Lc 2, 41-50
Quando Dio trasgredisce la legge
Normalmente, quando si recita il rosario, non ci si rende conto delle
stranezze o dei misteri contenuti nell'episodio richiamato dalle parole:
"Gesù ritrovato nel tempio". Ma a ben vedere abbiamo qui il racconto di
un'enormità che, se non ce la lasciamo sfuggire, può diventare
un'occasione per comprendere meglio l'agire di Dio. Il fatto
sconcertante della vicenda è che la più elementare legge dell'amore: Non fare a nessuno ciò che non piace a te
(Tb 4, 15), viene clamorosamente trasgredita da Dio stesso. A nessuno
infatti piace lo stato di ansietà e di angoscia, quindi si dovrebbe
evitare di procurare ad altri ansietà e angoscia. Ora, se Gesù voleva
rimanere a Gerusalemme per intrattenersi con i dottori del tempio, la
più elementare buona educazione esigeva che avvertisse Maria e Giuseppe
delle sue intenzioni.
Il "peccato di omissione" commesso da Gesù è tanto più grave quanto più è
intenso e puro l'amore di Maria e Giuseppe nei suoi confronti. Se uno
non avvisa gli amici che non può venire ad una cena, è grave, ma se non
avvisa la moglie che si trattiene a cena con gli amici, la gravità è
molto maggiore a causa dell'amore più grande con cui è legato a sua
moglie. Gesù dunque si assume la responsabilità di procurare apprensione
e angoscia a coloro che gli sono particolarmente cari. E questo è un
fatto molto misterioso.
Il guaio è che anche con l'età adulta le cose non migliorano. Quando
Marta e Maria mandano a dire a Gesù che il suo amico Lazzaro è molto
malato, Egli, invece di rispondere prontamente alle sorelle che sono nel
dolore e nell'apprensione, Si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava
(Gv 11, 6); Lazzaro muore e a Marta e Maria, oltre al dolore per la
morte del fratello, se ne aggiunge un altro non meno profondo per
l'incomprensibile comportamento di Gesù. In entrambi i casi, proprio
coloro che sono uniti a Gesù da particolare affetto vengono feriti e
turbati nel loro amore verso di Lui.
non si capisce più niente
Sorge allora spontanea la domanda: Perché ci hai fatto questo? Risposta: … Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
E com'è che per occuparsi delle cose del Padre suo Gesù, potendolo, non
si preoccupa di evitare tribolazioni e angosce alle persone più care?
Forse che la correttezza nei rapporti personali non fa parte delle cose
del Padre suo? O tra queste cose sono previste anche le tribolazioni e
le angosce?
Da notare ancora che Gesù non si preoccupa affatto di chiedere scusa per
il disagio e le angustie provocate dal suo comportamento, segno che ha
agito con piena avvertenza e deliberato consenso. Il che non fa che
aggravare e rendere più incomprensibile quanto è accaduto. Non a caso
l'evangelista annota: Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro (Lc 2, 50). Quindi non compresero perché aveva fatto questo.
Ed è un'affermazione sconcertante. Dobbiamo infatti considerare chi
sono coloro che non comprendono. Sono due persone di grande santità che
hanno più volte dimostrato grande docilità ai disegni divini. Sono due
persone dalla vita di preghiera intensa, abituate a meditare la
Scrittura e che reciprocamente si aiutavano a comprendere e percorrere
le vie di Dio. Tuttavia, nonostante queste disposizioni favorevoli, che
difficilmente si possono trovare riunite in altri casi con altrettanto
valore, Maria e Giuseppe non comprendono il comportamento e le parole di
Gesù, non comprendono l'agire di Dio. E non lo comprendono perché in
coloro che amano è impossibile pensare che un amore possa venir
trascurato, offeso, tradito. Se questo accade la ferita che si produce è
tanto più dolorosa e profonda quanto più è puro e sensibile il cuore di
colui che ama.
Se Gesù avesse detto a Maria e Giuseppe : Vi avverto che dopo la festa devo rimanere a Gerusalemme per ascoltare e interrogare i dottori del tempio,
non ci sarebbe stato nessun dramma, nessuna angoscia o tribolazione.
Così come non ci sarebbe stata angoscia in Marta e Maria se Gesù fosse
subito accorso presso Lazzaro, oppure avesse provveduto a guarirlo da
lontano. Invece tutto accade come se Gesù avesse un cuore duro e
insensibile, come se l'Amore non rispondesse all'amore, come se l'Amico
si comportasse da nemico.
