrebbe potuti avere con più facilità e con più
magnificenza? Quale guardia imponente lo circonderebbe! Quanto
sarebbe magnifica la sua corte! Quale porpora sulle sue spalle! Quale
oro sfavillante sulla sua testa! Quante delizie la natura gli
offrirebbe, essa che prontamente obbedisce ai suoi ordini! Ma, come
dice Tertulliano, "ha stimato che questi beni, questi godimenti
e questa gloria fossero indegni di Lui e dei suoi". Ci ha
mostrato che queste grandezze, essendo passeggere ed illusorie,
farebbero torto alla sua vera grandezza. Gesù... non soltanto
rifiuta la gloria umana, ma per mostrarci quanto poco la consideri,
va a stabilirsi all'estremità opposta. Così si studia di trovare il
passaggio più basso per fare il suo ingresso nel mondo; vede una
stalla mezza diroccata ed è di lì che vuol passare. Si carica di
tutto ciò che gli uomini evitano, di tutto ciò che essi temono, di
tutto ciò che ripugna ai loro sensi, per farci vedere quanto le
ricchezze della vita presente sono da lui considerate vane ed
illusorie: così io mi figuro la sua mangiatoia, non già come una
culla indegna di Dio, ma come un carro trionfale mediante il quale
trascina vittorioso il mondo sconfitto. E mi sembra che a motivo di
questa vittoria ci dica con autorevole certezza: "coraggio, io
ho vinto il mondo".
Potremmo a
questo punto chiederci: se il nostro vero bene non è nelle ricchezze
di questo mondo, dove lo dobbiamo cercare? Se Gesù, che è il nostro
salvatore, ha voluto essere così povero, mediante cosa ci salva?
Qual è la sua vera ricchezza, qual è la sua vera gloria? Potremmo
rispondere che lì dove è la vera gloria e la vera ricchezza di
Gesù, lì è anche il nostro vero bene e la nostra salvezza. Ma Gesù
non ha voluto avere altra ricchezza ed altra gloria in mezzo a noi,
se non quella della carità. La carità è la vita stessa della
Santissima Trinità, la sua bellezza, il suo splendore. L'apostolo
Giovanni, che ha penetrato a fondo i misteri di Dio, così ci
insegna: Chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio, chi non ama
non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (1Gv 4, 7-8). Così,
lasciarsi attirare ed animare dalla carità sarà anche il nostro
vero bene e la nostra salvezza.
A proposito
dell'amore e della povertà, Bossuet osserva ancora: Se il nostro
maggior male è la nostra incapacità di amare, allora è proprio di
Gesù Cristo che abbiamo bisogno; se al contrario il nostro maggior
male è la povertà o la miseria, allora Gesù Cristo non è il
nostro Salvatore: non è venuto per questo.
Non dobbiamo
dunque aspettarci altro da Gesù se non che ci insegni ad amare,
perché Lui vuole guarirci e salvarci mediante la carità, e uno dei
mezzi che utilizza a questo scopo è proprio quello di venire a noi
come un bambino povero. Un bambino infatti, per sua natura muove alla
bontà e alla tenerezza, un bambino, inoltre, ha bisogno di ricevere
tutto da tutti, e questo significa che coloro che gli sono vicini
vengono sollecitati a dare, e dare è uscire da se stessi per essere
attenti agli altri; quando poi il bambino è povero le occasioni per
lesercizio della carità vengono ancora aumentate.
Dio, che ha
tutto e non ha bisogno di niente e di nessuno, ha voluto farsi povero
e bisognoso così da poter ricompensare, alla maniera di un Dio, ogni
nostro atto di carità nei suoi confronti. E se uno dicesse: Ma
Gesù si è fatto bambino povero duemila anni fa, come faccio a
compiere atti di carità nei suoi confronti? La risposta è nel
racconto che Gesù fa del giudizio finale, in questo racconto ci
insegna che ogni atto di carità che avremo fatto al più piccolo dei
suoi fratelli l'avremo fatto a Lui. Allora i giusti gli
risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti
abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando
ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti
abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e
siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità
vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25, 37-40).
Latmosfera
di Natale e il decalogo di Papa Giovanni
Accade così
che a Natale circola nellaria come un richiamo, come una nostalgia
di un mondo in cui i rapporti umani siano caratterizzati dalla bontà;
questo richiamo rischia però di rimanere superficiale e passeggero.
Perché questo non accada bisogna accettare di crescere insieme al
Bambino di Betlemme e scoprire, con il soccorso dello Spirito Santo,
che quel Bambino è la manifestazione stessa dellamore di Dio per
noi, non è un Bambino come tutti gli altri, non è solo un Bambino,
ma il Figlio stesso di Dio in mezzo a noi, lunico in grado di
cambiare il nostro cuore di pietra in un cuore di carne.
Per aiutarci
a verificare quanto è buono il nostro cuore Papa Giovanni XXIII ha
scritto un decalogo della bontà su cui sarebbe bene riflettere di
tanto in tanto.
- Essere buono è dimenticare se stessi per pensare agli altri.
- Essere buono è perdonare pensando che la miseria umana è più grande della cattiveria.
- Essere buono è avere pietà della debolezza altrui pensando che noi non siamo diversi dagli altri e, nelle loro condizioni, forse saremmo stati peggiori.
- Essere buono è chiudere gli occhi davanti allingratitudine.
- Essere buono è dare anche quando non si riceve, sorridendo a chi non comprende o non apprezza la nostra generosità.
- Essere buono è sacrificarsi, aggiungendo al peso delle nostre pene di ogni giorno quello delle pene altrui.
- Essere buono è tener ben stretto il proprio cuore per riuscire a soffocare le sofferenze e sorridere costantemente.
- Essere buono è accettare il fatto poco simpatico che più doneremo più ci sarà domandato.
- Essere buono è acconsentire a non avere più nulla riservato a se stessi, tranne la gioia della coscienza pura.
- Essere buono è riconoscere con semplicità che davvero buono è solo Dio.
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