Il
grande cardinale Giacomo Biffi, in una catechesi, faceva suo con
soddisfazione un pensiero mordente di un altro grande, don Divo
Barsotti, il pensiero era questo: "Oggi, nel mondo cattolico,
Gesù Cristo è una scusa per parlare d'altro".
Una
considerazione analoga si può fare a proposito della misericordia:
"Oggi, nel mondo cattolico, la misericordia è un pretesto per
dichiarare il peccato inesistente". Infatti, generalmente si
sente parlare della misericordia a senso unico, ossia slegata dal suo
rapporto essenziale con la giustizia; ma non si può comprendere
correttamente la misericordia senza comprendere anche la giustizia e
non si può comprendere correttamente la giustizia senza comprendere
anche la misericordia. Se si parla della misericordia senza parlare
della giustizia si rischia di offrire a chi ascolta un fungo
velenoso, ossia un fungo che assomiglia in maniera impressionante a
un fungo buono, ma in realtà contiene un veleno mortale. Il veleno
consiste nel favorire l'illusione secondo cui sarebbe possibile
ottenere misericordia senza che ci sia chiesto di accettare un certo
timore e un certo tremore, senza la necessità di piegare le
ginocchia per supplicare una salvezza che non ci è dovuta; in una
parola, senza il riconoscimento del nostro peccato; ma quando il
riconoscimento del peccato è serio genera inevitabilmente
smarrimento, sconcerto, timore, tremore... Pensiamo a Pietro quando
ha tradito Gesù, ad Adamo ed Eva quando hanno tradito il loro Dio; a
Davide quando Natan gli mostra l'orrore di cui è stato capace
uccidendo Uria...
Evidentemente
per comprendere il rapporto fra giustizia e misericordia conviene
rivolgersi al Signore, perché è Lui solo che può dirci come stanno
effettivamente le cose. La parabola del re misericordioso e del servo
malvagio (Mt 18, 23-35) è particolarmente illuminante a questo
proposito. "Un re volle fare i conti con i suoi servi...";
l'andamento della parabola mostra cosa accade quando i nostri
comportamenti sono esaminati alla luce di Dio; ciò che accade è che
ci scopriamo debitori nei confronti dell'amore di Dio come quel servo
che aveva accumulato un debito enorme, diecimila talenti, ossia un
debito impossibile da estinguere. Ma cosa comporta scoprire di avere
un debito che non siamo in grado di saldare? Comporta l'angoscia e il
tormento di chi si trova in una situazione senza vie d'uscita;
significa prendere atto di un fallimento; significa riconoscere che
pesa su di noi una giusta sentenza di condanna: "Il padrone
ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto
possedeva, e saldasse così il debito".
Ecco
il compito della giustizia, renderci consapevoli della nostra reale
situazione davanti a Dio. Quindi, se veramente non resistiamo alla
Luce della giustizia, se la lasciamo operare in noi secondo il suo
genio, questa ridurrà in frantumi la nostra presunzione, la nostra
arroganza, il nostro orgoglio... e ci preparerà un cuore contrito e
umile, un cuore da cui può sgorgare una supplica autentica, una
richiesta di pietà senza arroganza, ossia un cuore adatto ad essere
accolto dalla Luce della misericordia. "Allora quel servo,
gettatosi a terra, lo supplicava: «Signore abbi pazienza con me e ti
restituirò ogni cosa»". A questo punto nel cuore del servo
possiamo osservare: il riconoscimento della giusta sentenza,
l'appello alla misericordia, un certo dolore per il male commesso,
l'intenzione di rimediare in qualche modo al debito contratto. Ma una
volta che sono sorte queste disposizione per opera della giustizia, e
non prima, ecco che può entrare in gioco la misericordia; la
misericordia poi, quando interviene, ci sorprende al di la di ogni
attesa, infatti, il servo aveva chiesto del tempo per poter
estinguere il debito, ma la misericordia glielo condona interamente;
la giustizia condannava lui e i suoi a essere venduti come schiavi,
ma la misericordia li libera dalla schiavitù. Il servo passa così,
inaspettatamente, dall'umiliazione del fallimento alla
riabilitazione, dall'inquietudine al sollievo, dall'angoscia alla
pace.
La
parabola del Signore ci dice dunque che la condizione per ottenere
misericordia passa per l'accettazione di un'inquietudine e di
un'angoscia, l'inquietudine e l'angoscia di sapersi debitori
insolventi nei confronti dell'amore di Dio. La Santa Vergine nel
magnificat sintetizza in maniera sorprendente il rapporto fra la
giustizia e la misericordia quando canta: "Di generazione in
generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono".
Dobbiamo dunque "temere" Dio per ottenere misericordia, ma
temere Dio, temere di offenderlo, temere di non riuscire ad amarlo
quanto merita di essere amato, è un compito che non riusciamo a
compiere da soli, infatti, è solo la giustizia di Dio che può
mostrarci quanto è giusto che Lui sia amato sopra ogni cosa, e nello
stesso tempo quanto noi non lo amiamo; questa duplice luce ha il
compito di frantumare il nostro cuore per renderlo contrito e umile,
ossia adatto a ricevere la misericordia che di generazione in
generazione si stende su quelli che lo temono.
Noi
abbiamo bisogno di misericordia, non perché siamo afflitti da
innumerevoli mali, ma perché Dio ci ama con un amore folle e noi non
lo amiamo; da questo male vengono a noi tutti gli altri mali. Il
Signore abbia pietà di noi e ci aiuti a discernere coloro che
predicano la misericordia secondo il suo cuore.
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