… e si entra in contraddizione
Allora nel cuore di Maria e Giuseppe, di Marta e Maria vengono a
scontrarsi queste due esperienze: da un lato quella gratificante e
beatificante dell'amore di Gesù, ossia di un amore capace di rispondere
veramente e pienamente alle attese più profonde del cuore umano,
dall'altra quella dolorosa e angosciosa provocata dal fatto che l'amore
sembra smentire se stesso e non risponde come sarebbe giusto aspettarsi
da una persona amata e amante. Che fare quando ci si trova in simili
circostanze? Non c'è molto da fare, si soffre e si geme e basta.
Potrebbero tuttavia essere utili le seguenti considerazioni. In simili
casi non è tanto un atto di intelligenza o di comprensione della
situazione che è richiesto, perché la drammaticità del momento consiste
proprio nell'impossibilità di comprendere gli eventi che bisogna
attraversare.
È invece più conveniente favorire un certo spirito di fiducia, di
speranza e di abbandono, piuttosto che lasciar prevalere uno spirito di
rivolta e di disperazione che spinge a rompere i rapporti con Dio. È più
conveniente farGli credito, avere ancora fiducia in Lui anche se i
fatti parlano contro di Lui e aspettare che la luce torni a splendere e
l'Amore a esercitare la sua consolazione. Infatti Marta e Maria saranno
grandemente consolate sia dalla risurrezione di Lazzaro sia nel veder
riconfermata la loro amicizia con Gesù. E Maria e Giuseppe godranno di
nuovo lunghi anni senza scosse di intimità con Gesù. Rimane il fatto che
in un certo momento della loro storia qualcosa di misterioso e doloroso
è accaduto. Allora, che significato o quali significati può avere
quanto è successo?
Penso che certi eventi non sono di immediata comprensione, anzi, i più
li comprenderemo pienamente solo nella visione beatifica. Nel frattempo
conviene imitare l'atteggiamento della Santa Vergine che custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2, 19).
… ciò che accade a tutti
Un possibile sviluppo della meditazione è il seguente: quanto è successo
a Maria e Giuseppe, a Marta e Maria, ossia vivere momenti di angoscia
causati dall'impossibilità di comprendere i disegni di Dio quando questi
sembrano contraddire le leggi dell'amore, è un'esperienza che tutti gli
uomini, in varia misura, prima o poi fanno. È un'esperienza che tocca i
ricchi e i poveri, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani.
In ogni uomo infatti c'è un'aspirazione alla conoscenza, all'amore, alla
gioia, alla giustizia, ad una pienezza di vita stabile e duratura.
Tutti cercano di darsi da fare per raggiungere in qualche modo questi
beni, per saziare e dissetare il loro cuore.
Tuttavia, anche nei casi più fortunati, l'uomo riuscirà ad ottenere solo
qualche goccia dell'acqua che cerca, riuscirà a godere solo a momenti e
in modo incompleto la vita, l'amore e la gioia che desidera. Inoltre,
non solo non riesce a raggiungere la felicità a cui aspira, ma è
raggiunto e visitato da un'impressionante assortimento di guai e
tribolazioni, tra cui la tribolazione più grave, inevitabile e certa che
è la morte, la quale, abbastanza presto manda i segnali della sua
prossima venuta. Ogni uomo quindi, in modo più o meno cosciente, a più
riprese e con varia intensità si trova a vivere momenti di angoscia
causati dallo scontro di queste due esperienze: da un lato quel poco di
felicità che è riuscito a raggiungere e dall'altro tribolazioni di varia
natura che tendono a indebolire e distruggere la sua felicità. Da un
lato le sue aspirazioni ad una pienezza di vita e di gioia senza fine,
dall'altro l'impossibilità di ottenere quanto desidera.
Allora, come Maria, ogni uomo potrebbe rivolgere al suo Creatore la domanda: Perché ci hai fatto questo? Oppure la versione un po' attenuata della stessa domanda: Perché hai permesso questo?
Domande che sorgono sempre quando si è colpiti da eventi drammatici.
Eventi che sembrano smentire sia la bontà di Dio, sia la sua giustizia,
sia la sua provvidenza. In queste circostanze si sente spesso dire: Se Dio ci fosse non permetterebbe tali cose; poi, più o meno consapevolmente, si conclude: Siccome tali cose sono successe allora Dio non esiste.
E c'è chi tira un sospiro di sollievo avendo trovato un solido
argomento per giustificare la propria scelta di vivere come se Dio non
ci fosse. In realtà, chi si rifugia in simile ragionamento è come se si
rifugiasse in una casa costruita sulla sabbia. In effetti è molto più
faticoso e impegnativo costruire sulla roccia, ossia vivere l'angoscia
di non poter conciliare due dati inconciliabili con le sole forze umane,
vale a dire: tali cose sono successe eppure Dio esiste.
Allora, ogni uomo che faticosamente cerca una risposta all'enigma
doloroso e angoscioso della sua esistenza, in realtà, che lo sappia o
no, assomiglia a Maria e Giuseppe quando angosciati cercano Gesù,
perché solo Lui è la risposta a ogni enigma della nostra storia, solo
Lui può conciliare ciò che sembra inconciliabile, solo Lui è l'approdo
di ogni nostra ricerca e di ogni nostra aspirazione.
Un pensiero di santa Teresina di Lisieux
Giunti a questo punto è forse possibile intravedere un primo motivo del
comportamento di Gesù nei confronti di Maria e Giuseppe, di Marta e
Maria. Esso è espresso da santa Teresina di Lisieux nella poesia Perché ti amo Maria! Ecco cosa dice in proposito: Adesso io comprendo il mistero del tempio, le parole nascoste del mio Re amabile. / Madre, il dolce tuo Figlio vuole che tu sia l'esempio dell'anima che lo cerca nella notte della fede. Quell'Adesso io comprendo
sta ad indicare che, come la santa Vergine, Teresina ha conservato a
lungo nel suo cuore, senza comprendere, quanto Gesù aveva compiuto in
quella circostanza. Da notare ancora che senza incertezze, senza
tentennamenti, Teresina attribuisce quanto è accaduto ad una precisa
volontà di Gesù. Volontà che si propone di offrire a coloro che Lo
cercano un modello, un punto di riferimento e un aiuto quando si
troveranno nella stessa notte, nelle stesse angosce, negli stessi
turbamenti.
Siccome tutti gli uomini sono chiamati prima o poi a doversi confrontare
con il doloroso enigma dell'esistenza, Maria e Giuseppe sono dati come
soccorso a tutta l'umanità, anche se i più non sanno che qualcuno
dall'alto li comprende e li aiuta. Per coloro poi che hanno fede, per i
cristiani che meditano questo mistero piuttosto doloroso che gaudioso,
diversi sono gli insegnamenti e gli aiuti di cui possono beneficiare.
Stranezze
Intanto sapere che qualunque sia la situazione dolorosa che si sta
attraversando, è possibile ricorrere con fiducia alla comprensione e
all'aiuto di chi, prima di noi, ha vissuto momenti di buio e di angoscia
in cui era impossibile comprendere come Dio andava conducendo gli
eventi. Poi non bisogna stupirsi se, nonostante una vita di fede, di
preghiera, di ricerca, di energie spese per Dio e i fratelli, capita di
dover attraversare momenti in cui non si comprende più l'agire di Dio,
momenti dolorosi e angosciosi in cui Dio da amico sembra trasformarsi in
nemico. Questa è una situazione abbondantemente documentata nella
Bibbia; basta pensare ad Abramo, Giacobbe, Geremia, Giobbe, a certi
salmi, a certe vicende della storia di Israele…
Uno dei momenti in cui si ha questa impressione è quando Dio si propone
di purificare la vita di una comunità o di un credente, quando attacca
con decisione ogni egoismo, ogni chiusura, ogni ripiegamento sul proprio
io, ogni orgoglio… oppure quando vuole purificare il nostro affetto dal
suo pericoloso attaccamento ai beni di questo mondo e alla vita
presente. Allora, per una illusione ottica della nostra vista malata,
pensiamo che Dio sia nostro nemico mentre in realtà il suo amore si sta
preoccupando della nostra guarigione e della nostra perfezione.
Questo caso non sembra però riguardare Maria e Giuseppe, il loro amore e
i loro affetti erano già sufficientemente puri e rivolti a Gesù da non
aver bisogno di essere purificati. Allora perché vengono trattati in
quel modo? Potrebbe essere di aiuto considerare l'andamento di una
storia d'amore. Una storia d'amore non è qualche cosa di statico, ma di
dinamico, è qualcosa che tende a crescere. E un evento che molto
contribuisce a far crescere l'amore è il momento della prova; se la
prova viene superata l'amore cresce, diventa più bello, più forte, più
profondo; se non viene superata l'amore s'incrina e rischia di rompersi.
Siccome Dio vuole far crescere nel suo amore coloro che già lo amano, è
inevitabile che proprio coloro che gli sono particolarmente cari siano
sottoposti a delle prove. Le prove, di vario peso e natura, sono però in
vista del premio che è la crescita nell'amore; perché una volta superata la prova si possa ricevere la corona della vita (Gc 1, 12).
Alcuni ingredienti che caratterizzano i momenti di prova sono proprio
quelli osservati durante queste riflessioni: l'amore che smentisce se
stesso, Dio che da amico diventa nemico, l'impressione che Dio stia
chiedendo troppo, l'impossibilità di comprendere come Dio conduce gli
eventi, Dio che sembra non mantenere le promesse e quindi sia sleale,
aridità e sentimento dell'assenza di Dio, pesantezza e fatica nella vita
quotidiana, esperienza dolorosa del non senso e della vanità della
vita, il trionfo dei nemici di Dio mentre la tribolazione si abbatte in
maniera sproporzionata sui suoi amici, impossibilità di scorgere vie
d'uscita, l'impressione e spesso la constatazione della vittoria delle
tenebre e della morte… E Dio tace, e Dio non interviene…
Rivelazione del cuore dell'uomo
Ma cosa succede in questi momenti di disagio, di inquietudine, di
turbamento e di angoscia? Succede che viene manifestato e posto in piena
luce ciò che c'è nel cuore dell'uomo, ossia vengono rivelati sia la
bontà e il pregio del nostro amore, sia le nostre povertà e le nostre
miserie. Se in una storia d'amore non ci fossero i momenti di prova non
si potrebbe neanche sapere quanto in realtà vale l'amore di colui che
ama. Così, quando Dio scompare, si nasconde, non si vede e non si sente,
l'amore di Maria e Giuseppe, e il nostro amore, tanto più si rivela
grande quanto più nella notte, nelle ansie e nei disagi si mette alla
ricerca di Gesù.
Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo (Lc 2, 48). Se non ci
fosse questa ricerca inquieta e dolorosa vorrebbe dire che non ci
importa molto di Gesù. Se uno procede tranquillo e sereno in questa
vita, vuol dire che non gli importa molto dell'altra vita, quella vera,
quella in cui la tranquillità e la serenità dipendono dalla fruizione
svelata dell'amicizia di Dio. La nostra stoltezza è nell'ostinata
pretesa di vivere tranquilli e sereni senza Dio. Se uno è sconvolto per
il fatto che la provvidenza di Dio non provvede, la sua giustizia sia
ingiusta, il suo amore sia inefficace… vuol dire che il comportamento di
Dio nel governo della propria storia e della storia del mondo non gli è
indifferente. Vuol dire che se Dio si comporta bene è contento e se non
si comporta bene ne soffre.
Allora, in questi momenti di disagio e di angoscia non dobbiamo temere,
come non hanno temuto Maria, Giobbe, il salmista, di porre a Dio la
domanda: Perché ci hai fatto questo? Bisogna però fare attenzione
che la domanda sia posta con lo spirito giusto, con il tono giusto. Di
solito per trovare la giusta intonazione, perché si formi in noi lo
spirito giusto, sono necessari molti esercizi e tempi non brevi.
Esercizi e tempi che non sono tanto decisi da noi, ma che accettiamo di
subire perché non possiamo farne a meno, perché ormai ci troviamo
coinvolti in una lotta con Dio che dovrà inevitabilmente concludersi con
una vittoria o una sconfitta.
Lotta con Dio
Vi è dunque un modo corretto e un modo scorretto di interrogare Dio, vi è
un modo corretto e uno scorretto di lottare con Lui. Un primo aspetto
di correttezza da parte nostra è quello di imparare ad accettare la
lotta, ossia di non fuggire spaventati o cercare di attenuare le
provocazioni a cui il momento di prova ci costringe. È inevitabile e
normale che nei momenti di prova si abbia paura e si voglia fuggire, ma dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti
(Sal 138, 7-8). Allora conviene cercare da qualche parte "Il coraggio
di aver paura" (titolo di un'opera del padre M. D. Molinié op) e non
fare come i figli di Efraim che voltarono le spalle nel giorno della battaglia (Sal 77, 9).
L'altra cosa da non fare è attenuare le provocazioni e lo sconcerto a
cui la prova ci costringe. Questa è una tentazione frequente nelle
persone devote che hanno per patroni gli amici di Giobbe. Ora, la cosa
stupefacente nel libro di Giobbe è che coloro che si impegnano a fondo
nel difendere Dio dalle accuse di Giobbe, vengono alla fine rimproverati
per la loro stoltezza, mentre Giobbe, che si impegna a fondo ad
accusare Dio, a chiamarlo in giudizio, a rimproverargli di non
comportarsi bene, viene alla fine lodato e glorificato per aver detto di
Dio cose rette (Gb 42, 8). Giobbe è quindi il patrono di coloro che lottano come si deve con Dio.
Alcuni esempi, paradossali e corretti, di gemiti, di interrogativi, di
lamenti, di imprecazioni, che possono sorgere durante questa lotta sono:
Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un uomo!" (Gb 3, 3). Penso e ho paura di lui (Gb 23, 15). L'anima dei feriti grida aiuto, ma Dio non bada a queste suppliche (Gb 24, 12). Non è forse così? Chi può smentirmi e ridurre a nulla le mie parole? (Gb 24, 25). Svegliati, perché dormi, Signore? (Sal 43, 24). Io sono sazio di sventure, la mia vita è sull'orlo degli inferi…perché Signore mi respingi? Perché mi nascondi il tuo volto (Sal 87, 4; 15). Perché vedendo i malvagi, taci mentre l'empio ingoia il giusto? (Ab 1, 13). Hai allontanato da me amici e conoscenti, mi sono compagne solo le tenebre (Sal 87, 19). Meglio per me morire che vivere (Gn
4, 3; 8). Ammirevole il candore e la familiarità con cui Mosè si
rivolge a Dio per dirgli che, contrariamente alle promesse, i fatti
dicono che Tu non hai per nulla liberato il tuo popolo (Es 5, 23)…
A questo punto si impone la domanda: perché Giobbe viene lodato mentre i
suoi amici vengono rimproverati? Oppure: che cosa caratterizza la
maniera corretta di lottare con Dio o di superare la prova e che cosa
caratterizza la maniera scorretta? Penso che Giobbe venga lodato perché
nel momento della prova ha aderito e si è mantenuto nella verità, mentre
i suoi amici hanno avuto paura della verità e si sono rifugiati nella
menzogna. Giobbe dice la verità che ha nel cuore (Sal 14, 2 nuova
trad. CEI). La verità nel cuore di Giobbe e di chiunque è nella prova
consiste nel riconoscere, nel prendere onestamente atto che ci sono due
elementi contrastanti: da un lato il presentimento che Dio è buono e non
può essere ingiusto, dall'altro fatti schiaccianti che smentiscono
questo presentimento. Il presentimento della bontà di Dio genera e
alimenta la confidenza, i fatti che smentiscono la sua bontà generano e
alimentano la paura di Dio.
Giobbe e chiunque è nella prova si trova alle prese con questa miscela
esplosiva che da origine a un combattimento dall'andamento alterno. A
volte sembra prevalere la confidenza, a volte sembra che gli eventi
uccidano la confidenza. Il difetto degli amici di Giobbe è di non
accogliere in tutta la loro verità e drammaticità questi due elementi.
La loro stoltezza consiste nell'insistere a voler conciliare con le sole
forze umane due elementi inconciliabili. Allora, paradossalmente,
prendere le difese di Dio può manifestare una mancanza di confidenza in
Lui, un'insufficiente adesione alla verità dei misteri in cui siamo
immersi.
La grandezza gigantesca di Giobbe invece, consiste nell'accettare in
tutta la sua verità e misteriosità la vicenda incredibile che si trova a
vivere. L'incredibile vicenda in cui, proprio lui che è amico di Dio,
si trova suo malgrado, costretto dalla forza degli eventi, a doverlo
accusare. Ma proprio questo rivela che Giobbe è abitato da una
confidenza che i suoi amici non hanno. Confidenza talmente profonda che
lo fa essere così sicuro della bontà di Dio da non temere di
rimproverarlo e chiamarlo continuamente in giudizio. Lo dice lui stesso:
Questo mi sarà pegno di vittoria, perché un empio non si presenterebbe davanti a Lui (Gb 13, 16).
Giobbe non comprende assolutamente nulla di quanto gli sta capitando; un
po' perché certe cose sono impossibili da capire con le sole forze
umane, e un po' perché è chiamato ad essere il precursore, la figura, di
qualcosa che dovrà accadere poi, ossia di Gesù innocente agonizzante
sulla croce. La certezza della bontà di Dio e la sproporzione della
tribolazione che si è abbattuta su di lui sono come le due braccia della
croce a cui Giobbe è inchiodato. Come Gesù sulla croce Giobbe agonizza,
e il suo interrogativo diventa sempre più simile all'interrogativo di
Gesù e di Maria: Dio mio, Dio mio… perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46), Figlio, perché ci hai fatto questo?…(Lc 2, 48). Perché, perché, perché?
La stoltezza degli amici di Giobbe, e nostra, è nella pretesa di poter
rispondere a certi interrogativi con le sole forze umane, nella pretesa
di rispondere a certi fatti con delle spiegazioni o dei ragionamenti.
Anche se un ragionamento fosse corretto secondo la Scrittura e la
teologia più profonda, non potrebbe mai costituire una risposta
pienamente soddisfacente allo stato di crocifissione di chi è nella
prova. La parola che risolve uno stato di crocifissione è una parola che
Dio ha riservato a sè. Lo stato di crocifissione è una situazione che
può essere risolta esclusivamente da una manifestazione del Volto di
Dio.
Giobbe lo intuisce e lo dice: Vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso
(Gb 19, 26-27). Tutti i suoi discorsi sono in fondo una disperata
richiesta, una disperata supplica perché il volto buono di Dio infine si
manifesti. Giobbe lotta con il segreto desiderio di essere vinto dalla
manifestazione luminosa e innocente del volto di Dio. E così avviene, ad
un certo punto il suo interrogativo trova la giusta intonazione, la
domanda è posta con lo spirito giusto e allora Dio si manifesta e lo
libera dalle sue angosce, lo glorifica e lo dichiara innocente. Giobbe
vince perché in fondo voleva essere vinto dalla bontà e dalla giustizia
di Dio.
Non vincono e lottano in maniera scorretta coloro che trascurano,
attenuano o respingono il presentimento della bontà di Dio e favoriscono
lo spirito di rivolta, coloro che dallo scandalo del male e dal loro
stato di infelicità, traggono argomenti per accusare Dio senza che, come
Giobbe, dispiaccia loro di doverlo accusare, anzi, trovano un certo
compiacimento o soddisfazione nelle loro accuse. Nella partita fra
l'innocenza e la colpevolezza di Dio, fanno il tifo e si danno da fare
perché Dio sia dichiarato colpevole e loro innocenti. Come i sommi
sacerdoti e gli scribi che accusavano Gesù con insistenza (Lc 23, 10).
Lotta in maniera scorretta chi si ostina a cercare di far prevalere la
propria idea di felicità e la propria miope visione sul mistero della
vita. Il rischio che si corre a lottare in maniera scorretta con Dio non
è di poco conto, si rischia di vincere, ossia di sconfiggere la luce,
la pazienza e la misericordia di Dio precipitando così nella dannazione
eterna.
La manifestazione del volto di Dio
Conviene a questo punto considerare e sottolineare che l'esito positivo
di un momento di prova comporta sempre una manifestazione del volto di
Dio. Come Giobbe viene liberato dalle angosce quando Dio finalmente gli
parla, ossia si rivela, così l'angoscia di Maria e Giuseppe si placa
quando finalmente rivedono il volto di Gesù, lo stesso accade per Marta e
Maria. Potrebbe inoltre avere un significato il fatto che a placare
l'angoscia di Maria e Giuseppe sia il volto di un dodicenne. Più che in
un adulto sul volto di un giovinetto si possono leggere i tratti
dell'innocenza, e questo può rispondere all'impressione che si ha quando
si è nella prova, ossia che Dio sia troppo duro, ingiusto, cattivo… e
quindi colpevole. Ma colui che ci ha fatto questo, contrariamente
alle apparenze, è invece un giovinetto innocente. Nel momento in cui
Dio si rivela, rivela anche la sua innocenza, e a volte pure quella di
chi è nella prova quando questi, come nel caso di Giobbe, poteva avere
l'impressione che quanto gli stava capitando dipendeva da qualche sua
colpa. Tu scrivi contro di me sentenze amare e su di me fai ricadere i miei errori giovanili (Gb 13, 26).
Tutto questo non è solo per Giobbe, Maria e Giuseppe, Marta e Maria… ma
deve valere e vale anche per noi oggi. In ogni tempo chiunque è nella
prova ha diritto e alla fine ottiene una manifestazione del volto di
Dio. Bisogna sapere che è così e disporsi con umiltà e fermezza a
desiderare questa manifestazione. Il salmo ci incoraggia e ci suggerisce
le parole da dire: Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto (Sal 26, 8-9). Fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Sal
74, 4). Per una dottrina solida e sicura su ciò che caratterizza una
manifestazione autentica del volto di Dio e in che cosa si distingue
dalle imitazioni, è bene rivolgersi a dottori di chiara fama come S.
Teresa d'Avila e S. Giovanni della Croce.
Tuttavia, almeno qualche cenno, anche se molto incompleto e imperfetto,
può essere utile. Intanto bisogna dire che questa manifestazione non può
e non deve essere una fantasia, un sentimento superficiale, una facile
emozione, la proiezione di un nostro desiderio, ma è un fatto interiore
profondo, qualcosa che succede dentro di noi in tempi e modi
imprevedibili, qualcosa che non dipende assolutamente dalla nostra
volontà, ma ci sorprende. È un'impressionante e precisa risposta al
nostro turbamento e alle nostre più profonde attese, è una risposta che
scioglie lo stato di angoscia o di crocifissione e dona la pace.
Lascia nell'anima un senso di stupore e di ammirazione per la grandezza,
la maestà e la bontà di Dio. A volte questa manifestazione è
accompagnata dal dono delle lacrime, ossia dall'esperienza di un amore
che sovrabbondantemente e al di là di ogni attesa, colma, avvolge, sazia
e beatifica l'anima. Fa nascere una più grande umiltà, desiderio di
solitudine e silenzio. Si vede chiaramente che ciò che si sa e si dice
su Dio è più che altro una conoscenza per sentito dire. Tutto
questo è impossibile da produrre o riprodurre a nostro piacimento, è un
dono. Dono che muove alla gratitudine e fa crescere nell'amore di Dio.
Aspetti pedagogici
Bisogna tuttavia considerare che questa manifestazione è "una
manifestazione", non è ancora "la manifestazione", quella definitiva,
quella che davvero dona la pace e la beatitudine senza fine. Maria e
Giuseppe rivedono il volto di Gesù, la loro angoscia si placa, ma non
comprendono ancora perché Lui ha fatto questo. Pur nella
pace ritrovata rimane qualche cosa di irrisolto, ed è l'indicazione che
bisogna procedere ancora, bisogna conservare e meditare nel proprio
cuore quanto è accaduto e attendere ulteriori luci, più profonde
rivelazioni. Il Mistero in cui siamo immersi non ci lascia facilmente
tranquilli…
Questo ci suggerisce che l'episodio del ritrovamento di Gesù nel tempio
può anche avere una motivazione pedagogica. Gesù ha fatto fare a Maria e
Giuseppe un'esperienza simile ad un'altra che dovranno fare poi; perché
quando questa si presenterà la possano vivere e superare meglio grazie
agli insegnamenti assimilati in occasione della sua perdita e del suo
ritrovamento. Per Giuseppe qualcosa di simile accadrà nell'ora della sua
morte e per Maria nell'ora della passione, morte e risurrezione di
Gesù. Anche allora saranno giorni di turbamento, di tribolazione e di
angoscia, anche allora l'amato Figlio sembrerà definitivamente e
irrimediabilmente perduto. Ma anche allora dopo tre giorni quel Figlio
sarà ritrovato. Ritrovato nel tempio di Dio, ossia la natura umana di
Gesù verrà ritrovata nella gloria della risurrezione innalzata alla
destra del Padre.
Ma l'aspetto pedagogico della perdita e del ritrovamento di Gesù
potrebbe anche essere considerato da un altro punto di vista, dal punto
di vista del cuore di Gesù; nel senso che il turbamento, il dolore,
l'angoscia, l'inquietudine di Maria e Giuseppe in occasione della sua
perdita e della sua ricerca, è simile al dolore, all'inquietudine,
all'agonia di Gesù nella sua ricerca di ogni uomo che si è perduto.
Così, in quell'esperienza dolorosa, Gesù univa più strettamente al suo i
cuori di Maria e Giuseppe, proprio perché anche loro, in una certa
misura, passavano attraverso un dolore simile al suo. E così avviene
anche tutte le volte in cui coloro che amano si trovano di fronte a
un'indelicatezza, un'incomprensione, un'offesa, un rifiuto, un
tradimento del loro amore. Tutte le volte che all'amore non si risponde
con l'amore e allora sorge la domanda: Perché mi hai fatto questo? È la domanda dei crocifissi, di coloro che amando invece di amore ottengono in cambio spine, flagelli, percosse.
Nella liturgia del venerdì santo questo interrogativo è ampiamente sviluppato e dettagliato: O
mio popolo, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!…
Io apersi davanti a te il mare: e tu con la lancia mi hai aperto il
fianco. …Io ti innalzai con grande potenza: e tu mi hai sospeso al legno
della croce. "O mio popolo, perché mi hai fatto questo?". È la
domanda di chi non può pensare che un amore possa venir trascurato,
offeso, tradito… E come Maria e Giuseppe non comprendono la risposta che
Gesù ha dato al loro interrogativo, ossia al loro amore, così è come se
Gesù non riuscisse a comprendere la risposta che l'umanità dà al suo
amore. All'incredibile e stupefacente amore di Dio, l'umanità risponde
facendolo morire sulla croce. È davvero un'incomprensibile risposta!...
Verso le profondità dei Misteri
Ci stiamo inoltrando qui nelle profondità dei misteri, dove non si può
fare altro che balbettare, barcollare e infine tacere. Un primo mistero è
che Dio, che non ha bisogno di nulla al di fuori di sé essendo
perfettamente felice, beato e soddisfatto da ciò che trova in sé, decide
un bel giorno di produrre qualche cosa fuori di sé. Ma non è possibile
che questa decisione sia stata presa alla leggera, in modo superficiale,
senza un'attenta valutazione dei pro e dei contro. Non è possibile che
ciò che ha deciso di produrre non corrisponda ad un progetto preciso e
dettagliato in cui nulla è lasciato al caso; non è possibile che in
questo progetto qualcosa gli sia incomprensibile o gli sfugga di mano.
Quindi sapeva fin dall'inizio, prima di mettere in moto tutto quanto,
che le cose sarebbero andate a finire come sono finite, ossia con la
morte in croce di Gesù.
Inoltre bisogna considerare che invece di questo progetto poteva
benissimo pensarne un altro; e invece no. Ha previsto un disegno in cui
degli esseri liberi avrebbero messo in croce suo Figlio e quello ha
voluto. Ha voluto mettere in scena un dramma in cui gli attori
principali sono la miseria e la misericordia. E la miseria ha dovuto
produrla dal nulla. Ha fatto l'uomo e allora si è riposato, avendo uno cui potesse perdonare i peccati (S. Ambrogio - Exameron 6, 10, 76). Tutto è previsto e predisposto perché ad un certo punto entri in scena l'Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo (Ap 13, 8 nuova trad. CEI), il quale consegnato
a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per
mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso (At 2, 23). Lui, che è la Vita, muore perché noi, morti, possiamo riavere la vita.
Un altro aspetto singolare di questo disegno è che Dio … ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia (Rm 11, 32), e questi disobbedienti sono scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità (Ef 1, 4). Ma per diventare santi bisogna lavare e rendere candide le proprie vesti con il sangue dell'Agnello (Ap 7, 14). Tutta questa disobbedienza, questa miseria, questo sangue deve risolversi o sfociare nella gloria. A lode della sua gloria… in Cristo Gesù (Ef 1, 12).
Di questo grandioso e misterioso progetto le liturgie pasquali invitano a
rallegrarsi. Ma attenzione, il motivo della gioia non è perché vengono
considerati solo gli aspetti luminosi della vicenda, anzi, gli aspetti
paradossali e sconcertanti, proprio perché sovranamente dominati dalla
gloria, vengono posti in piena luce.
Esulti il coro degli Angeli, esulti l'assemblea celeste, un inno di
gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata
da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del
mondo… L'Agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre…/… Morte e Vita si sono affrontate in un
prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo,
trionfa…/… O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai
sacrificato il tuo Figlio! Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di vedere un così grande redentore!…
Di fronte a questo misterioso e vertiginoso progetto che la
Scrittura svela e rivela, come Giobbe dovremmo metterci la mano davanti
alla bocca e non parlare più (Gb 40, 4-5). Come Maria e Giuseppe
dovremmo ammettere di non capire ciò che misteriosamente il Signore ci
dice. Se non hanno capito loro perché ha fatto questo figuriamoci
noi. Tuttavia, anche noi dovremmo conservare e meditare nel nostro
cuore tutte queste cose, se non altro, capendo di non capire
diventeremmo un po' più umili. Il fatto che molte cose non le possiamo
capire è anche perché sono ancora nascoste e saranno svelate solo nella
visione beatifica. Ciò che saremo non è stato ancora rivelato…(1Gv 3, 2). Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1Cor 2, 9)… A lui onore e gloria nei secoli. Amen.
Eugenio Pramotton
Nessun commento:
Posta un commento